domenica 31 maggio 2009

La luna di miele di Obama è già finita?

Sono trascorsi ormai più di 4 mesi dall'insediamento di Barack Obama alla Casa Bianca.
Qui di seguito si analizza questo periodo costellato da cambiamenti minori, e piuttosto di facciata, rispetto all'Amministrazione Bush.

La cosiddetta "luna di miele" sta per finire, se non lo è già.


Obama 100: trop beau, ce president!
di Johan Galtung - www.cssr-pas.org - 30 Maggio 2009

“Troppo bello ‘sto presidente” fu la conclusione della rivista francese per donne Voici (27/12/08) “le président plus sexy jamais élu”, il presidente più sexy mai eletto, “attendu comme le Messie”, atteso come il Messia. In calzoncini da bagno, apparendo anche in un editoriale dell’IHT (Internat’l Herald Tribune) del 16/05/09 definendo una cantonata l’osservazione di Michelle di essere “fiera del suo paese per la prima volta”. Oh no. Onestà.

Dove siamo dopo 100 giorni? Vicini a un esile trattino: Obama-Bush. Ma Obama è a destra di Bush in Asia Occidentale. Ha taciuto sul massacro di Gaza per non irritare la dirigenza israeliana mentre Rice metteva in questione le colonie; sull’Iraq rispetto al numero crescente di soldati in “retroguardia” invece di negoziare con la resistenza; sull’Iran, si osservino i preparativi di Dennis Ross nel ministero degli Esteri; sul Pakistan forzando il loro esercito a sparare sui suoi, cioè i pochi disponibili, i cosiddetti taliban sono naturalmente nei campi profughi indisponibili all’assassinio con carri armati progettati per la guerra convenzionale con l’India; in Afghanistan più che raddoppiando il contingente con altre 36.000 truppe, con il passaggio di Gates alla contro-insurrezione Delta Force, passando perfino sopra le veementi proteste di Karzai. Con il bilancio del Pentagono cresciuto da 534 a 740 miliardi di dollari. Cambiamento sì, voluto?

L’operazione di Gaza non era militare ma progettata per punire la gente per aver prodotto Hamas, e ovviamente per provare che Hamas non è in grado di proteggere la popolazione. Esattamente la stessa strategia in Iraq, Pakistan, Afghanistan. E in Sri Lanka:

Secondo un analista regionale CIA nel luglio 2001: “Contenere l’LTTE e intanto esercitare più pressione sulla popolazione civile sotto il suo controllo mediante bombardamenti ‘terroristici’ che potrebbero creare le condizioni per scalzare Prabhakaran” (US Strategic Interests in Sri Lanka, Taraki, 30/09/05).

Egli non fece tutto ciò. Ma così parla un impero, più profondo e forte di un fronte di copertura di Obama, che parla in modo molto seducente per milioni di ingenui sull’impero. Obama è diventato il poliziotto buono che picchia con le piume dopo che quello cattivo ha già finito il lavoro.

Si è assunto un’agenda enorme dopo il 43° presidente, George W. Bush, considerato da molti il peggiore in assoluto. Dipende dai criteri. Economicamente può competere con il 31°, Hoover. Ma nonostante le guerre per il petrolio, gli oleodotti, le basi e gli scontenti in Iraq e Afghanistan, ci sono stati imperialisti ben peggiori. Impallidisce rispetto all’11°, Polk (che conquistò più di mezzo Messico, ben preparato dal 3°, Jefferson e il 5°, Monroe), e gli estremamente imperialisti 25°-26°-27°, McKinley-Roosevelt-Taft. E ce ne sono stati anche di strani, del tutto dimenticabili, addirittura non menzionabili.

Ma disfare i crimini e le scempiaggini di Bush non costituisce una buona politica – come smettere di picchiare la moglie non rende buono un matrimonio – la rende solo molto seducente per un po’. Egli è l’amministratore capo dell’impero USA e non c’è cambiamento nelle sue politiche economiche e militari nonostante la retorica positiva sul negoziato e il dialogo anziché l’egemonia e il monopolio della verità.

C’è un approccio stimolante all’economia ma è ben più forte quello del salvataggio, con il TARP (Troubled Asset Relief Program, piano salva-finanza, ndt) di Bush che costa 1450 miliardi di dollari. Michel Chossudovsky, il brillante economista canadese, somma Difesa, Salvataggi aziendali e Interesse netto (sul debito USA) ottenendo 2353 miliardi di dollari, molto vicino al reddito federale totale USA di 2381 miliardi di dollari. Ovviamente i tagli saranno su sanità, istruzione, benessere e – politica anche di Obama - tasse. Il suo utilizzo di Summer-Geithner è stato un grosso errore - Summers ha perfino guadagnato milioni dalle banche e dagli hedge funds che adesso sta proteggendo dalla regolamentazione. Oppure, le forze che proteggono Israele dal “cambiamento” di Obama proteggono pure Wall Street?

Ammorbidire quasi 50 anni di sanzioni illegali a Cuba non basta, e neppure la retorica all’incontro OAS (Organization of American States, organizzazione degli stati americani, ndt) a Trinidad. C’è una rivoluzione pacifica in America, che dà più spazio e sostentamento alla gente comune. Obama dovrebbe accoglierla, imparare, praticarla. E restituire Guantánamo, acquisita malamente nel 1934, al proprietario: Cuba.

Guantánamo sarà chiusa? Forse sì, forse no. I tribunali militari rimarranno. Alla base di Bagram i prigionieri tuttora non hanno diritti di sorta. E Obama blocca la divulgazione del successivo gruppo di foto sulla tortura per timore che la pubblicazione metta in pericolo la vita dei soldati USA. Ma la sua censura li mette in pericolo più dell’onestà e della trasparenza, e le foto filtreranno allo scoperto prima o poi. Ci sono voci che rivelerebbero un maggior uso della sessualità come tecnica di tortura. Inoltre, c’è un modo efficace per proteggere le vite dei soldati USA: ritirarli, anche se suicidio (più del 13%) e traumi di ogni genere saranno un’eredità durevole.

E quelli che spianarono la strada alla tortura legalmente e politicamente rimangono impuniti. John Yoo è titolare di una cattedra a Berkeley, Donald Rumsfeld è all’Istituto Hoover a Stanford, George Tenet fa soldi dirigendo aziende con contratti militari o di spionaggio, Douglas Feith insegna a Harvard, così come Bill Kristol, e Paul Wolfowitz gestisce il Consiglio Economico USA-Taiwan. Dovrebbero essere tutti quanti alla sbarra, ma Obama guarda avanti, non indietro. Senza neppure esigere un’indagine sulla Smithfield corporation che gestisce immense porcilaie per il mondo, compresa quella vicina a Vera Cruz in Messico ritenuta da molti responsabile dell’influenza suina (IHT, 06/05/09).

In una democrazia i candidati lanciano prodotti, le loro politiche, sul mercato politico. La gente compra i prodotti graditi votandoli. In questo c’è un contratto come sul mercato economico; questa è la qualità che offriamo, questo è il prezzo. La pubblicità fasulla può essere considerata un crimine. E la pubblicità politica fasulla? L’elettore ha pagato il prezzo votando, il presidente eletto è libero di scorrazzare libero da tante sue promesse? Questo non è meglio noto come frode, e una colossale scappatoia nella teoria e nella prassi democratica?

C’è molta ricerca dietro un prezzo per prodotti commerciali; i politici ne sono forse esenti? Il termine è populismo, e Obama ne è un esemplare, molto seducente, finché dura.



Quel che nemmeno Bush aveva osato: “Detenzione preventiva di persone che non avranno mai un processo”
da
Washington's blog - 20 Maggio 2009

Il «New York Times» riferisce:
Mercoledì scorso [13 maggio 2009, NdT] alla Casa Bianca, il Presidente Obama avrebbe detto ad un gruppo di attivisti per i diritti umani di aver preso in considerazione l’opportunità di un sistema di “detenzione preventiva” che fornirebbe il presupposto legale agli Stati Uniti per incarcerare sospetti terroristi ritenuti una minaccia per la sicurezza nazionale ancorché non processabili …

“Deve aver rimuginato a lungo sulla necessità di una modifica dell’ordinamento legislativo per poter trattare con individui che non possono essere accusati o incarcerati”, racconta uno dei partecipanti. “Sapevamo che un’iniziativa del genere era all’orizzonte da molti anni, ma siamo stati in grado di scongiurarla con George Bush. L’idea di doverci scontrare con l’amministrazione Obama su questi poteri ci sembra veramente incredibile”.

L’altro partecipante afferma che Obama non sembrava pensare alla detenzione preventiva per i sospettati di terrorismo attualmente detenuti a Guantanamo, bensì per coloro che verranno catturati in futuro, in teatri ben diversi da campi di battaglia legalmente definiti come quelli dell’Afghanistan.

E quale possibile giustificazione potrebbe esistere per negare un processo a qualcuno? Non dimenticate, esistono procedure ben consolidate atte ad evitare che informazioni sensibili, la cui divulgazione costituirebbe un autentico rischio per la sicurezza nazionale, diventino di dominio pubblico. E’ il caso, ad esempio, dei processi “in camera” (ossia processi celebrati a porte chiuse, secondo il linguaggio legale americano).

Obama sta forse dicendo che un cittadino americano che vive negli Stati Uniti (l’America probabilmente non è un campo di battaglia regolamentare come l’Afghanistan, ma guardate qui) possa essere detenuto indefinitamente senza processo, in quanto Obama lo considera un rischio per la sicurezza nazionale?

E quale rischio per la sicurezza nazionale sarebbe tale da giustificare misure detentive? Rivelare condotte illegali dell’amministrazione Bush? Dell’amministrazione Obama? Critiche nei confronti di Obama?

L’ex docente di diritto costituzionale (Obama) utilizzerà la sua conoscenza della legge per salvaguardare la costituzione oppure – come gli autori dei memoriali della tortura – per sovvertirla?


Auto, gli USA tagliano le emissioni
di Alessandro Ursic - Peacereporter - 20 Maggio 2009

Obama annuncia i nuovi standard per i consumi di carburante, ma ci vorranno sette anni per arrivarci. Basterà?

Da una parte c'era l'obiettivo di ridurre la dipendenza degli Stati Uniti dalle importazioni di petrolio, che va di pari passo con l'intenzione di ridurre le emissioni inquinanti. Dall'altra, c'era l'esigenza di rilanciare l'industria automobilistica nazionale, che rischia il collasso dopo aver impostato il proprio modello produttivo su premesse rivelatesi disastrose. E di fronte a una potenziale Babele di diversi limiti statali, il tempo stringeva e un compromesso fino a pochi anni fa impensabile è stato raggiunto in fretta. Sono questi i fattori che hanno spinto l'amministrazione Obama ad annunciare ieri il nuovo piano per uno standard nazionale dei consumi di carburante negli Usa.

Obama ha delineato i nuovi limiti in una conferenza stampa nella quale il presidente era affiancato da leader ambientalisti, delle case automobilistiche e dei sindacati. Entro il 2016, i veicoli in circolazione sulle strade americane dovranno consumare non più di 35,5 miglia per gallone, ovvero 15,08 chilometri al litro. Il risultato è una media tra i nuovi standard per le automobili normali (39 miglia/gallone, 16,57 chilometri/litro) e i "camion leggeri", categoria in cui rientrano i Suv (30 mg/gal, 12,75 km/l). Sono numeri che renderanno i mezzi su strada il 40 percento più "puliti" rispetto all'attuale parco macchine negli Usa. Ma riguarderanno solo veicoli prodotti a partire dal 2012.

