lunedì 11 maggio 2009

Il Libano a un mese dalle elezioni politiche

Il 7 Giugno si voterà in Libano per il rinnovo del Parlamento e si preannuncia una vittoria di Hezbollah.

Qui di seguito un aggiornamento della situazione libanese a poco meno di un mese da queste elezioni, fondamentali per il prossimo futuro dell'area mediorentale.


Scoperte e arrestate in Libano "spie dormienti" di Israele

da Peacereporter - 11 Maggio 2009

Le forze di sicurezza libanesi fanno sapere di avere arrestato alcune cellule dormienti di spie che operavano per conto di Israele, in alcuni casi anche da 15 anni.

Scopo delle spie era quello di controllare le attività di Hezbollah, in particolare dopo l'offensiva dell'estate 2006, quando i servizi di intelligence israeliani si resero conto di non avere informazioni dettagliate che gli permettessero di colpire ed eliminare la leadership del partito di Dio. Secondo fonti libaesi, le spie scoperte avrebbero intensificato le loro attività a partire dal gennaio 2009, e nel farlo avrebbero lascitato tracce che hanno permesso di risalire a loro.

Gli arresti, avviati da segnalazioni giunte proprio da Hezbollah, sono iniziati con quello di un ufficiale della sicurezza in congedo, Adib al-Aalam, che insieme alla moglie e a un nipote hanno ammesso di avere spiato per Israele per 15 anni. Da allora altre 14 sospette spie sono state arrestate. Secondo le accuse, gli informatori, tra cui anche un palestinese, utilizzavano sofisticate tecnologie di trasmissione e ricezione che avevano imparato a usare in campi di addestramento in Israele, dove erano giutni passando per paesi terzi. Ora il gruppo verrà processato, e rischia di essere accusato di alto tradimento, imputazione che potrebbe portare alla pena capitale.


L'ombra di Dick Cheney sull'omicidio Hariri

di Simone Santini - www.clarissa.it - 10 Maggio 2009

Il 14 febbraio del 2005, il miliardario ed ex primo ministro libanese Rafic Hariri veniva ucciso a Beirut da una autobomba ad altissimo potenziale e con sofisticate componenti elettroniche in grado di eludere le contromisure anti-attentato di cui era dotata la scorta di Hariri. Apparve subito chiaro che dietro l'atto terroristico doveva nascondersi l'attività dei servizi segreti di qualche paese, unici in grado di concepire e portare a termine un complotto con quel grado di difficoltà e raffinatezza.

Il dito fu puntato contro la Siria che occupava militarmente il Paese dei Cedri e sotto il cui protettorato vigeva una fragile tregua tra le varie fazioni che hanno insanguinato il martoriato paese negli ultimi decenni. L'Onu decideva l'istituzione di un Tribunale speciale per il Libano col compito prioritario di appurare le responsabilità dell'omicidio Hariri. Il primo responsabile della commissione d'inchiesta del Tribunale, il tedesco Detlev Mehlis, sostenne di avere prove e testimonianze del coinvolgimento della Siria nell'attentato ed ordinava nell'agosto del 2005 l'arresto dei vertici delle forze armate libanesi, compromesse con Damasco.

Sotto la spinta della comunità internazionale occidentale e dei partiti libanesi anti-siriani (di cui Hariri era uno dei massimi esponenti) la Siria, benché reclamasse la propria totale estraneità, decise di ritirare le sue truppe. Da quel momento il Libano ha rischiato più volte di sprofondare nel caos della guerra civile, ed Hezbollah, partito sciita e filo-iraniano che governa de facto la parte meridionale, ha affrontato e respinto l'invasione di Israele nell'estate del 2006.

Fin da subito molti analisti rilevarono che Damasco non avrebbe avuto nessun vantaggio strategico dall'omicidio di Hariri, e che, al contrario, ne aveva subito le maggiori conseguenze. L'impianto accusatorio di Mehlis non resse alle successive verifiche. Le prove si rivelarono infatti inconsistenti ed alcuni testimoni chiave risultarono del tutto inattendibili. Lo scorso 29 aprile il colpo di scena.
Il giudice Daniel Bellemare del Tribunale dell'Onu, che aveva nel frattempo sostituito Detlev Mehlis, ha chiesto la scarcerazione dei generali libanesi arrestati nel 2005 e finora incarcerati senza alcuna garanzia di difesa e contro cui le accuse erano ormai decadute.

