sabato 17 luglio 2010

Milano: una fogna

Un paio di articoli sullo stato a dir poco pietoso di Milano e di chi ci abita.


Milano Exposta alla 'ndrangheta e al malaffare
di Davide Pelanda - Megachip - 15 Luglio 2010

Intervista a Basilio Rizzo di Davide Pelanda – Megachip.

Pare che Letizia Moratti, sindaco di Milano, sia rimasta «imperturbabile, disattenta» alla notizia dell’eclatante arresto di 300 persone appartenenti alle cosche della ’ndrangheta nella sua città.

Ce lo riferisce Basilio Rizzo, consigliere di minoranza (Gruppo “Uniti con Dario Fo”) al Comune di Milano che, mentre si svolgeva l’intera operazione da parte delle forze dell’ordine, era in una seduta del consiglio comunale e aveva di fronte a sé il sindaco della sua città.

«Il sindaco non è assolutamente intervenuto sulla questione, non è venuto nemmeno a votare la fase definitiva del Piano di Governo del territorio. Si è solamente seduta per qualche attimo al suo posto nel primo pomeriggio, poi è andata via e non l’abbiamo più rivista. Debbo dire che c’è stata una sorprendente disattenzione, almeno formale, nei confronti di questo avvenimento. Nei colloqui privati, invece, si percepiva una certa preoccupazione, soprattutto nei molti rappresentanti del Popolo delle Libertà: l’autorevolezza dei magistrati protagonisti delle indagini non lascia molti margini di dubbio sulla situazione» continua a riferirci Rizzo.

Però adesso come la mettiamo con il prefetto che sino a poco tempo fa affermava che a Milano e in Lombardia il problema mafia non esisteva?
«Penso che si debba ricredere molto. Il fatto che l’inchiesta sia in incubazione da almeno un paio d’anni vuol dire che c’è stata una sottovalutazione da parte di chi doveva controllare su queste infiltrazioni. Già due anni fa il nostro gruppo organizzò un dibattito in ricordo di Peppino Impastato, nel quale denunciammo le connivenze, i pericoli e le condizioni materiali attraverso le quali si poteva sviluppare il fenomeno mafioso, in particolare della ‘ndrangheta. Quanto è scoppiato oggi è per noi una conferma dei dubbi e sospetti che avevamo. E’ chiaro gli strumenti di indagine della magistratura sono superiori ai nostri: ma chiunque sia attento a queste tematiche sapeva dell’esistenza del fenomeno».

A questo punto ha ancora senso, secondo lei, fare questo EXPO 2015 a Milano? A cosa serve? Qualcuno dice addirittura di spostarlo e di lasciar perdere.
«L’EXPO non è una grande risorsa per il Comune di Milano. E la ‘ndrangheta nella sua brutalità ha capito perfettamente ciò che è: vale a dire una torta sostanziosa di denari pubblici da distribuire in appalti. Ha colto l’essenza!
L’EXPO era stata all’origine presentata come un’imbellettata di una grande proposta politica di sviluppo della città su un tema importante. In realtà la proposta è stata ridotta alla sua realtà profonda: e cioè c’erano, ci sono e ci saranno tanti denari pubblici concentrati nella nostra città.
Attorno a questo banchetto che si voleva imbastire, c’erano molti che volevano sedersi, i politici in prima persona. Tant’è che la vicenda della società EXPO è stata una corsa alla conquista delle poltrone di controllo e dei finanziamenti in arrivo.
L’inchiesta della magistratura ha reso evidente il tentativo, da parte della criminalità organizzata, di mettere le mani sulle possibili ricadute economiche dell’EXPO. Un fatto drammatico.
La mia obiezione all’EXPO rimanda al modo di costruire questo evento: si è dimostrato non impermeabile a queste infiltrazioni, poiché era riconducibile a una grande spesa di denaro pubblico e non a una impresa di valore ideale, culturale e sociale come avrebbe dovuto essere in origine ».

Ricordiamo che la scelta di Milano per fare l’EXPO 2015 deriva dal Governo Prodi e dal centrosinistra.
«Prodi non poteva far nient’altro che sostenerla. Credo che Prodi abbia fatto una scelta obbligata e leale. Non poteva dire di no perché altrimenti si diceva che era per invidia politica. A suo tempo dissi – e credo che i fatti riconfermino le mie parole – che il fatto di pensare che le poche risorse a disposizione dello Stato ed i sacrifici di tutto il Paese venissero concentrati nella sua zona più ricca non era una cosa facile da spiegare alla popolazione.