Le nuove norme ricalcano quelle introdotte negli ultimi anni dalla California con obiettivo proprio l'anno 2012. In seguito a quella decisione, le case automobilistiche avevano il timore di dover affrontare diversi limiti fissati dai vari Stati, mentre una direttiva dell'amministrazione Bush aveva fissato nel 2020 l'orizzonte temporale entro cui arrivare ai nuovi standard. Il piano di Obama è una via di mezzo tra quei due estremi. Consentirà di risparmiare 1,8 miliardi di barili di petrolio entro il 2016, riducendo le emissioni di gas nocivi di 900 milioni di tonnellate; è il risultato che si otterrebbe chiudendo 194 centrali a carbone o eliminando 177 milioni di auto dalle strade.

I nuovi standard aggiungeranno circa 600 dollari ai costi di produzione di un veicolo (e 1.300 dollari al prezzo di vendita), ma le grandi case automobilistiche di Detroit non hanno potuto far altro che adeguarsi. Con la Chrysler in bancarotta, la General Motors sul punto di dichiararla e la Ford che ha subito anch'essa un crollo delle vendite, oggi le "Big Three" dell'auto dipendono da Washington per la loro sopravvivenza. Negli anni del boom, queste aziende prosperavano grazie alle vendite dei Suv, estremamente inquinanti ma anche redditizi, dato che consentivano i più alti margini di guadagno. Dopo essere rimasti scottati dal picco del prezzo del petrolio e del carburante nel 2008, gli americani stanno però voltando la schiena a questi veicoli. Così, le stesse aziende che prima avevano un forte potere di lobby contro qualsiasi ipotesi di nuova legge sui consumi, ora sono costrette a piegare il capo e ad imbastire in fretta nuovi modelli.

Il piano di Obama sembra portare benefici per tutti. Dato l'elevato consumo di petrolio negli Usa (circa il 25 percento del totale mondiale), anche per il pianeta. Ma basterà? Secondo un nuovo rapporto del Massachusetts Institute of Technology, appena pubblicato, gli effetti del riscaldamento climatico durante questo secolo potrebbero essere oltre due volte peggiori di quanto stimato solo sei anni fa. Per il Mit, entro il 2100 la temperatura mondiale potrebbe alzarsi in media di 5,2 gradi, mentre una loro ricerca del 2003 prevedeva 2,4 gradi di aumento. Mentre le emissioni di Paesi come Cina e India continuano ad aumentare senza sosta, e con un nuovo accordo mondiale sulle emissioni tutto da definire in vista del vertice di Copenaghen il prossimo dicembre, far guidare agli americani una berlina al posto di un Suv potrebbe non essere abbastanza.


Da Bunker Hill a Baghdad. Dispaccio di Pinter per Obama
di Mike Whitney - Information Clearing House - 27 Aprile 2009
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di ORIANA BONAN

Venite a vedere il sangue nelle strade.
Venite a vedere
il sangue nelle strade.
Venite a vedere il sangue
nelle strade!

Poesia di Pablo Neruda

All’incirca un mese prima dell’annuncio della candidatura di Barack Obama alla presidenza degli Stati Uniti, l’ex consigliere della sicurezza nazionale Zbigniew Brzezinski è apparso al Charlie Rose Show della PBS dove gli è stato chiesto se secondo lui Obama potesse essere una buona scelta come presidente. Brzezinski ha fatto una pausa, ha guardato Rose di sottecchi e ha risposto, "Pensa solo al simbolismo". Subito dopo queste parole, Brzezinski e Rose si sono messi a ridere come per una battuta per pochi.

Naturalmente, Brzezinski aveva ragione. Obama era la scelta perfetta per la presidenza. Non per la sua esperienza. Non ne aveva affatto. Era stato senatore per due anni e il suo curriculum era così breve da poter stare sul retro di una scatola di fiammiferi.

Tuttavia Obama aveva ciò che Brzezinski & Co. stavano cercando: il simbolismo, il genere di simbolismo capace di creare una connessione tra lui e persone di tutto il mondo che avevano l’impressione che uno di loro era finalmente riuscito a raggiungere la vetta. Meglio ancora, Obama era un populista carismatico in grado di riempire gli stadi di fan adoranti e dare un volto benevolo agli interventi dell’America in Afghanistan e in Iraq. Brzezinski non poteva sperare in meglio. Dopo otto anni passati a trascinare il “marchio America” nel fango, il Paese avrebbe finalmente ottenuto l’urgente lifting di cui aveva tanto bisogno e avrebbe cominciato a risanare la propria immagine ammaccata di nazione indispensabile nel mondo.

Per la sinistra, Obama è stato un fiasco totale. Ha inasprito la guerra in Afghanistan, ha intensificato i bombardamenti transfrontalieri in Pakistan, ha esitato a parlare di persecuzione dei crimini di guerra, ha rifiutato di fare pressioni sui membri della Camera dei Rappresentanti per facilitare l’organizzazione dei lavoratori (EFCA – Employee Free Choice Act), e si è circondato di rappresentanti del mondo bancario che hanno affidato 12,8 trilioni di dollari alle cure di istituti finanziari d’investimento senza alcuna assicurazione rispetto alla restituzione di tale denaro.

A parte un trascurabile decreto sulle cellule staminali, Obama non ha fatto assolutamente nulla per confermare le sue credenziali di progressista. La verità è che Obama non è né progressista né conservatore; è semplicemente un oratore che sa essere di ispirazione e un bravo politico privo di forti convinzioni rispetto ad alcunché. Se mai raggiungerà la grandezza, sarà per essere stato spinto in una crisi che non poteva evitare e aver agito, riluttante, nell’interesse del popolo americano. Questa è una possibilità che sussiste tuttora, sebbene sembri sempre meno probabile ogni giorno che passa.

I leader stranieri sono chiaramente sollevati dall’uscita di scena di George W. Bush, e sembrano disposti a dare ad Obama ogni opportunità di riparare relazioni e prendere le distanze dal passato. Ma Obama si è sforzato poco per ricambiare o dimostrare un serio impegno rispetto ad un reale cambiamento. L’enfasi sembra vertere sulle pubbliche relazioni più che sulla politica; su sfarzose occasioni per farsi fotografare, discorsi grandiosi, viaggetti da una capitale all’altra, piuttosto che sul porre fine alle intromissioni e al militarismo cronici degli Stati Uniti. Dov’è l’arrosto? O tutto si riduce a vacua ostentazione?

Ora, nessuno è ancora pronto a considerare Obama un fallimento, ma questi deve dimostrare di essere l’uomo giusto adottando provvedimenti per fermare la macchina bellica e tenere a freno le élite aziendali e il parassita bancario. Ma è davvero possibile per un uomo solo – per quanto benintenzionato – cambiare il corso di una nazione e resistere al branco di malviventi che muovono i fili da dietro le quinte? Ricordiamoci che la storia americana fatta di interventismo violento, guerre senza provocazione, rivoluzioni colorate e colpi di stato, ha un lungo pedigree che va da Bunker Hill fino a Baghdad.

Questo fiume di sangue non ha preso l’avvio con George Bush e non finirà con Barack Obama. Ogni generazione ha prodotto la propria litania di crimini, da Wounded Knee a Nagasaki a My Lai a Falluja. Nel discorso pronunciato da Harold Pinter in occasione dell’assegnazione del premio Nobel, il drammaturgo evoca un caso che riassume il modello di ostilità che è stato riprodotto, ancora e ancora, ovunque i mandarini di Washington abbiano rilevato un’opposizione al loro pugno di ferro.

Harold Pinter, discorso di accettazione del premio Nobel.

"In Nicaragua, gli Stati Uniti sostennero la brutale dittatura di Somoza per oltre 40 anni. Nel 1979 il popolo nicaraguense, guidato dai sandinisti, rovesciò questo regime; fu una rivoluzione popolare straordinaria.

I sandinisti non erano perfetti. Avevano una buona dose di arroganza e la loro filosofia politica conteneva diversi elementi contraddittori. Ma erano intelligenti, razionali e civili. Si proponevano di creare una società stabile, decorosa e pluralista. Fu abolita la pena di morte. Centinaia di migliaia di contadini indigenti furono strappati all’invisibilità in cui vivevano. Oltre 100mila famiglie ricevettero terreni. Furono costruite duemila scuole. Un’eccezionale campagna di alfabetizzazione ridusse l’analfabetismo nel Paese a meno di un settimo. Furono istituite istruzione e assistenza sanitaria gratuite. La mortalità infantile fu ridotta di un terzo. La poliomelite fu debellata.

Gli Stati Uniti denunciarono questi successi come sovversione marxista-leninista. Dal punto di vista del governo statunitense, si trattava di un precedente pericoloso. Se al Nicaragua si fosse permesso di stabilire norme basilari di giustizia sociale ed economica, se gli si fosse permesso di elevare gli standard di assistenza sanitaria e di istruzione, di conquistare l’unità sociale e l’orgoglio nazionale, i Paesi confinanti si sarebbero posti le stesse domande e avrebbero agito nello stesso modo. A quel tempo, c’è da dire, vi era una tenace opposizione allo status quo in El Salvador.

Poco fa ho parlato di ‘un affresco di menzogne’ che ci circonda. Il presidente Reagan soleva definire il Nicaragua come una 'segreta totalitaria'. Quest’espressione fu in genere accolta dai media, e di certo dal governo britannico, come un’osservazione esatta ed equa. Ma di fatto, durante il governo sandinista, non si registrarono squadroni della morte. Non si registrarono torture. Non si registrarono episodi di brutalità militare sistematica o ufficiale. Nessun prete fu assassinato in Nicaragua. In effetti, al governo c’erano tre preti, due gesuiti e un missionario della Società di Maryknoll. Le prigioni totalitarie erano in realtà lì accanto, in El Salvador e Guatemala. Gli Stati Uniti avevano abbattuto il governo democraticamente eletto del Guatemala nel 1954 e si stima che oltre 200mila persone siano rimaste vittima delle dittature militari che si sono susseguite.

Sei dei più esimi gesuiti al mondo furono ferocemente assassinati all’Università Centroamericana di San Salvador nel 1989 da un battaglione del reggimento Atcatl addestrato a Fort Benning, Georgia, USA. L’arcivescovo Romero – uomo estremamente coraggioso – fu ucciso mentre diceva messa. Secondo le stime, morirono 75mila persone. Perché furono uccise? Furono uccise perché credevano nella possibilità e nella necessità di una vita migliore. Questa convinzione li qualificò immediatamente come comunisti. Morirono perché osarono mettere in discussione lo status quo, quell’infinito acrocoro fatto di povertà, malattia, degrado e oppressione, che costituiva il loro diritto di nascita.

Alla fine gli Stati Uniti abbatterono il governo sandinista. Ci vollero anni e molta resistenza, ma l’implacabile persecuzione economica e 30mila morti alla fine minarono lo spirito dei Nicaraguensi. Erano di nuovo esausti ed indigenti. Fu il ritorno nel Paese delle case da gioco. La fine dell’assistenza sanitaria e dell’istruzione gratuite. Il ritorno, vendicativo, delle grandi aziende. La ‘democrazia’ aveva prevalso.

Ma questa ‘politica’ non fu affatto limitata all’America Centrale. Fu portata avanti in tutto il mondo. Fu infinita. Ed è come se nulla di tutto questo sia mai accaduto.

Gli Stati Uniti sostennero e in molti casi ingenerarono tutte le dittature militari di destra nel mondo a partire dal Secondo Dopoguerra. Mi riferisco a Indonesia, Grecia, Uruguay, Brasile, Paraguay, Haiti, Turchia, Filippine, Guatemala, El Salvador e, naturalmente, Cile. L’orrore che gli Stati Uniti inflissero al Cile nel 1973 non potrà mai essere espiato e non potrà mai essere perdonato.

In tutti questi Paesi si verificarono centinaia di migliaia di morti. Si verificarono davvero? E possono essere in tutti i casi attribuite alla politica estera statunitense? La risposta è affermativa in entrambi i casi: si verificarono e sono attribuibili alla politica estera americana. Ma sembra che non sia così".


