giovedì 5 giugno 2008

Un Iraq schiavo perenne degli USA?

Gli USA stanno premendo per far firmare al governo iracheno l’accordo che condannerà l’Iraq a una schiavitù senza fine. Ci riusciranno? Al Sistani si deciderà finalmente a emettere una fatwa contro la firma?


Qui di seguito la traduzione dell’articolo di Cockburn uscito oggi sull’Independent in cui i sospetti di un Iraq ridotto in perenne schiavitù trovano l’ennesima conferma.

Il piano segreto per mantenere l’Iraq sotto il controllo USA
di Patrick Cockburn – The Independent – 5 Giugno 2008

Un accordo segreto in fase di negoziato a Baghdad significherebbe perpetuare l'occupazione militare americana dell'Iraq a tempo indeterminato, indipendentemente dal risultato delle elezioni presidenziali negli Stati Uniti nel mese di novembre.

Le condizioni dell'imminente accordo, i cui dettagli sono trapelati all’Independent, possono avere un effetto politico esplosivo in Iraq. Funzionari iracheni temono che l'accordo, in virtù del quale le truppe degli Stati Uniti occuperebbero basi permanenti, condurrebbero operazioni militari, arresterebbero iracheni e godrebbero di immunità dalle leggi irachene, destabilizzerà la posizione dell'Iraq in Medio Oriente e porrebbe le basi di un conflitto senza fine nel loro paese.

Ma l'accordo rischia anche di provocare una crisi politica negli Stati Uniti. Il Presidente Bush vuole spingere (per firmare) entro la fine del prossimo mese, così da poter dichiarare una vittoria militare e pretendere che la sua invasione del 2003 è stata rivendicata.
Ma perpetuando la presenza americana in Iraq, l’accordo di lungo termine minerebbe le promesse del candidato democratico alla presidenza, Barack Obama, di ritirare le truppe degli Stati Uniti, se sarà eletto presidente nel mese di novembre.

La tempistica dell'accordo darebbe inoltre impulso al candidato repubblicano, John McCain, che ha sostenuto che gli Stati Uniti sono a un passo dalla vittoria in Iraq - una vittoria che a suo dire Obama getterebbe via con un prematuro ritiro militare.
L’America ha attualmente 151.000 truppe in Iraq e, anche dopo il ritiro previsto per il mese prossimo, il livello di truppe resterà a più di 142.000 - 10 000 in più rispetto a quando iniziò l’"aumento" militare nel gennaio 2007.

In base ai termini del nuovo trattato, gli americani manterrebbero l'uso a lungo termine di più di 50 basi in Iraq. I negoziatori americani stanno anche esigendo l’immunità dalle legge irachena per le truppe degli Stati Uniti e i contractors, e una mano libera per effettuare arresti e condurre attività militari in Iraq senza consultare il governo di Baghdad.

La natura esatta delle richieste americane è stata tenuta segreta fino ad ora. Ciò che è trapelato sicuramente genererà un rabbioso contraccolpo in Iraq. "Si tratta di una terribile violazione della nostra sovranità", ha detto uno politico iracheno, aggiungendo che, se l’accordo di sicurezza venisse firmato delegittimerebbe il governo a Baghdad che verrà visto come una pedina americana.

Gli Stati Uniti hanno ripetutamente negato di volere basi permanenti in Iraq, ma una fonte irachena ha detto: "Questo è solo un sotterfugio tattico".
Washington vuole anche il controllo dello spazio aereo iracheno sotto i 29000 piedi e il diritto di esercitare la sua "guerra al terrore" in Iraq, con il potere di arrestare chiunque vuole e di lanciare campagne militari senza consultazioni. Bush è determinato a forzare il governo iracheno a firmare la cosiddetta "alleanza strategica", senza modifiche, entro la fine del prossimo mese.

Ma è già condannata dagli iraniani e molti arabi come un continuo tentativo americano di dominare la regione.
Ali Akbar Hashemi Rafsanjani, il potente e di solito moderato leader iraniano, ha detto ieri che un simile accordo creerebbe "una permanente occupazione". Egli ha aggiunto: "L'essenza di questo accordo è rendere gli iracheni schiavi degli americani."

Si ritiene che il primo ministro iracheno, Nouri al-Maliki, sia personalmente contrario ai termini del nuovo patto, ma pensi che la sua coalizione di governo non possa rimanere al potere senza il sostegno degli Stati Uniti.
L'accordo rischia anche di aggravare la guerra combattuta per procura tra l'Iran e gli Stati Uniti su chi dovrebbe essere più influente in Iraq.

