venerdì 4 novembre 2011

Democrazia vs. Mercati - update

I "mercati" sono riusciti ancora una volta ad avere la meglio sull'unico strumento di democrazia popolare diretta, il referendum.

Il premier greco Papandreou è dovuto infatti tornare sui suoi passi rinunciando al referendum dopo la contrarietà manifestata anche da 4 suoi ministri, unita a tutti gli insulti che si è dovuto sorbire da parte degli altri leader dell'Ue, Merkel e Sarkozy in primis.

Papandreou spera così di salvare il suo governo con l'appoggio del partito d'opposizione Nea Demokratia, disponibile ora ad appoggiare il governo socialista e a votare le misure di austerità ordinate dall'Ue dopo la cancellazione del referendum.

Nel giro di 3 giorni tutti coloro che hanno sparato ad alzo zero contro Papandreou e la sua proposta di referendum e quelli che hanno contribuito nel frattempo ad affossare le Borse europee hanno vinto ancora una volta.

Una partita tutto sommato facile da vincere....



"Se l'Italia non fosse nell'euro..."
di Enrico Piovesana - Peacereporter - 4 Novembre 2011

Il giornalista economico britannico Evans-Pritchard: “L'economia italiana è debole solo secondo i parametri di Maastricht. Se avesse ancora una banca centrale sovrana non sarebbe in questa situazione. La Bce? Incompetente e arrogante”

Fondamentalmente la posizione debitoria italiana è solida - ci ha detto il giornalista britannico al telefono - perché non esiste solo il rapporto debito pubblico/Pil stabilito dal Trattato di Maastricht.

Se tra i criteri di sostenibilità di un economia si considera anche il debito privato, l'Italia risulta uno dei Paesi più stabili d'Europa. L'indebitamento delle famiglie italiane e delle società non finanziarie italiane è il più basso d'Europa (42 per cento del Pil, contro il 103 britannico, l'84 spagnolo, il 63 tedesco e il 51 francese, ndr) e ciò rende il debito aggregato italiano (pubblico più privato) inferiore a quello di Gran Bretagna, Spagna e Francia, e analogo a quello della Germania.

Inoltre lo Stato italiano è uno dei pochi al mondo ad avere un avanzo primario, ovvero a incassare più di quello che spende, al netto degli interessi che paga sul debito pubblico.

Considerate queste condizioni, se il vostro Paese non fosse entrato nell'euro e aveste quindi una banca centrale sovrana in grado di attuare una politica monetaria autonoma espansiva a sostegno dello sviluppo la situazione dell'Italia sarebbe molto migliore.

Ovviamente stiamo parlando in linea puramente teoria, perché ormai che siete dentro non potete uscirne: sarebbe una catastrofe per voi e per l'Europa in generale.

Il problema è che la direzione in cui stiamo andando è proprio questa, perché la politica economia della Bce produce risultati nefasti.

La politica monetaria restrittiva della Bce, che anche in questi ultimi anni di piena recessione ha pedissequamente osservato il suo dovere statutario di tenere bassa l'inflazione tenendo alto il costo del denaro, ha ristretto il credito e di conseguenza ha rallentato la crescita di tutta l'Europa.

E ora pretende di salvare Paesi in recessione come Grecia e Italia imponendo loro riduzioni salariali e tagli occupazionali che bloccheranno crescita e sviluppo. Incompetenza, per non dire di peggio.

A questo si sommano la pericolosità politica dell'azione della Bce, che impone i suoi diktat in maniera arrogante e offensiva della sovranità nazionale. Si pensi al piano per la Grecia che prevede l'apertura ad Atene di uffici europei permanenti per monitorare l'applicazione di queste misure, come una sorta di viceré europeo.



La democrazia occidentale è il peggior sistema politico di tutta la storia umana
di Eugenio Orso - Comedonchisciotte - 4 Novembre 2011

Viva il Centralismo, viva la Rivoluzione, viva la Dittatura per gestire lo stato di transizione.

Lo slogan politicamente scorretto è mio, ma non è soltanto provocatorio perchè lo scrivo con intima convinzione, nonché con totale disprezzo nei confronti dei regimi liberaldemocratici e dei loro sostenitori – che sono dei nemici da combattere, a tutti i livelli della scala sociale.

Un trentennio di inganni, di rischiavizzazione del lavoro e di impoverimento di massa, che si è ulteriormente velocizzato dal 2008, hanno ridotto l’Italia nelle condizioni che oggi possiamo osservare.