Il discorso di Pinter è un tetro atto di accusa contro la politica estera statunitense; una politica che ora si cela dietro la facciata da rock star di Barack Obama. Nulla è cambiato e, forse, nulla cambierà. La medesima campagna barbara che ha prosperato con Bush è passata ad Obama intatta. Ovunque vi sia resistenza alle ambizioni statunitensi, lì è il nemico. Non importa se si tratta di marxisti a Bogotà, nazionalisti in Kosovo, bolivariani a Caracas, miliziani shiiti a Beirut, islamici moderati a Mogadiscio o quaccheri a Toledo. Sono tutti nemici, ognuno di loro, e li si deve affrontare.

Obama non è uno stupido; sa che lo stanno usando. Sa di non essere stato scelto per le sue opinioni illuminate sull’assistenza sanitaria e sulle cellule staminali. È stato scelto perché gli uomini in carica avevano bisogno di un nuovo uomo-immagine dietro cui nascondersi per portare avanti le loro attività illecite. Obama non è tanto un comandante supremo, ma piuttosto un abile prestigiatore che distoglie l’attenzione dalla guerra clandestina che continua inesorabilmente con o senza il suo consenso. Ancora Pinter dice:

"I crimini degli Stati Uniti sono stati sistematici, continui, feroci, spietati, ma solo in pochissimi ne hanno davvero parlato. Bisogna riconoscerlo all’America. Ha esercitato una manipolazione alquanto clinica del potere in tutto il mondo mascherandosi da forza del bene universale. Un numero di ipnosi eccezionale, persino arguto, di enorme successo... Uno stratagemma scintillante".

Si consideri come si sono modellate le notizie per far sembrare che le invasioni dell’Iraq e dell’Afghanistan fossero effettuate per altruismo. Di conseguenza, la guerra in Afghanistan è divenuta l’"Operazione libertà infinita", con l’enfasi sulla generosità disinteressata del bombardare un Paese fino all’oblio e riportare al potere violenti signori della guerra. La stessa strategia è stata usata per l’invasione dell’Iraq, celebrata come la “liberazione da un brutale dittatore”. Liberazione che è costata la vita ad oltre un milione di Iracheni e l’esodo di quattro milioni di profughi. Eppure, nessuno all’ONU o nella cosiddetta comunità internazionale ha fatto pressioni affinché gli U.S.A. fossero allontanati dal Consiglio di Sicurezza o affinché i loro leader fossero perseguiti per crimini di guerra.

Ciò testimonia il successo dei media statunitensi nel sorreggere quell’“affresco di menzogne” di cui parla Pinter. Con Obama al governo, la farsa è solo peggiorata. Le notizie sulla guerra sono cessate del tutto. Guerra? Quale guerra? Ciò che importa ora sono gli allegri scambi di battute tra Obama e Jay Reno, o le braccia ben proporzionate di Michelle, o l’adorabile cane de agua portoghese di Malia. L’America è di nuovo tutta intera. Che riprendano le uccisioni.

Pinter: "Cos’è successo alla nostra sensibilità morale? L’abbiamo mai avuta? Cosa significano queste parole? Si riferiscono forse ad un termine usato molto di raro oggigiorno, coscienza? Una coscienza che non ha a che fare solo con i nostri atti ma anche con la responsabilità che condividiamo per gli atti altrui? è forse morto tutto questo? Si consideri la Baia di Guantanamo. Centinaia di persone sono state trattenute senza accusa per oltre tre anni, senza alcuna rappresentanza legale o diritto di difesa, tecnicamente trattenute per sempre. Questa struttura completamente illegittima è mantenuta in totale spregio della Convenzione di Ginevra. La cosiddetta ‘comunità internazionale’ non solo la tollera, ma se ne ricorda solo a stento. Questo oltraggio criminale è stato commesso da un Paese che si dichiara ‘leader del mondo libero’. Pensiamo mai agli abitanti della Baia di Guantanamo? Cosa ne dicono i media? Fanno la loro comparsa ogni tanto, con un trafiletto a pagina sei. Sono stati spediti in una terra di nessuno da cui potrebbero non fare mai ritorno. Attualmente molti stanno facendo lo sciopero della fame, e sono alimentati forzatamente, e tra essi vi sono residenti del Regno Unito. Non c’è cautela nelle procedure di alimentazione forzata. Nessun sedativo o anestetico. Solo un tubo ficcato nel naso e in gola. La gente vomita sangue. Questa è tortura. Cos’ha da dire in proposito il Segretario agli affari esteri britannico? Nulla. Cos’ha da dire in proposito il Primo ministro britannico? Nulla. Perché no? Perché gli Stati Uniti hanno detto: criticare la nostra condotta a Guantanamo costituisce un atto ostile. O siete con noi o siete contro di noi".

Obama non deve risolvere i problemi del mondo. Non deve invertire il riscaldamento globale né rallentare il picco del petrolio, curare l’AIDS o mettere fine alla fame nel mondo. Tutto ciò che deve fare è soddisfare i requisiti minimi del suo lavoro di presidente, ovvero portare giustizia al suo popolo. Ecco perché processare Bush per crimini di guerra è più importante di qualsiasi altra questione in calendario. La giustizia viene prima di tutto il resto; è il filo che tiene insieme il tessuto sociale. Giustizia per le vittime che sono state uccise nelle loro case con le loro famiglie, mentre dormivano o stavano a cena. Giustizia per la gente bombardata durante le feste di matrimonio o mentre andava al lavoro o era alla moschea a pregare Dio. Questo è ciò che la gente vuole da Obama. Giustizia, niente di più. Il Reverendo Martin Luther King disse, "L’arco dell’universo morale è lungo, ma si piega verso la giustizia". Sta ad Obama seguire quell’arco e fare almeno un passo sulla via della legalità, dell’assunzione di responsabilità e della giustizia.

Pinter: "Quante persone bisogna uccidere per meritare la qualifica di stragista o criminale di guerra? Centomila? Più che sufficienti, direi. Perciò è legittimo che Bush e Blair siano chiamati a rispondere di fronte alla Corte Penale Internazionale".

È molto poco probabile che un nero con un passato nell’organizzazione di comunità creda veramente che espandere la guerra in Afghanistan sia la cosa giusta da fare. E non è probabile neppure che egli sostenga le intercettazioni, il giro di vite sugli immigrati, le sanzioni a chi vende marijuana terapeutica, trilioni di dollari per salvare le banche o interrogatori “potenziati”. Sta semplicemente leggendo il copione che gli è stato fornito. Ma con l’aggravarsi della crisi economica, la progressiva radicalizzazione del Paese e l’aumento dell’instabilità politica, quel copione sarà da buttare. Obama avrà moltissime opportunità di scrollarsi di dosso i burattinai e dimostrare di che stoffa è veramente fatto. Forse, dopo tutto, è un grand’uomo.

Pinter: "Quando guardiamo in uno specchio pensiamo che l’immagine di fronte a noi sia fedele, ma se ci spostiamo di un millimetro l’immagine cambia. In realtà stiamo guardando infinite immagini riflesse. Talvolta, tuttavia, uno scrittore quello specchio lo deve infrangere, perché è dall’altro lato che la verità ci fissa negli occhi".

Avanti, Barack. Infrangi lo specchio.


I primi 100 giorni di Obama: peggio di quanto ci aspettassimo
di Paul Joseph Watson - Infowars - 20 Aprile 2009
Tradotto da JJULES per www.comedonchisciotte.org

Mentre il Presidente Barack Obama si avvicina ai suoi primi 100 giorni in carica, il sistema mediatico prepara una nuova serie di servili adorazioni sui “risultati” ottenuti dalla sua amministrazione. Tuttavia, una rapida occhiata a quello che Obama ha realmente fatto in questo breve lasso di tempo riguardo all’allargamento dello stato di polizia di Bush e all’impero neocon è peggio di quanto ci aspettassimo.

Il giorno dopo l’elezione di Obama come 44mo presidente degli Stati Uniti nel novembre dello scorso anno, abbiamo sfidato i sostenitori di Obama e l’amministrazione stessa a portare avanti la retorica del “cambiamento” iniziando a smantellare la struttura dello stato di polizia di Bush e ad iniziare ad uscire dalla palude melmosa in cui si trova l’impero americano. Obama non ha fatto nessuna delle due cose e, in effetti, ogni sua azione è stata quella di garantire che lo stato di polizia di Bush rimanesse in vigore, che le persone che lo hanno attuato siano al riparo da azioni giudiziarie e che l’impero continui ad espandersi.

Abbiamo presentato ad Obama e ai suoi sostenitori una serie di problematiche su cui migliorare. Anche se non ci attendevamo che Obama realizzasse granché nei primissimi mesi del suo incarico, avevamo almeno sfidato il nuovo Presidente a compiere il primo passo di ribaltare otto anni di quella che è stata, di fatto, una dittatura e a delineare la strada per il “cambiamento”, così come era stato ripetutamente promesso.

Abbiamo posto le seguenti domande per una presidenza Obama:

- Obama appoggerà gli sforzi di Dennis Kucinich per presentare accuse per crimini di guerra contro Bush, Cheney e gli altri per aver convinto con l’inganno il paese ad entrare in guerra oppure li proteggerà da tali accuse come ha fatto Nancy Pelosi?

Nell’aprile 2008, Obama aveva promesso che, come Presidente, avrebbe chiesto al suo Procuratore Generale una “verifica immediata” dei potenziali crimini di guerra che erano avvenuti con Bush alla Casa Bianca. Obama, o il suo Procuratore Generale, non l’hanno mai fatto, e tutto il clamore che hanno sollevato indica che i più importanti neocon saranno al riparo dalle accuse di aver portato con l’inganno l’America in guerra.

In modo analogo abbiamo chiesto:

- Obama presenterà accuse per crimini di guerra contro Bush, Cheney e gli altri per aver autorizzato le torture? Le torture di persone sospette che si trovano sotto la detenzione degli Stati Uniti, in completa violazione sia della Costituzione che della Convenzione di Ginevra, cesseranno sotto un’amministrazione Obama?

Come abbiamo scoperto la scorsa settimana, la risposta è stato un sonoro NO. Dopo la pubblicazione dei memorandum sulle torture, il braccio destro di Obama, Rahm Emanuel, ha comunicato alla ABC News che i più importanti funzionari dell’amministrazione Bush “non saranno perseguiti penalmente e noi non ci muoveremo in tal senso.” Inoltre, la dichiarazione di Obama che accompagnava la pubblicazione dei memorandum affermava: “Nel pubblicare questi memorandum, è nostra intenzione garantire a coloro che hanno compiuto il proprio dovere facendo affidamento in buona fede sulle comunicazioni del Dipartimento di Giustizia che non saranno soggetti ad alcuna azione giudiziaria.”

Dunque, nessuna condanna per coloro che ordinarono le torture e nessuna condanna per coloro che le eseguirono. In tal modo si crea un precedente per le future amministrazione che saranno libere di ordinare torture – sicure del fatto che non subiranno in ogni caso alcuna conseguenza.

- Obama ritirerà i soldati americani dall’Iraq e dall’Afghanistan senza inviarli a bombardare di nuovo altri paesi fragili del Terzo Mondo?

La risposta è ancora un sonoro NO. Dopo essersi insediato, Obama ha annunciato che avrebbe inviato altri 17.000 soldati , forse alla fine 30.000, in Afghanistan.

In merito all’Iraq, dopo il “ritiro” dei soldati americani tra 19 mesi, un periodo che da allora è stato di nuovo rimandato, “Obama pensa di lasciare una ‘forza residua’ di alcune decine di migliaia di soldati per continuare ad addestrare le forze di sicurezza irachene, dare la caccia alle cellule terroristiche straniere e sorvegliare le istituzioni americane”, ha riferito il New York Times.

