Inoltre si parla ancora della lettera del governo italiano all'Ue e delle conseguenze dell'applicazione dei provvedimenti che la Bce e le altre istituzioni Ue chiedono all'Italia.
Il "metodo Grecia" è stato ormai fotocopiato e già inviato a Roma...
Più che accordo sul debito, è un accordo di default
di Valerio Lo Monaco - www.ilribelle.com - 27 Ottobre 2011
Premessa. Chiamatelo haircut, ristrutturazione o altro, si tratta semplicemente di una cosa: default. La Grecia, ne hanno preso coscienza tutti, non può ripagare il debito e pertanto glielo hanno tagliato di un bel pezzo.
Ancora: usiamo pure i termini che vogliamo, ma il fondo Salva Stati è diventato ufficialmente un Fondo Salva Banche.
E ora entriamo nei particolari.
Prima notizia: le Banche hanno preteso almeno il 50%. Volevano concedergli il 21%, e invece gli è stato fatto un ulteriore regalo spostando il tutto al 50. Parliamo di quanto avranno, come assicurazione sul default della Grecia, che è dunque (seconda notizia) una realtà: il debito di Atene, che oggi è di 350 miliardi, verrà ridotto a 100.
In merito agli istituti di credito, che era la vera spina nel fianco del vertice europeo di ieri, la situazione è molto più semplice da capire di quanto le varie norme approvate e proposte non possano far sembrare: invece di far fallire le Banche esposte verso la Grecia, come sarebbe stato giusto, il fondo Salva Stati, ormai (e lo vedremo a breve) diventato a tutti gli effetti un Fondo Salva Banche così come avevamo avvertito su queste pagine in tempi non sospetti, è stato dunque, di fatto, varato.
E la prova del nove di quanto scriviamo risiede nelle Borse: l'Euro tiene, e le Borse non crollano definitivamente (per ora) come avrebbero invece fatto se questo pseudo-accordo non fosse stato trovato. Anzi, al momento le Borse sono in piena euforia.
Dunque che succede?
Prima cosa: il Fondo Salva Stati avrà un aumento - cioè sarà quadruplicato - grazie alla soluzione del leverage: i soldi non ci sono ma attraverso questo sistema si agirà come se il fondo avesse una capacità di 1000 miliardi di euro invece dei 440 attuali. E la cosa avrà in ogni caso delle conseguenze che vedremo presto (e spiegheremo a breve).
1000 miliardi significa dunque quadruplicare il tutto, perché dei 440 attuali ne verrano subito "usati" 250 circa per la Grecia (riducendo da 350 a 100 miliardi la sua esposizione) e il restante, appunto, sarà sottoposto all'effetto leva.
Seconda cosa: la ricapitalizzazione delle Banche. Queste dovranno portare al 9% il coefficiente patrimoniale entro il 2012. Al momento devono avere il 4% circa, e secondo Basilea 3 avrebbero dovuto arrivare al 7.
Secondo l'accordo di ieri - arrivato dopo che le Banche stesse hanno tentato di opporsi in tutti i modi a tale norma - invece dovrà arrivare al 9%. Che significa? Esempio: per poter agire, e prestare denaro, per 100 milioni, dovranno averne 9 in tasca (invece di 7, o invece di 4 come adesso).
Grosso sforzo, si direbbe. Eppure le Banche operano da sempre così: raccolgono, esempio, 4 milioni e, per legge, ne "possono prestare" a interesse 100. Ecco, ora per prestarne 100 ne dovranno avere in cassa almeno 9. Non un grosso sforzo dunque, come si vede: la truffa resta.
Eppure è una cosa in grado di mettere in ginocchio parecchie Banche, che fino a ora (e anche da qui in avanti, sia chiaro) potevano operare con pochi spiccioli in tasca ma facendo finta di averne molti di più. Pare serviranno 106 miliardi di euro per ricapitalizzare gli istituti di credito sottoposti agli stress test (di cui 14.7 per quelli italiani). Ma in realtà nessuno lo sa con certezza.
Naturalmente già sappiamo quale sia la accuratezza e l'efficiacia degli stress test: solo il caso Dexia, la Banca franco-belga appena fallita e spacchettatta e messa sulle spalle dei cittadini, lo dimostra. A luglio scorso aveva superato gli stress test e a inizio ottobre è fallita….
Ad ogni modo, il vertice di ieri si è giocato tutto sul tema Banche: dopo ore di trattative la cosa ancora non si sbloccava, e per un motivo preciso. Le Banche non avevano accettato di essere "assicurate" dal default greco per il solo 21% di quanto avevano di esposizione, così come era stato previsto.
Il loro niet ha costretto a quel punto la Merkel e Sarkozy ad incontrare il direttore del Fondo Monetario Internazionale, Christine Lagarde, per trovare l'accordo. E dopo soli 45 minuti - segno che veramente ieri il rischio di scoppio di tutto è stato serio - l'accordo è stato trovato: alle Banche, come detto, verrà riconosciuto il 50%.
Ora attenzione: è una cosa sconcertante. Nessun privato investitore, e figuriamoci un semplice cittadino, avrebbe mai potuto "pretendere" di avere indietro il 50% dei propri investimenti sbagliati andati in fumo. E neanche il 21% proposto inizialmente alle Banche: un comune mortale avrebbe semplicemente perso tutto. E sarebbe - giustamente - fallito.