Anche se i ministri iracheni hanno detto che rifiuteranno qualsiasi accordo che limiti la sovranità irachena, gli osservatori politici a Baghdad sospettano che alla fine firmeranno e vorranno semplicemente stabilire le proprie credenziali come difensori ora dell’indipendenza irachena attraverso una dimostrazione di sfida.

L’unico iracheno con l'autorità per fermare l’accordo è il leader spirituale della maggioranza sciita, il grande ayatollah Ali al-Sistani. Nel 2003, ha costretto gli Stati Uniti ad accettare un referendum sulla nuova costituzione irachena e l'elezione di un parlamento.
Ma si dice che egli ritenga che la perdita del sostegno USA indebolirebbe drasticamente gli sciiti iracheni, che hanno conquistato la maggioranza in parlamento alle elezioni nel 2005. Gli Stati Uniti sono assolutamente contrari al fatto che il nuovo accordo di sicurezza venga sottoposto a un referendum in Iraq, ritenendo che non passerebbe.

L’influente religioso sciita Muqtada al-Sadr ha esortato i suoi seguaci a manifestare ogni Venerdì contro l'imminente accordo con la motivazione che esso compromette l’indipendenza irachena.
Il governo iracheno vuole ritardare l'effettiva firma dell 'accordo, ma l'ufficio del vicepresidente Dick Cheney ha cercato di forzare. L’ambasciatore Usa a Baghdad, Ryan Crocker, ha passato settimane cercando di assicurare l'accordo.

La firma di un accordo di sicurezza, e quello parallelo per fornire una base giuridica al mantenimento delle truppe Usa in Iraq, è improbabile che possa essere accettata dalla maggior parte degli iracheni.

Ma i curdi, che costituiscono un quinto della popolazione, probabilmente favorirebbero una continua presenza americana, così come i leader politici arabi sunniti che vogliono le forze americane per diluire il potere della sciiti.
La comunità arabo sunnita, che ha ampiamente sostenuto la guerriglia contro l'occupazione americana, è probabile che si dividerà.


Iraq, L’occupazione infinita
di Ornella Sangiovanni - Osservatorio Iraq - 5 Giugno 2008

I rappresentanti dell’amministrazione Bush e quelli del governo iracheno starebbero attualmente negoziando a Baghdad i termini di un accordo segreto che manterrebbe l’occupazione dell’Iraq senza limiti di tempo, indipendentemente dall’esito delle elezioni presidenziali Usa del novembre prossimo.

La rivelazione arriva dall’Independent, che del piano è riuscito a sapere alcuni dettagli, e ne sottolinea le potenzialità esplosive in Iraq, ma anche il rischio che esso provochi una crisi politica a Washington. Questo perché il presidente Usa George W. Bush starebbe spingendo per concludere il tutto entro fine luglio (come previsto dalla “dichiarazione di principi” da lui firmata assieme al premier iracheno Nuri al Maliki il 26 novembre 2007), in modo da pregiudicare gli impegni presi dal candidato Democratico Barack Obama di ritirare le truppe dall’Iraq nel caso in cui venisse eletto presidente.

E da favorire il candidato Repubblicano John McCain, che ha ripetutamente affermato che gli Stati Uniti stanno per vincere in Iraq – e che il ritiro prematuro delle truppe proposto da Obama impedirebbe di ottenere questa vittoria.
Finora le richieste americane erano state tenute segrete. In base ai termini del nuovo accordo, gli Stati Uniti manterrebbero l’utilizzo a lungo termine di oltre 50 basi in Iraq. Inoltre, Washington vuole l’immunità nei confronti della legge irachena per i propri soldati e i propri contractor, e la libertà di eseguire arresti e condurre operazioni militari nel Paese senza consultare il governo di Baghdad. Oltre al controllo dello spazio aereo iracheno.

Si tratta di richieste destinate certamente a provocare dure reazioni in Iraq, dove l’opposizione a un accordo a lungo termine con gli Usa va rafforzandosi ogni giorno che passa. "E’ una terribile violazione della nostra sovranità", ha detto all’Independent un politico iracheno, che tuttavia ha parlato a condizione di restare anonimo, aggiungendo che se un accordo del genere dovesse essere firmato delegittimerebbe il governo di Baghdad che verrebbe visto dalla popolazione come una pedina americana.

Oltre all’opposizione diffusa all’interno dell’Iraq, l’accordo è già stato condannato da Paesi vicini all’Iraq come un tentativo Usa di dominare la regione. Particolarmente duri sono stati gli attacchi dell’Iran. Dopo quelli arrivati da ambienti vicini all’establishment clericale, anche Ali Akbar Hashemi Rafsanjani, un politico che ha fama di moderato, ieri ha detto che un accordo di questo tipo creerebbe in Iraq “una occupazione permanente". "L’essenza di questo accordo è trasformare gli iracheni in schiavi degli americani", ha dichiarato Rafsanjani senza usare mezzi termini, nel corso di un incontro di personalità musulmane alla Mecca.