A maggior ragione non lo è oggi.
Credo che qualche riflessione occorra farla anche su che cos’è questo Comitato dell’EXPO: è un gruppo di notabili che vivono di questo, che hanno in mano l’assegnazione dell’evento, funziona come il Comitato Olimpico, cioè vive se l’evento si fa, altrimenti non esiste più, lo si scioglie».

Ma personaggi come Lucio Stanca (che se n’è andato dalla poltrona di comando dell’EXPO 2015 di Milano) che cosa hanno combinato in questo periodo di permanenza?
«Hanno speso molti soldi di ordinaria amministrazione e basta. Credo che quel che è stato lasciato, e che ci farà fare una brutta figura mondiale, siano le grandi promesse che abbiamo sparso per il mondo e che non siamo più in grado di onorare. Tutti questi nodi verranno prima o poi al pettine. Facciamo iniziative palesemente clientelari!

A Milano, ad esempio, abbiamo costruito la “Casa della Colombia” che non so a che cosa serva. Sì, certo, in questo momento abbiamo molti studenti – ed è una esperienza positiva – venuti per fare vari stage a spese del Comune. Ed io immagino che siano i figli delle caste di quei Paesi che ci chiedono questo in cambio dell’EXPO. Addirittura ci si vergogna di dire “abbiamo dato il voto a Milano in cambio di… ».

E’ il ritorno della “Milano da bere” di epoca craxiana, della Tangentopoli di quella stagione?
«Beh, il ritorno dei faccendieri che si sono nascosti ma che hanno continuato ad esistere! E poi una sorta di atteggiamento di impudenza e la pretesa di essere intoccabili. Così si è andati avanti nella convinzione che basta magari accusare la magistratura, denigrarla e fargli perdere per così dire prestigio per risolvere i problemi e buttarla in politica. Il tutto supportato dalla classica frase “questo è un attacco della magistratura politicizzata”.
In realtà, invece, è il rifiuto di qualsiasi strumento di controllo, si vuole una politica sciolta da qualsiasi vincolo di legge, vale a dire la pretesa di poter fare tutto ciò che si vuole. E’ questo il tratto caratteristico. Direi che è avvenuta una mutazione per così dire genetica: oramai non si pagano più le tangenti in denaro, ma si pagano in consulenze, in incarichi e lavori. L’evoluzione darwiniana ha portato al fatto che tu assumi i tuoi fiduciari a spese della collettività, gli dai le consulenze e così recuperi il denaro pubblico portandolo poi alla tua corte».

Oltre alla magistratura, chi ha fronteggiato e vuole fronteggiare ancora questa situazione di malaffare e corruzione della politica milanese? Forse il cardinal Dionigi Tettamanzi, che più volte è intervenuto criticando la politica di accoglienza e di sviluppo della città di Milano? Oppure c’è rimasta solo la speranza e fiducia nella magistratura?
«Tettamanzi ha questo straordinario valore di richiamare ai valori della solidarietà, di pensare agli ultimi e non ai primi. Il suo Magistero ha sempre posto l’accento sul fatto che la politica debba rispondere a criteri di correttezza.
Credo però che la chiave di volta sia l’indignazione come fu nel 1992, una ribellione della società: vedo però che la sua crescita viene scientificamente contrastata con operazioni contro la magistratura per seminare discredito nei confronti di chi potrebbe essere l’elemento di catalizzazione dell’indignazione dei cittadini.
Se il potere è malato, “in cascata” anche una parte della società è infetta. Allora si cerca di far leva su di un fronte dei nemici dei controlli, dei nemici della magistratura, perché se intercettano me intercettano anche te… Non è che si possa sperare di fermare i magistrati, ma si fanno barriere frangiflutti per cercare di reggere lo scontro».

