Vere e proprie renze asfissianti...
Renzi: il segreto del cazzaro
di Daniele Basciu - http://econommt.com - 14 Ottobre 2014
Abbiamo Renzi che va avanti a ruota libera, con montagne di balle senza contraddittorio, forse perchè spesso i giornalisti non prendono la briga di leggere i documenti ufficiali del Governo, come il DEF.
Ieri ha dichiarato che taglierà le tasse per 18 mld:
“La più grande riduzione” mai vista in Italia.
Il segreto del cazzaro è la sicurezza quando si sparano le balle, contro ogni evidenza. Così per lui non è un problema la tabella del DEF da cui risulta che dal 2014 al 2015.
AUMENTERA’ LE TASSE DI 10 MILIARDI COMPLESSIVI !!!
Ed è incredibile che non ci sia mezzo giornalista che gli rida in faccia, quando le racconta.
Il vero peso delle misure in arrivo
di Luca Ricolfi - La Stampa - 15 Ottobre 2014
Nel giro di pochi giorni la cosiddetta «manovra» per il 2015 è passata da 20 a 30 miliardi di euro. Secondo Renzi «si tratta della più grande operazione di taglio di tasse tentata in Italia e di una spending review mai vista».
Ma in che cosa consiste la manovra?
Se dovessi spiegarla ai miei studenti la metterei così. Cari ragazzi, quando un governo fa una manovra ci sono sempre un lato propagandistico e un lato effettivo.
Sono importanti entrambi, ma vanno tenuti ben distinti.
Il lato propagandistico è rilevante perché serve a comunicare le priorità del governo. Con la manovra annunciata ieri, Renzi ci dice tre cose tutte e tre sacrosante e condivisibili.
Primo: che vuole ridurre drasticamente gli sprechi della Pubblica amministrazione, con una spending review di 13,3 miliardi.
Secondo: che vuole ridurre drasticamente le tasse, con sgravi pari a 18 miliardi di euro (di cui 10 per il rinnovo del bonus da 80 euro).
Terzo: che vuole azzerare i contributi per i nuovi assunti a tempo indeterminato.
Fin qui tutto bene, il messaggio è chiaro, anche se in conflitto con quanto annunciato in precedenti occasioni e documenti ufficiali (nell’ultima intervista sulla spending review, ad esempio, i miliardi risparmiati non erano 13,3 ma 20, dopo essere stati 17 fino al giorno prima).
Adesso però guardiamo il lato effettivo, ossia la sostanza della manovra. Che cosa contiene effettivamente la manovra da 30 miliardi di cui si sta parlando in questi giorni?
Per capirlo dobbiamo dimenticare completamente la parte propagandistica e rispondere a tre domande: di quanto diminuiscono le spese totali della Pubblica amministrazione? Di quanto diminuiscono le entrate? E’ realistica la promessa di azzerare i contributi sociali ai nuovi assunti a tempo determinato?
Ed ecco le risposte, o meglio quel che si riesce a capire in attesa di un documento ufficiale.
Le spese della Pubblica amministrazione non si riducono affatto di 13,3 miliardi ma solo di 4,1 miliardi, perché accanto ai 13,3 miliardi di tagli programmati ve ne sono 9,2 di nuove spese, come il finanziamento degli ammortizzatori sociali, gli obblighi contratti dal governo Letta, o le cosiddette spese inderogabili.
Le tasse pagate dagli italiani non si riducono affatto di 18,3 miliardi, perché gli sgravi promessi sono bilanciati da 5,2 miliardi di nuove entrate, e quindi la riduzione effettiva della pressione fiscale scende a 13,1 miliardi di euro (che comunque non è poco). Va da sé che la differenza fra minori tasse (13 miliardi di sgravi) e minori spese (4 miliardi di riduzione della spesa pubblica) verrà coperta in deficit, ovvero messa in conto alle generazioni future.
Quanto alle assunzioni a zero contributi bastano alcuni semplici calcoli per scoprire che potranno riguardare al massimo 1 caso su 10, ossia 100-150 mila persone su oltre 1 milione e mezzo di assunzioni a tempo indeterminato.
Fin qui i conti nudi e crudi. Ma, al di là delle cifre, che giudizio si può dare della manovra?
