lunedì 22 febbraio 2010

Al Qaeda e servizi segreti, fantasia e realtà

Qui di seguito alcuni articoli ben esplicativi dell'inesistenza della fantomatica Al Qaeda da un lato e della realtà dei veri lavori sporchi commessi dai servizi segreti dall'altro, come ad esempio il recente omicidio a Dubai di uno dei leader militari di Hamas ad opera del Mossad o il caso della cosiddetta Mutanda Esplosiva del volo Amsterdam-Detroit, il cui protagonista è stato fatto imbarcare apposta su quell'aereo, nonostante fosse sulla no-fly list in Gran Bretagna già da qualche anno.

Fantasia e realtà che si specchiano e s'intrecciano di continuo a spese delle libertà della popolazione mondiale costretta anche di tanto in tanto a ricordarsi di dover vivere in quella bolla di terrore propagandata dai mainstream media mondiali.


Un ex capo degli 007 francesi demolisce il mito del pericolo Bin Laden
di Pino Cabras - Megachip - 22 Febbraio 2010
Testo trascritto da Arno Mansouri, direttore delle Editions Demi-Lune per ReOpen911.
Traduzione per Megachip a cura di Emanuela Waldis e Pino Cabras.

«Al-Qa'ida è morta», ormai da molti anni. Lo afferma Alain Chouet, l'uomo che ha modellato l'antiterrorismo francese ai vertici dei servizi segreti d'Oltralpe proprio negli anni cruciali in cui Washington e Londra costruivano invece i miti e gli spauracchi alla base della Guerra Infinita. Il documento è davvero clamoroso, nasce da un'audizione al Senato francese, e lo trascriviamo per intero (vedi anche il VIDEO).

Nelle parole di Chouet potrete leggere – grazie al lavoro di registrazione e trascrizione del sito francese ReOpen911.info - un'analisi raffinata, ironica, acutissima, che farebbero bene a leggere anche i propagandisti della paura in servizio permanente presso i principali organi d'informazione italiani.

La relazione di Chouet si è tenuta in occasione del dibattito svoltosi a fine gennaio 2010 davanti alla Commissione Esteri. L'esperto della DGSE, con una carriera in grande misura giocata in rapporto al mondo musulmano, parla senza le rigidità della 'lingua di legno' dei diplomatici.

Mentre la grancassa dei media ribatte ancora i suoi ritmi isterici per preparare le future azioni militari (probabilmente in Iran), intanto che si nasconde il fallimento delle ultime operazioni obamiane in Afghanistan dietro incredibili bollettini trionfali, l'ascolto e la lettura di questo documento ci riporta tutti al mondo reale, dove si sbriciolano le fondamenta di tutte le narrative ufficiali sulla questione terrorismo dell'ultimo decennio.

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Trascrizione della audizione di Alain Chouet alla Commissione degli Affari Esteri del Senato, il 29 gennaio 2010

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"Queste domande non mi paiono poi così bizantine come sembrerebbe: anch'io, come un buon numero di colleghi che fanno la mia professione sparsi per il mondo, ritengo - sulla base di notizie serie e dettagliate - che sul piano operativo al-Qa'ida è morta in quelle tane per topi di Tora-Bora nel 2002.

I servizi pakistani si sono limitati poi, dal 2003 a 2008, a rifilarci qualche rimasuglio in cambio di favori o di tolleranze di varia natura.

Dei circa 400 membri attivi dell'organizzazione esistente nel 2001, meno di una cinquantina di "comparse", (eccetto Osama Ben Laden e di Ayman al-Zawahiri che non hanno avuto mai nessun ruolo sul piano operativo) sono riusciti a fuggire e nascondersi in zone remote, vivendo in condizioni di vita precarie e disponendo di mezzi di comunicazione rudimentali o incerti.

Non è con un tale dispositivo che si può attivare su scala planetaria una rete coordinata e organizzata di violenza politica. Appare del resto chiaramente che nessuno dei terroristi autori degli attentati post 11-settembre (Londra, Madrid, Charm-el-Sheikh, Bali, Casablanca, Djerba, Mumbai, eccetera) ha mai avuto contatto con l'organizzazione.

Quanto alle rivendicazioni più o meno tempistiche che sono state rilasciate di quando in quando da Bin Laden o da Zawahiri, anche supponendo di poterle realmente autentificare, esse non implicano nessun collegamento operativo, organizzativo e funzionale fra questi terroristi e le vestigia dell'organizzazione .

Tuttavia, mi vedo obbligato a constatare, anch’io come tutti gli altri, che - a forza di invocarla a ogni proposito, e spesso a sproposito, non appena viene commesso un atto di violenza da un musulmano, o non appena un musulmano si trova nel luogo sbagliato al momento sbagliato (come nella vicenda della fabbrica AZF a Tolosa) o addirittura quando non c'è neanche traccia di un musulmano (come nel caso degli attacchi all’antrace negli stati Uniti) a forza di invocarla permanentemente - un certo numero di media piuttosto approssimativi e alcuni sedicenti esperti da una parte all’altra dell'Atlantico hanno finito non tanto per risuscitarla, ma per trasformarla in una specie di “Amedeo” dell'autore Eugène Ionesco, questo morto il cui cadavere non smette di crescere e di nascondere la realtà e di cui non si sa più come sbarazzarsi. L'ostinazione incantatoria degli Occidentali nell'invocare la mitica organizzazione Al-Qa'ida, (che viene qualificata come iperterrorista non per ciò che ha fatto, ma perché ha affrontato un’iperpotenza), ha avuto rapidamente due effetti perversi:

Primo effetto: Qualsiasi contestatore violento nel mondo musulmano, tanto politico quanto di diritto comune, qualunque fossero le sue motivazioni, ha compreso rapidamente che doveva richiamarsi ad Al-Qa'ida se voleva essere preso sul serio, se voleva che la sua azione godesse di una legittimità riconosciuta dagli altri e se voleva che questa stessa azione avesse risonanza internazionale.