Per quanto riguarda il bombardamento di altri paesi fragili del Terzo Mondo, Obama ha ingigantito il ruolo militare degli Stati Uniti in Pakistan ben oltre quello perseguito dall’amministrazione Bush e “ha allargato la guerra nascosta condotta dalla CIA all’interno del Pakistan” secondo il New York Times, con un aumento degli attacchi missilistici da parte di aerei drone.

Nel frattempo, le richieste di Obama di fondi per la guerra hanno toccato quota 800 miliardi di dollari solamente per coprire i rimanenti mesi del 2009, tra finanziamenti e costi supplementari.

Tutto questo vi sembra una manovra per riportare i soldati a casa e limitare l’impero americano, come aveva promesso Obama prima di essere eletto?

- Obama porrà fine alla sorveglianza segreta senza autorizzazione e alle intercettazioni telefoniche dei cittadini americani?

Sarete sorpresi di sapere che la risposta è stata un sonoro NO. All’inizio di questo mese “l’amministrazione Obama ha formalmente adottato la posizione dell’amministrazione Bush secondo la quale i tribunali non possono giudicare la legalità del programma di intercettazioni telefoniche senza autorizzazione dell’Agenzia sulla Sicurezza Nazionale (NSA)” ha riferito la Electronic Frontier Foundation [1].

“Il Presidente Obama aveva promesso al popolo americano una nuova epoca di trasparenza, responsabilità e rispetto per le libertà civili” dice Kevin Bankston, uno degli avvocati responsabili della EFF. “Ma con il Dipartimento di Giustizia di Obama che continua l’insabbiamento della rete di sorveglianza dell’amministrazione Bush di milioni di americani da parte dell’Agenzia sulla Sicurezza Nazionale, insistendo che il tanto sbandierato programma per le intercettazioni telefoniche senza autorizzazione è ancora un ‘segreto’ che non può essere esaminato dai tribunali, sembra davvero un film già visto.”

- Obama smetterà di appoggiare i salvataggi bancari garantiti dall’amministrazione Bush, così odiati dalla maggioranza degli americani, e prenderà di mira la vera causa del problema – vale a dire, la Federal Reserve – oppure continuerà a regalare il denaro dei contribuenti alle banche che se lo stanno solamente tenendo per sé?

Il solerte impegno di Obama per altri salvataggi, insieme all’aumentato potere della Federal Reserve e all’implementazione di regolamentazioni globali che porranno fine, di fatto, a qualunque nozione di libero mercato è stata forse la questione più significativa dei suoi primi 100 giorni da Presidente. Obama ha energicamente incoraggiato le stesse politiche finanziarie che erano state introdotte negli ultimi mesi dell’amministrazione Bush.

- Obama abrogherà il Patriot Act I e II oltre a ribaltare i “signing statements” di Bush [2] e riconoscerà l’abrogazione del John Warner Defense Authorization Act?[3] Obama cercherà di continuare la militarizzazione dell’America e la preparazione della legge marziale tramite il Northcom [4] e il governo segreto oppure smantellerà lo stato di polizia che è stato costruito nel corso degli ultimi otto anni dall’amministrazione Bush?

Nonostante la retorica iniziale nel ribaltare gli infami “signing statement” di Bush, Obama stesso ha dichiarato che continuerà ad utilizzarli. Il Patriot Act e il John Warner Defense Authorization Act, entrambi punti importanti dello stato di polizia di Bush, rimangono saldamente in vigore, senza alcune indicazione per una loro abrogazione.

In merito alla militarizzazione tramite il Northcom, alcune settimane dopo il trionfo elettorale di Obama è stato annunciato che “le forza armate americane si aspettano di avere 20.000 soldati in uniforme all’interno degli Stati Uniti entro il 2011, addestrati per aiutare i funzionari statali e locali a rispondere ad attacchi terroristici o altre calamità interne.” La militarizzazione dell’applicazione delle leggi e l’utilizzo di soldati sul territorio nazionale in preparazione di una legge marziale sta continuando speditamente sotto l’amministrazione Obama.

- Obama porterà avanti il suo appoggio retorico al Secondo Emendamento [5] oppure cercherà di abolire le armi come ha fatto in Illinois?

Nonostante Obama avesse promesso, prima della sua elezione, di non essere intenzionato a contrastare il Secondo Emendamento, una delle sue prime mosse è stata quella di nominare l’accanito oppositore delle armi Eric Holder come suo Procuratore Generale. Inoltre Obama ha ingiustamente incolpato i negozi americani che vendono armi per la guerra della droga in Messico. La lista delle armi vietate che è stata fatta trapelare condannerebbe milioni di americani per il possesso di determinati tipi di pistole o fucili. La legislazione anti-armi si è fatta strada con incentivi e altre proposte di legge che non hanno alcun attinenza, come puro clientelismo. I primi passi dell’amministrazione Obama in merito al controllo delle armi hanno avuto come risultato il record di acquisto di armi e munizioni in tutto il paese.

Sull’elezione di Obama avevamo fatto una cinica, ma purtroppo esatta, previsione sul modo in cui la tanto lodata promessa di “cambiamento” si sarebbe in realtà manifestata. Il fatto è che il “cambiamento” è iniziato ed è terminato il giorno stesso in cui Obama ha vinto le elezioni.

- La sorveglianza e le intercettazioni illegali senza autorizzazione dei cittadini americani continueranno sotto Obama.

- I principali funzionari dell’amministrazione Bush che ordinarono le torture e coloro che le eseguirono saranno al riparo da qualsiasi azione giudiziaria sotto Obama.

- I principali funzionari dell’amministrazione Bush che hanno convinto con l’inganno l’America ad entrare in guerra saranno al riparo da qualsiasi azione giudiziaria sotto Obama.

- L’espansione dell’impero militare attraverso la continuata occupazione di Iraq e Afghanistan e le ulteriori incursioni militari in Pakistan si protrarranno e si espanderanno sotto Obama.

- I salvataggi bancari, le spese sconsiderate, l’inflazione monetaria da sovrastampa e le regolamentazioni globali che soffocano il libero mercato, tutte cose iniziate da Bush, continueranno sotto Obama.

- La militarizzazione gli Stati Uniti e la struttura da stato di polizia costituita sotto Bush saranno mantenute ed estese sotto Obama.

- L’attacco al diritto di portare un’arma sancito dal Secondo Emendamento continuerà sotto Obama.

“Le enormi spese continueranno, il governo crescerà di dimensione, i soldati americani saranno utilizzati come carne da cannone per altre guerre interventiste da parte del complesso militare-industriale e i cittadini americani continueranno ad avere le proprie telefonate sotto controllo e i propri diritti limitati” avevamo previsto lo scorso anno. “La Federal Reserve continuerà a dominare con il pugno di ferro il sistema finanziario mentre il ceto medio sarà annientato.”

Chi può negare che tutte queste cose sono solamente aumentate sotto l’amministrazione Obama?

La luna di miele è finita – Barack Obama si è dimostrato niente di più di quello che avevamo previsto fin dal principio – un altro fantoccio del cartello bancario globale che ha controllato ogni presidente americano a partire da JFK, e niente di più che una faccia nera in un nuovo ordine mondiale – che ha giurato di continuare e valorizzare lo stesso programma che la dinastia Bush-Clinton-Bush aveva avanzato prima di lui.


Note del traduttore

[1] La Electronic Frontier Foundation (EFF) è un ente no-profit di avvocati e legali che ha sede negli Stati Uniti con il compito preciso di dedicarsi a preservare i diritti di libertà di parola come quelli protetti dal Primo emendamento della Costituzione americana nel contesto dell’odierna era digitale [NdT]

[2] I “signing statement”sono note scritte che il Presidente degli Stati Uniti rilascia al momento di sottoscrivere una legge approvata dal Congresso, dalla quale però ne prende le distanze motivandole con una propria “interpretazione”. Utilizzate molto di rado nel corso della storia americana, Bush ne ha fatto uso più di 800 volte nel corso del suo doppio mandato presidenziale [NdT]

[3] Legge approvata dal Congresso americano nel settembre 2006 nella quale, tra le altre cose, venivano stanziati 500 miliardi di dollari per spese militari per l’anno fiscale 2007 e sancito la facoltà per il Presidente di dichiarare la legge marziale e di assumere il comando dei soldati della Guardia Nazionale senza previa autorizzazione dei governatori [NdT]

[4] Il Northcom (United States Northern Command) è un comando militare delle forza armate americane costituito nell’ottobre 2002 in seguito agli attacchi terroristici dell’11 settembre 2001. La sua missione ufficiale è quella di proteggere il suolo di Stati Uniti e Canada da ogni eventuale attacco [NdT]

[5] Il Secondo Emendamento della Costituzione degli Stati Uniti sancisce il diritto per i cittadini di possedere un’arma. Nel corso della storia è rimasto uno dei diritti più controversi codificati nella Carta americana [NdT]

sabato 30 maggio 2009

Una brutta "fazenda"...

Qualche aggiornamento su una vicenda che finora è rimasta stabilmente su un binario comico-pecoreccio, ma che potrebbe in futuro anche deviare verso lande criminali.

P.S. I miei sentiti complimenti al ghost-writer della ministra Carfagna che le ha dettato la lettera pubblicata ieri sul Corriere della Sera. Davvero un fine umorista.


Isso, Essa e 'a malavita
di Rosita Praga - La Voce delle Voci - 29 Maggio 2009

A Napoli gli investigatori della Direzione Antimafia stanno indagando sui possibili collegamenti fra Elio Benedetto Letizia, il padre dell'ormai celebre Noemi, e il ceppo che a Casal di Principe ha visto per anni egemone il clan capitanato da Armando, Giovanni e Franco Letizia, gruppo di fuoco del boss Giuseppe Setola, area Bidognetti. Tutti alleati degli Scissionisti di Secondigliano. Qui, nell'attesa di sviluppi giudiziari, proviamo a mettere in fila alcune impressionanti coincidenze, con le tessere di un puzzle che vanno al loro posto una dopo l'altra. Ed un Paese che, se le ipotesi investigative fossero confermate, si troverebbe a dover raccogliere la sfida finale.


Potrebbe suonare solo come un'omonimia, un cognome strano, uguale al nome di una donna. E che ricorre. Poi il cerchio delle coincidenze comincia a stringersi. E prende corpo l'ipotesi che Benedetto Letizia detto Elio, padre dell'aspirante starlette Noemi, lungi dall'essere mai stato autista di Craxi o militante di Forza Italia o qualsiasi altra boutade messa in circolazione, sia originario dello stesso ceppo di Casal di Principe dal quale provengono Franco e Giovanni Letizia, gruppo di fuoco del boss Giuseppe Setola. Lo stesso commando capace di sparare in fronte ed ammazzare sei extracomunitari in un colpo solo per avvertire gli altri che, se si intende trafficare droga in zona, bisogna sottostare alle regole. E pagare.

Ma chi e' veramente Benedetto-Elio Letizia? Da Castelvolturno all'Agro Aversano fino a Secondigliano, molti lo sanno fin dall'inizio di questa storia. Ma non parlano. Tacciono di fronte ai tanti cronisti venuti da ogni parte del mondo. Pero' a Enrico Fierro, inviato dell'Unita', qualcuno ha detto: lascia stare, su questa storia meglio non metterci le mani. Bolle, scotta. Il cinquantenne Benedetto Letizia, noto finora al Comune di Napoli (dove e' in servizio) piu' che altro per un vecchio inciampo giudiziario - fu arrestato nel 1993 nell'ambito di un'inchiesta sulle compravendite di licenze commerciali - per tutti e' un uomo tranquillo. E anche la gazzarra di visure camerali e catastali messa su dai giornali, non ha potuto scoprire altro che modesti immobili intestati a Noemi e un paio di societa' dedite al commercio di profumi. Solo una bufala, allora, la storia della parentela? Non dimentichiamo - dice un attento osservatore di queste dinamiche - che molto spesso i clan si servono proprio di personaggi puliti, o quasi, per tenere i contatti con esponenti delle istituzioni.