Difficile fare valutazioni senza un testo ufficiale. Per quel che riesco a capire, l’idea del governo è che aumentando il deficit di circa 10 miliardi e ritoccando la struttura del bilancio pubblico si possa dare una spinta significativa alla domanda interna. E’ una linea di keynesismo debole (facciamo deficit, ma non troppo) che mi auguro possa funzionare, ma che si espone ad almeno un paio di obiezioni.
La prima è che aumentare il deficit di «soli» 10 miliardi, e ridurre la pressione fiscale di soli 13 miliardi, potrebbe non bastare a far ripartire i consumi ma potrebbe essere più che sufficiente a far ripartire lo spread, con conseguente ulteriore aggravio dei conti pubblici. Non so perché così pochi osservatori lo facciano notare, ma è da circa un mese che la tendenza dello spread dei titoli di Stato italiani è all’aumento, ossia al peggioramento.
Ed è da sei mesi che i mercati hanno ricominciato a differenziare i rendimenti richiesti ai vari Paesi dell’euro, un comportamento che nel 2011 ha preceduto e annunciato la bufera finanziaria che portò alla caduta di Berlusconi e all’insediamento di Monti. In questo senso la mossa di Renzi di aumentare il deficit anziché ridurlo potrebbe rivelarsi un azzardo.
La seconda obiezione è che il meccanismo previsto per stimolare le assunzioni, ossia la cancellazione dei contributi sociali per gli assunti a tempo determinato, ha tre difetti abbastanza gravi: riguarda pochissimi lavoratori (perché con 1 miliardo non si può fare molto), non si finanzia da sé (perché non aumenta in modo apprezzabile il Pil), ha effetti occupazionali trascurabili (perché non è vincolato al requisito di aumentare gli occupati).
E’ proprio per evitare simili inconvenienti che, nei giorni scorsi, su questo giornale abbiamo provato ad aprire una discussione su una proposta alternativa, quella di un contratto a decontribuzione totale ma riservato alle imprese che incrementano l’occupazione (il job-Italia). Un contratto che, secondo le stime della fondazione David Hume, creerebbe almeno 300 mila nuovi posti di lavoro all’anno, e non costerebbe nulla allo Stato.
Non so se la nostra proposta sia la più efficace possibile, ma resto convinto che creare nuovi posti di lavoro, tanti nuovi posti di lavoro, sia una priorità assoluta per il nostro Paese, perché è la mancanza di lavoro l’elemento che più differenzia noi (e la Grecia) da tutte le altre economie avanzate. E’ questo, a mio parere, il terreno più importante su cui la manovra andrebbe giudicata: perché è questo il terreno su cui si gioca il futuro dell’Italia.
Renzi: naso lungo, coperta corta. La balla degli sgravi fiscali
di Marco Della Luna - http://marcodellaluna.info - 14 Ottobre 2014
Ieri, 13.10.14, a Bergamo, davanti a un pubblico di Confindustria, Renzi annuncia tagli per 18 miliardi e pari riduzione della pressione fiscale per rilanciare l’economia, vantandosene.
Questo annuncio è incompatibile con l’ultimo DEF e con la Nota di Aggiornamento, in cui il governo formalmente si vincola, anche nei confronti dell’UE, ad aumentare la pressione fiscale fino al 2017, pure se continuerà la recessione; inoltre vi sono clausole di salvaguardia che faranno scattare aumenti dell’IVA, se necessario a garantire i saldi obbligati di bilancio. Insomma, il governo non può ridurre la pressione fiscale, anzi necessariamente la aumenterà.
Quindi Renzi ieri, a meno che intenda rompere con l’Eurozona, ha mentito pubblicamente. Ingannandoli, ha raccolto il plauso prima degli sprovveduti industriali presenti in sala, e poi dei mass media che stanno al gioco suo e di chi l’ha messo lì e lo dirige.
Quand’anche Renzi non avesse gli impegni di bilancio suddetti, non credo che gli sarebbe possibile trovare 18 miliardi senza tagliare trasferimenti alle pubbliche amministrazioni, senza tagliare i servizi ai cittadini o rincararli, senza aumentare altrove la pressione fiscale (penso alle incombenti revisioni catastali e alla solita introduzione di presunzioni di redditi inesistenti), cioè senza rivalersi diversamente sulla gente, come del resto ha fatto per la mancia degli € 80.