Parallelamente a ciò, tutti i regimi del mondo musulmano – che come ben sappiamo non sono tutti virtuosi - hanno subito ben capito che avevano tutto l’interesse a fare passare i loro oppositori ed i loro contestatori, qualunque essi fossero, per membri dell'organizzazione di Bin Laden, in modo da poterli reprimere tranquillamente e, se possibile, anche con il beneplacito degli Occidentali.

E da qui nasce una proliferazione di varie Al-Qa'ida, più o meno evocate o autoproclamate, in Afghanistan, in Iraq, in Yemen, in Somalia, in Magreb, e altrove "Al-Qa'ida nella penisola arabica”

Il principale risultato di questa dialettica imbecille è stato evidentemente quello di rafforzare il mito di una Al-Qa'ida onnipresente, rannicchiata dietro ogni musulmano, pronta a strumentalizzarlo per colpire l'Occidente in generale e gli Stati Uniti in particolare nel nome di non si sa bene quale perfidia.

Questa visione procede da moltissimi errori di valutazione e di prospettiva e soprattutto genera risposte totalmente inadatte.

Perché se Al-Qa'ida non esiste, la violenza politica islamista invece esiste, eccome. E l'Occidente non ne è che una vittima indiretta e collaterale. Gli ideologi della violenza islamica non sono degli invasati: sono persone che hanno obiettivi ben precisi. Ed il loro obiettivo non è quello di islamizzare il mondo bensì quello di prendere il potere e con esso ricchezze che gli son legate nel mondo musulmano senza che l'Occidente intervenga... Un po’ come fece all’epoca Hassan al-Tourabi in Sudan.

Così, anche se l'amor proprio degli Occidentali dovrà soffrirne, bisogna ripetere senza mai stancarsi che le principali, le più numerose e le prime vittime della violenza islamista sono i musulmani stessi.

L'epicentro di questa violenza islamista non è né in Afghanistan né in Iraq; è in Arabia Saudita. È questo paese che affrontava per primo il manifesto contro gli ebrei e i crociati che,alla fine degli anni Novanta, era il testo fondante dell'organizzazione di Bin Laden, e questo manifesto mirava alla famiglia reale saudita prima che agli ebrei e ai crociati.

Questo è anche il solo paese al mondo a portare un cognome (NdR: in riferimento ad Ibn Saud, fondatore della dinastia).

Fatte le debite proporzioni, l'Arabia Saudita si trova in una situazione paragonabile a quella del primo semestre1989. Una famiglia ha preso il potere nel 1926 accampando la sua legittimità su una ipotetica discendenza divina e usurpando la custodia dei luoghi santi dell'Islam ai suoi titolari storici appartenenti alla famiglia degli ascemiti.

Questa famiglia, i Saud, composta oggi da circa 3mila principi, esercita senza condividerlo la totalità del potere e si accaparra la totalità di una rendita astronomica che proviene dallo sfruttamento del sottosuolo più ricco al mondo in termini di idrocarburi.

Per conservare la sua legittimità di fronte a qualsiasi tipo di contestazione, la famiglia saudita ha sbarrato la strada a ogni forma di espressione democratica o pluralistica. Adotta la pratica dell'Islam più fondamentalista possibile per mettersi al riparo da ogni forma di scavalcamento in questo campo, (un poco come l'URSS che non voleva uno "scavalcamento a sinistra”, la famiglia saudita non vuole "scavalcamenti in Islam").

Col tempo però gli effetti delle enormi rendite degli idrocarburi hanno dato origine a diverse forme di commercio e di industria alle quali i principi, come tutti i principi, non avrebbero potuto far fronte senza derogare alle misure finora adottate e hanno quindi concesso dietro pagamento la partecipazione ai benefici a imprenditori non di rango in maggior parte provenienti da paesi vicini ma stranieri, ovviamente musulmani, soprattutto yemeniti e in un larga misura ai Levantini (siriani, libanesi, palestinesi).

E mentre il futuro del petrolio è incerto, questi imprenditori fanno osservare a giusto titolo (come i cittadini del Terzo Stato nel 1789), che sono loro che "mandano avanti la baracca” e preparano il futuro del paese e che in queste condizioni non sarebbe che una questione di giustizia associarli in un modo o nell'altro o all'esercizio del potere o alla gestione di una rendita che la famiglia regnante - ve lo ricordo - ritiene di diritto di sua proprietà personale.

Problema: come far passare queste rivendicazioni in un paese dove ogni forma di espressione pluralistica è esclusa per definizione? Quale legittimità può opporsi a un potere che si vanta dell’investitura divina? Quali pressioni possono essere esercitate su un regime familiare che beneficia a titolo personale dal 1945 - a seguito del patto di Quincy concluso tra il vecchio Bin Saud ed il presidente Roosevelt - della protezione politica e militare della superpotenza americana in cambio del monopolio dello sfruttamento degli idrocarburi?