Ma le Banche no: non solo hanno puntato i piedi perché sembrava loro troppo poco avere indietro il 21%, ma hanno addirittura ottenuto il 50%. A spese di chi è facile capirlo: dei cittadini europei, attraverso il Fondo Salva Stati - pardon, Salva Banche - che sempre dalle nostre tasche arriva. E sempre sulle nostre tasche peserà: vedi le misure previste per l'Italia, ad esempio.
Beninteso, a nulla servono alcune norme "imposte" alle Banche per avere indietro questa copertura, come ad esempio il fatto di dover in pratica raddoppiare il proprio capitale minimo (al 9% entro giugno 2012, come detto), dover rinunciare a dividendi e bonus fino a ricapitalizzazione avvenuta: questo è il minimo. Il punto è che sono state salvate con denaro pubblico.
Tutto il resto - che leggeremo e ascolteremo altrove - è fuffa.
L'entità del capitale necessario al rafforzamento per ogni singola Banca dipenderà dalla quantità di debito greco in portafoglio e da quanto questo verrà "svalutato".
E anche se la bozza stabilisce che per rifinanziarsi le Banche dovranno utilizzare in primo luogo capitali propri (per esempio con ristrutturazioni e cartolarizzazioni), quindi chiedere un intervento diretto degli Stati, e solo alla fine chiedere soccorso al Fondo, è evidente che la maggior parte di queste passeranno direttamente al Fondo. O comunque a esso finiranno.
La realtà, come detto, è semplice: dovevano fallire dopo aver speculato su di noi, e invece noi le stiamo salvando con il nostro denaro. Il che ci costerà doppiamente, anzi, in modo triplo.
Ci è costato sino a ora perché siamo stati depredati da esse, ci costerà adesso nel salvarle, e ci costerà dopo perché invece di farle fallire le stiamo mettendo in grado di ricominciare, più di prima, a fare soldi sulla nostra pelle.
Ma a questo punto la vera domanda che dovremmo porci è la seguente: visto che ad Atene hanno "dovuto" tagliare il debito, dai 350 miliardi ai 100, mediante l'utilizzo del Fondo, perché gli altri Stati dovrebbero fare diversamente?
Perché non chiedere tutti, Portogallo, Spagna e Italia, la stessa cosa? E perché non dovrebbe farlo ogni singolo cittadino?
Tanto c'è il Fondo no?
Aggiornamento:
"Il nostro lettore Riccardo ci corregge, giustamente, su alcune cifre date nel pezzo. Ecco quelle giuste, che prontamente segnaliamo: "Il taglio del 50% del debito greco è stato di 100 miliardi portandolo così da 350 a 250. Infatti l'haircut è stato applicato solamente a 200 miliardi di debito, i restanti 150 miliardi detenuti dalla bce e dalla troika non sono stati toccati."
Il che, oltre ovviamente a non cambiare di un millimetro il significato della notizia, semmai ne peggiora ulteriormente la portata, visto che i miliardi detenuti dalla trojka, a differenza degli altri sui quali è stato applicato l'haircut, non sono stati toccati.
Emergono le pieghe del bailout europeo, la Grecia "dice assolutamente no"
di Tyler Durden - Zero Hedge - 27 Ottobre 2011
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di Supervice
Quando la scorsa notte abbiamo riportato l’annuncio del salvataggio onnipotente ma senza rispetto per la matematica - di cui nessuno aveva capito quasi niente a parte il fatto che c’era un "trilione" da qualche parte che ha fatto scalpitare i mercati -, avevamo suggerito che ci sarebbero volute 24-48 ore per capirci qualcosa.
Forse le cose sono state più rapide.
Come riporta il Telegraph, "il bail-out da un trilione di euro per salvare la moneta unica dell’UE è in pericolo dopo che la banca centrale tedesca ha avvertito che la misura di salvataggio era troppo dipendente dagli stessi scambi ad alto rischio che hanno causato la crisi economica."
Quindi, cosa ha fatto la Bundesbank per provocare questi sussulti che minacciano di fratturare la fragile nanometrica facciata sotto la quale è nascosta alla vista la più tempestosa tormenta della storia europea?
Bene, intanto sembra che abbia usato una calcolatrice, qualcosa che nessun altro nel Consiglio Europeo pare in grado di fare.
Secondo, ha compreso che aggiungere debito a debito per sistemare un problema è un qualcosa che anche un bimbo di cinque anni definirebbe una pazzia, e che potrebbe non essere il miglior approccio per risolvere la questione.
"Le preoccupazioni sono state manifestate dalla potente banca centrale tedesca, che ha espresso il timore che il progetto per incrementare il fondo di salvataggio dell’eurozona da 440 miliardi a un trilione di euro assomiglia ai metodi della finanza di rischio che hanno causato la crisi nel 2008. Jens Weidmann, il presidente di Bundesbank e membro della Banca Centrale Europea, ha fatto scattare l’allarme sul piano di “leverage” del fondo con un fattore di quattro o cinque senza mettere uno spicciolo nel salvadanaio. Ha avvertito che lo schema potrebbe essere colpito da una turbolenza del mercato e che i contribuenti dovranno pagare il conto per gli investimenti rischiosi nelle obbligazioni italiane e spagnole."