Non è possibile, perché gli apparati dei partiti e la burocrazia vivono mangiando spesa pubblica attraverso sprechi creste, quindi se Renzi cercasse di tagliare spesa pubblica inutile e parassitaria, essi lo silurerebbero.
Ma anche se riuscisse a ridurre le tasse senza colpire in altro modo e cittadini, la cosa non avrebbe l’effetto di rilanciare l’economia nazionale, e ciò per due diverse ragioni, che adesso espongo.
Prima ragione: spostare i soldi non fa ripartire l’economia. E’ come tirare una coperta corta. Bisogna allungare la coperta, per farla ripartire. L’esperienza giapponese (e di altri paesi) descritta e analizzata matematicamente da Richard Werner nei suoi saggi The Princes of the Yen e New Paradigms in Macroeconomics, dimostra che sono senza effetto, ai fini della rilancio dell’economia, tutte le manovre di spostamento di liquidità (dal settore pubblico a quello privato o viceversa, dai consumi agli investimenti o viceversa, dalle imposte dirette a quelle indirette o viceversa).
L’unica manovra che abbia effetto di rilancio è l’aumento della liquidità nell’economia reale. Ma al contrario noi abbiamo oramai, in Italia, una continua sottrazione della liquidità, per effetto di
1) trasferimenti netti a UE (diamo all’UE più di quanto di ritorna);
2) trasferimenti al Meccanismo Europeo di Stabilità (57 miliardi);
3) fuga di capitali (solo quest’anno, 67 miliardi);
4) contrazione del credito concesso.
Quindi la coperta continua ad accorciarsi, riducendo non solo la domanda e gli investimenti, ma la stessa solvibilità dei debiti già contratti, quindi facendo dilagare insolvenze e fallimenti e diffondendo un clima di cupa sfiducia nel futuro.
Va precisato che questo dissanguamento monetario sistematico non è accidentale – altrimenti sarebbe inspiegabile – bensì viene portato avanti dalle istituzioni nazionali ed europee al fine di costringere l’Italia a svendere i suoi assets e mercati sottocosto a capitali finanziari stranieri, nonché a cedere loro il potere politico sul Paese.
Si noti che gli oltre 2000 miliardi creati dalla Banca centrale europea e immessi nel sistema bancario dell’eurozona, non hanno prodotto alcun rilancio dell’economia reale, la quale sta rallentando persino in Germania e Finlandia; e questo perché sono andati in impieghi improduttivi, speculativi, e non nell’economia reale. Se Draghi e soci avessero voluto rilanciare l’economia, fare il bene della gente, avrebbero immesso quei soldi nel settore produttivo.
Seconda ragione: Renzi potrebbe ancora dire che i suoi famosi 18 miliardi li sposterà, mediante una dura spending review, da impieghi pubblici aventi basso effetto moltiplicatore sul reddito nazionale – che so, 1,1 – a impieghi privati di famiglie e imprenditori aventi più alto moltiplicatore sul reddito nazionale – che so, 1,3, così che produrranno un aumento del reddito di 5,4 miliardi anziché di 1,8.
Ma anche questo non può avvenire, perché condizione affinché le famiglie spendano di più anziché mettere da parte, e le imprese investano di più anziché tesaurizzare, è che il quadro complessivo del sistema-paese sia positivo e le aspettative siano pure positive, che ci sia fiducia.
La famiglia non spende ma risparmia, se teme il futuro; e, se spende, compra prodotti di importazione, meno costosi – quindi quella spesa non aiuta il reddito nazionale ma peggiora la bilancia dei pagamenti.
L’imprenditore, a sua volta, non investe e non assume, se non prevede una domanda che assorba i suoi prodotti. Il rimedio, allora, sarebbe quindi quello keynesiano: non tagliare la spesa pubblica, ma dirigerla per quanto possibile, anche aumentandola a deficit, in investimenti pubblici utili e ben progettati, infrastrutturali, che, traducendosi direttamente in appalti, inducano assunzione di forza lavoro quindi domanda solvibile, e insieme migliorino l’efficienza e la produttività, quindi la competitività, del sistema paese.
Ma, nell’Europa del rigore, della crescita e della solidarietà, questo tema è tabù. Intanto, i capitali, le imprese migliori, i tecnici e i ricercatori, i giovani, stanno emigrando in massa, e l’Italia diviene una bara previdenziale-assistenziale, cioè un deposito, forse uno smaltitoio, di pensionati, di disoccupati, di sussidiati, di lavoratori a nero, di immigrati mantenuti.