Mustafa Hamdane, ex capo della guardia presidenziale, Jamil Sayed, direttore generale della sicurezza, Ali Haji, capo delle forze di sicurezza interna, e Raymond Azar, capo dei servizi segreti militari, sono stati rimessi in libertà. Con questo atto il Tribunale ha di fatto chiuso la pista siriana per l'omicidio Hariri.

A chi attribuire, dunque, le responsabilità dell'attentato?

Alcune rivelazioni giornalistiche aprono nuovi scenari. Recentemente il decano del giornalismo d'inchiesta americano, Seymour Hersh, ha denunciato l'esistenza di un gruppo operativo attivo durante l'Amministrazione Bush e sotto il controllo diretto del vice-presidente Dick Cheney, del consigliere del presidente Karl Rove, e del responsabile per la sicurezza nazionale Eliott Abrams. Tale gruppo, composto da reparti di elite per le operazioni speciali sotto copertura, sarebbe stato utilizzato come un autentico "squadrone della morte" per l'eliminazione di personalità politiche scomode in varie parti del mondo. Le rivelazioni di Hersh hanno spinto il deputato democratico e già candidato alla presidenza, Dennis Kuchinich, a chiedere al Congresso americano l'apertura di una inchiesta.

Sulla base di tali rivelazioni, un altro giornalista investigativo, Wayne Madsen, noto per i suoi agganci nei servizi informativi americani, durante una intervista al canale televisivo Russia Today ha rivelato di aver raccolto presso numerose fonti la conferma dell'esistenza della struttura segreta e dei suoi collegamenti con una analoga struttura israeliana. Secondo Madsen la squadra controllata da Cheney sarebbe implicata nell'omicidio Hariri e, anzi, l'ordine sarebbe partito proprio dal vice-presidente.

In passato altri autorevoli giornalisti avevano parlato dell'esistenza di una tale struttura. Bob Wodward (noto per aver scoperto lo scandalo Watergate) ne aveva scritto sul Washington Post fin dal 2002, mentre più recentemente il New York Times ha riportato la notizia dell'esistenza di un "Comando congiunto di operazioni speciali" privo del controllo del ministero della Difesa, dei vertici delle Forze armate, e senza supervisione del Congresso, ma che faceva capo direttamente a Cheney.

Secondo Hersh nulla di nuovo sotto il sole. Negli anni '80, con l'Amministrazione Reagan-Bush, Cheney (allora funzionario della Sicurezza Nazionale) ed Eliott Abrams (quando era responsabile del Dipartimento di Stato per l'America Latina) avevano già lavorato insieme nell'organizzazione Iran-Contras-connection e nella creazione degli "squadroni della morte" attivi in America centrale con compiti anti-insurrezionali.


Libano: A un mese dal voto, cresce il timore di nuove violenze
di Claudio Accheri - www.osservatorioiraq.it - 8 Maggio 2009

Un anno dopo gli scontri che portarono il Libano sull’orlo di una nuova guerra civile, e a un mese dalle elezioni legislative, molti libanesi temono una ripresa delle violenze.

“Gli eventi dello scorso maggio sono ancora presenti nella memoria della gente”, spiega all’Agence France Presse Paul Salem, direttore del centro Carnegie per il Medio Oriente, secondo cui il colpo di mano compiuto allora da Hezbollah nei quartieri a maggioranza sunnita di Beirut potrebbe influenzare il risultato delle prossime elezioni legislative.

“La gente non sarà costretta al voto sotto la minaccia delle armi del partito di Dio”, tuttavia il ricordo del 2008, fortemente presente nella memoria della gente, potrebbe influenzare in maniera determinante il risultato delle elezioni.

Lo scorso maggio le violenze esplosero quando il governo libanese ordinò la chiusura della rete di telecomunicazioni gestita da Hezbollah e impose l’allontanamento del capo della sicurezza dell’aeroporto della capitale.

Il premier Siniora identificò la rete telefonica del partito sciita come “illegale” e una “violazione alla sovranità dello Stato”, oltre che uno strumento in cui confluivano alcune sospette organizzazioni iraniane.

Oltre alla chiusura dell’apparato comunicativo, il governo si prodigò per la rimozione di Wafiq Shuqeir, allora responsabile della sicurezza dell'aeroporto di Beirut, con l’accusa di collaborazione con Hezbollah.

Il partito di Dio, infatti, era indagato per aver installato un sistema di videosorveglianza autonomo nell’aeroporto, un metodo che avrebbe permesso al gruppo militarizzato di monitorare il traffico in entrata e in uscita dal Paese dei cedri.