Ciò significa che la "paratia antifuoco corazzata" non è né "corazzata", né può parare dal fuoco? Specialmente se né l’oggetto (Germania) del salvataggio , né il soggetto (Grecia) sembrano aver alcun desiderio di proseguire su questa strada?
Si è appreso che, non tanto le premesse della Merkel secondo cui l’EFSF non verrà mai utilizzato, ma il dire che la semplice minaccia posta alla sua esistenza farebbe collassare ovunque gli spread - una dichiarazione talmente idiota che persino Hank Paulson non ha provato a pronunciare per più di tre volte - è stato in grado di mettere a riposo la mente di Weidmann.
E allora cosa accadrà quando, visto che ci siamo vicini e come abbiamo già fatto presente dal bailout sventurato del 21 luglio, capiranno che molto presto (esatto, le banche francesi sono oggetto di analisi per un downgrade dal 14 settembre e oggi Sarkozy ha appena annunciato che la crescita del PIL francese per il 2012 sarà di un’insignificante 1%, qualcosa che le agenzie di rating saranno state deliziate dal sentir dire) il downgrade francese sarà totalmente meritato?
Un’altra ascesa di 500 pip tra euro e dollaro sugli short covering? Ne dubitiamo: dopo l’iniziativa di oggi non ci saranno altri shorts lasciati sull’Euro. Ciò significa che la prossima spinta al ribasso, e ogni annuncio Bazooka dovrà essere molto più grande, e per questo ancora meno credibile.
Dal Telegraph:
Bill Gross, il fondatore di Pimco, il fondo obbligazionario più grande al mondo, ha detto che il salvataggio dell’eurozona sarebbe una pezza temporanea per i mercati e che il fondo potrebbe essere un altro rischio per gli investitori.
“Solo un bazooka potrebbe stabilizzare i mercati”, ha messaggiato ieri su Twitter. “State attenti che il piano non sia un SIV (structured investment vehicle) gigante con rischi di indebitamento.”
Il piano per incrementare l’European Financial and Stability Facility fino a un trilioni di euro è stato attaccato dagli economisti, perché non è abbastanza per “allontanare” il peggioramento dei problemi del debito di Italia e Spagna.
In un sondaggio di economisti, 26 su 48 ritengono che il potenziamento non sia sufficiente. Un piano per un fondo da due trilioni è stato accantonato dopo l’opposizione tedesca e francese.
Sono emersi anche dei dubbi sulla mancanza di dettagli sulla proposta che consente alla Grecia di pagare il suo fardello del debito sempre più ingente negoziando un “haircut” volontario che le consentirebbe di depennare circa metà del suo debito.
Ma forse la notizia peggiore del giorno è che la Grecia, la nazione che tutta la combriccola crede che possa fare di meglio, ha rifiutato con violenza tutto il "salvataggio":
I partiti di opposizione greci di destra e di sinistra uniti per condannare l’accordo dell’eurozona nel mezzo del montante conflitto sociale.
Antonis Samaras, il leader dell’opposizione conservatrice, ha detto: “Non siamo più vicini alla soluzione, ma dovremmo affrontare nove anni di collasso e povertà.”
Dimitris Papadimoulis, un parlamentare di sinistra, ha detto che i poteri dell’UE hanno un conflitto di interessi negli accordi per imporre le misure di austerità alla Grecia: “Quelli che ci monitorano non hanno in mente il nostro interesse”, ha detto. “La loro priorità è che noi gli rimborsiamo i prestiti.”
E… ora che si fa? Gli scioperi greci continueranno fino a che il PIL tornerà a crescere? Nel pianeta matematico europeo, folle ondeggiante e gonfiabile, questa è, sfortunatamente, la sola matematica che sembra funzionare.
Finanza tossica, è tutto come prima
di Alessio Mannino - http://alessiomannino.blogspot.com - 29 Ottobre 2011
E' sempre una piacevole sorpresa quando l'informazione mainstream, sia pur tra titoloni entusiasti ed editoriali propagandistici, ogni tanto fa saltar fuori qualche brandello di verità.
Oggi un bell'articolo di Massimo Mucchetti, l'unico leggibile in quella pravda che è il Corriere della Sera, riporta il dato osceno della disuguaglianza economica figlia della globalizzazione. Si guarda bene dallo spingersi oltre, il neo-keynesiano Mucchetti, però è già qualcosa.
Ieri, in un colonnino a pagina 2, sempre il Corrierone, fanaticamente allineato al pensiero unico filo-bancario, ha confessato in cosa consiste il fondo salva-stati europeo (ve lo ricopio qui sotto). In due parole: le devastanti conseguenze della crisi originata dalla finanza tossica sono curate con altra finanza tossica. E per di più con gli stessi identici sistemi.
E noi poi ci tocca ascoltare i signori politici al soldo delle banche che si dicono preoccupati perchè la gente non ha più fiducia in questo modello di sviluppo. Ti credo: ci truffano ancora e sempre rifilandoci altre bolle finanziarie, rimandando in là nel tempo i debiti che sono destinati prima o poi a esplodere.
Voi che continuare a crederci, alla fola del "mercato" e al teatrino destra-sinistra che le fa da copertura, il crac ve lo meritate. Ma noi, pochi anche se in crescita, che la storia dell'orso non ce la beviamo più, perchè dovremmo subirlo?