Questo processo oramai è consolidato e si alimenta da sé.
Volete una ricetta per un lieto fine di questo articolo? Molto semplice: la BCE emette nuovo denaro e, invece di regalarlo alle banche, lo usa per pagare gli interessi sul debito pubblico dei paesi aderenti, rinunciando a richiedere loro il rimborso, ma con vincolo a destinare le somme così risparmiate per 1/3 a riduzione della pressione fiscale generale e per 2/3 a investimenti infrastrutturali nel senso sopra indicato.
Manovra, la “pillola avvelenata” si chiama “clausola di salvaguardia”
di Paolo Baroni - La Stampa - 15 Ottobre 2014
Aumenti automatici dell’Iva e delle altre imposte indirette per 12,4 miliardi di euro nel 2016, 17,8 nel 2017 e ben 21,4 nel 2018: ecco cosa si rischia nel caso non venissero rispettati gli obiettivi di medio termine
Aumenti automatici dell’Iva e delle altre imposte indirette per 12,4 miliardi di euro nel 2016, 17,8 nel 2017 e ben 21,4 nel 2018: ecco cosa si rischia nel caso non venissero rispettati gli obiettivi di medio termine
I piani originari, quelli firmati dal commissario alla spending review Carlo Cottarelli, mettevano in conto per l’anno prossimo ben 17,2 miliardi di risparmi legati alla revisione della spesa.
Poi sappiamo come è andata: Cottarelli è stato rispedito al Fondo monetario (ormai è questione di giorni..) e quasi tutti i suoi progetti sono rimasti nei cassetti. Si tratta di ben oltre 20 studi che analizzano settore per settore tutta la spesa pubblica e suggeriscono come procedere e che continuano a restare di fatto segreti (con grande scorno di molti dei curatori).
Evidentemente si trattava di proposte politicamente difficili da sostenere e mettere in campo anche da parte del premier-rottamatore, per cui è stato azzerato (o congelato) tutto.
E così è nata la “favola”dei tagli semi-lineari, poi siamo passati alla richiesta di tagliare il 3% ai fondi di tutti i ministeri, e infine siamo approdati ad una sorta di “si farà quel che si può” ridimensionando notevolmente gli obiettivi sino ad un minino “sindacale” di 5 miliardi. Che poi però sono saliti a 8, quindi a 10 ed ora ad almeno 13,3 miliardi.
Che sommati ad un po’ di tasse in più (sulle slot), ad una quota di recupero dell’evasione e a 11,5 miliardi di maggior deficit consentono al governo di mettere assieme quei 30 miliardi che permetteranno di tagliare l’Irap alle imprese, finanziare il jobs act e la conferma del bonus da 80 euro magari allargandolo un poco.
Lo scoglio della spending, su cui nelle settimane scorse si sono infrante molte speranze, però resta tutto. L’esperienza di questi mesi insegna infatti che è particolarmente difficile ottenere in così poco tempo, ovvero nel 2015, un intervento di una portata così grande. Il governo vuole provarci e ci auguriamo tutti che riesca nel proprio intento e che riesca a tagliare la spesa più improduttiva sia quest’anno e ancor di più nei prossimi anni.
Anche perché il Def, in Documento economico finanziario appena approvato dal Parlamento, è vero che sposta al 2017 il pareggio di bilancio, ma ha già al suo interno quello che potremmo chiamare una “poison pills”, una vera e propria pillola avvelenata.
I tecnici la chiamano “clausola di salvaguardia”, e negli ultimi anni non c’è manovra che non ne preveda una tanto era certa la solidità dei piani che venivano varati. In questo caso, ahinoi, si calca davvero la mano prevedendo aumenti automatici dell’Iva e delle altre imposte indirette per 12,4 miliardi di euro nel 2016, 17,8 nel 2017 e ben 21,4 nel 2018 nel caso non venissero rispettati gli obiettivi di medio termine. Per cui auguriamo che i conti del governo non siano sbagliati, e che la nostra economia riparta davvero, altrimenti saranno veri dolori.
E' iniziata la grande rivolta della lira
di Ambrose Evans Pritchard - www.telegraph.co.uk - 13 Ottobre 2014
Il più grande partito unico nel parlamento italiano per numero di voti ha gettato il guanto di sfida, chiedendo un referendum sull’ euro per metter fine alla depressione e per salvare la democrazia - scrive Ambrose Evans-Pritchard.