È evidente che gli oppositori di questa teocrazia hanno a disposizione solo il ricorso ad una mescolanza più o meno dosata di violenza rivoluzionaria e di rilancio fondamentalista per combattere questo potere e i suoi protettori esterni. E non è dunque un caso se si trovano tra gli attivisti islamisti più violenti un numero significativo di figli di questa borghesia che sono privi di qualsiasi diritto politico ma sicuramente non dei mezzi né delle idee; e Osama Bin Laden è nel novero di costoro: si è trovato scaraventato nel campo della violenza, dell'integralismo dai nobili sauditi che ritenevano più sbrigativo fare proteggere gli interessi esterni del regno dai figli dei loro valletti piuttosto che dai propri. E’ il classico errore dei parvenus.

Nel corso delle loro picaresche avventure, questi giovani, questi figli della borghesia, hanno fatto brutti incontri, hanno subito cattive influenze, e sono ritornati in campo per addentare la mano del loro stesso padrone.

È così che fin dalla metà degli anni Ottanta, si origina un gioco al rilancio permanente di carattere religioso volto al controllo dell'Islam mondiale tra la famiglia Saud ed i suoi rivali e oppositori sia all'interno sia all'estero, (rivalità sciite-sunnite, l'Iran-Arabia...).
Questo gioco al rilancio si è tradotto essenzialmente, in mancanza di risorse umane (nei servizi segreti esteri), nel solo mezzo che invece non scarseggia in Arabia: il denaro.

I fondi spesso distribuiti in modo indiscriminato a tutto il mondo musulmano e alle comunità di immigrati sono finiti nelle tasche di coloro che potevano servirsene, vale a dire in quelle dell'unica organizzazione internazionale islamista largamente ben strutturata : l’associazione dei Fratelli Musulmani e in particolare delle sue ramificazioni più trasgressive e violente, come la Jamaa Islamyyah e altri gruppi islamisti di cui l’Al-Qa'ida di Bin Laden non ne era – secondo me - che una delle sue numerose espressioni. In effetti, ovunque la violenza jihadista attecchisca (nelle zone più vulnerabili del mondo musulmano), la sua genesi risale sempre alla medesima logica ternaria.

Primo elemento: un gioco al rilancio ideologico e finanziario del regime saudita...

Secondo elemento: un forte radicamento locale dell'associazione dei Fratelli Musulmani o delle sue emanazioni... che sanno mantenersi sapientemente in equilibrio tra le contraddizioni politiche, economiche e sociali, per aizzare le masse contro le autorità locali e per scoraggiare l'Occidente dal venire in loro soccorso o dall'intervenire: per essere tranquilli a casa propria bisogna rendere il mondo musulmano astioso e detestabile.

Terzo elemento: un vero debole da parte della diplomazia e dei "servizi" occidentali, americani in testa, per il sostegno nel mondo intero, spesso anche in chiave militare, in favore dei movimenti politici e fondamentalisti più reazionari sul piano religioso, usandoli come baluardi contro l'Unione Sovietica fino agli anni Novanta e anche nella politica di contenimento dell’Iran dopo gli anni Ottanta.

Questo cocktail di tre elementi provoca per ragioni molto diverse... gli stessi effetti in Pakistan, in Afghanistan, in Iraq, in Somalia, in Yemen, in l'Indonesia, nel Maghreb, nel Sahel fino alle aree di non-diritto rappresentate dalle comunità musulmane immigrate in Occidente ...

Non entrerò nei dettagli delle diverse situazioni di violenza politica, ma è logico osservare che, se queste si sviluppano tutte seguendo quasi lo stesso percorso, sta a significare che rispecchiano problematiche locali anche totalmente diverse coinvolgendo personaggi che comunicano assai poco tra loro.

Se tutti si vantano di combattere sotto la stessa bandiera mitica, è perché sanno bene che quella bandiera rappresenta un formidabile spauracchio per i paesi occidentali in generale e gli Stati Uniti in particolare, che sono sempre visti come pronti a intervenire nei paesi con regimi fortemente controversi.

Poi, naturalmente, Signora Benguigua, mi si potrebbe sempre obiettare che, poiché la violenza jihadista esiste realmente e cresce dappertutto secondo gli stessi schemi, poco importa che si chiami Al-Qa'ida, che non sarebbe che il nome generico di una qualche forma di violenza fondamentalista a livello mondiale.

Un discreto numero di giornalisti adesso diventati più cauti ci parlano di una "Nebulosa A-Qa'ida": il problema è che una tale confusione semantica è la fonte di tutte le risposte sbagliate e di fatto esclude qualsiasi soluzione adatta al problema.

Esistono in effetti due modi di passare alla violenza terroristica politica.

O si costituisce un gruppo politico- militare organizzato gerarchizzato (con un leader, una missione, risorse, tattiche coordinate, un programma d'azione preciso, obiettivi definiti), il che lo inquadra come un esercito di professionisti della violenza pronto ad impegnarsi in un processo di scontro tipicamente militare. È questo il caso della maggior parte dei movimenti terroristi rivoluzionari o separatisti in Europa, in Sud America, in Medio Oriente fino alla fine del XX secolo.