Le mosse del governo portarono a violenti scontri che costarono decine di vite umane, prima che un accordo tra le due parti - firmato a Doha grazie alla mediazione del Qatar - fermasse la crisi politica e portasse alla creazione di un governo di unità nazionale in cui Hezbollah ottenne diritto di veto.

Oggi, gli abitanti di Beirut parlano di una situazione relativamente stabile; tuttavia sono in tanti a temere ciò che potrebbe accadere nel periodo post-elettorale.

“Sono sorpreso dal fatto che tutti continuino a parlare di una situazione tranquilla”, ha detto Ali Saad, proprietario di una caffetteria nelle vie di Hamra, una zona in cui hanno avuto luogo alcuni degli scontri nel 2008. "La situazione nelle strade è tranquilla, ma la tensione c'è, e la gente ha paura… Dio ci protegge, ma chissà cosa ci riserva il dopo elezioni".

Il prossimo 7 giugno il Libano si troverà di fronte ad una scelta, dare il proprio consenso ai partiti del “14 marzo”, guidati da Saad Hariri (figlio del premier sunnita ucciso nell’attentato del san Valentino 2005) e appoggiati dalle potenze occidentali, o sostenere i partiti della coalizione filo-siriana, “8 marzo”, guidati da Hezbollah.

Alcuni analisti scartano l’ipotesi di una ripresa delle violenze in Libano. Dopo gli scontri visti nel mese di maggio 2008, infatti, sono palesi i rischi che potrebbe comportare una deriva violenta del dialogo politico.

Fawaz Traboulsi, professore di Scienze politiche presso l'Università americana di Beirut ha dichiarato che "senza essere cinici, si può affermare che il risultato degli scontri fu l’eliminazione degli avversari del partito militare Hezbollah. Non credo che ci si trovi di fronte a nuovi conflitti militari a lungo termine, come un guerra civile; per ora, la paura è più psicologica che reale”.

Traboulsi tuttavia non scarta la possibilità che possano avere luogo nuovi omicidi simili a quello del 2005, che coinvolse l’ex primo ministro Rafik Hariri. Secondo l’analista, infatti, “gli omicidi continuano ad essere una possibilità anche nel Libano di oggi".


Scenari libanesi: al voto si prevede il trionfo Hezbollah
da Il Corriere della Sera - 7 Maggio 2009

Il Libano, Paese sempre più specchio delle tensioni che percorrono il Medio Oriente. Teatro dello scontro tra laici e religiosi, delle frizioni etniche, della contesa sciita-sunnita, soprattutto vittima delle interferenze regionali e internazionali. A un mese dalle elezioni (previste per il 7 giugno) Rami Khouri annuncia come “molto possibile” una “vittoria di misura” dell'Hezbollah (il “Partito di Dio” sciita e pro-iraniano), che però “avrà bisogno di patteggiare un compromesso con l'opposizione sunnita-cristiana per poter governare in modo effettivo”.

Ospite ieri pomeriggio della Fondazione Corriere della Sera, Khouri - intervistato dall'inviato Lorenzo Cremonesi - ha sottolineato la centralità di questo piccolo Stato incapace di esprimere una vera identità condivisa dalle sue 17 tra etnie e confessioni religiose, eppure tutt'ora in grado di produrre “i media più liberi del mondo arabo e la classe intellettuale più disinibita”. “Era vero negli anni sessanta e resta valido tutt'ora: i nostri giornali e televisioni sono i più interessanti, pubblicano le opinioni più contraddittorie e disparate. Nel mondo arabo in generale i media sono censurati, controllati. Anche se va specificato che i nostri sono media di parte, liberi solo perché lo Stato centrale è debole, in molti casi inesistente”.

Lui, palestinese cristiano la cui famiglia originaria è di Nazareth, nella Galilea israeliana, però nato nel 1948 a New York e vissuto a lungo ad Amman (dove ha diretto il quotidiano in lingua inglese Jordan Times), dal 2002 vive a Beirut dove è stato direttore del quotidiano Daily Star. Oggi è commentatore e docente universitario. La sua formazione liberale e la frequentazione delle più importanti accademie americane non lo rendono tuttavia troppo preoccupato per l'eventualità della vittoria dei filo-iraniani.