Il dado è tratto in Italia. Il Movimento Cinque Stelle di Beppe Grillo ha lanciato una petizione per promuovere il ritiro dell’Italia dall'Unione Monetaria Europea e per il ripristino della sovranità economica.
"Dobbiamo lasciare l'euro il più presto possibile", ha detto Grillo, parlando ad un raduno durante il fine settimana.
"Stasera stiamo lanciando un referendum consultivo. Raccoglieremo mezzo milione di firme in sei mesi - un milione di firme - e porteremo il nostro caso in parlamento, e questa volta, grazie ai nostri 150 parlamentari, dovranno parlare con noi ".
Da quando questo comico battagliero si è imposto sulla scena politica, le élite della zona euro avevano creduto che il partito non fosse, in fondo, euroscettico e comunque che non volesse seriamente ritornare alla lira.
Questa illusione è stata infranta.
Un referendum in sé non sarebbe vincolante, ma una "legge di iniziativa popolare" lo sarebbe sicuramente. Per la prima volta, si è avviato in Italia un processo che imposterà un dibattito nazionale sulla unione monetaria - che potrà spingersi fino a un voto sulla adesione all'UEM - che non potrà essere facilmente controllato.
Gianroberto Casaleggio, il co-fondatore del partito e guru dell’economia, mi ha detto oggi che il Movimento Cinque Stelle - o Cinque Stelle - aveva già esposto le proprie richieste a maggio scorso, proponendo la creazione di Eurobond per appoggiare la UEM e l'abolizione del Fiscal Compact imposto dall'UE. "Sono passati cinque mesi e non abbiamo rivevuto nessuna risposta. Ci hanno completamente ignorato" - ha detto.
Il Fiscal Compact è una follia economica, significa obbligare l'Italia a dover prevedere enormi avanzi di bilancio per decenni. Così la depressione sarebbe ancora più profonda e spingerebbe il rapporto con il debito ancora più in alto e sarebbe quindi scientificamente controproducente. Saranno gli storici ad emettere un verdetto che condannerà quei mascalzoni che hanno voluto imporre questa atrocità in Europa.
La mia opinione è che l'Italia non sarebbe riuscita a ripristinare la redditività all'interno dell'UEM, nemmeno se la Germania avesse accettato le due condizioni (un'idea impossibile). E' già troppo tardi ormai, l'Italia ha perso il 40% di competitività sul costo del lavoro contro la Germania da quando il marco e la lira stabilirono un cambio fisso-perpetuo a metà degli anni 1990.
Qualsiasi tentativo di mettere in atto una "svalutazione interna" sullo stile irlandese, in una economia chiusa già in deflazione, sarebbe suicida, e innescherebbe un crollo del sistema bancario italiano con una esplosione dell'indice di indebitamento pubblico e privato.
Ho il sospetto che Casaleggio abbia un punto di vista simile al mio. "Un quarto dell'industria italiana è scomparsa. La nostra valuta è sopravvalutata e non possiamo fare niente restando dentro l'euro" - ha detto.
La critica dei Cinque Stelle all'UEM non si limita solamente all'economia, benché questo sia un punto di importanza cruciale, ma si rivolge anche alla difesa della sovranità italiana, all'autogoverno, alla democrazia ed è contro gli abusi di un meccanismo comunitario che ha usurpato le funzioni parlamentari.
"Io non do via la mia sovranità a nessuno", ha detto Casaleggio.
"Mio nonno ha combattuto tre anni con i partigiani. Se volete la mia sovranità, dovete venirvela a prendere, non basta sventolare una lettera della BCE. Dovete venire ben armati, come come fecero quando ci provarono l'altra volta " - ha detto.
La lettera della BCE - la Lettera, come la chiamano in Italia - fu il diktat segreto inviato al presidente del consiglio italiano Silvio Berlusconi nel mese di agosto 2011 dove si chiedevano drastiche "riforme" di tutti i tipi. Una lettera simile fu inviata al capo della Spagna. Il quid pro quo era l'acquisto delle obbligazioni.
La minaccia implicita era che la BCE avrebbe rifiutato di assumersi la sua responsabilità come prestatore di ultima istanza, a meno che Berlusconi non si fosse dimesso. Lui non lo fece, o almeno tentò di non farlo. L'acquisto delle obbligazioni fu bloccato e il rendimento dei titoli italiani a 10 anni schizzò oltre il 7% . Berlusconi fu rovesciato.
