venerdì 26 settembre 2008

Crisi finanziaria: mancano i liquidi

La crisi della finanza globale colpisce ancora negli USA. Sempre piu' americani non riescono a pagare gli arretrati sulle carte di credito e oggi le autorità bancarie statunitensi hanno ordinato la chiusura della banca Washington Mutual decretandone di fatto il fallimento, il più grande nella storia del credito americana.

La banca non era infatti più in grado di proseguire le attività per mancanza di liquidi.
Le attività dell'istituto passano a JP Morgan Chase per 1,9 miliardi di dollari.
Jp Morgan ha annunciato un aumento di capitale da 8 miliardi di dollari per mantenere i propri standard di solvibilità.

Nel frattempo oggi la banca britannica Hsbc ha deciso il taglio di 1100 posti di lavoro in tutto il mondo, meta' dei quali concentrata in Gran Bretagna.

Finche' la barca va....


Le banche cinesi hanno smesso di fare prestiti alle banche USA
Reuters - 25 Settembre 2008
Tradotto da Alcenero per http://www.comedonchisciotte.org/

Il South China Morning Post ha riferito oggi, giovedì, che i governanti cinesi hanno ordinato alle banche nazionali di fermare i prestiti interbancari ad istituzioni finanziarie USA per prevenire possibili perdite durante la crisi finanziaria. Il giornale di Hong Kong ha citato fonti anonime dell’industria che affermano che l’ordine, proveniente dalla China Banking Regulatory Commission (CBRC- Commissione Regolatrice del Sistema Bancario Cinese), riguarda prestiti interbancari di tutte le valute con banche USA ma non con banche di altre nazioni.

"Il decreto sembra essere il primo tentativo di erigere delle difese contro il disastro finanziario USA dopo che i principali autori di prestiti hanno riferito di avere miliardi in dollari USA di esposizione alla crisi del credito”, ha affermato il South China Morning Post. Un portavoce della CBRC non ha rilasciato commenti.


Crisi USA, paure cinesi
di Federico Rampini - La Repubblica - 25 Settembre 2008

A conferma della situazione di estrema illiquidità, incertezza e sfiducia che regna sul mercato interbancario, a Hong Kong si è diffusa oggi la voce che la banca centrale di Pechino avrebbe raccomandato a tutti gli istituti di credito cinesi di interrompere ogni prestito a istituzioni finanziarie americane. La voce è stata raccolta dal principale quotidiano di lingua inglese di Hong Kong, The South China Morning Post, solitamente affidabile per le sue informazioni sulle autorità di politica economica cinesi. E' stata tuttavia smentita da fonti vicine al governo e all'autorità monetaria della Repubblica Popolare.

L'articolo del South China Morning Post sosteneva che la China Banking Regulatory Commission, l'organo di vigilanza che è un'emanazione della banca centrale, avrebbe diramato istruzioni a tutti i banchieri cinesi perché chiudano i rubinetti del credito verso qualsiasi controparte situata negli Stati Uniti, onde evitare l'esposizione a insolvenze improvvise. La stessa fonte di Hong Kong chiamava in causa la crescente preoccupazione di Pechino per le possibili ripercussioni della crisi bancaria americana sul portafoglio di investimenti delle banche cinesi.

Uno spiraglio di luce invece ha rasserenato i mercati - e i depositanti - riguardo alla sorte della Bank of East Asia, l'importante banca di Hong Kong che ieri era stata assediata da code di correntisti dopo le voci di una imminente bancarotta. A migliorare l'atmosfera, più ancora delle dichiarazioni rassicuranti dell'autorità monetaria di Hong Kong, è stato il gesto del locale magnate Li Ka-shing (considerato l'uomo più ricco dell'isola) che ha annunciato di avere acquistato una "significativa partecipazione azionaria" nell'istituto.

La sua mossa è stata paragonata a quella del miliardario americano Warren Buffett che nei giorni scorsi ha annunciato il suo ingresso nell'azionariato della Goldman Sachs. Nel frattempo la Hong Kong Monetary Authority, oltre a fornire un'iniezione di liquidità aggiuntiva alla piazza finanziaria, ha annunciato di avere allo studio un aumento del plafond di assicurazione dei depositi in caso di bancarotta. Attualmente il plafond è considerato troppo basso essendo di 100.000 dollari di Hong Kong pari a circa 13.000 dollari Usa.


Non si fa più credito
di Alessandro Ursic - Peacereporter - 26 Settembre 2008

E' iniziata come crisi dei mutui subprime, è diventata lo scoppio della bolla immobiliare e la stretta del credito, ha sconvolto il capitalismo americano facendo fallire le più grandi banche d'investimento. Mentre a Washington si cerca di salvare il salvabile con un piano di intervento pubblico da 700 miliardi di dollari, una nuova minaccia incombe sul sistema finanziario statunitense e mondiale: quella dei sempre più americani che non riescono a pagare gli arretrati sulle carte di credito. Molti analisti l'hanno segnalata da tempo. E ora che i tassi di insolvenza stanno raggiungendo livelli di guardia, se ne sta accorgendo anche il Congresso.