Oppure si ricorre alla tecnica detta del "Lone Wolf" (il lupo solitario) che consiste nel tenere un piede nella legalità e l'altro nella trasgressione giocando ideologicamente su una popolazione impressionabile per incitare i suoi elementi più fragili, più motivati a intraprendere un'azione individuale o a piccoli gruppi, colpendo dove possono, quando possono, come possono, non importa, purché tutto ciò abbia la firma del movimento e si inserisca nella strategia generale.

Questa tattica del Lone Wolf non è nuova, è molto antica e ben nota negli Stati Uniti ed è stata teorizzata da William Pierce nei suoi “Turner Diaries”, un bestseller negli Stati Uniti per quasi tutto il decennio degli anni Novanta e che ha ispirato la maggioranza dei violenti militanti della supremazia bianca e gli ultrafondamentalisti cristiani.

Questa tecnica è stata adottata negli attentati di Atlanta, Oklahoma City e in molti altre azioni individuali in cui il numero totale delle vittime è assai vicino se non superiore a quello delle morti dell'11 settembre.

È la stessa tecnica che è stata messa in opera da alcuni gruppi del Terzo Mondo, come i Lupi grigi in Turchia o i Fratelli Musulmani nel mondo arabo e musulmano. Se alcune forme di violenza locali nel mondo arabo si rifanno al primo modello, è sicuramente seguendo il secondo modello che funziona la violenza jihadista esercitata verso l'Occidente e verso certi regimi arabi.

Tutti i servizi di sicurezza e d'intelligence sanno benissimo che non si combatte la tecnica di Lone Wolf con mezzi militari, divisioni corazzate, o una proliferazione di misure di sicurezza indifferenziate.

Ci si oppone con misure di sicurezza mirate, sostenute da iniziative politiche, sociali, economiche, educative e culturali volte a prosciugare il vivaio di potenziali volontari, interrompendone i legami con i loro sponsor ideologici e finanziari.

Non solo (e qui mi riferisco a varie relazioni del Tesoro americano), nulla di serio è stato intrapreso per cercare di bloccare il substrato finanziario e tanto meno quello ideologico della violenza jihadista ma, nel designare Al-Qa'ida, come il nemico permanente contro il quale si deve condurre una crociata per vie militari e di sicurezza del tutto inadeguate alla sua reale natura, è come se avessimo usato un mitra per uccidere una zanzara!

Ovviamente abbiamo mancato la zanzara, ma i danni collaterali sono evidenti come si può constatare ogni giorno in Iraq, Afghanistan, Somalia, Yemen ...

E il primo effetto di questa crociata perduta è stato quello di alimentare il vivaio dei volontari, di legittimare questa forma di violenza, di farne il solo referente d’azione e d’affermazione possibile in un mondo musulmano il cui immaginario collettivo è adesso traumatizzato da una legge universale dei sospetti che incombe su di loro, con occupazioni e interventi massicci, interminabili e ciechi.

Da 9 anni, l'Occidente colpisce senza discernimento in Iraq, in Afghanistan, nelle zone tribali del Pakistan, in Somalia,in Palestina naturalmente, (e ci proponiamo ora di intervenire in Yemen e perché no, già che ci siamo, anche in Iran!), ma agli occhi dei musulmani, Bin Laden la fa sempre in barba al più potente esercito del mondo e il regime islamico dell'Arabia Saudita resta tuttora sotto la protezione assoluta dell'America.

In conclusione per tentare di dare il mio apporto alla questione sollevata in questa tavola rotonda "Dove si trova Al-Qa'ida?" ecco la mia risposta: Al-Qa'ida è morta tra il 2002 e il 2004. Ma prima di morire è stata “ingravidata” dagli errori strategici dell’Occidente e dai calcoli imprevidenti di un certo numero di paesi musulmani e così ha partorito i suoi piccoli figli!

Il problema per noi adesso è quello di sapere se con questi sgraditi rampolli faremo gli stessi errori alimentando così un ciclo infinito di violenze o se, tanto per mantenere il riferimento a Ionesco, noi assieme ai nostri partner arabi e musulmani sapremo arrestare la proliferazione dei rinoceronti.

Grazie.


Alain Chouet (nato nel 1946) è stato diplomatico e agente dell'intelligence francese, segretario d'ambasciata a Beirut (1974-76), poi a Damasco (1976-79). È stato anche Direttore della divisione antiterrorismo alla DGSE (Direction générale de la Sécurité extérieure, la principale agenzia di spionaggio francese) dal 2000 al 2002.


A lezione dal Mossad
di Giulietto Chiesa - www.giuliettochiesa.it - 19 Febbraio 2010

Quante volte, discutendo dell'11 settembre, mi sono sentito rivolgere domande sul funzionamento dei servizi segreti e sulla loro possibile connessione con attentati terroristici.

Ogni volta è difficile spiegare a pubblici inesperti come funzionano le cose. Non ne capiscono un acca nemmeno molti giornalisti.
I quali, infatti, da anni corrono dietro ad Al Qaeda, che è la sigla, il logo, che non ha dietro un bel niente se non le capacità inventive della CIA, del Mossad e dell'MI-5.