Osserva: “L'Hezbollah va capito nella sua lunga storia, che risale alle richieste di maggior rappresentatività da parte della componente sciita tra la nostra popolazione sin dagli anni sessanta. Sono stati un importante movimento sociale, che solo di recente si è trasformato in partito politico ed è capace di grande pragmatismo, più di quanto in genere non si creda in Occidente. La questione di Israele? È vero, Hezbollah ne rifiuta il riconoscimento di principio, ma in effetti è pronto a negoziare direttamente su questioni concrete ed è aperto in realtà alla coesistenza”.



Libano: si sgonfia il "teorema siriano" dell'omicidio Hariri
di Dagoberto Husayn Bellucci- www.ariannaeditrice.it - 8 Maggio 2009

A sessanta giorni dalla sua istituzione, a L'Aja in Olanda, il Tribunale Speciale per il Libano (TSL) ha emesso il primo verdetto: assoluzione e conseguente rilascio "per mancanza di prove" per i quattro generali libanesi accusati di essere i principali responsabili del complotto , imputato immediatamente alla vicina Siria, dell'attentato che costò la vita all'ex primo ministro libanese Rafiq Hariri nel giorno di San Valentino di quattro anni fa.

Hariri, come si ricorderà, perse la vita assieme ad una ventina dei suoi uomini della scorta quando , al passaggio della sua vettura, una potente esplosione devastò la zona adiacente al lungomare di Marina nei cuore della capitale libanese Beirut.

Il TSL , organismo sovranazionale creato ad hoc per giudicare gli eventuali colpevoli della lunga indagine che da quattro anni ha paralizzato e diviso la politica libanese, ha dunque pronunciato la sua sentenza: assoluzione per tutti. I quattro generali libanesi , all'epoca responsabili dei principali organismi di controllo e vigilanza dei servizi civili e militari, sono stati infine scarcerati dopo quattro anni di detenzione disposta dalle autorità di Beirut per paura di "inquinamento delle prove" e, peraltro, senza alcuna formale incriminazione a loro carico. Prove che, alla luce delle recenti indiscrezioni di stampa e da numerose autorità giudiziarie locali, sono state ritenute insufficienti per costituire un elemento probatorio e aprire una parentesi giudiziaria internazionale che era quanto richiesto, da tempo, dai partiti della maggioranza filo-occidentale al potere.

I quattro ufficiali libanesi sono dunque liberi: le porte del carcere si sono aperte per Mustafa Hamdan, ex capo della Guardia Repubblicana, per Jamil Sayyed, ex direttore generale della sicurezza, Alì Hajj ,all'epoca responsabile delle forze di sicurezza del Ministero degli Interni e per l'ex capo dei servizi di sicurezza dell'esercito Raymond Azar. Un verdetto che lascia con un pugno di mosche i tanti fautori della giustizia-politicizzata in salsa libanese e tutto il fronte filo-occidentale dei partiti del 14 marzo che si raccolgono attorno al figlio dell'ex premier, Sa'ad Hariri, e al suo movimento "Corrente Futura".

Il "fronte di Bristol" (dal nome dell'hotel libanese nel quale nacque l'alleanza tra la famiglia Hariri i falangisti di Gemayel, le Forze Libanesi di Samir Geagea e i socialprogressisti del druso Jumblatt) accusa il colpo e si rende perfettamente conto che questo verdetto inciderà ulteriormente sulla campagna elettorale in corso che, per il 7 giugno prossimo, dovrebbe sancire
una vittoria per i partiti dell'opposizione nazionale diretti da Hizb'Allah e dalla Corrente Patriottica Nazionale del Gen. Michel Aoun.

Un verdetto che sostanzialmente rimette in discussione soprattutto l'intero sistema giudiziario libanese da un lato e i meccanismi e l'unilateralità con la quale è stata , fin dall'inizio, condotta l'inchiesta da parte delle autorità di Beirut e da quelle internazionali. L'assassinio di Hariri inequivocabilmente ha segnato uno spartiacque fondamentale nella recente storia del paese dei
cedri considerando che dopo quella tragedia in Libano si iniziò a sviluppare una trama politica-istituzionale tesa a favorire la destabilizzazione attraverso la discesa in campo di forze eterodirette da Washington e da molti paesi europei interessati al disarmo della Resistenza (Hizb'Allah) e alla cacciata del contingente siriano dal territorio libanese.