Nella settimana in cui tutti gli occhi di Washington e dei mercati azionari mondiali erano sul piano d'emergenza presentato dal segretario al tesoro Henry Paulson, la Camera dei rappresentanti martedì ha approvato a larga maggioranza il Credit Cardholders Bill of Rights: una legge che renderà più facile la vita ai titolari di carte di credito in difficoltà con i pagamenti, impedendo alle compagnie di alzare gli interessi in maniera retroattiva, senza neanche avvisare i clienti. Tutte pratiche definite “ingannevoli” dalla stessa Federal Reserve, anche in seguito alle segnalazioni di oltre 56mila clienti. E' molto difficile che il provvedimento – sponsorizzato dai Democratici – diventi legge entro fine anno; più probabile che, una volta firmata anche dal Senato, la misura arrivi sul tavolo del prossimo presidente. Ma il fatto che la questione sia arrivata al Congresso è un segnale della gravità della situazione.

Come la concessione di mutui a chi normalmente non ne avrebbe i requisiti, così negli ultimi anni le banche hanno incoraggiato in tutti i modi la diffusione delle carte di credito. In una conferenza stampa organizzata due giorni fa dall'associazione Americans for Fairness in Lending, due ex dipendenti di una compagnia ora rilevata dalla Bank of America hanno raccontato delle pressioni a cui erano sottoposti, con l'ordine di usare approcci aggressivi e ingannevoli verso i potenziali clienti, invogliandoli a indebitarsi sempre più, con conseguenti maggiori profitti per la compagnia.

"Avevamo l'obiettivo di vendere 25mila dollari all'ora, 4 milioni al mese. E io ero solo una delle centinaia di impiegate, solo in una sede”, ha detto una delle due ex dipendenti. Così facevano in tanti, troppi, e i risultati si vedono: a luglio, secondo i dati della Fed, gli americani avevano un debito di 969,9 miliardi sulle carte di credito. Nel 2003 i miliardi erano 770.Con un'economia in espansione e valori delle case in costante aumento, molti americani hanno rifinanziato periodicamente le loro case, usandole in sostanza come giganteschi bancomat per soldi che però erano tali solo sulla carta. Ma ora che la bolla immobiliare è scoppiata, quelle case valgono molto meno, la crisi si fa sentire e molte aziende tagliano il personale, i conti da pagare restano. E per rifarsi delle perdite in aumento, le compagnie che emettono carte di credito hanno alzato drasticamente i tassi sui debiti non pagati.

Nel frattempo, dopo essere sceso progressivamente da inizio 2002 all'anno scorso, il tasso di insolvenze è aumentato di colpo negli ultimi mesi del 2008. Nel secondo trimestre di quest'anno, l'1,09 percento dei titolari di carte di credito è indietro almeno 90 giorni nei pagamenti, rispetto allo 0,91 percento dello stesso trimestre del 2007. E anche se questa percentuale è in leggero calo rispetto ai primi tre mesi del 2008, gli analisti hanno subito trovato una risposta non incoraggiante: il calo è dovuto al benefico ma temporaneo sollievo fornito dagli sconti fiscali approvati da Bush a inizio anno per frenare la crisi, e il resto lo fanno gli scrupoli che le compagnie hanno ora nel concedere nuovi crediti. Un buon segno, per il futuro. Ma per i conti passati è ormai troppo tardi. E sono comunque 2,5 milioni di persone indietro di tre mesi nei pagamenti.

Dato che storicamente si muove in linea con il tasso di disoccupazione, ora che ci si aspetta una vera recessione, si prevede che il tasso di insolvenze sulle carte di credito abbia appena iniziato ad aumentare. Negli Usa, le pubblicità di compagnie che ti invitano a contattarle per vedersi miracolosamente ridotto il credit card debt si trovano dovunque. E' il punto di arrivo di una tendenza all'indebitamento in atto da decenni, in un'economia pericolosamente sbilanciata sui consumi, che rappresentano il 70 percento del Pil.

Il tasso di risparmio delle famiglie americane, sceso progressivamente dagli anni Sessanta, nel 2005 è stato negativo (-0,5 pecento) per la prima volta dal 1933, anno di piena Depressione. Non solo gli statunitensi hanno speso tutto quello che guadagnavano; si sono pure indebitati per consumare. In confronto, i tassi di risparmio delle maggiori economie europee si aggirano intorno al 10 percento. Se fosse un problema “solo” di milioni di famiglie, sarebbe già grave. Ma anche i debiti delle carte di credito, come i mutui subprime, sono stati inseriti in pacchetti finanziari piazzati poi sui mercati mondiali: proprio quelli che ora, contenendo centinaia di miliardi di crediti irrecuperabili e quindi persi, hanno messo in ginocchio le grandi banche. Ecco perché, se si buca anche la bolla delle carte di credito, potrebbe arrivare il pugno del kappaò.