Non ne capisce molto nemmeno quel degno e ammirevole intellettuale critico che si chiama Noam Chomsky, figuriamoci. Per questo scrivo questa postilla alle istruttive rivelazioni che emergono dallo scandalo dell'assassinio, in Dubai, di Mahmoud Al-Mabhouh, uno dei principali dirigenti dell'ala militare di Hamas. In scena, ovviamente, il Mossad, ma la firma non la si troverà mai.

Gl'imbecilli che continuano a pensare che i complotti non esistono, non possono ovviamente capire un mondo dove il complotto è diventato la regola generale, inclusa la finanza e l'economia.

Ma basta dare un'occhiata nel mucchio delle cose che si vedono, per capire come funzionano queste operazioni. Lasciamo stare i passaporti veri, rubati, con le foto false. A parte il fatto che il trucco ricorda da vicino quello che venne usato per rivelare le identità dei 19 terroristi presunti dell'11 settembre: questo è l'abc delle spie. Ma guarda invece chi ha partecipato all'operazione in Dubai.

Nota 1 – Il Mossad è imbottito di agenti arabi. Così come di ogni altra nazionalità immaginabile, in ogni scenario. Ma questo è solo il primo strato. Ce ne sono molti altri. Per esempio nelle indagini in Dubai sono incappati due ex funzionari della polizia politica palestinese (Ahmad Hasnain e Awar Shekhaiber). Nota l'”ex”. Lo erano. Adesso sono businessmen in Giordania.

Si fa sempre così. E' la forma di outsourcing dei servizi segreti. Comunque sappiamo che il Mossad ha suoi uomini direttamente nei gangli vitali dell'Autorità Nazionale Palestinese di Abu Mazen. La quale è interamente al soldo della CIA. Si chiama infiltrazione. E poi andate a chiede ad Hamas di fare pace con Al Fatah: se vi ridono in faccia è perchè sono gentili.

Nota 2 - Ma non penserete mica che il Mossad abbia le sue mani così corte da fermarsi agli amici degli amici! Infatti ha infiltrati anche dentro Hamas. E' finito in carcere, in Siria, uno dei più vicini consiglieri di Khaled Mashaal, il capo di Hamas. L'accusa è di essere stato la talpa per liquidare Mahmoud Al Mabhouh.

Nota 3 (storica) – A parte lo stranissimo “anarchico” Gianfranco Bertoli, che tirò la bomba contro la folla che stazionava attorno alla Questura di Milano dopo il passaggio dell'allora premier mariano Rumor (“anarchico” proveniente da un kibbuz israeliano, ex agente - per ammissione esplicita di Niccolò Pollari – prima del SIFAR e poi del SID), torna alla mente la rivelazione che Giovanni Galloni, stretto collaboratore di Aldo Moro, fece dopo l'assassinio dello statista democristiano.

Sono le parole pronunciate da Aldo Moro in persona prima di essere rapito e ucciso: “La mia preoccupazione è questa: che io so per certa la notizia che i servizi segreti, sia americani che israeliani, hanno infiltrati nelle Brigate Rosse, ma noi non siamo stati avvertiti di questo, sennò i covi li avremmo trovati”.

Lo ricordo perchè tutti (in particolare i più giovani) si guardino dalle sciocchezze che circolano e non mi chiedano più se io penso che CIA e Mossad avessero infiltrati nei gruppi terroristici che parteciparono all'11 settembre.

Certo che li avevano! E che li hanno! Dunque ogni volta che un attentato produce morte e paura ricordatevelo sempre: loro come minimo sapevano, come massimo hanno partecipato. La percentuale azionaria varia da caso a caso.


Ammissioni governative: Mutanda Bomber è stato fatto entrare deliberatamente
di Webster G. Tarpley - tarpley.net - 10 Febbraio 2010
Traduzione per Megachip a cura di Pino Cabras.

All'attentatore natalizio di Detroit è stato volutamente e deliberatamente consentito di mantenere il suo visto d'ingresso in USA in conseguenza di un lasciapassare di sicurezza nazionale emanato da una sinora sconosciuta agenzia USA dell'intelligence o delle forze dell'ordine con l'obiettivo di bloccare la revoca di tale visto prevista dal Dipartimento di Stato.

Questo emerge dalle audizioni svoltesi il 27 gennaio davanti alla Commissione per la sicurezza Nazionale alla Camera, in particolare dalla testimonianza di Patrick F. Kennedy, Sottosegretario di Stato per il Management.

La traballante versione ufficiale del governo USA sull'incidente del 25 dicembre a Detroit causato dal mutanda-bomber, maldestramente assemblata nel corso dell'ultimo mese e mezzo, ora è completamente crollata, e gli elementi chiave della rete canaglia che fomenta il terrorismo all'interno di agenzie e dipartimenti USA si presentano insolitamente vulnerabili nei confronti di una campagna di rivelazioni che sia risoluta.

Questi sviluppi confermano nettamente l'analisi fornita da chi scrive in un'intervista televisiva del 28 dicembre 2009 su Russia Today.

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In tale occasione, la mia valutazione era che Mutallab fosse un capro espiatorio protetto, utilizzato da elementi canaglia della comunità dell'intelligence USA per la deliberata e intenzionale creazione di un incidente di alto profilo mirante a ottenere un effetto politico su grande scala.