Ditelo a chiunque: ci stanno fregando di nuovo, e se non cominciamo a dire "no" alla frode dell'euro, a questa Europa in mano ai banchieri e all'economia manipolata dalla speculazione, essere indignati non serve a un tubo. (a.m.)
Emissari ad Atene. I segreti del patto di Bruxelles
Il collasso a Wall Street nel 2008 ebbe due detonatori: i «Cdo» (Collateralized debt obligation), e i Cds (Credit default swap). I primi emettevano bond il cui valore era sostenuto da una massa di mutui immobiliari sottostanti: le famiglie indebitatesi per comprare casa «garantivano» che quei titoli sarebbero stati onorati.
I Cds invece sono assicurazioni che una banca paga in caso di insolvenza su questo o quel bond. Queste sigle erano l' ultima frontiera dell' ingegneria finanziaria. Ora l' Europa le rispolvera per salvare se stessa. Il meccanismo del fondo salvataggi emerso dal vertice, senza evocarne i nomi, ricorda da vicino un Cds a cui si aggiunge un Cdo: tutto per mettere al sicuro l' Italia.
Possibile? Uno strumento che promette di indennizzare il 20-25% delle perdite a un investitore in bond, come fa il fondo europeo Efsf, è in effetti un Cds. C' è poi la seconda parte del meccanismo, quella basata sul «veicolo» nel quale confluiscono anche gli investitori privati, oltre alla Cina o all' Arabia Saudita.
Funziona così: in quel «veicolo» il 20% dei soldi viene messo dal fondo europeo e il restante 80% dai privati e dai fondi sovrani; quindi il «veicolo» compra titoli - diciamo - italiani e spagnoli sul mercato.
Se Roma o Madrid fanno default, le prime perdite le subisce tutte il fondo europeo: il sistema è come un palazzo in cui l' Efsf sta al primo piano e sarebbe dunque il primo ad andare sott' acqua in caso di tsunami.
Dunque gli investitori privati godono ancora una volta di una garanzia. Non solo: proprio come un Cdo, il «veicolo» a sua volta può vendere sul mercato bond sostenuti dal debito pubblico di Italia e Spagna, anche questi assicurabili al 20-25%.
L' Europa antispeculazione e pro-Tobin Tax arriva a un livello di sofisticazione finanziaria da far impallidire Goldman Sachs, con la differenza che non lo spiega (neanche in caratteri minuscoli come si fa di solito in fondo ai documenti a Wall Street).
E in America quando i debitori sottostanti a un Cdo sono affogati e tutto è saltato, lo Stato ha tamponato le perdite. In questo caso invece a tamponare non basterebbe più nessuno Stato: solo la Bce potrebbe farlo, anche se per ora non vi è autorizzata.
Accanto a tanta tecno-finanza, il vertice europeo ha prodotto un' importante novità politica: ha trasformato la Grecia in un protettorato. Il governo di Atene perde le leve del potere. Funzionari di Bruxelles e delle capitali nazionali (anche di Berlino) si installeranno nei ministeri, nelle agenzie pubbliche, nella task force privatizzazioni a «monitorare sul terreno». Come Caschi blu dell' economia in uno Stato fallito.
Federico Fubini
Il Corriere della Sera 28 ottobre 2011
Il debito andrà ridotto di 35 miliardi l'anno
di Federico Fubini - Il Corriere della Sera - 30 Ottobre 2011
Le condizioni di Bruxelles per gli aiuti: il capitolo sull'Italia nel documento che crea il Salva-Stati
Non si è esaurito con la lettera a José Manuel Barroso e a Herman Van Rompuy, i vertici istituzionali di Bruxelles, il percorso pieno di curve dell'Italia negli ultimi giorni. Esistono altre condizioni di fronte alle quali il governo attuale e quelli a venire saranno giudicati, mentre l'Europa crea un fondo salvataggi soprattutto per puntellare il debito di Roma.Non è niente di segreto. Non si tratta di un documento confidenziale anche se né il premier Silvio Berlusconi, né l'opposizione, né i sindacati, né Confindustria fin qui ne hanno parlato (per dirne bene o male che sia, o solo per annunciare che esiste).
Semplicemente, sono le conclusioni ufficiali del Consiglio europeo: sottoscritte da ciascuno dei 27 capi di Stato e di governo, la più alta istanza politica nel continente, il presidente del Consiglio incluso.
Quel documento uscito alle 4 del mattino di giovedì, al punto 6, indica per l'Italia impegni che vanno aldilà sia della lettera che Berlusconi aveva spedito a Barroso e Van Rompuy poche ore prima, sia della stessa lettera inviata a inizio agosto della Banca centrale europea all'Italia.
Lo fanno in alcuni punti specifici: il ritmo di riduzione del debito pubblico, la liberalizzazione degli ordini professionali e l'accesso al mestiere dei giovani, la revisione del sistema di sussidi di disoccupazione.
Soprattutto, in una sola frase con la firma in calce di Berlusconi e degli altri 26 leader, quel testo crea una cornice stringente di monitoraggio e «pressione dei pari» su quanto l'Italia farà di qui al 2014: dunque dopo le prossime elezioni.