A gettare benzina sul fuoco, realizzando la classica excusatio non petita, sono poche settimane fa alcuni giornalisti del casertano. Ventiquattr'ore di fuoco, quel 19 maggio. Dopo la cattura in Spagna del boss Raffaele Amato, a Secondigliano un blitz porta in manette quasi cento persone ritenute affiliate agli Scissionisti. In nottata arriva l'arresto a San Cipriano d'Aversa del boss Franco Letizia, uno fra i cento latitanti piu' ricercati d'Italia. E siamo proprio negli stessi giorni in cui, fra gossip e cronaca, i giornali, le tv e il web sono letteralmente invasi da quel nome: Letizia. Alle 12 e 18 in punto nelle redazioni arriva un lancio Ansa. E' firmato dalla giovane corrispondente casertana Rosanna Pugliese: nessuna parentela - si legge - tra l'arrestato Franco Letizia ed il papa' di Noemi, lo affermano gli inquirenti che operano nel casertano. Che bisogno c'era di quella perentoria smentita, a fronte di una notizia mai data? E soprattutto, perche' rifarsi ad un termine generico come gli inquirenti, senza precisare se si tratta della squadra mobile, della Procura (di Napoli o di Caserta?) oppure di altre forze dell'ordine? Un sito locale, Caserta Sette, non perde l'occasione per rilanciare la non-notizia. E con tono stizzito se la prende con chiunque osi pensare che esista quella parentela.

Mentre scriviamo, alla Voce risulta invece che sono in corso indagini top secret alla Procura di Napoli proprio per accertare il possibile collegamento fra i Letizia di Secondigliano (Benedetto detto Elio, ma anche altri suoi stretti congiunti) e il clan Letizia affiliato ai Casalesi. Un legame che, se fosse accertato, nella vicenda Papi, spiegherebbe tutto. O quasi. Qualcuno, in Campania ed oltre, sa bene da tempo cosa significa pronunciare alcuni grossi nomi. E perche', se telefona uno con quel nome, se si spinge fino a chiedere a un leader politico di mostrarsi alla nazione intera, intervenendo ad una festa di paese, lui potrebbe essere costretto ad acconsentire. Ma in ossequio alla ragion di stato sarebbe obbligato a far credere - perfino alla moglie e ai figli - che si tratti d'una storia di corna e minorenni, piuttosto che rivelare al Paese e al mondo la verita'.

Scrive Fierro sull'Unita' del 22 maggio: La camorra, soggetto da maneggiare con cura in questa storia. Anche se i tanti set di questo reality non aiutano a tenerla a debita distanza. Secondigliano (il quartiere monstre dove i Letizia hanno alcune loro attivita'); Portici, la citta'-quartiere dove vivono Noemi e sua madre, e Casoria, il paesone della festa. In ognuno di questi luoghi i clan hanno un controllo ferreo del territorio. Sanno tutto. Di tutti. In attesa delle conclusioni alle quali giungeranno i pm della Dda, noi qui proviamo a mettere insieme le tessere del puzzle. Che cominciano a combaciare in maniera impressionante. Se risultasse provato il collegamento fra i Letizia, sarebbe allora piu' realistico immaginare quale sia stato il vero motivo di quell'appuntamento cui il premier, suo malgrado, non poteva mancare, pur avendo cercato con ogni mezzo fin dalla mattina - e poi nelle frenetiche telefonate fatte in quei misteriosi 50 minuti di sosta dentro l'aereo, a Capodichino - di sottrarsi. Alla fine va. E resta per quasi un'ora a colloquio riservato - dice chi c'era - con Elio Benedetto Letizia, prima di darsi in pasto ai fotografi.

IL POTERE DI GOMORRA

Troppo forte, il potere d'intimidazione di quella holding multinazionale che, come ci ha raccontato Gomorra, comunica i suoi messaggi attraverso i simboli. L'uomo accusato di essersi portato via la donna di un boss, per esempio, viene crivellato non alla testa o al cuore, ma mmiez e palle; quello che ha tradito gli accordi, facendo catturare uno del clan, dovra' essere incaprettato, legato come un capretto sul banco della macelleria, e fatto ritrovare nella posa piu' grottesca e mostruosa che si possa immaginare per un essere umano. Cosi' anche la presenza fisica di una personalita', in certi luoghi ed occasioni, vale piu' di cento rassicurazioni verbali. Magari arriva a suggello di un condizionamento che durava gia' da mesi. E del quale la bella - e quasi certamente ignara - Noemi non era che un altro segnale. La sua presenza al fianco del primo ministro (come nell'ormai famoso ricevimento di fine anno a Villa Madama) serviva per affermare all'esterno che il rapporto con gli uomini del napoletano e del casertano stava andando avanti.

Del resto, lo strapotere finanziario raggiunto dalle imprese dei clan camorristici - anche attraverso la presenza di loro vertici nelle logge massoniche coperte - praticamente non ha uguali. Lo ha spiegato poche settimane fa Roberto Saviano agli studenti della Normale di Pisa nel corso di una lezione: nessuna, fra le altre mafie del mondo (russa, cinese o slava che sia) e' autonoma rispetto alle cosche italiane. Tutte hanno come modello di partenza Cosa Nostra, Ndrine e Camorra. Ma i gruppi esteri non si sono mai del tutto affrancati: sullo scacchiere internazionale, nei paradisi fiscali, per muovere da un capo all'altro dei contimenti denaro, armi, stupefacenti, organi ed esseri umani, devono sempre e ancora in qualche modo dare conto ai clan italiani.

Dal punto di vista dell'economia criminale, poi, che interi pezzi dell'Italia siano ormai ricattabili da parte dei clan camorristici, non e' una novita'. Una holding multinazionale, ma pur sempre malavitosa; forze strutturate e uomini che, pur trovandosi ormai a gestire le leve del potere finanziario (il giro di affari delle mafie, secondo uno studio recente di Confesercenti, e' pari a 125 miliardi di dollari l'anno, circa il 7% del Pil nazionale), non rinunciano ai vecchi e collaudati metodi per affermare il loro potere. Un commando di fuoco pronto a sequestrare, a sparare in faccia, tenere in ostaggio magari i figli di un alto esponente politico. Ed e' cosi' che possono maturare, per i posti chiave di governo - ad esempio la presidenza di una strategica Provincia o un sottosegretariato - le nomine di personaggi ritenuti gia' nelle lore stesse zone di origine impresentabili, per i legami con la camorra dei loro uomini piu' stretti.

MARONI ALLA CARICA

Come s'inscrive, nello scenario che stiamo ipotizzando, l'autentica impennata nella lotta ai clan camorristici impressa nelle ultime settimane da Roberto Maroni, ministro degli Interni, e da Antonio Manganelli, capo della Polizia? Berlusconi - dice un esperto di intelligence che preferisce restare anonimo - probabilmente sara' presto lasciato al suo destino. Lo dimostra il livello di fibrillazione da cui e' stato colto dopo l'episodio di Casoria, gli errori a raffica, le dichiarazioni avventate. A reggere saldamente il timone dello Stato che non si arrende e' ora il Viminale, da cui non a caso negli ultimi mesi e' partito un pressing senza precedenti nel contrasto ai Casalesi e ai loro alleati, gli Scissionisti di Secondigliano. Operazioni che hanno liquidato quasi interamente il clan Letizia.

L'escalation nella lotta alla malavita organizzata del casertano ha inizio esattamente dopo la strage di Castelvolturno, il 19 settembre dello scorso anno, quando sei nordafricani residenti nella vasta area a rischio della Domiziana, sul litorale di Caserta, vengono massacrati in un raid di camorra teso - si capira' in seguito - a riaffermare il predominio sulla zona del boss dei Casalesi Giuseppe Setola, al cui clan sono affiliati i Letizia. Appena dieci giorni dopo, il 30 settembre, i Carabinieri del comando di Caserta arrestano gli artefici dell'eccidio. Sono Alessandro Cirillo, Oreste Spagnuolo ed il ventottenne Giovanni Letizia, gia' ricercato per un altro omicidio collegato alla connection politica-rifiuti: quello dell'imprenditore Michele Orsi. I militari li sorprendono in due villini di villeggiatura a Quarto, sempre in zona domizia.

Secondo il pentito Oreste Spagnuolo - scrivera' Roberto Saviano - Giovanni Letizia quando uccise Michele Orsi indossava una parrucca e ai piedi aveva un paio di Hogan di tela. Poi gli venne fame e andarono a mangiare con Letizia che aveva ancora le scarpe sporche di sangue ma preferiva pulirle con la spugnetta anziche' buttarle. Quando il suo capo chiese perche' perdesse tempo a lavarle rischiando di essere beccato, Giovanni Letizia gli rispose che Orsi non valeva le sue scarpe. 14 gennaio 2009. In un edificio diroccato di Trentula Ducenta, al confine con il Lazio, finisce la latitanza del boss Giuseppe Setola. Con lui viene fermata la moglie, Stefania Martinelli. Fra il 9 e l'11 marzo la Dda partenopea mette a segno un altro colpo mortale per i Casalesi con l'arresto di altri uomini legati a Franco Letizia, cugino di Giovanni, considerato il reggente del clan. Fra loro anche il trentatreenne Vincenzo Letizia detto o schizzato. 3 aprile 2009. La Mobile di Caserta arresta Armando Letizia, 56 anni. Considerato elemento di spicco del clan, Armando e' zio di Giovanni Letizia e padre del latitante Franco.

Il cerchio si stringe intorno a quest'ultimo, che sara' tratto in manette il 19 maggio. Ma quella domenica 26 aprile, il giorno dell'arrivo di Berlusconi a Casoria per il compleanno di Noemi, un'altra e piu' rilevante cattura forse e' gia' nell'aria. All'alba del 29 aprile la Direzione Investigativa Antimafia di Napoli sorprende Michele Bidognetti, fratello del boss Francesco Bidognetti (detenuto al 41 bis eppure ancora in grado - secondo gli inquirenti - di impartire ordini), ma soprattutto parente del collaboratore di giustizia Domenico Bidognetti.

Un gruppo criminale strettamente collegato a quello dei Setola e, quindi, ai Letizia. Una storia - fanno notare in ambienti giudiziari del casertano - che puzza lontano un miglio di rifiuti. Non va dimenticato che per i Bidognetti questa e' stata sempre una fra le piu' lucrose attivita'. E che molte operazioni messe a segno recentemente dalle forze dell'ordine nascono dalle rivelazioni su quel maleodorante business rese da una gola profonda del settore come Gaetano Vassallo. Senza contare, su tutto, la presenza degli imprenditori-camorristi del settore rifiuti Michele e Sergio Orsi: il primo ucciso proprio per mano del clan Letizia quando era in procinto di collaborare con la magistratura.

Il secondo, arrestato nell'ambito di un'operazione anticamorra di febbraio scorso, era invece stato prosciolto nel 2007 da analoghe accuse. Al suo fianco, come penalista, c'era l'avvocato Ferdinando Letizia dello studio Stellato di Santa Maria Capua Vetere. Casertano, 35 anni, Ferdinando Letizia e' anche consigliere comunale a Castelvolturno e capogruppo della lista Liberamente, sul cui sito internet si esaltano le gesta del leader Silvio Berlusconi. Il colpo inferto ai trafficanti di rifiuti con l'apertura dell'inceneritore di Acerra, il timore di perdere gli appalti da milioni di euro che ruotano intorno all'affare munnezza, potrebbero insomma essere fattori non del tutto estranei al clima rovente delle ultime settimane.