Il 4 gennaio, Richard Wolffe ha riferito nel corso del programma Countdown della MSNBC che la Casa Bianca di Obama stava indagando se per caso l'incidente di Detroit di Natale fosse stato "intenzionalmente" creato da una rete di intelligence con un'«agenda alternativa» [http://www.msnbc.msn.com/id/3036677/#34694889]

È stato in questo reportage che Wolffe ha posto l'alternativa «pasticcio oppure cospirazione.» Purtroppo, Obama il 5 gennaio ha optato per la versione raffazzonata.

Sulla base di quanto era già noto pochi giorni dopo l'incidente, era chiaro che le normali procedure di screening e sorveglianza siano state rigettate e interrotte in modo da consentire al giovane patsy nigeriano Omar Farouk Abdulmutallab di imbarcarsi nel suo volo da Amsterdam (Paesi Bassi) a Detroit.

Il padre di Mutallab, un ricco, ben noto, ed eminente banchiere nigeriano si era recato presso l'ambasciata degli Stati Uniti nel suo paese per avvertire formalmente un funzionario del Dipartimento di Stato, nonché un rappresentante della CIA sul fatto che suo figlio si trovava in Yemen e con tutte le probabilità intendeva accordarsi con i terroristi.

In circostanze normali, questo rapporto da solo sarebbe stato più che sufficiente per far revocare il visto statunitense di Mutallab nello stesso modo in cui gli era già stato negato l'ingresso in Gran Bretagna.

Sarebbe stato anche di norma collocato sulla no-fly list, creando in tal modo due ostacoli insormontabili per poter salire sul volo destinato a Detroit e volar via fino a provocare un incidente che ha causato diverse settimane di isteria collettiva in questo paese, insieme alle richieste di body scanner negli aeroporti.

Inoltre, la comunità di intelligence USA aveva rapporti che riferivano che un nigeriano si stava addestrando con la presunta "al-Qa'ida nella penisola arabica" nello Yemen. Obama aveva convocato una riunione il 22 dicembre con i massimi funzionari di CIA, FBI e Dipartimento della Homeland Security per via delle relazioni su un imminente attacco terroristico durante le vacanze di Natale.

Il 27 gennaio le audizioni della Commissione per la Sicurezza Nazionale alla Camera sono state rivolte anche a Michael Leiter, il direttore assente ingiustificato del Centro Nazionale per il Controterrorismo, insieme a Jane Holl Lute, la direttrice della Homeland Security, che è stata delegata al posto della Segretaria della Homeland Security, Janet Napolitano, che ha boicottato le audizioni.

Ma la testimonianza importante è venuta da Kennedy, le cui responsabilità comprendono i Servizi consolari, e quindi i visti. Nel suo discorso di apertura, Kennedy si è prodotto in una circonlocuzione arzigogolata per descrivere quanto era successo. Nel tentativo di scongiurare la questione del perché il Dipartimento di Stato non avesse revocato il visto di Mutallab, Kennedy ha dichiarato:

«Useremo l'autorità di revoca prima della consultazione interdipartimentale in circostanze in cui crediamo che ci sia una minaccia immediata. La revoca è uno strumento importante nel nostro arsenale presso la sicurezza delle frontiere. Allo stesso tempo, un coordinamento rapido con i nostri partner della sicurezza nazionale non è da sottovalutare. Ci sono stati numerosi casi in cui le nostre revoche unilaterali e non coordinate avrebbero troncato importanti indagini in corso da parte di uno dei nostri partner nella sicurezza nazionale. Avrebbero fatto sì che la persona oggetto di indagine e la nostra azione di revoca avrebbero rivelato l'interesse del governo statunitense nei confronti di quell'individuo e avrebbero posto fine alla capacità dei nostri colleghi di seguire tranquillamente il caso e individuare i piani dei terroristi e co-cospiratori.» (http://www.state.gov/m/rls/remarks/2010/135865.htm)

IL SOTTOSEGRETARIO KENNEDY: UN'AGENZIA SI E' OPPOSTA ALLA REVOCA DEL VISTO

Non sorprende che, il presidente della commissione della Camera sulla Homeland Security, Bennie Thompson (democratico del Massachussets) abbia voluto sapere che cosa realmente volesse dire. Ecco il suo scambio di battute con il Sottosegretario Kennedy:

THOMPSON: Okay. Quindi, benissimo. Così lui ha un visto. Allora, cosa implica questo? In questo processo, revoca il visto? Lo fa –
KENNEDY: Noi - come ho detto nel mio intervento, signor Presidente, se noi unilateralmente revocassimo un visto - e c'è stato un caso recente - avremmo una richiesta da parte di un'agenzia preposta alla tutela dell'ordine a non revocare il visto.
Ci siamo imbattuti in delle informazioni; abbiamo detto questa è una persona pericolosa. Eravamo pronti a revocare il visto. Ci siamo poi rivolti alla comunità e abbiamo detto: dovremmo revocare questo visto?
E uno dei membri - e saremmo lieti di indicarvelo, in privato - ha detto: si prega di non revocare il visto. Stiamo tenendo d'occhio questa persona. Stiamo seguendo questa persona che ha il visto al fine di sbrogliare un'intera rete, non di fermare solo una persona.
Così revocheremmo il visto di qualsiasi individuo che sia una minaccia per gli Stati Uniti, ma facciamo un passo preliminare. Chiediamo ai nostri partner nelle forze dell'ordine e nella comunità dell'intelligence: state tenendo d'occhio questa persona, e così volete che lasciamo che questa persona proceda sotto la vostra sorveglianza in modo che voi possiate potenzialmente spezzare una trama più estesa?