La risoluzione Onu 1559 dell'ottobre 2004 che richiedeva questa "normalizzazione" in senso "democratico" fu semplicemente il preludio all'assassinio di Hariri, alla successiva stagione delle autobombe nella capitale, alla costituzione di un movimento popolare finanziato da "occulti" ma
ben identificabili ambienti , vicinissimi all'ambasciata Usa a Awqar, che immediatamente richiese a gran voce - con manifestazioni di piazza e tendopoli rumoreggianti - il ritiro siriano dal paese: obiettivo raggiunto quando il presidente Bashar el Assad decretò il rientro del suo contingente dopo quasi un trentennio di permanenza delle truppe di Damasco sul territorio del vicino Stato libanese.

La Siria, in quel momento particolarmente vulnerabile e suscettibile delle reazioni della cosiddetta "comunità internazionale" (organismo inesistente che 'risiede' al Palazzo di Vetro e che viene comunemente evocato, alla stregua di un fantasma vendicativo, da ambienti lobbistici e diplomatici collegati all'amministrazione statunitense) accettò suo malgrado il ritiro del suo contingente da un paese che, all'epoca del conflitto civile (nella seconda metà dei settanta), aveva urgentemente invocato l'aiuto di Damasco.

Da allora i rapporti tra l'esecutivo libanese - rappresentante una maggioranza filo-occidentale ostile a Damasco - e quello siriano sono andati deteriorandosi mettendo a repentaglio il patto di mutua assistenza e cooperazione sancito tra le due nazioni arabe e creando i presupposti per una spaccatura profonda in seno alla società e alla politica libanese con la costituzione di due fronti contrapposti.

La "primavera sionista" di Beirut - che porterà i movimenti della maggioranza harirista-falangista a occupare stabilmente il centro della capitale per circa cento giorni dal febbraio al maggio 2005 - che nelle intenzioni dei suoi fautori doveva rappresentare niente più che una riedizione in salsa libanese delle "rivoluzioni arancioni" già viste all'opera in Yugoslavia, Ucraina e Georgia sperimenterà invece il pragmatismo, l'alto senso di responsabilità e la 'tenuta' politica di Hizb'Allah e dei suoi alleati.

Il partito sciita di Sayyed Hassan Nasrallah, immediatamente additato quale possibile "esecutore" dell'attentato e sul quale peseranno per svariate settimane i sospetti della stampa filo-americana di mezzo pianeta, raccogliendo la sfida chiamerà a raccolta i suoi sostenitori con una grande adunata oceanica, nel cuore della capitale in piazza Riad el Sohl, l'8 marzo 2005 ribadendo la sua posizione di solidarietà all'alleato siriano e ringraziando pubblicamente Hafez el Assad ed il suo successore Bashar e puntando l'indice contro il nemico sionista.

A distanza di quattro anni i nodi incominciano a venire, come si sul dire, al 'pettine': la montatura giudiziaria che avrebbe dovuto rappresentare l'atto d'accusa determinante a minare la stabilità della Siria è caduta a pezzi, lacerando lo stesso sistema della magistratura libanese che si è inchinato ai diktat di Washington seguendo una serie di piste prestabilite dagli interessi
della politica specialmente di quella dell'amministrazione Bush che aveva previsto per il paese dei cedri una svolta radicale che doveva portare al disarmo di Hizb'Allah e alla sua normalizzazione in senso filo-occidentale.

Nè i piani strategici delle diverse fondazioni e dei centri studi strategici dei falchi dell'amministrazione (si ricorda quì il "Middle East Project" della Rand Corporation che delineava un "nuovo e grande Medio Oriente" 'democratizzato' manu militari da Washington) nè il successivo intervento bellico dell'alleato sionista - al quale l'amministrazione Bush darà il suo 'disco verde' per perpetrare stragi inaudite di innocenti causando la morte di oltre 1400 civili e il ferimento di altre 3500 persone in quell'estate 'torrida' di tre anni or sono - riusciranno a ottenere l'obiettivo previsto: Hizb'Allah e la Resistenza Islamica risponderanno colpo su colpo, senza indietreggiare nè concedere un millimetro, sia ai complotti politico-diplomatici sia all'aggressione israeliana capitalizzando una vittoria su tutti i fronti con la discesa in piazza di oltre due milioni di libanesi che risponderanno all'appello dell'Opposizione Nazionale, eterogenea e multicolorata alleanza di partiti nazionalisti che si stringeranno dopo la guerra al fianco degli uomini di Nasrallah per difendere la sovranità nazionale e territoriale del paese dei cedri.