Da ora in poi l'Italia, qualunque sia la sua classe dirigente, dovrà muoversi entro quei paletti. L'alternativa - implicita ma evidente - è la rinuncia alla rete di sostegno europea senza la quale oggi il Paese rischia di non potersi finanziare.
Il punto centrale delle conclusioni del Consiglio europeo riguarda il debito pubblico. Il vertice di Bruxelles prende nota con favore delle misure italiane per il pareggio di bilancio nel 2013 e per un surplus nel 2014.
Poi però cita un obiettivo numerico che nella lettera della Bce di agosto, quella firmata da Jean-Claude Trichet e Mario Draghi, non compariva: «Generare una riduzione del debito pubblico lordo al 113% del Pil nel 2014».
Sul piano tecnico non c'è novità: un obiettivo simile compare nell'aggiornamento al documento di Economia e finanza del Tesoro del 22 settembre. Il problema però è che il Consiglio europeo non è un'istanza tecnica.
È politica ed è lì che c'è una svolta, perché ora l'obiettivo di un debito al 113% nel 2014 non è più (solo) un programma del governo italiano ma una richiesta della più alta istanza istituzionale in Europa.
Poiché il debito italiano a fine anno sarà sopra il 120% del Pil (stima del governo), ciò significa che Angela Merkel, Nicolas Sarkozy e i loro altri 24 colleghi chiedono che l'Italia riduca il rapporto fra debito del 2,3% del Pil ogni anno fino al 2014.
Sono circa 35 miliardi di euro l'anno, una volta presa in conto la (scarsa) crescita del futuro prevedibile. Nei prossimi tre anni si tratta di una riduzione del debito in tutto di circa cento miliardi di euro.
È soprattutto su questo parametro che i leader europei giudicheranno da ora se l'Italia merita il sostegno finanziario che oggi le serve: è il meccanismo di aiuto condizionato innescato dall'ultimo vertice.
Da giovedì mattina alle 4 l'Italia è appesa a un nuovo metro di giudizio, e non è detto che sia già sulla strada giusta per centrarlo, visto che la crescita appare già deludente rispetto alle ultime stime: dunque il debito in rapporto al Pil rischia di essere più alto.
A conferma dell'attenzione con cui viene seguita, all'Italia il Consiglio europeo riserva anche altri «consigli» che non figurano in questo livello di dettaglio né nella lettera della Bce, né in quella di Berlusconi a Barroso e Van Rompuy.
Il vertice parla così di «abolire le tariffe minime nei servizi professionali», come se prendesse nota dell'impegno che il premier ha appena preso con la sua missiva. Non è così però, perché la lettera del governo annuncia solo genericamente «altre misure per rafforzare l'apertura degli ordini professionali».
Anzi la reintroduzione delle tariffe minime, nota barriera all'ingresso dei più giovani, era stata un segno distintivo della riforma perseguita da Angelino Alfano quando era Guardasigilli. E anche qui, nemmeno la Bce era entrata in questi dettagli su cosa deve fare l'Italia per riportare l'economia in grado di crescere.
Sulla stessa linea, il Consiglio europeo indica anche di «rivedere entro la fine del 2011 il sistema degli assegni di disoccupazione attualmente frammentato».
Non è una richiesta anodina. Non lo è perché nella sua lettera di poche ore prima il governo non anticipa nulla del genere e soprattutto non lo fa entro queste scadenze pressanti: il documento di Berlusconi parla piuttosto di riforma del mercato del lavoro «entro maggio 2012».
Senza fare riferimento alle incongruenze della cassa integrazione che non copre la gran parte dei lavoratori più giovani, perché precari.
C'è poi la vigilanza, maggiore di quella alla quale Bruxelles ha abituato l'Italia dall'avvio del progetto dell'euro.
«Invitiamo la Commissione europea - scrivono i leader - a fornire una valutazione dettagliata delle misure e a monitorare la loro applicazione e invitiamo le autorità italiane a fornire in modo puntuale tutta l'informazione necessaria per questa valutazione».
Sono le parole che fanno da pendant alla promessa di sostegno finanziario, e non è una promessa da niente: al ritmo tenuto da inizio agosto, la Bce per esempio dovrebbe comprare Btp per 280 miliardi di euro l'anno solo per mantenere questi livelli di acquisti, che pure hanno prodotto tassi elevati. Ora anche il Fondo salvataggi potrà assistere l'Eurotower. Ma non se l'Italia non farà ciò che i leader europei le chiedono.
Stavolta le calende greche arrivano
di Felice Fortunaci - Megachip - 27 Ottobre 2011
Ecco il testo della lettera con gli impegni presi dall'Italia, un Paese in ginocchio, di fronte all'ultimatum europeo. La trovate, tra gli altri, sul Corriere della Sera. Invito a leggerla integralmente.
E' a dir poco agghiacciante: vendita dei beni pubblici a privati, privatizzazione di tutti i servizi pubblici entro 12 mesi, licenziamenti facili, pensioni irraggiungibili, e molto altro...
Cosa da non sottovalutare: il tutto viene condito con la totale distruzione della Costituzione, dei suoi principi di ispirazione sociale, della divisione dei poteri.
Questa è una vera rivoluzione. Un rovesciamento netto e rapido della costituzione materiale, con piena benedizione quirinalizia. Al Colle lo Stato d'eccezione piace, e non poco. Chi si illude del contrario perde tempo, e tempo non ce n'è più.