IL MILAN ? ALL'OLIMPIA

Ma torniamo ai segnali. A quegli avvenimenti forse solo in apparenza curiosi che avevano preceduto la famosa sera del 26 aprile. Quella domenica a giocare sul campo del San Paolo c'era stata l'Inter. Ma il 22 marzo a Napoli per una sfida di campionato era sbarcato il Milan. Che per la prima volta aveva abbandonato i consueti, sfavillanti hotel del lungomare partenopeo con vista sul golfo, per andare ad alloggiare in una delle piu' desolate periferie dell'hinterland: Sant'Antimo, Hotel Olimpia. Terra di inceneritori, ecoballe e Cdr. Al confine col triangolo della morte Nola-Marigliano-Acerra. Comune, Sant'Antimo, due volte sciolto per infiltrazioni camorristiche. Area infestata da sversamenti illegali di materiali tossici. E non lontana da quell'agro aversano da cui trae le sue origini il gruppo Setola-Bidognetti-Letizia.

L'Hotel Olimpia rientra nell'impero economico della famiglia Cesaro, che in zona possiede anche l'unico presidio sanitario disponibile per uno fra i territori piu' densamente popolati d'Italia, il Centro Igea, ed una serie di altre lucrose attivita'. Leader della famiglia e' Luigi Cesaro, deputato Pdl, candidato in pole position per la presidenza della Provincia di Napoli. Sui suoi pregressi legami coi clan della zona si soffermava a lungo (come la Voce ha ricordato nel numero di maggio scorso) la relazione di fuoco redatta dai commissari prefettizi inviati a Sant'Antimo dopo lo scioglimento per camorra del 1991.

Ecco i passaggi chiave. I collegamenti di taluni degli amministratori con la malavita organizzata - clan Puca e Verde - si estrinsecano attraverso rapporti di parentela e/o cointeressi in attivita' economiche e patrimoniali. La cointeressenza in attivita' economiche si coglie soffermandosi sugli accordi in materia di appalti fra i clan di Pasquale Puca ed il clan Verde, che operano rispettivamente attraverso le cooperative La Paola e Raggio di Sole, addivenendo in tal modo ad una spartizione dei settori dell'economia locale. Della Cooperativa Raggio di Sole e' socio il consigliere comunale Antimo Cesaro unitamente ai fratelli Raffaele (legale rappresentante) e Luigi. Ancora: Lo stesso consigliere Aniello Cesaro risulta citato a comparire dalla Autorita' Giudiziaria in ordine a molteplici attivita' estorsive messe in atto da Pasquale Puca, capo dell'omonimo clan camorristico operante in Sant'Antimo e Casandrino; risulta avere in atto procedimenti per truffa, interesse privato in atti d'ufficio, omissione in atti d'ufficio e peculato.

Diciannove anni dopo, di Luigi Cesaro (e del suo gemello politico Nicola Cosentino, sottosegretario all'Economia), parla Gaetano Vassallo, come ricorda l'Espresso in un'inchiesta di settembre 2008. E qui tornano le coincidenze. Perche' se le verbalizzazioni del pentito dovessero trovare conferma, a favorire l'attivita' imprenditoriale dei Cesaro non sarebbe stato un clan qualsiasi. Ma il gruppo di Francesco Bidognetti, alias Cicciotto e mezzanotte.

IL BOOMERANG

Sto pensando di riferire in aula sul caso Letizia. Ma ci devo riflettere. 23 maggio. E' appena scoppiato il caso Mills (la condanna per corruzione dell'avvocato David Mills, che tira il ballo lo stesso premier) e siamo a poche ore da un altro storico annuncio di analogo tenore: riferiro' alla Camera sulla vicenda Mills. Perche', allora, mentre tutti parlano di Mills, lo stesso Cavaliere torna a porre l'accento sulla storia dei suoi rapporti con Noemi Letizia e la sua famiglia? La risposta potrebbe stare tutta in una ricostruzione dei fatti che comincia a circolare a Napoli. E che trae spunto da quelle mezze frasi dette col cuore in mano prima dal papa' di Noemi (il mio rapporto con Berlusconi? Preferisco non approfondire, siamo legati da un segreto), poi dalla mamma Anna Palumbo: non chiedetecelo, non possiamo dire di piu'....

Dopo la valanga di stridenti contraddizioni abbattutasi sul resoconto che lo stesso Cavaliere aveva voluto rendere negli studi di Porta a Porta (dalla bufala del Benedetto Letizia autista di Craxi, subito sbugiardata dal figlio dell'ex leader socialista Bobo, alle secche smentite di Franco Malvano e Fulvio Martusciello che addirittura - aveva detto il premier a Bruno Vespa - gli erano stati segnalati quella sera da Letizia), ora lo staff del presidente deve mettere a punto una versione inattaccabile. E se colpisse anche i sentimenti, se saltasse fuori una storia di buona sanita', meglio. E' partita cosi' la caccia di alcuni cronisti alle notizie d'agenzia di quel maledetto 29 luglio 2001 quando l'appena diciannovenne Yuri Letizia, fratello di Noemi che in quel periodo prestava servizio militare, perse tragicamente la vita a bordo di una Fiat punto andatasi a schiantare contro gli alberi sulla Salaria.

E' stato un articolo di Francesco Lo Sardo sul quotidiano Europa a gettare in campo l'ipotesi: pare sia stato dopo questa tragica morte - scrive il 15 maggio - che, in qualche modo e per qualche speciale ragione, si sia cementato il legame tra il signor Elio Letizia e Silvio Berlusconi. La ricostruzione potrebbe essere gia' pronta: Prima - fa sapere il premier - li lascio andare avanti, perche' cosi' si mostrano per quello che sono. E sara' un boomerang tale che si vergogneranno, e perderanno consenso e la stima degli elettori, perche' in questa vicenda tutto e' piu' che pulito.


Il fantasma del '94 che piace al Cavaliere
di Giuseppe D'Avanzo - La Repubblica - 30 Maggio 2009

C'è stato un tempo in cui, accanto a Silvio Berlusconi, sedeva Cesare Previti: pagava i giudici per tenere lontano dalla severità della giustizia il patron di Fininvest. Diventa premier. Si cucina da solo l'impunità. Berlusconi non ha più bisogno di chi gli corrompe i giudici.

Se avesse ancora accanto a sé un barattiere, gli chiederebbe di pagare un pubblico ministero per procurarsi un bell'avviso di garanzia. Perché la campagna elettorale di Berlusconi ha bisogno - come noi dell'aria - del conflitto con la magistratura. Il suo elettorato non ama le toghe e, per parte sua, il Cavaliere indossa con splendore i sontuosi panni della vittima.

Il binomio radicalizza il suo elettorato, gli assicura la vittoria a mani basse, gli consente di attenuare la crisi di sfiducia che l'affligge; di cancellare l'inadeguatezza del governo; di dimenticare le minacce e i numeri di una crisi che, nonostante la "false speranze" che diffonde (come dice Bankitalia), appesantirà imprese, occupazione e famiglie italiane ancora per due anni, contrariamente a quanto accade negli altri Paesi europei.

Un avviso di garanzia, benedetto, permetterebbe al premier di fare piazza pulita anche di scene come quella a cui hanno assistito milioni di italiani l'altra sera: un uomo di 73 anni, capo di governo, che giura sulla testa dei figli, tra l'imbarazzo dei suoi ministri, che non ha avuto "rapporti piccanti, molto piccanti" con una minorenne. Un avviso di garanzia, benvenuto, potrebbe cambiare di segno anche questo affare. Se lo è combinato da solo irritando i suoi alleati con le candidature delle sue giovani o giovanissime amiche, umiliando in pubblico la moglie, ficcandosi in un ristorante della peggiore periferia di Napoli.

Un passo della magistratura consentirebbe al capo di governo di giocare non in difesa, un po' smarrito come appare oggi, ma in attacco secondo uno schema che lo ha sempre gratificato. Purtroppo, per quel che se ne sa, i pubblici ministeri stanno facendo a Berlusconi un dispetto molto grave: lo ignorano, non gli invieranno alcun avviso di garanzia. Così il conflitto con la magistratura vede in campo un solo combattente: il Cavaliere.

Come in una pantomina, ingaggia la sua battaglia da solo, finge e simula uno scontro che non c'è. Come tanto tempo fa, quando nei giardini della villa Olivetta di Portofino lo sentirono gridare: "Dài, colpiscimi, stupido. È tutta questa la tua forza? Colpisci più forte, ancora più forte". Quelli di casa pensano a un ladro, a una rissa. Accorrono. Lo vedono lì sul prato. Solo. Lui saltella, arretra, avanza, scarta di lato in un'immaginaria rissa. Le gambe flesse, i passi corti, il pugno destro ben stretto a protezione della mascella e il sinistro che si allunga veloce contro l'avversario che non c'è.

In fondo, Berlusconi politico ripete ossessivamente sempre la stessa perfomance comunicativa, come se il largo consenso di cui gode fosse inutile per governare, anche se questo dovrebbe essere il suo impegno prioritario. Urla e si lamenta, invece. Gli riesce meglio. Scomparsi i "comunisti", salta su contro i magistrati.

Anche se quelli se ne stanno buoni, deve rappresentarli con il coltello tra i denti. Per evocare il pericolo, ha bisogno di richiamare un episodio di quindici anni fa, l'avviso di garanzia per la corruzione della Guardia di Finanza. Il suo ricordo è come al solito truccato. I tre processi hanno accertato, in maniera definitiva, che la Guardia di Finanza è stata corrotta, che le tangenti sono state pagate per concludere le indagini sulla Fininvest.

Dopo una condanna a 2 anni e 9 mesi, la Cassazione non ha ritenuto sufficienti gli indizi del collegamento diretto fra i funzionari corrotti e Silvio Berlusconi, link invece definitivamente provato per altri dirigenti Fininvest, condannati con sentenza irrevocabile. Assolto? Berlusconi non dice che se quel "collegamento non è stato provato" fu grazie a un testimone che il Cavaliere corruppe: David Mackenzie Mills.


E Berlusconi scrive al Garante "Bloccate le foto di Villa Certosa"
di Fiorenza Sarzanini - Il Corriere della Sera - 30 Maggio 2009

Adesso saltano fuori le foto. C’è la prova che esistono delle immagini scattate da un fotografo sardo durante la festa di Capodanno a Villa Certosa, alla quale avrebbe partecipato Noemi Letizia insieme ad altre ragazze. Ma non solo. Il reporter sostiene di avere ben 700 istantanee. Alcune documentano la vacanza trascorsa nel maggio del 2008 nella residenza del premier Silvio Berlusconi dall’allora primo ministro della Repubblica Ceca Mirek Topolanek e dalla sua delegazione, altre mostrano gli eventi mondani organizzati nella splendida dimora di Porto Rotondo. Tre giorni fa, per cercare di bloccarne la pubblicazione, il presidente del Consiglio ha presentato un ricorso al Garante della privacy. Quattro pagine firmate di suo pugno per chiedere «tutti i provvedi­menti che riterrà opportuni e in particolare l’inibizione di qualsivoglia utilizzo o pubbli­cazione del materiale fotogra­fico ».

Una denuncia è stata in­vece depositata alla Procura di Roma. Il Garante ha avvia­to l’istruttoria e ha chiesto al­le parti una relazione su quan­to accaduto. Ne è seguita una querelle con tanto di controdeduzioni inviate all’ufficio dell’Autori­tà della privacy dal fotografo Antonello Zappadu, che svela­no come la trattativa per l’ac­quisto di alcune foto sia co­minciata nel dicembre scor­so, dunque ben prima che esplodesse il «caso Noemi». È stato lo stesso reporter ad of­frirle a Panorama, il settima­nale di proprietà di Berlusco­ni. La sua proposta è stata ri­fiutata, ma il 26 maggio scor­so ci sarebbe stato un nuovo incontro a Milano con il gior­nalista Giacomo Amadori per trattare le immagini scattate «nel periodo fra Natale 2008 e gli inizi dell’anno 2009», dunque nel corso della vacan­za offerta a Noemi Letizia e ri­velata in un’intervista al quo­tidiano La Repubblica dal suo ex fidanzato Gino Flaminio. Prezzo richiesto: un milione e mezzo di euro.