Per non parlare della Grecia, in cui un politico incapace “che ha studiato in America” (anche lui come il funzionario BCE Napolitano), rampollo di terza generazione di una dinastia di politici di professione, prima indice un referendum che avrebbe potuto essere d’importanza cruciale per il futuro della Grecia, e poi con un’improvvisa marcia indietro di fatto lo cancella.

Saranno i partiti ellenici a supplire alla mancata consultazione popolare raggiungendo un’intesa fra loro, ed è praticamente certo che la piccola politica serva dei globalisti (non c’è solo in Italia, ma è diffusa per ragioni di omologazione sistemica in tutto l’occidente) farà passare l’accordo, piegando il capo. Che si tratti del Pasok e di Néa Dimokratìa in Grecia, oppure del Pd e del PdL in Italia, vale ciò che affermo.

Sappiamo che l’accordo sul debito del 26 ottobre serve a salvare non tanto la Grecia, condannata alla schiavitù per debiti e alla caduta del prodotto almeno fino al 2020, ma le banche (francesi, tedesche, indirettamente quelle americane, eccetera) che sono un importante strumento di potere dei globalisti.

Il Quisling greco della Global class ha ceduto di schianto poco dopo il suo annuncio della consultazione referendaria, indetta per approvare l’accordo sul debito e prevista per il 4 di dicembre, forse spaventato dai sondaggi che davano quasi per certo un respingimento dell’accordo a larga maggioranza (60%), o dalle “pressioni” esterne che ha ricevuto (vere e proprie minacce?

Era a rischio la sua stessa incolumità personale? Poteva essere travolto improvvisamente da “scandali”?), o, ancora, dalla furia vindice di Mercati e Investitori, oppure da tutte queste cose messe insieme.

Papandreou, conoscitore forse più dell’America in cui ha vissuto che della Grecia in cui ha governato per conto terzi, non ha la stoffa né le palle per rompere il ferale cerchio – con buona pace della Debora Billi di Papandreou tiene cojones!, e il suddetto, con ogni probabilità, cerca soltanto di salvare il suo culo, come fa abitualmente Berlusconi in Italia.

Infatti, Berlusconi pur non mollando la carica ha accettato le “misure impopolari” imposte dai globalisti europidi e Papandreou, che non vuole dimettersi, dopo aver tirato il sasso del referendum ha nascosto la mano, dichiarando con sottomissione che la consultazione popolare non è mai stata un fine in sé (veramente strano, per un ardente democratico) e che “Dobbiamo applicare il pacchetto europeo per il futuro del paese e dei nostri figli.”

Se la popolazione greca, lontana ormai dalla politica sistemica liberaldemocratica almeno quanto quella italiana, se non di più (avendola sperimentata sulla propria pelle), non potrà in alcun modo esprimersi, vista la situazione drammatica che si prospetta sarà costretta a scegliere altre strade.

Soltanto estese rivolte popolari con abbondante uso della violenza, incontenibili e coronate da successo (l’unica medicina possibile, giunti ad un tale punto), potranno salvare la Grecia dalla schiavitù dell’euro e perciò dal rischio di restare per decenni sotto il tallone globalista.

Lo stesso potrà accadere fra breve in Italia, in Spagna, in Portogallo e in un futuro un po’ più lontano (perchè no?) anche in Francia.

Tutti i popoli europei sono a rischio, persino i tedeschi “primi della classe”, e ormai anche i bimbi dell’asilo dovrebbero averlo capito.

Persino negli Stati Uniti, se non riuscirà l’operazione di scaricare interamente il barile della crisi sull’Europa, agli indignados locali potrebbero far seguito moti popolari ben più incisivi, totalmente esterni agli schemi politici consueti.

Nello stesso giorno in cui Papandreou butta a mare il referendum – inibendo la consultazione popolare (da lui stesso prima annunciata) e dandoci un’ennesima prova di cos’è veramente la democrazia, il bieco Mario Draghi, da questo mese saldamente alla guida di quella organizzazione criminale globalista che è la BCE, abbassa i tassi (tutti, compreso quello sui depositi che scende al mezzo punto percentuale) per far “ripartire” le borse ed assicurare il toro, dopo l’orso, ai grandi speculatori, cioè per dare a coloro che lo pagano lautamente, lo incensano e gli fanno fare carriera, un’altra occasione di grandi guadagni.

George, salva la Grecia! Mario, salva l’euro!

Ma che strana coincidenza!