La devastazione della Costituzione è funzionale alla necessità di prendere decisioni tremende in tempi rapidi e senza "ostacoli" di tipo parlamentare.
Ogni spazio di espressione democratica DEVE essere impedito.
Pier Luigi Bersani, segretario del Pd, in nome dell'opposizione fa forse le barricate? Sentitelo: "A parte le minacce inaccettabili di entrare a piè pari sul mercato del lavoro, tutto il resto è merce usata. Dico a Berlusconi: forza, venga in parlamento e spieghi e rispetti quel calendario".
Urca, gliele canta chiare, eh? Quello che sa dire è: "rispetti quel calendario". In questo caso le calende greche arrivano, eccome se arrivano. Si fa come ad Atene, ragazzi.
Il diavolo si nasconde nei dettagli, e qui, di diavoli e dettagli, ce n'è a bizzeffe. Prendete l'accordo sulle banche. Anche questo è da leggere integralmente. Le banche devono iscrivere i titoli di stato ai valori di mercato, e devono ricapitalizzare.
Se non ce la fanno, intervengono gli Stati e in seconda battuta l' EFSF con soldi pubblici.
Cioè si istituzionalizza il meccanismo che socializza le perdite e privatizza i profitti.
Gli imbecilli schiavi non parlano di questo, naturalmente. Si concentrano sulle scuse della Merkel.
Nulla - ora sia chiaro - sarà come prima. I decenni della Repubblica precipitano qui. Adesso.
Come leggere la lettera del Governo all'UE
di Paolo Barnard - www.paolobarnard.info - 29 Ottobre 2011
Cosa significa, a chi è destinata, da chi è stata scritta, cosa cercano gli investitori nel testo, hanno trovato i capitoli che volevano, abbiamo accontentato i padroni veri dell'Italia?
1. COSA SIGNIFICA
Che l’Italia si deve piegare al volere dei mercati. Non abbiamo più alcuna sovranità politica (a causa dei Trattati europei che abbiamo firmato come il Lisbona, che ci impongono regole decise da tecnocrati pro business non eletti) né finanziaria (visto che non abbiamo più una nostra moneta sovrana, ma usiamo l’Euro che è una moneta straniera, dal momento in cui è emesso da entità non italiane e lo dobbiamo prendere in prestito). Cioè: solo ubbidire e applicare le politiche volute da altri.
2. A CHI E’ DESTINATA
Non alla UE, non ai politici UE. E’ scritta per gli investitori internazionali, quelli che oggi prestano ogni singolo Euro che lo Stato italiano spende per i cittadini. Si tratta di gruppi assicurativi, fondi pensione privati, fondi sovrani stranieri, banche d’investimento o singoli grandi investitori.
Cioè i padroni delle finanze di quasi tutti gli Stati del mondo. Per continuare a prestarci i soldi esigono regole che glieli facciano fruttare al massimo. Se quelle regole distruggono le persone non ha per loro nessuna importanza, se distruggono intere economie neppure, anzi, ci guadagnano, come spiegato ne Il Più Grande Crimine.
3. DA CHI E’ STATA SCRITTA
Non da Berlusconi, che non ha potere alcuno in questa storia. E’ scritta dai tecnocrati del governo sotto dettatura dei loro omologhi nella UE, gente come Draghi, Buti o Bini Smaghi.
Il governo non aveva scelta, o rispondere agli ordini oppure all’Italia veniva chiuso il rubinetto delle finanze, e moriva. Dal momento in cui si è tolto allo Stato il potere di creare ricchezza spendendo a deficit per i cittadini, questo potere è passato nelle mani esclusive degli investitori. Quindi ci possiedono al 100%. Punto.
4. COSA CERCANO GLI INVESTITORI NEL TESTO
Lo leggono rapidi saltando tutte le insignificanti rassicurazioni e i dettagli della nostra gestione interna, e vanno a cercare se l’Italia ha incluso nel testo due capitoli e solo quelli:
A) Regole per ulteriormente strangolare la spesa dello Stato per i cittadini.
B) Regole per favorire il loro lucro se investono o speculano qui da noi.
A patto che questi due capitoli sia soddisfacenti per loro, ci presteranno gli Euro per sopravvivere. Altrimenti ci dissangueranno fino alle estreme conseguenze.
5. LI HANNO TROVATI NEL TESTO?
Sì. Capitolo strangolare la spesa dello Stato per i cittadini: in Italia
1) si rendono effettivi con meccanismi sanzionatori la mobilità obbligatoria dei dipendenti pubblici sia statali che locali, e li si metterà in Cassa Integrazione con abbassamento complessivo dei salari.
2) riforma costituzionale per rendere illegale la spesa a deficit dello Stato (l’unica che invece crea ricchezza al netto per i cittadini e aziende).
3) innalzamento dell’età pensionabile, e non solo ai 67 anni, ma con l’obiettivo di tenere in considerazione nel futuro anche l’aspettativa di vita del lavoratore come parametro per l’entrata in pensione (come chiesto nel 2010 da 2 lobby finanziarie europee, la ERT e la BE).