La stessa cifra che sarebbe stata negoziata anche con il settimanale della Rusconi Gente. A questo punto il reporter racconta di essere stato chia­mato da Amadori e da Miti Si­monetto. È la curatrice del­l’immagine della famiglia Ber­lusconi. Proprio lei, nel 2006, fu contattata da Fabrizio Coro­na per la vendita di alcune fo­to che ritraevano la figlia del premier Barbara all’uscita di una discoteca milanese insie­me ad un ragazzo. «Mi disse­ro di interrompere le altre trattative», dice. Le immagini cominciano a circolare nelle redazioni dei giornali. I collaboratori di Zappadu sostengono di aver ricevuto offerte da tabloid in­glesi, si parla anche di perio­dici francesi che potrebbe­ro essere inte­ressati. Alcu­ne ritraggono l’arrivo di Sil­vio Berlusconi in un aeropor­to — che presumibilmente è quello di Olbia — a bordo del­l’aereo di Stato.

Con lui c’è il fedele Mariano Apicella, ri­tratto mentre scende dalla scaletta del velivolo dell’Aero­nautica Militare con le inse­gne della «Repubblica italia­na » ben visibili. Il cantante napoletano che alla feste del premier è una presenza fissa ha gli occhiali scuri, il volto sorridente proprio come Ber­lusconi. In un’altra immagine l’ex posteggiatore è ritratto mentre carica i bagagli su una delle auto del corteo pre­sidenziale. Dovrebbe trattarsi di un periodo estivo: le perso­ne sono ritratte con abiti leg­geri, si vede una donna di spalle che indossa sandali in­fradito. Poi ci sono le foto dei giar­dini di Villa Certosa con ragaz­ze in bikini o in topless, altre sotto le docce all’aperto, altre vestite accanto a Berlusconi nel patio delle residenze desti­nate agli ospiti. Lo stesso Ber­lusconi spiega nel suo ricorso che alcune foto fatte circolare con i volti 'oscurati', «verosi­milmente ritraggono nel mag­gio del 2008 la delegazione ce­ca oltre a una serie di soggetti che erano stati ufficialmente convocati per le serate di in­trattenimento offerte a Topo­lanek ».

Il premier affronta poi il ca­pitolo che riguarda le ultime vacanze natalizie: «Si tratta di soggetti ripresi in momenti di assoluta intimità del tutto leciti e senza alcun particola­re rilievo o connotazione, ad­dirittura mentre si trovavano all’interno delle abitazioni po­ste a loro disposizione e ritrat­te mediante potenti e intrusi­vi mezzi di riproduzioni delle immagini». Una tesi che Zappadu con­testa nella relazione inviata al Garante, ventilando l’ipotesi che in giro possano anche es­serci altre immagini. «Nella mia disponibilità — scrive in­fatti il fotografo — ci sono fo­tografie riprese lecitamente, in diverse circostanze di tem­po e luogo, nello svolgimen­to della professione giornali­stica. Non ho ricevuto e visio­nato le fotografie alle quali il dottor Berlusconi può fare ri­ferimento, che possono an­che essere estranee a quelle nella mia disponibilità. Quin­di mi riservo ogni valutazio­ne sulla paternità, luogo, tem­po, tecniche e modalità di ac­quisizione delle immagini co­nosciute dall’onorevole Berlu­sconi una volta avuta contez­za delle medesime immagi­ni ».



Lettera al Corriere della Sera

di Mara Carfagna – 29 Maggio 2009


Gentile Direttore, trascorso un anno da un attacco mediati­co di inaudita volgarità a cui sono stata sot­toposta, sono qui a fare alcune considera­zioni su vicende che in questi giorni ci so­no state date in pasto con una morbosità e un’ossessività che ricordano molto quelle che hanno riguardato la sottoscritta.

Sono qui a dire la mia, se mi è consenti­to. Anche forte e fiera di un lavoro svolto, in soli dodici mesi, con impegno ed auten­tica passione in favore e a tutela dei sogget­ti più vulnerabili di questo Paese.

Qualcuno è ancora convinto che io, gio­vane donna che dalla tv è passata alla poli­tica con Berlusconi, non abbia il diritto di parlare, non abbia nulla di sensato ed intel­ligente da dire. Ed invece vorrei osare così tanto. Mi sia consentito. Lo faccio perché ho testa. E cuore. Ho testa né più né meno di tanti pseudo-intellettuali che si ergono pomposamente a maestri di vita e di scien­za, di etica e di morale, che parlano e stra­parlano giudicando tutto e tutti pretenden­do di essere i padroni assoluti del vero.

Certo, mi riconosco una buona dose di coraggio se sono qui, oso parlare e, di più, vorrei addirittura dare, sottovoce, ma molto sottovoce, un consiglio. Che è quello di fare un passo indietro, di ritorna­re al di qua di quel limite della decenza e del buon senso che è stato abbondante­mente superato.

Insinuazioni pesanti e volgari hanno ac­compagnato la mia scelta sciagurata. Quel­la di una giovane donna che, dopo una (a dire il vero) assai insignificante carriera in tv ha deciso di accettare la sfida di fare politica con il partito di Berlusconi. Atten­zione. Giovane donna, televisione, Berlu­sconi.

E qui casca l’asino! Perché se cambiando l’ordine degli ad­dendi il risultato è lo stesso, sostituendo anche uno soltanto degli addendi il risulta­to sarebbe ben diverso e comporterebbe la legittimità dell’impegno politico.

Suvvia, siamo realisti. Il Parlamento vede tra i suoi banchi alcu­ni uomini dalle assai dubbie capacità poli­tiche. Ma nessuno si sorprende. L’Aula di Montecitorio è stata frequentata da perso­naggi condannati per banda armata e con­corso in omicidio, facinorosi violenti, con­dannati per detenzione e fabbricazione di ordigni esplosivi, protagonisti di risse e di indecorosi episodi di cronaca.

Ma nessuno mai si è indignato. Onorevoli che candidamente hanno am­messo di prostituirsi prima di approdare alla Camera, altri che, durante il loro incari­co, sono stati sorpresi a contrattare per strada prestazioni con transessuali. Mai nessuno si è scandalizzato. Mai.

Allora viene un sospetto. Che sia Berlusconi l’ingrediente indige­sto? Sì, è proprio così, Berlusconi indigna, scandalizza, inquieta. Forse è arrivato il momento di mettere un freno a questa follia collettiva, a questo vizio malsano, che qualcuno tenta di fo­mentare, di guardare e giudicare la politi­ca dal buco della serratura, di giudicare le persone per l’aspetto estetico e per il lavo­ro, seppur onesto, che hanno fatto in pas­sato. È assurdo, dopo anni di battaglie, è co­me tornare indietro quando i criteri seletti­vi per accedere alla politica erano il censo e il sesso.

Forse è proprio il caso di dire che si sta­va meglio quando si stava peggio! Ed è sorprendente che le dichiarazioni e la persona dell’ex fidanzato di Noemi Leti­zia, condannato per rapina, secondo qual­cuno meritino più rispetto dell’impegno e della persona di una donna che ha l’unica colpa di aver lavorato in tv. Cosa è più gra­ve, mi domando, aver lavorato in tv o esse­re stato un rapinatore? Quanto tempo do­vrà passare ancora perché chi ha lavorato nel mondo dello spettacolo possa essere trattato almeno come un ex rapinatore o un ex detenuto?

Credo che si sia superato il limite del buon senso e tutti abbiamo responsabilità e doveri. A cominciare dalla politica che deve ispirarsi a criteri di rigore e di serie­tà. Quei criteri che hanno indirizzato l’atti­vità di un governo che ha risolto gravi emergenze e problemi quotidiani con tem­pestività ed efficacia, grazie ad un presi­dente del Consiglio che è riuscito non solo ad interpretare le speranze e i sogni degli Italiani, ma anche a tradurli in realtà. Que­sto, quello delle cose realizzate per il bene del Paese, è il terreno di confronto sul qua­le vogliamo misurarci e di cui deve rispon­dere agli italiani il presidente Berlusconi.


Un leader mai prepotente o arrogante, con­sapevole di una innata capacità seduttiva che ha usato a fini di ricerca del consenso e non per scopi morbosi. Un uomo leale, perbene e rispettoso. Una persona di garbo e gentilezza, doti che qualcuno vorrebbe declassare a mera finzione e che invece sono autentiche. E, lasciatemi pure dire che, in un mondo po­polato da gran cafoni, sono qualità rare ed invidiabili. Il resto, tutto il resto, sincera­mente sono affari suoi. O, almeno, così do­vrebbe essere in un Paese «normale».

So che ho ben poca esperienza, ma cre­do di averne quanto basta per auspicare che l’Italia diventi un Paese «normale», do­ve chi fa politica viene giudicato per ciò che fa e chi governa per come governa. Per fare questo, però, c’è bisogno di uno sfor­zo di volontà da parte di tutti. Forse è arrivato anche il momento che chi trascorre le sue giornate a criticare e a farci lezione, scenda dalla sua cattedra di cartapesta, si sporchi le mani con i pro­blemi veri e con le questioni che vera­mente interessano alla gente e dia il suo contributo alla crescita e allo sviluppo dell’Italia.


Qualcuno lo troverà più noioso, ma sa­rebbe sicuramente più proficuo. Il Paese ne avrebbe un gran vantaggio. La qualità e il livello dell’attività politica, che qualcuno si diverte a far scadere verso il basso, ritroverebbero dignità e centralità.

venerdì 29 maggio 2009

Una pentola a pressione, il Baluchistan

Raffica di attentati ieri in Pakistan. A Peshawar, nel nord-ovest, sono esplose bombe in due mercati e un presunto kamikaze ha colpito un posto di blocco della polizia all’indomani dell'attentato a Lahore (costato almeno 40 morti e più di 150 feriti).
Bilancio: almeno 13 morti e più di 120 feriti. Qualche ora più tardi un'altra bomba è scoppiata nella città di Dera Ismail Khan, a 300 chilometri da Peshawar, e dopo l'esplosione ci sono state raffiche di armi automatiche: 2 morti e 13 feriti.

Tutto ciò mentre proseguono i pesanti scontri tra l'esercito pakistano e i guerriglieri taleban nella valle di Swat.

Ma ieri c'è stato anche un grave attentato in Iran con un'esplosione avvenuta nella moschea della città di Zahedan, situata nella regione del Sistan-Baluchistan vicino al confine con il Pakistan e l'Afghanistan. Bilancio: 19 morti e più di 100 feriti.
Secondo un ufficiale della provincia, Jalal Sayyah, dietro l'attentato ci sarebbe l'ombra degli Stati Uniti. "Ci è stato confermato che i terroristi di Zahedan sono stati finanziati dall'America", ha detto Sayyah all'agenzia di stampa Fars.

Oggi il governatore del Sistan-Baluchistan, Ali Mohammad Azad, ha annunciato che i responsabili dell'attentato sono stati tutti arrestati.

Qualche giorno fa avevamo accennato a ciò che ribolle nella pentola chiamata Baluchistan e, alla luce di ciò che è successo ieri in Iran e Pakistan, ritorniamo ancora sull'argomento.


Il Pipelineistan è in Iran-Pak

di Pepe Escobar Asia Times - 29 Maggio 2009


La terra è stata scossa per qualche giorno ormai in tutto il Pipelineistan - con enormi ripercussioni su tutti i grandi attori del Nuovo Grande Gioco in Eurasia. Gli strateghi dell’AfPak del Presidente degli Stati Uniti Barack Obama non se ne sono neanche accorti.

Una silenziosa, strisciante guerra è stata in corso da anni tra il gasdotto favorito dagli USA Turkmenistan-Afghanistan-Pakistan-India (TAPI) e il suo rivale, il gasdotto Iran-Pakistan-India (IPI), noto anche come il "gasdotto della pace" . Lo scorso week-end, è emerso un vincitore. E non è nessuno di quelli sopra citati: è l’IP (il gasdotto Iran-Pakistan) di 2.100-km e 7,5 miliardi di dollari di valore, senza l’India. (Si prega di consultare Pakistan, Iran sign gas pipeline deal, 27 maggio 2009, su Asia Times Online.)