Quel che conta, in questo breve post, è rilevare che la democrazia, così come ce la dipinge l’apparato propagandistico massmediatico e accademico, non soltanto non esiste, ma nella realtà è il suo esatto contrario: un feroce regime che agisce sempre e comunque contro la stragrande maggioranza della popolazione, da sottomettere completamente, da idiotizzare perché non capisca l’inganno, e da rendere schiava perchè lavori a basso costo, e senza alcuna pretesa, per la Global class (finita l’epoca del rivendicazionismo, ricomincia quella dello schiavismo).

La democrazia occidentale – con il suo suffragio universale neutralizzato dallo spostamento in sedi sopranazionali delle decisioni strategiche, economiche, finanziarie, sociali, e la sua rappresentanza che non rappresenta il popolo, è niente altro che il volto politico del Nuovo Capitalismo e della sua classe dominante (la Global class).

La democrazia occidentale non ammette, nonostante si perpetui la grottesca finzione del suffragio universale e si mantenga in essere l’istituto referendario, che la popolazione possa veramente partecipare alla decisione politico-strategica, che possa decidere su questioni cruciali per il proprio futuro, quale è, ad esempio, quella dell’adesione greca al “piano di salvataggio” globalista-europide. A proposito di quanto precede sarebbe istruttivo per tutti leggere, o rileggere, Il popolo al potere del filosofo Costanzo Preve, oppure Dopo la democrazia dello scomparso Ralf Darendhorf (un liberale e un commissario europeo! Ma critico nei confronti del neoliberalismo e della liberaldemocrazia).

L’unica e la sola forma di democrazia (anche ammesso che altre siano oggi possibili) che si conosce in Italia, in Europa, in occidente, è la democrazia liberale sorretta da due gambe: il suffragio universale e l’istituto della rappresentanza. E dato che questa è l’unica forma di democrazia esistente – tralasciando le belle utopie o le favolette (ad esempio le virtù di una fantomatica democrazia diretta), è chiaro stiamo vivendo sotto il tallone di un regime sanguinario, pronto a distruggere il nostro futuro, che perciò deve essere combattuto senza quartiere e abbattuto.

Il suffragio universale non serve a nulla, perchè ovunque prevalgono il voto ignorante, disinformato, d’inerzia, pilotato, manipolato, soggetto a ricatto economico, e non certo il consapevole “voto d’opinione”, raro quanto i diamanti, ma tanto caro all’ipocrisa liberale.

Sappiamo bene che è cura del marketing politico, nato ad imitazione di quello commerciale e mercatista, presentare programmi falsamente alternativi, in cui si esaltanto per avere consensi le piccole differenze “di prodotto”, ma nella realtà omologati e interamente subordinati alle direttive sopranazionali (se l’ordine implica l’allungamento dell’età pensionabile, o il buttare in strada nel breve trentamila impiegati statali, lo si fa e basta!).

Un sistema in cui la sorgente dei programmi politici di forze che dovrebbero essere contrapposte è sempre la stessa, non è altro che truffa colossale, rappresentazione scenica, mascheramento di qualcos’altro.

La rappresentanza è in genere sottomessa alla classe dominante globale, e fa da “cinghia di trasmissione” finale, verso il basso, cioè verso le popolazioni, delle decisioni politco-strategiche che calano dall’alto, cioè dagli organi della mondializzazione economica e finanziaria (UE, BCE, FMI, BM, eccetera).

La rappresentanza locale può pur essere inadeguata, corrotta, persino criminale come accade in Italia, ma ciò ai globalisti non importa più di tanto, purchè obbedisca e rappresenti loro, i loro interessi privati, i Mercati e gli Investitori, e non la popolazione.

Qualcuno ha letto dichiarazioni pubbliche di politici (che contano), del Pd , del PdL o di altri cartelli elettorali parlamentari, totalmente opposte ai contenuti della missiva-diktat del 5 agosto u.s., spedita da Trichet e Draghi al governo italiano? Semmai il contrario, a partire dal personaggio che ricopre la carica di presidente della repubblica, che si è speso nella difesa dell’euro e del trattato di Maastricht. Inoltre, tutti i sub-dominanti politici locali (non soltanto italiani) esaltano la Crescita capitalistica facendone un dogma inviolabile.