Per quanto riguarda la vostra presenza in consiglio comunale a Milano, come minoranza avete vinto qualche battaglia, oppure vi sentite sconfitti e siete fiduciosi solo nella magistratura?
«Io ragiono così: la politica deve sempre sperare di arrivare prima della magistratura. C’è una separazione profonda perché ci sono degli atti che la magistratura non può perseguire ma che sono, come dire, meritevoli di discredito sociale.

Se io, ad esempio, assumo dei miei amici negli incarichi pubblici, forse i magistrati non riescono a dimostrare che è un reato, però sono meritevole di sanzione ideale. In tal senso noi abbiamo sempre agito. E dei risultati li abbiamo ottenuti come il fatto che la Corte dei Conti abbia condannato il sindaco per certe cose.
Per esempio Formigoni, presidente della Regione Lombardia, che controlla l’Ente Fiera di Milano, ha pensato di comprare i terreni con i soldi pubblici della Regione, nell’ordine di qualche centinaio di milioni di euro. In questa maniera finanzia e porta soldi della collettività nel suo “feudo” privato. In questo siamo riusciti a far schierare la Regione e la Provincia in mano al Popolo delle Libertà che non vogliono comperare quelle aree, ma farsele solo imprestare per l’EXPO».

Milano e la cementificazione. Rispetto a 40-50 anni fa è ancora umanamente vivibile questa metropoli?
«Abbiamo appena finito di fare il Piano di Governo del territorio dove si vede una Milano sommersa da nuove ondate di costruzioni. Questa città ha un territorio municipale molto piccolo, è il suo limite, non è in grado di sopportare questo carico di cemento. D’altra parte neanche l’economia è in grado di sopportarlo perché tutto quello che viene costruito non va più come negli anni Novanta.

Allora si trasformavano i denari in mattoni non del tutto controllabili, consentendo alle immobiliari di andare nelle banche e prendere il denaro a pegno. Oggi non siamo più in quella condizione: i grandi progetti previsti sono in grossissima crisi, con i prezzi di oggi non riusciamo più a vendere nulla. Rischiando di costruire la futura bolla che non sarà più fatta di derivati finanziari ma di diritti volumetrici. E questa è la nostra maggior critica al Piano di Governo del territorio».

Un’ultima domanda. Milano e gli stranieri. Ricordiamo ancora gli sgomberi dei campi Rom, ma anche la rivolta dei cinesi in un quartiere della città. Come vivono gli immigrati? Nella paura? Accettati? Integrati?
«Se non fosse che parliamo di persone in carne ed ossa, che talvolta vivono situazioni davvero strazianti, credo che dovremo dire che cinicamente si fa un diversivo. Si sposta cioè l’attenzione degli ultimi livelli della piramide sociale non nei confronti di quelli che sono sopra e che opprimono, ma di quelli che sono più giù.

E i problemi della sicurezza non vengono risolti perché è come avere l’assicurazione sul voto: oggi infatti la campagna sulla sicurezza è uno strumento attraverso cui le forze politiche del centrodestra recuperano voti e nascondono le loro difficoltà di governo della città. Dunque è un problema che non risolveranno mai né gli interessa farlo.

E’ come se qualcuno uccidesse la gallina dalle uova d’oro. Gli stranieri e i Rom che vengono sgomberati pagano quotidianamente sulla loro pelle il cinismo delle forze politiche di governo. Su questo il Magistero di Tettamanzi è una delle ultime resistenze di valori di questa città»


Milano, citta' da incubo
di Massimo Fini - http://www.massimofini.it/ - 15 Luglio 2010

“Pirla” è un termine che si usa a Milano e sta per scemo, sprovveduto, limitato, ottuso, poco sveglio. E pour cause. Solo a dei pirla poteva venire in mente di insediarsi lì dove si sono insediati. Milano è l’unica grande città non solo italiana ma europea senza un fiume.

Torino ha il Po, Firenze l’Arno, Roma il Tevere (più in giù le città non hanno fiumi non perché i meridionali sono dei “pirla”, al contrario dei milanesi sono invece astutissimi, anche troppo, ma semplicemente perché al Sud l’acqua non c’è), Londra ha il Tamigi, Parigi la Senna, Praga, Vienna, Belgrado il Danubio.

Genesi e sviluppo di un equivoco

Come e perché sia venuta a qualcuno l’idea di costruire una città in questo punto desolato e squallido della pianura padana, senza un corso d’acqua, è un mistero.