Ora Hizb'Allah ed i suoi alleati chiedono il 'conto' com'è ovvio che sia: il partito sciita libanese all'indomani della sentenza assolutoria per i quattro generali ha intensificato i suoi attacchi contro il sistema giudiziario criticando la detenzione arbitraria al quale sono stati sottoposti
ingiustamente i quattro ufficiali e sostenendo che questa barbarie deve assolutamente finire. Un presidio di protesta davanti alla sede del Ministero della Giustizia di Beirut sarebbe fra gli strumenti che Hizb'Allah intenderebbe adottare per fare pressioni in questo senso ed invitare il procuratore generale Said Mirza alle dimissioni assieme al magistrato inquirente del caso Hariri,
dr. Saqr Saqr , ritenuti "irresponsabili" per aver messo a repentaglio la sovranità giuridica del paese.

Il rischio infatti che il TSL fosse utilizzato come una specie di "spada di Damocle" contro la sovranità nazionale libanese, con l'eventualità di processi più o meno sommari all'intera classe dirigente ritenuta (a torto o a ragione) favorevole a Damasco e al "vecchio ordine" politico precedente il ritiro siriano dal paese, era altissimo: da sempre Hizb'Allah ed i suoi alleati hanno
messo in allerta le fazioni filo-occidentali che si stava barattando ignobilmente la sovranità giuridica nazionale in cambio di evidenti aiuti politici e diplomatici a sostegno della causa anti-nazionale e di piani destabilizzatori di provenienza atlantico-sionista.

Al riguardo significativa fu la pressochè assoluta "quarantena" politica ed istituzionale al quale è stato sottoposto l'ex Capo dello Stato, il Presidente filo-siriano Emile Lahoud, per due anni (da quel febbraio 2005 alla fine del mandato con le dimissioni nel novembre 2007) sorta di "appestato politico" per le delegazioni diplomatiche occidentali che - nel recarsi in visita a Beirut -
evitavano pacificamente di far visita al palazzo presidenziale di Ba'abda per "presunte" collusioni nell'affaire Hariri.

Lahoud, fautore dell'alleanza con il vicino siriano e sostenitore a spada tratta del diritto inalienabile della Resistenza Islamica di difendere i confini meridionali del paese da sempre minacciati dall'entità criminale sionista che continua ad occupare parti di territorio libanese - le fattorie di She'eba, Kfar Shouba e il villaggio di Ghajar -, pur continuando a mantenere
la carica presidenziale venne, de facto, eliminato dai processi decisionali della vita istituzionale del paese che passarono , di colpo, nelle mani dell'esecutivo Siniora auto-proclamatosi sola istituzione legittimamente eletta e democraticamente funzionante del Libano.

Una situazione che paralizzò il paese dei cedri fino alla svolta della scorsa primavera quando Hizb'Allah ed i suoi alleati 'ripulirono' manu militari le regioni druse dello Chuf e occuparono per settantadue ore la capitale prendendo d'assedio i principali punti nevralgici di Beirut, presidiandone le zone a maggioranza sunnita e isolando e oscurando la televisione "Future Tv" della famiglia Hariri. Quel 'blitz' militare, seguente ad un'ennesimo attacco condotto dai sostenitori della maggioranza filo-occidentale responsabili della morte di una ventina di simpatizzanti sciiti nella zona compresa tra il quartiere sciita di Musharrafiyeh e quella cristiana di Mar Michail , oltre a rappresentare perfettamente il reale rapporto di forza esistente sul campo fra i due schieramenti risolse anche la questione dell'elezione alla presidenza
della Repubblica del sostituto di Lahoud con l'avvento dell'era Souleiman quale Capo di Stato del paese dei cedri.

Hizb'Allah adesso intende premere sui principali organismi della magistratura libanese per accertare omissioni e responsabilità e soprattutto per ottenere finalmente risposte sul crimine Hariri. La verità (al haqiqah) che da oltre 1500 giorni chiedono insistentemente i partigiani hariristi sull'omicidio dell'ex premier è a portata di mano se soltanto si volessero tenere in
considerazione altre piste fra le quali quella maggiormente accreditata presso i partiti dell'Opposizione che porta inevitabilmente a responsabilità israeliane e ad un intervento diretto dei servizio sionisti del Mossad non nuovi a questi colpi a freddo in terre arabe.

La protesta che potrebbe essere convocata come presidio permanente dal Partito di Dio mira a contestare sia la detenzione arbitraria dei quattro ufficiali pro-siriani sia i metodi di inchiesta che, a tutt'oggi, non hanno portato ad alcun accertamento nè dei fatti nè di eventuali responsabili tantomeno dei mandanti rimasti occulti.