L'intera saga inizia nel lontano 1995, al tempo in cui la californiana Unocal cominciò ad avere l’idea di costruire un oleodotto che attraversasse l'Afghanistan. Ora l'Iran e il Pakistan hanno finalmente firmato un accordo questa settimana a Teheran, con il quale l'Iran venderà il gas dei suoi mega giacimenti di South Pars al Pakistan per i prossimi 25 anni.

Secondo alcuni funzionari iraniani dell’energia, parlando con l’agenzia stampa ISNA, l'accordo finale sarà firmato in meno di tre settimane, subito dopo il primo turno delle elezioni presidenziali iraniane. Gli ultimi 250 km dei 900 km del tratto di gasdotto in Iran tra Asalouyeh e Iranshahr, vicino al confine con il Pakistan, devono essere ancora essere costruiti. L'intero gasdotto IP dovrebbe essere operativo entro il 2014.

Il fatto che Islamabad abbia finalmente deciso di muoversi è molto indicativo. Per l'amministrazione di George W. Bush l’IPI era semplicemente un anatema; immaginate l'India e il Pakistan che acquistano gas dall’"asse del male" Iran. L'unica strada da percorrere era il TAPI - un'estensione dell’infantile convinzione dei neo-conservatori che la guerra in Afganistan si poteva vincere.

Ora, IP rivela che gli interessi di Islamabad sembrano aver prevalso nei confronti di quelli di Washington (a differenza dell’offensiva, virtualmente imposta dagli USA, dell’esercito del Pakistan contro i talebani nella valle di Swat). L’Amministrazione di Barack Obama è stata finora silente su IP. Ma sarà molto illuminante ascoltare quello che l'ex animale di compagnia di Bush l’afghano Zalmay Khalilzad - che si è autoinfiltrato come prossimo CEO dell’Afghanistan - avrà da dire in proposito. (Si prega di consultare Slouching towards Balkanization, 22 maggio 2009, su Asia Times Online). Il sogno Pipelineistan di Khalilzad, fin dalla metà degli anni ‘90, è sempre stato un gasdotto trans-afghano in grado di aggirare sia l'Iran che la Russia.

IP
, IP, hurrah


L’India, per una serie di ragioni (il sistema di fissazione dei prezzi, le tasse di transito e, soprattutto, la sicurezza) ha di fatto accantonato l'idea IPI l'anno scorso. Se non fosse stato il caso, l’IPI sarebbe diventato un potente vettore in termini di integrazione regionale dell’Asia del Sud - facendo molto di più per stabilizzare le relazioni India-Pakistan di qualsiasi tentativo diplomatico. Tuttavia, sia l'Iran che il Pakistan hanno lasciato ancora una porta aperta all'India.

La (momentanea?) perdita dell’India sarà il guadagno della Cina. Dal 2008, con Nuova Delhi che pensava ad altro, Pechino e Islamabad avevano raggiunto un accordo - la Cina avrebbe importato la maggior parte di questo gas iraniano se l'India si fosse ritirata dall’IPI. Le imprese cinesi sono comunque più che benvenute sia per l'Iran che per il Pakistan. E solo in tasse di transito, Islamabad potrebbe raccogliere fino a 500 milioni di dollari all'anno.

Per Pechino, IP non potrebbe essere più essenziale. Il gas iraniano scorrerà fino al porto di Gwadar nella provincia del Baluchistan, nel Mar d'Arabia (che la stessa Cina ha costruito e dove sta costruendo anche una raffineria). E Gwadar si suppone sarà collegata a un gasdotto in via di progettazione in direzione nord, in gran parte finanziato dalla Cina, lungo la Karakoram Highway (che tra l’altro è stata in gran parte costruita dagli anni ‘60 agli ‘80 da ingegneri cinesi ...).


Il Pakistan è assolutamente un corridoio di transito ideale per la Cina per l'importazione di petrolio e di gas da Iran e Golfo Persico. Con IP, con molti miliardi di dollari e la sovrapposizione di accordi sul gas Teheran-Pechino, la Cina può infine permettersi di importare meno energia attraverso lo Stretto di Melacca, che Pechino considera estremamente pericoloso e soggetto alla sfera di influenza di Washington.

Con IP non vince solo la Cina; vince anche la russa Gazprom. E per estensione, vince la Shanghai Cooperation Organization (SCO). Il vice ministro russo dell'energia Anatoly Yankovsky ha detto al quotidiano Kommersant, "Siamo pronti a partecipare al progetto, non appena avremo ricevuto un'offerta".

Il motivo è così palese che funzionari di Gazprom non si sono nemmeno presi la briga di camuffarlo. Per la Russia, IP è una manna dal cielo come strumento per reindirizzare il gas dall’Iran al sud dell'Asia, senza neanche entrare in competizione con il gas russo. Il grande premio, in questo caso, è il mercato europeo occidentale, dipendente per quasi il 30% da Gazprom e fonte dell’80% del profitto di Gazprom proveniente dalle sue esportazioni.

L'Unione Europea sta disperatamente tentando di tenere a galla il progetto di gasdotto "Nabucco" - che aggira la Russia - in modo da poter ridurre la sua dipendenza da Gazprom. Ma, come sa chiunque a Bruxelles, "Nabucco" può funzionare solo se è rifornito di abbastanza gas sia dall'Iran che dal Turkmenistan. Il sistema di distribuzione del Turkmenistan è controllato dalla Russia. E un accordo con l'Iran implica la fine delle sanzioni americane, ancora molto lontana. Con IP in piedi, secondo Gazprom, "Nabucco" è privata di una fonte essenziale di rifornimento.

Tutti gli occhi sul Baluchistan


Con IP saldamente in piedi, i riflettori si concentrano ancor di più sul Baluchistan. (Si prega di consultare Balochistan is the greatest prize, 9 maggio 2009, su Asia Times Online.) Prima di tutto c'è una questione interna pakistana da risolvere. Un editoriale del quotidiano pakistano Dawn ha sottolineato come Islamabad deve considerare seriamente l'assunzione di manodopera locale Baluca e assicurarsi che "i benefici delle attività economiche ... siano concentrati sul Baluchistan a beneficio della sua popolazione povera».

Il porto di Gwadar, nel sud-ovest del Baluchistan, vicino al confine iraniano, è infatti destinato a diventare una nuova Dubai - ma non nel modo in cui il vice presidente Dick Cheney e la banda di Washington sognavano un tempo. Il gas dai giacimenti di South Pars in Iran scorrerà sicuramente attraverso questo porto. Mentre per quanto riguarda il gas dai giacimenti di Daulatabad in Turkmenistan, sempre se TAPI verrà mai costruito in Afghanistan, è molto più improbabile.

Tutto ciò solleva la questione fondamentale: come Islamabad affronterà la questione con l’ultra-strategico Baluchistan – a est dell’Iran, a sud dell'Afghanistan, e che vanta tre porti marittimi arabi, compreso Gwadar, praticamente alla foce dello Stretto di Hormuz?

Il Nuovo Grande Gioco in Eurasia stabilisce che il Pakistan rappresenta un perno fondamentale sia per l’Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico (NATO) che per la SCO, di cui il Pakistan è un osservatore. Il Baluchistan incorpora de facto il Pakistan come corridoio di transito fondamentale per il gas iraniano dagli enormi giacimenti di South Pars e non per quello del Turkmenistan. Per il Pentagono la nascita di IP è un’enorme brutta notizia. Lo scenario ideale per il Pentagono è il controllo USA di Gwadar - in un ancora più fondamentale confluenza del Pipelineistan con l’Impero delle Basi degli Stati Uniti.

Con Gwadar direttamente collegata all'Iran e sviluppata quasi come un magazzino cinese, il Pentagono perde anche la succulenta opportunità della lunga tratta terrestre attraverso il Baluchistan fino a Helmand, Nimruz, Kandahar, o, meglio ancora, fino a tutte queste tre province nel sud-ovest dell’Afghanistan, dove presto, non per caso, ci sarà un’altra mega-base USA nel "deserto della morte". Da una prospettiva Pentagono/NATO, dopo la "perdita" del Khyber Pass, quella sarebbe l'ideale via di rifornimento per le truppe occidentali nella perenne, ora ribattezzata, GWOT ("guerra globale al terrore").

I Beluci insorgono


Islamabad ha promesso una conferenza con tutte le parti entro pochi giorni per affrontare seriamente il Baluchistan. Nessuno sta trattenendo il respiro. Più di un anno fa, al Baluchistan è stato promesso un maggiore controllo sulle sue immense risorse naturali - l'indiscussa lamentela numero uno dei beluci - e un massiccio pacchetto di aiuti. Non è accaduto molto.

I Punjabi in modo derisorio si riferiscono al “ritardo” del Baluchistan. Ma il nocciolo della questione è il sistematico, enorme saccheggio da parte di Islamabad combinato con una fortissima repressione e “sparizioni” seriali, stile America Latina degli anni ’70, di attivisti politici e nazionalisti beluci di primo piano. Per non parlare poi di nessun investimento in materia di sanità, istruzione e creazione di posti di lavoro. Questa lista di disastri da dittatura del Terzo Mondo ha infiammato il nazionalismo e il separatismo dei beluci.

La paranoia di Islamabad è il "coinvolgimento straniero" in diversi settori dei movimenti nazionalisti del Baluchistan. Cioè nei fatti la CIA, l'MI5 e il Mossad israeliano, tutti impegnati nel sovrapporre agende che manipolano il Baluchistan ai fini di una balcanizzazione del Pakistan e/o come base per la destabilizzazione del sudest del vicino Iran. Mentre i talebani, afghani o pakistani, possono girare liberamente in tutto il Baluchistan, i nazionalisti beluci sono intimiditi, perseguitati e uccisi.

Sanaullah, segretario del Partito nazionale del Baluchistan Mengal, ha detto al Dawn che "diversi partiti politici beluci hanno cercato di raccogliere accuse contro [l'ex presidente generale Pervez] Musharraf, ma le istituzioni del paese non hanno la volontà o il coraggio di accettare le nostre richieste contro di lui". Studi dimostrano che la povertà rurale in Baluchistan, quando Musharraf era al potere, è aumentata del 15% tra il 1999 e il 2005.

Sanaullah denuncia fortemente le "élite civili-militari" del Pakistan in quanto implicate nella sistematica repressione in corso in Baluchistan, "Senza il loro consenso, nessun regime politico può disfare la loro politica di continua repressione".

E la sua analisi dei motivi per cui Islamabad ha fatto un accordo con i talebani a Swat, ma non lo farà con i beluci non potrebbe essere più illuminante: "L’establishment del Pakistan è sempre stata a proprio agio con i gruppi religiosi in quanto non contestano l’autorità centrale dell’establishment civile-militare. Le richieste di questi gruppi non sono politiche. Essi non chiedono parità economica. Chiedono un dominio religioso centralizzato che è filosoficamente più vicino alla versione dell’establishment di totalitarismo. Le élite di Islamabad sono testarde contro le genuine richieste dei beluci: governare il Baluchistan, avere la proprietà delle risorse e il controllo sulla sicurezza della provincia".

Quindi, Islamabad ha ancora tutte le carte in regola per distruggere ciò che ha ottenuto con l'approvazione dell’IP. Per il momento, l'Iran, il Pakistan, la Cina e la Russia vincono. La SCO vince. Washington e la NATO perdono, per non parlare dell’Afghanistan (senza tasse di transito). Ma vincerà anche il Baluchistan? In caso contrario si scatenerà l’inferno, dai disperati beluci che saboteranno l'IP all’"interferenza straniera" che li manipolerà per creare un ancor più grande, regionale, palla di fuoco.