Ho consultato geografi e storici, l’unica risposta che sanno dare, rifacendosi al nome latino della città, Mediolanum, è che era un punto di passaggio obbligato verso varie direttrici, l’oltralpe francese e svizzero, Venezia che era già allora una città importante. Ma Pavia, che è a soli trenta chilometri da Milano, poteva avere benissimo la stessa funzione, e sta su un bellissimo fiume, il Ticino. E invece i pirla si insediarono a Milano.

Solo nel 1400 Leonardo si inventò i Navigli e quello straordinario reticolo di canali che irriga la campagna milanese. Ma Leonardo era fiorentino e un genio (geni non ne sono mai nati a Milano, solo dei pirla).

Comunque sia nel Novecento i milanesi, confermando di essere dei pirla, coprirono i Navigli e, per sopramercato, negli ultimi dieci anni, con la scusa di farci un parcheggio, hanno coperto anche la Darsena che è come se a Firenze si abbattesse il Duomo (pochi sanno che Milano è stata, per lungo tempo, il più importante porto europeo per il trasporto di sabbia). Sistemata in questo modo Milano se è ancora accettabile d’inverno d’estate diventa un girone dantesco.

Anzi peggio perché, per il caldo, tu rimpiangi persino l’ultimo girone dell’Inferno, quello dove i dannati, beati loro, stanno infissi nel ghiaccio (sicuramente non sono milanesi, saranno stati i napoletani e i romani ad aggiudicarsi quel posto privilegiato pagando una tangente a monsieur Satanasso).

Tu la mattina, sfibrato dal caldo di fine giugno e di luglio, ti alzi e vedi un cielo grigio o bianco. Dici: “Finalmente una brutta giornata. Oggi forse pioverà”. Nient’affatto. Quel cielo-non cielo è fatto dai vapori che gravano sulla città. Più il cielo è bianco più la giornata sarà calda e afosa. Sono stato in climi, specialmente in Nordafrica, dove la temperatura di giorno raggiunge anche i 45, 47 gradi.

Ma è un caldo secco e comunque la sera il termometro crolla a 20. Per cui il giorno resisti, aspettando la sera. Milano ha questa particolarità: la sera il caldo invece di diminuire aumenta. Cala un poco la temperatura (non di molto perché il caldo sale dall’asfalto arroventato) ma sale in modo esponenziale l’umidità in una sinergia sinistra che ti fa boccheggiare anche alle quattro di notte. Per questo i milanesi, appena arriva giugno, diventano dei superfanatici dei weekend.

Ma cadono dalla padella nella brace. Per raggiungere l’agognato mare di Liguria (150 chilometri) ci vogliono cinque ore sotto il sole rovente. E quando, finalmente, arrivi al mare ti accorgi che non c’è. Un mare che sia tale, intendo.

L’hanno rovinato loro, i milanesi, in combutta, per la verità, con i piemontesi e anche i liguri che, per quattro palanche in più, li han lasciati fare. Le Riviere di Levante e di Ponente, da Chiavari a Ventimiglia, sono ridotte a una lunga striscia di cemento, di seconde case, di terze case, di cementificazioni di ogni tipo.

Al milanese non resta che lavorare

Il mar ligure ridiventa potabile d’inverno, ma d’inverno i milanesi preferiscono andare a rovinare le montagne. Che resta quindi al milanese? Lavorare. Ed è indubbio che i milanesi, a parte le ore che passano in macchina, siano gente che lavora.

Un tempo sostenevo, solo parzialmente smentito poi dai fatti, che Roma e Lazio non avrebbero mai vinto un campionato. Chi glielo fa fare, diciamo la verità, a un calciatore che vive a Roma di andare ad allenarsi (è il motivo per cui il primo Bossi quando arrivò a Roma con i suoi leghisti voleva rinchiudersi in una foresteria)? Qui se uno non va a Milanello o a Interello crepa di noia.

Il sacrosanto destino dei pirla

È quindi vero che Milano, a parte inanellare inutili scudetti, sostiene buona parte dell’economia del Paese mentre gli altri sgavazzano e se la godono. È il giusto destino dei pirla che si insediarono in un luogo dove nessun essere umano, che non fosse scimunito, si sarebbe mai sognato di piantare le tende.