Ho sempre pensato che queste due lettere sarebbero diventate l'incubo della BCE, e dell'Unione Monetaria stessa, e pare che adesso stiano presentando il conto.
"[Mario] Draghi [il Presidente della BCE] ci ha detto che i governi che non avessero fatto le riforme sarebbero stati buttati fuori. Draghi non è un membro del governo e non so con quale autorità possa esigere queste riforme: non ha il diritto di ordinarci niente né direttamente né indirettamente " - ha detto il signor Casaleggio.
Cinque Stelle ha vinto con il 26% dei voti nelle elezioni politiche italiane dello scorso anno, più di ogni altro partito unico. (Non ha preso la maggioranza ufficale, per effetto delle particolari modalità previste dal sistema parlamentare italiano). Ha 108 deputati e 54 senatori.
E' vero che il premier Matteo Renzi quest'anno ha rubato la scena a Beppe Grillo, ma Cinque Stelle non è svanita. E' arrivata seconda alle elezioni europee a maggio con il 21.5% dei voti. I suoi 17 deputati siedono con l'UKIP a Strasburgo.
La luna di miele di Renzi è già finita, e in ogni caso ha fatto un errore di valutazione strategica. Il giovane prodigio ha strappato il potere con un colpo di Stato interno al suo partito nel mese di febbraio - con brillantezza tattica, per essere sinceri - basandosi sul presupposto che l'Italia avesse ormai toccato il fondo dopo sei anni di depressione, con una caduta del PIL del 9.1%, del 24% della produzione industriale e con una disoccupazione giovanile al 43%.
Aveva creduto al mantra, tanto ben orchestrato, che l'Europa stava sull'orlo di un nuovo ciclo di ripresa spontanea, poggiando sulla crescita mondiale, e si era convinto che tutto quello che doveva fare sarebbe stato solo galleggiare sulla marea che stava salendo. Invece, è sprofondato di nuovo nella crisi.
L'errore di Renzi è comprensibile. Un pio desiderio può convincere, come certe idee sulla ripresa che si affidano a teorie come quella di Irving Fisher - della deflazione del debito - o come quella di Knut Wicksell - la contrazione del debito e l'allineamento dei tassi di interesse possono generare delle spontanee spirali virtuose - oppure la più recente teorie di Michael Woodford, sul tasso di cambio reale .
L'Italia è già in una tripla recessione, la sua economia è tornata a livelli di quattordici anni fa. L'OCSE dice che la crisi si trascinerà ancora per gran parte del prossimo anno e che la crescita sarà solo dello 0.1% nel 2015.
Ricordiamoci che il governo Monti tre anni fa disse che il rapporto del debito italiano sarebbe arrivato al 115% nel 2014. In realtà ha raggiunto il 135.6% del PIL nel primo trimestre di quest'anno, con un aumento che si sta avviando al 5% del Pil ogni anno, nonostante una serie di pacchetti di austerità, e un avanzo di bilancio primario del 2.5%.
Antonio Guglielmi di Mediobanca ha lanciato un monito il mese scorso perché questa situazione è "catastrofica per le finanze del Paese". Il debito schizzerà automaticamente verso 145% il prossimo anno (secondo i vecchi calcoli, e resterà sotto il 140% in base alle nuove norme contabili).
"Stavolta sta scoppiando una bomba nucleare, se Draghi finisce per non fare quasi niente, l'Italia è morta " - ha detto.
Stavolta non stiamo parlando del solito difetto morale nell'Italia degli ultimi anni, si tratta di un effetto meccanico, un "effetto denominatore", con un onere del debito che cresce, mentre alla base c'è un PIL nominale che si contrae.
Il punto è molto semplice. Il tasso di interesse medio sul debito pubblico in Italia si aggira intorno al 4%, quindi il pagamento degli interessi costa circa il 5,5% del PIL. A meno che il PIL nominale non cresca alla stessa velocità, il rapporto PIL/debito deve continuare a salire. Qualsiasi riforma strutturale sarebbe senza dubbio auspicabile, se fine a se stessa, ma non avrebbe nulla a che vedere con questo rapporto numerico.