4) se le misure non saranno sufficienti, lo Stato tasserà di più i cittadini, quindi il rapporto fra ciò che spende per loro e ciò che gli sottrae si alzerà ancora a favore di meno spesa e più prelievo.
5) i risparmi ottenuti dai tagli della spesa dello Stato NON potranno essere utilizzati per spendere a favore dei cittadini.
Capitolo favorire il loro lucro se investono o speculano qui da noi: in Italia
1) si introducono i prestiti d’onore agli studenti. Cioè incastrare il cittadino fin dalla più giovane età nel sistema finanziario che gli speculatori controllano e da cui guadagnano.
2) ulteriore flessibilità del lavoro, coi contratti di apprendistato, a tempo parziale e di inserimento. Cioè, là dove il lavoratore anziano crollerà morto di produttività sul posto di lavoro, le mega aziende assumeranno a due centesimi giovani sostituti senza tutele e sprovveduti.
3) più facilità nei licenziamenti anche dei lavoratori a tempo indeterminato, che potranno perdere il lavoro anche a causa di un calo di introiti aziendali.
4) privatizzazioni statali in accelerazione. Liberalizzazione e privatizzazione dei servizi pubblici locali. Ribadito il settore acqua, poi farmacie comunali, rifiuti, trasporti. Il Comune non potrà affidare un servizio senza aver prima verificato se era possibile aprire una gara fra soggetti privati. Le Regioni dovranno stilare piani urgenti di privatizzazioni locali.
5) la Costituzione sarà riformata per introdurre articoli pro business. Le conseguenze sulle tutele costituzionali del bene pubblico sono imprevedibili (no, prevedibili: le distruggeranno).
6. ABBIAMO ACCONTENTATO I PADRONI VERI DELL’ITALIA?
No. Le misure sono state giudicate insufficienti. Berlusconi, o chi per lui, non ha saputo essere sufficientemente Thatcheriano, Prodiano, Adreattiano o Dalemiano. Non ha saputo cioè usare la falce della distruzione della democrazia e del bene pubblico italiano come in decadi scorse seppero fare i personaggi citati. Risultato: i mercati degli investitori ci hanno di nuovo aumentato i tassi d’interesse sugli Euro che ci prestano a oltre il 6%.
Cioè: i nostri padroni hanno risposto che non solo non ci ridurranno il costo che paghiamo per prendere in prestito gli Euro, ma ce l’hanno aumentato. Ci hanno detto: “No! Volevamo lucrare di più, dovevate falcidiare la gente di più. Ora pagate”. E pagheremo, fino alla fine. Buona serata.
Come si esce dall'economia del debito
di Paolo Cacciari - Il Manifesto - 29 Ottobre 2011
Bisogna uscire da quella economia «che pone gli interessi del capitale sopra a quelli del lavoro e della stessa vita delle persone e dell'ecosistema terrestre». Le vecchie ricette keynesiane non hanno più margini in una crisi strutturale di queste dimensioni e qualità. Deve decrescere la dipendenza dal mercato e dall'ossessione del Pil.
Alzino la mano quanti hanno azioni? Pochissimi, a giudicare dal fatto che non ci dicono mai la loro vera consistenza (numero di persone per il valore delle azioni possedute). Alzino la mano quanti hanno titoli di stato?
Non molti e comunque posseggono meno della metà della metà del valore dei titoli emessi (la metà è all'estero, l'altra metà è nelle casse di imprese e investitori istituzionali vari).
Alzi la mano chi ha denari in banca? Abbastanza, ma si accontentano di interessi che non proteggono nemmeno dall'inflazione.
E allora, chi se ne frega del default ! Falliscano pure banche e stati, non vengano rimborsati i prestiti che hanno avuto, o vengano congelati in attesa di tempi migliori.
Le bancarotte (assieme alle guerre) sono il metodo più sbrigativo per la remissione dei debiti e ricominciare da capo. E' successo molte volte nella storia degli stati e, da ultimo, l'Argentina insegna che ci si può risollevare.
Chi vive del proprio lavoro, chi non arriva alla quarta settimana, cioè la maggioranza delle famiglie, si libererebbe così finalmente dal peso di dover foraggiare rendite e interessi.
Se è vero che su ogni italiano gravano 30.000 euro di debito pubblico, quanti anni ci vorranno per estinguerli, ammesso che i futuri governi riuscissero a non aggiungerne altri?
I giovani senza futuro, gli indignados che protestano a Wall Street, i disoccupati nelle piazze spagnole e greche gridano: «Non vogliamo pagare noi i vostri debiti». Ed hanno più che ragione.
Ma c'è un ma che rende ancora più grave la situazione e più profonda la svolta economica e politica necessaria per uscire dalla crisi. Non sono solo gli avidi speculatori, gli approfittatori alla Soros, i manager pagati in opzioni alla Marchionne, i ministri della finanza creativa alla Tremonti che ci hanno portato sull'orlo del baratro.
Via loro (e sa iddio quanto sarebbe bello!) non cambierebbe nulla perché anche l'azienda dove andiamo a lavorare, l'amministrazione comunale dove abitiamo, la locale azienda sanitaria, il fondo che gestisce la nostra pensione, la banca del nostro bancomat, l'agenzia di stato che sborsa il sussidio di disoccupazione a nostro figlio... sono da tempo, in un modo o nell'altro,tutti indebitati.