Per non far capire che il loro unico scopo (ancorché non esplicitamente dichiarato) è quello di assicurare un incondizionato supporto allo sviluppo dei Mercati ed alla Creazione del Valore azionario, finanziario e borsistico, i politici democratici occidentali possono arrivare al grottesco, come nel caso di David Cameron in Gran Bretagna, che ha promosso una vera e propria “inchiesta sulla felicità” di natura non economica, la quale dovrebbe accertare attraverso il sondaggio se i sottoposti, nella realtà di tutti i giorni vessati dai Mercati e dal liberoscambismo, sono felici o un po’ incazzati.

Tornando alle cose serie dopo un attimo di divagazione, alla democrazia occidentale la nuova classe dominante globale ha assegnato il compito storico, sul versante politico, delle leggi, della gestione dei vecchi stati nazionali e dei patrimoni pubblici, di spianare la strada al Libero Mercato Globale, di rifinanziare i sistemi bancari e le “istituzioni finanziarie” a spese delle classi povere (unificate nella Pauper class), di trasferire quante più risorse possibili dal lavoro al capitale, e naturalmente di ridurre ai minimi termini la socialità.

Per i motivi anzidetti, e visti i veri compiti assegnati ai regimi liberaldemocratici dai dominanti, in Italia, più che l’inaffidabile e stupido Berlusconi, con qualche tendenza a disobbedire facendosi “i cazzi suoi”, potrebbe andar bene il burocrate politico Bersani, che sbava per servire i globalisti, ancor meglio potrebbe andare la giovane scamorza ultraliberista Renzi (che prende i voti anche dagli elettori di centro-destra, anzi, soprattutto da quelli), o forse l’inconsistente vanesio Cordero di Montezemolo, e via elencando.

Meglio ancora sarebbe in questo momento, in cui si cerca di evitare anche il voto addomesticato, la figura di un “tecnico” – giunto al potere senza elezioni e quindi senza consultazione popolare, pur largamente truccata e condizionata, cioè un’emanazione diretta dei globalisti, un loro “uomo a L’Avana”, quale è sicuramente il commissario europeo italiota Mario Monti.

All’interno dei regimi liberaldemocratici, prodotto della democrazia occidentale subordinata al comando neocapitalistico, non può nascere e svilupparsi alcuna vera alternativa, contraria alla Crescita, al dominio della finanza, alla legge dettata dai Mercati e dagli Investitori.

Al contrario, all’interno di questo sistema di governo caratterizzato dalla superiorità della finanza e dell’economia sulla politica, gli interessi di un grande fondo pensioni americano, o della Fiat marchionnista, contano e sempre conteranno di più della volontà effettiva di decine di milioni di elettori!

Perciò, se qualcuno ingenuamente si aspettava che Papandreou – politico democratico occidentale “cresciuto” nella liberaldemocrazia, non si rimangiasse le sue parole, facendo fare il referendum, dando l’esempio ad altri e iniziando così a minare le istituzioni europidi che temono il verdetto popolare, adesso sarà deluso almeno quanto quelli che in Italia riponevano folli speranze nell’”indipendenza” di un Berlusconi, che un po’ di tempo addietro trattava fraternamente con il dittatore Gheddafi e il potente ex KGB Putin, e che ora s’impegna con patetiche letterine ad eseguire gli ordini dell’Unione Europoide.

In conclusione, sul piano sociale il primo nemico è la Global class neocapitalistica che manovra le sue istituzioni europidi contro di noi, sul piano economico il primo nemico è il Nuovo Capitalismo finanziarizzato del terzo millennio che rappresenta un nuovo modo storico di produzione, e sul piano politico i primi nemici non possono essere per noi che i regimi liberaldemocratici occidentali, con tutti i loro cartelli elettorali falsamente divisi in destra e sinistra, in conservatori e socialisti, in democratici e repubblicani, quali emanazioni dei veri dominati.

Mai come ora sentiamo sul collo il respiro dell’impoverimento di massa, della possibilità di guerre future (con l’uso di armi non convenzionali), della questione energetica, di quella ambientale, e comprendiamo che questo capitalismo, ammantato di democrazia, procede per giganteschi espropri, shock sociali ed economici, desertificazioni, distruzioni di conquiste sociali e di interi ecosistemi, crescendo come un tumore che finirà, prima o poi, in metastasi.

Mai come ora, che siamo ancora in tempo per reagire, è necessario comprendere che la democrazia occidentale, radicatasi con i suoi insani regimi nei paesi cosiddetti sviluppati, è il peggiore dei sistemi di governo dell’intera storia umana, e contribuisce attivamente a spingere il mondo verso il baratro.