THOMPSON: Beh, penso che il punto a cui sto cercando di arrivare sia il seguente: si tratta solo di un altro pacco che lei sta controllando, o di qualche valore nella sicurezza da aggiungere a tale pacco, alla lista?

KENNEDY: La comunità dell'intelligence e delle forze dell'ordine ci dice che ritiene che in certi casi ci sia un’importanza più elevata da parte loro nel seguire questa persona così da poter trovare i suoi co-cospiratori e districare un'intera trama contro gli Stati Uniti, anziché semplicemente mettere fuori combattimento un solo soldato coinvolto in questo tentativo.

Quel che Kennedy sta dicendo è che la prevista routine burocratica stabilisce che il Dipartimento di Stato chieda alle altre agenzie di intelligence e delle forze dell'ordine che compongono la comunità dell'intelligence USA se per caso abbiano una qualche obiezione alla revoca di un visto.

In questo caso, riferisce Kennedy, ci fu una obiezione di tale natura da parte di almeno un'agenzia, basata sull’affermazione secondo cui Mutallab era sotto controllo intensivo quale parte di un'operazione che avrebbe potuto portare alla scoperta e l'arresto di pesci molto più grandi.

Dobbiamo notare altresì che Kennedy è estremamente riluttante a parlare davanti alla commissione in seduta pubblica in merito a quale esattamente fosse l'agenzia di intelligence o delle forze dell'ordine, e che i membri della commissione non abbiano preteso una risposta immediata e diretta. Forse Kennedy ha loro riferito in seguito, dietro le porte chiuse di una seduta esecutiva segreta. Ma dopo settimane di isteria, il pubblico ha il diritto di sapere.

CLASSICO USO DI UN LASCIAPASSARE DELLA SICUREZZA NAZIONALE PER PROTEGGERE UN “PATSY”

Ciò cui assistiamo è un classico esempio di uso di un lasciapassare per la sicurezza nazionale da parte di talpe sovversive che esercitano le loro responsabilità più elementari di protezione di un capro espiatorio impedendo che sia arrestato o altrimenti disturbato finché al patsy sia possibile eseguire il compito assegnatogli e produrre l'incidente desiderato, con l'obiettivo di indurre una risposta ad alta intensità politica in forma di un'ondata di isteria collettiva.

Con questo metodo, il nome del capro espiatorio è in effetti segnalato in tutte le pertinenti basi di dati con la notazione che tale individuo è l'obiettivo di un'inchiesta in corso che non può essere disturbato a causa di sovrastanti questioni di sicurezza nazionale.

Ciò significa che il patsy in questione è immune da arresto da parte della polizia stradale, dei funzionari aeroportuali e di frontiera, o qualsiasi altro funzionario delle forze dell'ordine. Il patsy è intoccabile, fino, naturalmente, a quando la provocazione terroristica non sia stata compiuta.

Varie presunte figure dell'11/9 avevano operato per lunghi periodi di tempo all'interno degli Stati Uniti, evidentemente sotto la copertura di tali lasciapassare di sicurezza nazionale.

Come hanno fatto le persone accusate di essere i 19 dirottatori dell'11 settembre a entrare e uscire da questo paese, ottenere dei visti, affittare appartamenti, acquisire conti correnti e carte di credito, ottenere patenti di guida, veicoli registrati, noleggiare auto, frequentare scuole di volo, e volare ripetutamente su linee aeree interne degli Stati Uniti? Come hanno fatto a sfuggire all'arresto per le violazioni del codice stradale, commesse da alcuni di loro?

La risposta con ogni probabilità, sta nel fatto che erano state rese intoccabili per le forze di polizia ordinarie, perché i loro nomi erano stati contrassegnati con dei lasciapassare a livello di sicurezza nazionale che li rendeva immuni da arresto per infrazioni routinarie o per il fatto che i loro nomi figurassero nelle liste degli osservati speciali o in analoghi database.

Il parlamentare Michael McCaul (repubblicano del Texas) è ritornato su questa delicata questione nel suo interrogatorio del sottosegretario Kennedy, portando al seguente botta e risposta:

MCCAUL: Beh, penso che ci debba essere un coordinamento molto migliore in funzione qui, tra queste due entità. Signor Kennedy, perché alla luce delle informazioni che aveva non è stato revocato il visto?

KENNEDY: Signore, come ho detto prima, quando otteniamo qualsiasi informazione, quando chiunque appaia in una ambasciata americana e dica di avere dei dubbi su qualcuno, immediatamente generiamo ciò che viene chiamato un messaggio VIPER sui visti. L'abbiamo mandato a tutta la comunità delle forze dell'ordine e dell'intelligence --

MCCAUL: È un mio problema: capisco il processo. Ma voi avete avuto queste informazioni, e non avete revocato il visto.

KENNEDY: Perché… --

MCCAUL: voglio dire che il dispaccio che ho appena letto rende abbastanza evidente che quest’uomo è associato agli estremisti in Yemen, e non avete revocato il suo visto.

KENNEDY: Quel che era, signore, è che suo padre aveva detto che era associato a tutto ciò. E così abbiamo poi chiesto alla comunità dell’intelligence e delle forze dell’ordine se avessero ulteriori informazioni. Non voglio prendere molto del vostro tempo, e avrei il piacere di incontrarmi con voi in seguito.