Tutti avevano fatto il conto ("aspettativa" si dice in economia) di riuscire in futuro a guadagnare di più (facendo profitti, riscuotendo tasse, realizzando interessi, vendendo immobili e "cartolarizzando" il Colosseo...) di quanto non avessero ricevuto in prestito. Credevano, cioè, nella chimera di una crescita economica esponenziale e senza fine. Un calcolo tragicamente sbagliato.
Da tempo (dieci, venti, chi dice trent'anni) le economie occidentali sono in crisi di realizzo, il loro tessuto produttivo non è più in grado di riprodurre guadagni tali da riuscire a mantenere gli standard dei consumi privati e pubblici.
Per mascherare questo fallimento e allontanare il declino le hanno tentate tutte: la leva finanziaria, i titoli tossici, il signoraggio del dollaro, oltre, ovviamente, al vecchio trucco di stampare carta moneta. Niente, la "santa crescita", nonostante le continue invocazioni e i lauti sacrifici umani, non arriva. E non arriverà mai più, almeno per chi è da questa parte del mondo.
Doveva essere il secolo americano ed invece è quello del suo declino che si trascina con sé propaggini e imitazioni. Ciò accade un po' perché portare via le materie prime dal terzo mondo è sempre più costoso (militarizzazione crescente, prebende a regimi fantoccio, esaurimento delle risorse naturali), un po' perché i paesi emergenti hanno imparato che "arricchirsi è glorioso" e nemmeno così difficile.
In un contesto di economia neoliberista, fondata sulla competizione selvaggia tra aree geografiche vince semplicemente il più forte: chi ha più capacità produttiva, chi riesce più a spremere i fattori e gli strumenti della produzione: a partire dal lavoro e dalle risorse naturali. Questa volta la Cina è davvero vicina.
Oppure si decide di uscire dal gioco per davvero. Si esce dall'economia del debito (cioè da quella economia che pone gli interessi del capitale sopra a quelli del lavoro e della stessa vita delle persone e dell'ecosistema terrestre) con tutto quello che ne deriva. E' questo il vero recinto di pensiero da cui nemmeno la sinistra-sinistra riesce ad uscire.
Le vecchie ricette keynesiane non hanno realmente più margini di applicazione dentro una crisi strutturale di queste dimensioni e di questa qualità.
Le politiche riformiste, anche quelle più caute sono tagliate fuori sia sul versante del modello economico, sociale ed ecologico, sia su quello della distribuzione della ricchezza.
E' ormai chiaro che le risposte possono venire solo uscendo dalle regole e dai dogmi del mercato.
Dovremmo pensare ad un altro tipo di ricchezza, ad un altro tipo di benessere, ad un altro modo di lavorare, ad un altro modo di relazionarsi tra le persone che non sia quello che passa attraverso il portafogli.
E sarebbe certamente una società più umana, più in armonia con la natura, più capace di futuro, più desiderabile.
Se provassimo a mettere la cura e la fruizione dei beni comuni (l'acqua, la terra, le foreste, il patrimonio naturale, ma anche quello culturale: la conoscenza, i saperi) al centro della nostra idea di società, riusciremmo facilmente e con grande soddisfazione individuale e collettiva a fare a meno dell'ossessione dell'aumento del Pil.
Anzi, essere costretti a pagare per possedere, invece che condividere per accedere ad una fruizione collettiva, sarebbe un indicatore negativo di benessere.
Decrescere la dipendenza dal mercato è l'unico modo per sottrarsi ai suoi diktat.
Non c'è modo di liberarsi dalla tirannia della produttività misurata in budget se non ci si libera dal dispositivo dell'incremento del valore di scambio delle merci.
Ed è esattamente questo, non altro, quello che chiamano, in modo assolutamente bipartisan (da Napolitano a Berlusconi, dalla Camusso a Marchionne, dagli economisti marxisti a quelli liberisti): crescita.
Il guaio non è la «vera e propria crisi del capitalismo» (sono parole di The Observer), ma la mancanza di una alternativa di sistema. Cioè, la mancanza di una soggettività politica che abbia il coraggio civile e intellettuale di prospettare un sistema di valori etici e di regole sociali all'altezza della odierna crisi di civiltà e capace di evitarci di pagare le conseguenze del collasso.
Per esempio: non ci si libera dagli strozzini e dagli usurai se non si stabilisce che la finanza e la moneta devono tornare ad essere strumenti neutri, beni comuni pubblici, di servizio, che nessuno (né grande banchiere, né piccolo azionista) può pensare di usare per arricchirsi.
Non ci si evolve dal lavoro schiavo e precario se non si torna a stabilire che anche il lavoro è un bene comune, non una merce, un modo di realizzare sé stessi e, assieme, contemporaneamente, un modo per offrire agli altri cose utili, sane, durevoli. Non ci si libera dal peso delle crescenti spese militari e per la "sicurezza", se non si capisce che la pace e la sicurezza sono beni indivisibili, universali.
Fastidiose utopie, dirà qualcuno, indispensabili modi di essere per chi pensa che sia possibile praticare forme di economia non monetizzata, sociale e solidale. Ernst Friedrich Shumacher diceva che l'economia è una «scienza derivata», che deve cioè «accettare istruzioni». È urgente che qualcuno impartisca nuove istruzioni.