Analoga richiesta di verità è quella che proviene da Damasco dove il presidente siriano, Bashar el Assad, si è dichiarato impaziente di conoscere quale sarà il verdetto del TSL sull'assassinio dell'ex premier Hariri e sulla strategia della tensione che colpì il vicino paese dei cedri nella primavera di
quattro anni fa. "Sapere chi ha commesso questo crimine - ha commentato Assad - sarà molto importante per la Siria" perchè , sempre secondo quanto sostenuto dal Capo di Stato siriano, "quando questa vicenda sarà infine chiarita noi ne saremo felici e soddisfatti".

La Siria ed i suoi alleati dunque alla resa dei conti: chi ha voluto la morte di Hariri aveva tutto l'interesse ad eliminare l'uomo che, più di ogni altro, aveva ridato speranze e stabilità al paese dei cedri fuoriuscito a pezzi nel 1990 dalla lunga guerra civile e dall'occupazione sionista del Sud (durata dal 1982 fino alla primavera 2000). Hariri stava riportando stabilità economica e
sicurezza ai libanesi e soprattutto cominciava ad essere un personaggio scomodo per chi - nelle alte sfere della politica mondiale - aveva predisposto per il Libano una destabilizzazione sul modello iracheno funzionale alle strategie del divide et impera dell'amministrazione Bush e della superpotenza a stelle e strisce.

Entrato nel mirino dei fautori dello scontro tra le civiltà il paese dei cedri , con le sue oltre venticinque confessioni religiose e con i suoi dissidi interni , con gli inevitabili strascichi della recente guerra civile e l'odio che covava sotto un'apparente normalizzazione - ottenuta manu militari da Damasco attraverso gli accordi di Taif sottoscritti da tutti i partiti e le
fazioni libanesi nell'autunno 1990 in Arabia Saudita - si prestava magnificamente per lo scatenamento di una faida interconfessionale ed inter-etnica , un tutti contro tutti generalizzato come nel vicino Iraq - e per la creazione di zone "franche" da adibire eventualmente a possibili basi americane o Nato.

Teorizzazioni neoconservatrici, sogni sionisti e utopie dell'amministrazione Bush (in particolar modo dell'ex segretario di Stato Condoleeza Rice fautrice di questi programmi bellico-destabilizzanti) che cozzeranno contro la diga libanese rappresentata da Hizb'Allah e dalla sua irriducibile resistenza contro i nemici interni ed esterni, contro i complotti politici e le aggressioni
militari.

L'assoluzione dei quattro generali decretata dal TSL a L'Aja rimetterà in discussione inoltre non soltanto il sistema giudiziario libanese e la sua politicizzazione filo-occidentale ma anche avrà ricadute inevitabili sull'applicazione disinvolta del cosiddetto diritto internazionale ovvero sul
tribunale delle Nazioni Unite che già, lo scorso febbraio, si è reso responsabile della condanna in contumacia di un Capo di Stato in carica nella persona di Omar Hassan el Bashir , presidente del Sudan, accusato di "genocidio e crimini di guerra" nel Darfur e per questo sottoposto ad un mandato d'arresto internazionale decretato dalla Corte Penale Internazionale.

Uno strumento quello del mandato d'arresto internazionale molto pericoloso, grimaldello giudiziario utilizzabile in qualsiasi momento ed in qualunque contesto contro regimi indesiderati da quelle nazioni - Stati Uniti su tutte - che in sede di Nazioni Unite hanno un peso specifico considerevole influenzando il voto di molti rappresentanti dei paesi più poveri, dell'Africa, dell'Asia e dell'America Latina durante le riunioni del Consiglio di Sicurezza al Palazzo di Vetro.

Il caso "al Bashir" che ha fatto gridare allo scandalo numerosi paesi del cosiddetto Terzo Mondo è infatti emblematico di come strumentale potrà diventare l'uso della giustizia sovra-nazionale che intendesse modificare lo status quo e gli assetti di potere interni ai singoli Stati membri dell'Onu.
L'Unamid - la missione militare congiunta dell'Onu e dell'Unione Africana in Sudan - annunciarono immediatamente dopo condanna e la richiesta di arresto contro il presidente sudanese la sospensione delle loro attività nel paese africano e , ricordiamolo, manifestazioni popolari di protesta contro questa decisione Onu inondarono le strade della capitale Khartoum.