Maliki fra l’incudine e il martello

E il Primo Ministro iracheno Nuri al-Maliki? Si ritiene che a livello personale sia contrario ai termini dell’accordo, ma che tuttavia non abbia molta scelta. Perché il governo da lui guidato non durerebbe un giorno se privato dell’appoggio di Washington. Dunque non c’è speranza che a contrastare il patto con gli Usa sia lui, e neppure i suoi ministri, per quanto alcuni abbiano espresso - a parole – il rifiuto di qualunque accordo che limiti la sovranità dell’Iraq, scrive l’Independent, che cita alcuni “osservatori iracheni” secondo i quali alla fine le autorità di Baghdad cederanno.

L’unico che potrebbe bloccare l’accordo, sottolinea il quotidiano britannico è il Grande Ayatollah Ali al Sistani, il leader religioso che ha più influenza fra gli sciiti iracheni – e che già nel 2003 costrinse gli Usa ad accettare che a scrivere la nuova Costituzione fosse un Parlamento uscito da elezioni generali. Sistani finora non si è espresso pubblicamente (il leader religioso molto raramente si pronuncia su questioni politiche), ma si dice che non sia affatto contento, e che sosterrebbe la necessità che un eventuale accordo con gli Usa venga approvato da un referendum popolare.

La stessa richiesta fatta apertamente da Muqtada al Sadr, che ha invitato tutti gli iracheni a protestare in massa ogni venerdì, dopo la preghiera, per fare pressioni sul governo. Invito che è già stato raccolto. Ma il referendum vede l’assoluta contrarietà di Washington, che teme che l’accordo verrebbe bocciato. Fra l’incudine e il martello, il governo di Baghdad, vorrebbe rinviare la firma, ma l’ufficio del vice-presidente Usa Dick Cheney sta facendo di tutto per costringere a concludere il tutto, scrive l’Independent, che aggiunge che l’ambasciatore Usa a Baghdad, Ryan Crocker, sta lavorando da settimane per riuscirci.

Il Parlamento iracheno: nessun accordo senza ritiro delle truppe Usa

Le autorità irachene hanno detto diverse volte che l’accordo a lungo termine con gli Stati Uniti verrà presentato al Parlamento per la ratifica.
E su questo fronte non arrivano buone notizie – per Washington. La maggioranza dei parlamentari iracheni ha infatti scritto una lettera al Congresso Usa nella quale si respinge qualsiasi accordo a lungo termine fra i due Paesi se esso non verrà collegato all’impegno che Washington ritiri le sue truppe.

Alcune parti della lettera sono state rese pubbliche ieri da William Delahunt, deputato Democratico eletto in Massachussets e contrario alla guerra in Iraq."La maggioranza dei parlamentari iracheni rifiuta con forza qualunque accordo militare-di sicurezza, economico, commerciale, agricolo, di investimenti, o politico con gli Stati Uniti che non sia collegato a meccanismi chiari che obblighino le forze militari americane occupanti a ritirarsi completamente dall’Iraq", si legge nella lettera.

A detta di Delahunt, il documento porta la firma di poco più della metà dei deputati iracheni, due dei quali ieri hanno testimoniato di fronte alla sottocommissione della Camera dei Rappresentanti di cui è presidente.“Quali sono le minacce che richiedono la presenza delle forze Usa nel Paese?”, ha chiesto Nadim al-Jabiri, esponente di spicco di Fadhila, un partito sciita nazionalista di ispirazione ‘sadrista’. “Vorrei informarvi che non c’è nessuna minaccia in Iraq. Siamo capaci di risolvere i nostri problemi”.

Al-Jabiri ha sottolineato che “il governo iracheno attualmente non ha ancora il pieno controllo della propria sovranità a causa delle migliaia di truppe straniere che sono sul suo territorio”, e forse “non ha ancora strumenti sufficienti per gestire i suoi affari interni”.“Pertanto, chiedo al governo americano di non mettere in imbarazzo il governo iracheno mettendolo in una situazione difficile con questo accordo”, ha concluso il deputato sciita.

Khalaf al-Ulayyan, sunnita e leader del National Dialogue Council, che delle tre formazioni che compongono l’Iraqi Accord Front, la maggiore coalizione sunnita rappresentata in Parlamento, è quella decisamente contraria all’occupazione, ha detto ai membri del Congresso che qualunque trattativa fra Stati Uniti e Iraq per un accordo in materia di sicurezza deve essere sospesa finché le truppe Usa non si saranno ritirate. E finché a Washington non ci sarà un nuovo governo.