L'attuale crisi italiana è interamente dovuta al fallimento della politica monetaria e al rifiuto della BCE di raggiungere il suo obiettivo di inflazione, o di rispettare i propri obblighi scritti nel Trattato di Lisbona per sostenere la crescita. (E sì, la BCE ha un doppio mandato come prevedono le leggi del trattato UE).
Quindi in queste circostanze più saranno le riforme drastiche che farà l'Italia, peggiori saranno i risultati immediati. Come tutti sanno gli effetti a breve termine delle riforme portano ad una immediata contrazione (a breve termine).
Non sono male i risultati raggiunti in tutte e tre le principali economie dell'UEM: il Fronte Nazionale, in Francia, ha vinto le elezioni europee di maggio chiedendo un ritorno immediato del franco francese; AfD, il partito Anti-euro tedesco si è improvvisamente imposto in tre parlamenti regionali chiedendo un ritorno del marco tedesco; e ora Cinque Stelle vuole un ritorno della lira in un paese che è stato sempre affidabile e con una passione europeista da oltre 60 anni.
Qualcosa da pensare ci sarebbe.
Poi non ditemi che non ho teso la mano a Grillo
di Paolo Barnard - http://paolobarnard.info/ - 14 Ottobre 2014
Referendum? Dopo un’eventuale uscita dall’Eurozona, caro
Beppe, l’Italia si troverà come un giovane agnello che ha ringhiato ai lupi.
Sarà sbranata viva dai Mercati e dalle Tecnocrazie di Bruxelles.
Ma ciò non accadrà se l’Italia si sarà dotata di una squadra di Macroeconomisti
internazionali che spaccano un capello in due con uno sguardo. Gente che è
stata alla FED USA, o 40 anni dentro Wall Street, e che ha lavorato coi giganti
della storia dell’economia al MIT di Boston, a Oxford, a Cambridge, et. al.
Parlo della squadra del più grande esperto di operazioni
monetarie statali del mondo, MA RIELABORATE PER L'INTERESSE PUBBLICO, il Dr. Warren Mosler. Sono pronti a essere in
Italia a gestire con voi dall’oggi al domani:
La gestione generale dei conti dello Stato nell'Interesse Pubblico. (Banca
d’Italia ed emissione di nuova moneta sovrana, tassi interbancari, controllo
dei prezzi, REPOS ecc. - Operazioni del Ministero del Tesoro)
Creare subito la Piena Occupazione, nell'Interesse Pubblico. (100% occupati
con un +20% di PIL nazionale
stimato in 5 anni, con redditi produttivi assicurati per tutti).
Come saranno gestiti i titoli di Stato nell'Interesse Pubblico. (Banca
d’Italia ed emissione di nuova moneta sovrana, controllo tassi sui titoli).
Controllare l'inflazione nell'Interesse Pubblico.
Non ci sarà svalutazione della nuova Lira. (Contano i Real Terms of
Trade)
I tassi di cambio nell'Interesse Pubblico.
Il prelievo fiscale del nuovo governo sovrano nell'Interesse Pubblico.
(Abolizione totale per due anni del cuneo fiscale et. altro)
Operare un Deficit POSITIVO y on y, all’opposto del nostro Deficit
NEGATIVO di oggi.
Raddoppio delle pensioni minime con coperture da Deficit POSITIVI e Real Terms of Trade.
Come regolare import ed export, materie prime e petrolio,
nell'Interesse Pubblico.
Aumento FDI (Foreign Direct Investment) in Italia collegato alla Piena Occupazione.
Controllo
uso materie prime (finalità green) con indirizzo economico nazionale
nel settore servizi alla aziende e alla persona, oggi immensamente
sottovalutato.
Rifondare il sistema bancario/finanziario per l'Interesse Pubblico.
(Banks’ ops, e rifinancing e capitalizzazione, con relativi bail out senza un
centesimo di tasse pubbliche)
La tutela dei risparmi nell'Interesse Pubblico.
Gestire le criticità aziendali, nell'Interesse Pubblico.
Beppe, qui non si scherza. Non si scherza coi Mercati, con
Baer, Goldman, Deutsche o Juncker. Non esiste
economista italiano schierato con voi che possegga l’esperienza internazionale sufficiente
per salvare l’Italia dai mostri di cui sopra, sia fuori che dentro l'euro.