Rivoluzione, Centralismo, Collettivismo e Dittatura della Pauper class per gestire la transizione saranno la sola medicina che ci consentirà di uscire dall’incubo, e di evitare la metastasi finale capitalistica.


La crisi degenera. Che sta succedendo?
di Aldo Giannuli - www.aldogiannuli.it - 2 Novembre 2011

I mercati sono in picchiata, lo spettro di un gigantesco effetto domino si para improvvisamente davanti: default della Grecia- crisi bancaria franco-tedesca- default italiano- fine dell’euro- fine della Ue, grande crisi mondiale.

E tutto questo è stato innescato solo dall’annuncio di Papandreu di un referendum sul piano di aiuti ottenuto e sulle conseguenti misure da adottare.

Per capire dove stiamo andando a sbattere, partiamo da una domanda: perchè Papandreu ha fatto questa mossa?

Si potrebbe pensare che ci sia dietro una strategia del tipo: “se salta tutto, noi greci andiamo a terra, ma ci portiamo appresso tutti voi, signori dell’Eurozona, per cui vi conviene concederci gli aiuti a condizioni più ragionevoli, per evitare la catastrofe”.

Ma questo non convince: è un argomento che Papandreu avrebbe potuto far valere già da due anni e non lo ha mai fatto, che senso avrebbe farlo ora, dopo aver appena concluso con successo il negoziato per il finanziamento Ue-Bce per una rata di bond?

Rimettere tutto in discussione a questo punto è molto più che una mossa azzardata: somiglia molto da vicino ad un suicidio. Peraltro, se davvero ci fosse qualche calcolo politico di portata internazionale, si immagina che il governo greco ne avrebbe informato il governo ed il partito che lo sostiene, che farebbero quadrato intorno a lui.

E, invece, a quanto pare, nemmeno il ministro delle finanze non ne sapeva nulla e il Pasok è stato colto del tutto impreparato al punto che diversi suoi deputati chiedono le dimissioni del governo.

Dunque, non si tratta di questo.

A darci qualche lume per capire la situazione è un libro di Dimitri Deliolanes uscito da poche settimane “Come la Grecia” ed. Fandango-Libri, Roma 2011, la cui lettura consiglio caldamente, per sfatare molti pregiudizi ed apprendere notizie che difficilmente si leggono sui nostri quotidiani.

Fra le altre, Deliolanes fornisce molte notizie sulle caratteristiche personali del ceto politico greco e del suo principale esponente, Papandreu, greco della diaspora, vissuto per quasi tutta la sua vita negli Usa, uso frequentare i migliori salotti della politica e della finanza mondiale, con legami assai deboli con il suo paese di origine di cui ha una immagine molto fantasiosa.

Tornato in patria come l’erede di una leggendaria dinastia di governanti (il nonno Yiorgos fu leader dell’Unione di Centro e capo del governo nel 1944 e poi negli anni sessanta, il padre Andreas fu il capo dell’opposizione al regime dei colonnelli, fondatore del Pasok e capo del governo negli anni ottanta), era naturalmente destinato a prendere le redini del partito e candidarsi a Presidente del Consiglio, nonostante la debole conoscenza del suo paese.

Per di più, egli non ha minimamente le capacità politiche degli illustri ascendenti ed ha decise inclinazioni personalistiche, più incline a formarsi una corte personale che un vero e proprio gruppo dirigente di partito e di governo.

Corte nella quale è ascoltato consigliere Pavlos Yierousulanos, un vecchio amico, anche lui reduce di università americane ed inglesi, del tutto estraneo alla patria d’origine ma comunque nominato ministro del Turismo (che, in Grecia, vuol dire qualcosa).

L’attuale Papandreu ha ripetutamente dimostrato di considerare il Pasok come una mera appendice personale, mentre ritiene che il merito della vittoria elettorale risieda soprattutto nel suo nome altisonante e non tiene in gran conto le critiche alle sue scelte di governo.

Vi ricorda nessuno questo ritrattino?

La situazione è precipitata negli ultimi giorni di ottobre: sbandierato come un clamoroso successo la tranche di finanziamenti ottenuti dall’Europa, non si aspettava le dimostrazioni popolari ostili del 28 ottobre, data nella quale i greci (che hanno un forte senso nazionale) ricordano la vittoria sull’aggressione dell’Italia del 1940, con manifestazioni sempre molto partecipate.