Prendiamo atto ancora una volta della tremenda reticenza del sottosegretario Kennedy ad entrare nei dettagli del lasciapassare di sicurezza nazionale rilasciato nel caso del visto di Mutallab.

Kennedy propone di spiegare tutto al parlamentare in privato, ma non alla luce piena della pubblica opinione laddove le sue parole finirebbero nella trascrizione della gazzetta Federal News.

CHIEDIAMO DI SAPERE CHI HA CONSENTITO A MUTALLAB DI MANTENERE IL SUO VISTO

Invece, è indispensabile per la salvaguardia delle istituzioni democratiche che tutti i dettagli siano resi noti su come al Dipartimento di Stato sia stato impedito di revocare il visto di Mutallab.

Vogliamo sapere quale agenzia ha chiesto che Mutallab non dovesse essere disturbato. Vogliamo sapere i nomi e gli incarichi ricoperti dai funzionari che hanno rilasciato il lasciapassare che ha prevalso sulla proposta del Dipartimento di Stato. Vogliamo che questi funzionari siano licenziati.

Vogliamo che su questi funzionari ci siano inchieste accurate. Vogliamo che compaiano dinanzi a pubbliche udienze del Congresso. Vogliamo che siano oggetto di cause civili da parte delle compagnie aeree e altre parti interessate. Vogliamo scoprire la natura di eventuali reti di intelligence controllate privatamente a cui potrebbero appartenere.

Tale indagine potrebbe portare al di fuori degli Stati Uniti, e più in particolare verso il Regno Unito. Mutallab viene dalla Nigeria, una ex colonia britannica. Ha trascorso diversi anni a Londra, dove si trova la scuola del Londonistan di matrice MI-6 che forma capri espiatori estremisti islamici fondamentalisti e fanatici, dove lui è stato a quanto pare radicalizzato.

Mutallab fu poi esposto e preparato in Yemen, un’altra ex colonia britannica, dove è stato messo in contatto con Awlaki, il lacchè della CIA, un noto doppiogiochista e agente provocatore.

Tenuto conto del fatto che Mutallab stava operando al di fuori degli USA, la CIA è un ovvio soggetto sospetto, ma non l'unico.

Ci sono tutte le ragioni per concludere che la rete canaglia di talpe che operano all'interno dell’intelligence degli Stati Uniti - altrimenti nota come il governo invisibile o governo ombra - sapeva che Mutallab stava arrivando, sapeva che avrebbe maneggiato un ordigno simile a una bomba, e voleva che entrasse nei cieli di Detroit.

(Se i gestori di Mutallab pensassero di affidargli una bomba che sarebbe realmente esplosa è una questione a parte.)

Hanno fatto tutto questo perché davvero volevano un’importante provocazione terrorista a carico della popolazione degli Stati Uniti, destinata a scatenare ondate di isteria islamofoba utile per il sostegno alle operazioni in corso in Afghanistan, Pakistan, Yemen, Somalia, e molto probabilmente contro l'Iran.

ALTRO CHE BODY SCANNER, SERVONO RILEVATORI ANTI-TALPA ALLA CIA E ALL’FBI

I primi commenti su questo incidente hanno lamentato un’incapacità di unire i puntini. Da quel che emerge adesso, i puntini erano stati evidentemente uniti da parte del Dipartimento di Stato, ma la sua azione è stata bloccata da un lasciapassare emanato da un’altro ente.

Un'altra interpretazione popolare volta a coprire il fallimento dello screening e della sorveglianza a Natale tra Amsterdam e Detroit era che il nome di Mutallab era stato scritto male, una volta inserito nel database antiterrorismo di riferimento. Kennedy ha ammesso nella sua testimonianza, che un tale inserimento dei dati sia stato errato, ma un altro è stato immesso correttamente. Tutto questo deve essere visto con grande scetticismo.

A parte questi dettagli, dovrebbe essere chiaro a tutti che il resoconto ufficiale statunitense dell'incidente di Natale a Detroit è stato ora completamente confutato.

Non abbiamo bisogno di "body scanner" negli aeroporti. Abbiamo bisogno di installare rilevatori di talpe presso CIA, FBI, DIA, NSA, Dipartimento di Stato, NCTC, e presso il Consiglio di Sicurezza Nazionale.

L'urgente necessità è ora quella di scoprire con precisione chi abbia emanato quel cruciale lasciapassare che ha permesso a Mutallab di mantenere il suo visto e di imbarcarsi sul volo per Detroit.

Tirando quel filo potrebbero seguire delle rivelazioni in grado di ricondurre alle reti che stanno dietro l’11/9, l'Iran Contra, e molto altro.

Le forze politiche amichevoli con Obama tendono a vedere questo caso come una messinscena volta a mettere in imbarazzo l'inquilino della Casa Bianca. Queste forze dovrebbero ora richiedere immediate udienze congressuali sulle affermazioni contenute nella testimonianza del Sottosegretario Kennedy.


Il link della commissione della Camera dei Rappresentanti per la Homeland Security è il seguente: http://homeland.house.gov/Hearings/index.asp?ID=234.
Nella pagina c'è anche il pulsante per attivare il video dell'audizione del 27 gennaio scorso
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