L'eventualità di un 'replay' del "caso Sudan" in Libano era fortissima un paio di mesi or sono quando , a L'Aja, venne decisa l'apertura del TSL. Ora questa decisione di mandare assolti i quattro ufficiali imputati oltre a confermare lacune, ritardi, disfunzioni nel sistema giudiziario libanese ha dimostrato tutta la fragilità dello stesso tribunale penale internazionale
dell'Onu presieduto dall'italiano Antonio Cassese e della commissione d'indagine diretta dal belga Serge Brammertz il quale oramai da tre anni abbondanti continua a far la spola da Bruxelles a Beirut in cerca di prove inesistenti.

Questa metodologia operativa degli strumenti giudiziari dell'Onu hanno messo in cattiva luce le istituzioni internazionali operanti in Libano nel dopo-Hariri. L'inchiesta sull'attentato non ha portato ad alcun valido accertamento della verità , si è perso tempo dietro un'improbabile "pista siriana" evitando accuratamente di puntare altrove i riflettori dell'indagine e provocando
politicamente una ricaduta sull'intera società libanese. Chiunque in Libano, fino a qualche mese or sono, provasse a mettere in discussione l'attendibilità del filone principale d'indagine, chi osava mettere in dubbio la paternità siriana della strage di San Valentino era immediatamente accusato di dietrologia, complottismo e sentimenti filo-siriani. Come hanno sottolineato
anche diversi osservatori libanesi si applicava la pratica del dubbio mistificata alla cultura del sospetto.

Se di verità si vuol realmente parlare e se di questa si volesse accertare mandanti ed esecutori dell'assassinio Hariri si smetta una buona volta di puntare l'indice contro Damasco e si provi a guardare più a sud, oltre il confine meridionale, all'entità criminale sionista.
In una Beirut che attende sostanzialmente indifferente l'esito delle prossime elezioni legislative qualunque interferenza straniera rischierebbe di pregiudicare non soltanto l'esito del voto ma il futuro stesso del paese dei cedri sempre più sotto i riflettori della politica mondiale, nuovamente arena privilegiata del contenzioso fra i fautori di un Nuovo Ordine Mondiale ed i loro oppositori.

In vista delle prossime consultazioni elettorali del 7 giugno anche questa decisione del TSL peserà come un macigno influenzando quei settori della popolazione libanese ancora indecisi ed incerti. L'obiettivo delle trame atlantico-sionista fino ad oggi rimane quello di bloccare l'ascesa di
Hizb'Allah e una vittoria delle forze dell'Opposizione Nazionale. I settori dell'amministrazione statunitense - di recente si segnala anche la visita a Beirut del nuovo Segretario di Stato signora Hillary Clinton che ha rassicurato il premier Siniora e la maggioranza filo-occidentale del sostegno Usa - preoccupati da una vittoria del Partito di Dio potrebbero giocare qualunque
carta nell'ultimo mese di campagna elettorale. Intanto l'ex segretario di Stato, Madeleine Albright (di cui si ricordano quì le origini ebraiche), è giunta lo scorso 5 maggio nella capitale libanese a capo di una missione di osservatori internazionale che avrà la responsabilità di monitorare le elezioni.

La Albright ricopre attualmente la carica di responsabile del National Democratic Institute (NDI) o.n.g. statunitense che sostiene "il rafforzamento delle istituzioni democratiche nel mondo". Questa organizzazione mondialista è stata accreditata dal Ministero degli Interni di Beirut - saldamente in mano ai filo-occidentali del 14 marzo - per svolgere attività di supervisione del processo elettorale in vista dell'appuntamento del 7 giugno prossimo.

Anche questa mossa americana rappresenta inequivocabilmente un'intromissione negli affari interni di una nazione sovrana. Il Libano dunque resta al centro delle attenzioni della politica internazionale e delle strategie di destabilizzazione dei Centri Studi Strategici "made in Usa".

Un mese di tempo per sapere infine la risposta alla domanda principale che occupa le pagine dei principali quotidiani arabi: riuscirà la diplomazia internazionale, l'amministrazione statunitense, il fronte filo-atlantico interno a bloccare la vittoria abbondantemente preannunciata ed attesa di
Hizb'Allah?

E' un interrogativo che preoccupa i piani alti della politica mondiale e non lascia dormire sogni tranquilli ai Signori del Potere degli organismi sovranazionali e delle centrali di disinformazione mondialiste dei quattro angoli del pianeta...l'incubo potrebbe materializzarsi dalle urne elettorali
del prossimo 7 giugno...

Il Libano, una volta di più, come laboratorio politico privilegiato per gli apprendisti stregoni del Sistema di normalizzazione democratica e mondialista.