La squadra del Dr Warren Mosler, sì. (Soft Currency Economics, Mosler Economics, Modern Money Theory)
Beppe sai dove trovarci. Casaleggio volendo.
Banche e derivati: arriva la peggiore catastrofe della storia finanziaria?
di Antonio Tognoli - Il Fatto Quotidiano - 14 Ottobre 2014
Parliamo
di banche e di derivati. Tranquilli non delle nostre, sulle quali pure
ci sarebbe da dire, ma di quelle made in Usa e made in Europa.
Se c’è qualcosa che la storia possa insegnare è non ripetere gli errori
passati. Eppure questa semplice assunzione è sempre più spesso
disattesa.
Di questi il 58.4% erano contratti swaps e il 16.6% contratti forward, tutti Over The Counter, ovvero contratti che non passano dai listini di nessuna borsa e i cui scambi sono organizzati da alcuni attori del mercato (spesso le banche stesse). In altre parole per ogni dollaro di totale attivo, ce ne sono 21,4 di prodotti derivati.
Ci si aspetterebbe che dopo la crisi finanziaria iniziata con i subprime che ha investito il mondo intero (ve la ricordate) e tutte le promesse fatte circa la regolamentazione del sistema bancario, la situazione sia migliorata.
Invece è il contrario, è fortemente peggiorata: i dati al giugno 2006 indicano che l’ammontare del totale dell’attivo delle prime 25 banche made in Usa ammontava a 8,95 trilioni di dollari, mentre il valore nozionale dei contratti derivati era 124,3 trilioni di dollari, vale a dire che per ogni dollaro di attivo ne esistevano 13,9 (contro 21,4 del giugno 2014) di derivati.
Detto in altri termini, la bomba Lehman Brothers non ha insegnato nulla alle banche made in Usa. Non ci vuole tanto per capire che il rischio complessivo del sistema bancario americano è decisamente maggiore oggi di quanto non lo fosse all’epoca del fallimento di Lehman.
La volatilità (il rischio) di una perdita in conto capitale dei prodotti derivati è decisamente molto più elevata rispetto a quella media degli altri prodotti finanziari. E lo abbiamo visto nel picco della crisi, quando il valore di mercato di gran parte dei derivati era pari a zero.
Ma voglio essere buono, e immaginare una crisi legata magari a problemi valutari, oppure un cambio delle normative sul mercato dei derivati con una ipotetica imposizione di un limite massimo di esposizione, che scateni una conseguente ondata di vendite di questi strumenti finanziari (si parla di un fenomeno che si può verificare anche in pochi giorni o settimane), oppure una perdita di valore delle attività sottostanti, come per esempio un rialzo dei tassi di interesse dell’1%. Il valore nozionale dei contratti rimarrebbe probabilmente costante, ma cambierebbe significativamente il loro valore di mercato.
Questo produrrebbe una forte oscillazione nei conti economici delle banche, aumentando la rischiosità complessiva del sistema dovuto ad un aumento dell’incertezza: non essendo a conoscenza di ogni singolo contratto è impossibile sapere chi guadagna e chi perde. Per inciso vi ricordate quando Jp Morgan ha perso 6,22 miliardi di dollari per un “banale errore”.
E ancora, se una delle prime cinque banche Usa più esposte ai derivati secondo i dati dell’Occ (Jp Morgan, Citigroup, Goldmand Sachs, Bank of America o Morgan Stanley) facesse la fine della Lehman, che cosa succederebbe al sistema finanziario mondiale? Sarebbe la peggiore catastrofe della storia finanziaria.
Spostiamoci in Europa e prendiamo la più grossa banca Europea: Deutsche Bank. L’ammontare dei derivati che si legge nel bilancio 2013 (pag. 101) è di 54,7 trilioni di Euro, che vuol dire 20 volte il Pil tedesco o 5,7 volte il Pil dell’intera Europa.
E’ vero che stiamo confrontando due grandezze diverse: un dato economico (Pil) con uno finanziario (derivati). Non esiste nessuna tuttavia nessuna crisi economica capace di ridurre dell’80-90% il Pil di un paese (nemmeno in Grecia è successo).
Ma l’esposizione ai derivati può creare danni di diversi trilioni di euro anche in pochi mesi. E questo solo per una banca tedesca.
Non faccio lo iettatore di mestiere, ma i numeri stanno ad indicare che la possibilità che questo avvenga è sempre più concreta.