In questa occasione le usuali critiche a Papandreu di essere un amerikano (con il k) che ha venduto il paese agli stranieri, sono state ancora più violente. Di qui la reazione del premier che, in perfetta solitudine e senza degnarsi di consultare neppure il suo ministro delle Finanze, ha convocato un referendum, forse pensando di essere De Gaulle.

Il calcolo politico, piccolo piccolo, per la verità, sembra essere questo: fare un referendum sul piano di aiuti che si trasformi in un referendum su “Euro o Dracma”, vincerlo e piegare le resistenze ai piani di risanamento imposti dalla Ue.

Peccato che i sondaggi diano il no al piano al 60% e che questo abbia immediatamente scatenato il terremoto finanziario che ha travolto le borse europee.

Che succederà ora? La cosa più probabile è che il referendum non si farà, che il governo Papandreu cada e che si vada ad elezioni anticipate, magari passando per un governo di unità nazionale; dopo di che il probabile vincitore sarebbe Venizelos che farà esattamente le stesse cose ordinate dalla Ue con un pizzico di sadismo in più.

Nel frattempo, la notizia della caduta del governo Papandreu calmerà i mercati, si ritroverà una qualche stabilità e forse, addirittura, ci sarà qualche momento di euforia, ma i problemi resteranno tutti e si tratterà solo di una piccola tregua.

E’, più o meno, quello che ha fatto Zapatero (ma lì i socialisti hanno più probabilità di vincere) ed è la stessa cosa che borse e governi europei auspicano che accada in Italia.

Intendiamoci: in tutto questo sfacelo le bestialità dei governanti hanno un peso e l’Italia in particolare paga in più la “tassa Berlusconi” dovuta all’impresentabilità del suo Primo Ministro.

E’ auspicabilissimo che il Cavaliere finalmente si tolga dai piedi, il che guadagnerebbe qualche indulgenza della Ue al nostro sfortunato paese, ma le cose sono molto più complicate e non si risolvono solo togliendo di mezzo i governanti-macchietta del continente (peraltro, quanto a macchiette, non è che Sarkozy e la Merkel siano poi tanto meglio).

Il punto è un altro: la speculazione internazionale sta puntando le sue carte sul fallimento dell’Europa e della sua moneta. Noi non amiamo rifugiarci dietro questi comodi nomi generici (“speculazione internazionale”, “poteri forti”, ecc.) e preferiamo puntare il dito verso obbiettivi più precisi, dunque diciamo che i protagonisti principali dell’operazione sono le maggiori banche d’affari americane, Goldman Sachs in testa, con l’appoggio degli hedge fund e private equity collegati, con la benevolenza del governo americano e la complicità delle agenzie di rating.

Poi ci si aggiungono molti altri soggetti finanziari che sperano di banchettare anche loro sul cadavere dell’euro (gli squali seguono sempre la scia delle navi, nella speranza di avventarsi sui rifiuti buttati in mare), ma la testa dell’operazione sta lì a Wall Street.

L’affondamento dell’Euro (e dei titoli di debito pubblico così denominati) avrebbe diversi vantaggi per gli “amici” di Oltreatlantico.

In primo luogo si tratterebbe della classica ricetta dei tempi di crisi: trovare il capro espiatorio cui rifilare il conto di tutti. E l’Euro è l’anello debole della catena, naturalmente destinato a spezzarsi: è debole perchè è una moneta senza Stato, incapace di assumere tempestivamente decisioni efficaci, è debole perchè è una moneta senza politica, è debole perchè mette insieme alla rinfusa economie diversissime fra loro che emettono titoli di debito sconsideratamente e senza raccordo fra loro, è debole, soprattutto, perchè ha dietro di sè un ceto politico dove il migliore è quello mediocre e tutti gli altri sono delle bestie.

In queste condizioni, e dato il vento che spira, puntare allo scasso dell’Euro e titoli collegati è il gioco più ovvio che si possa immaginare ed i ribassisti di tutto il mondo staranno già da mesi puntando alla grande sulle vendite allo scoperto. Fra l’altro, questo avrebbe anche il vantaggio di accumulare liquidità, in vista della tempesta della scadenza dei titoli da alto rischio prevista per il prossimo anno.

Ma la fine dell’Euro avrebbe anche molte altre conseguenze gradite a Wall Street e dalle parti del Potomac: il ritorno alle monete nazionali (o lo sdoppiamento dell’Euro fra forte e debole) avrebbe come conseguenza l’emergere di monete forti nell’area dell’Europa centro settentrionale (soprattutto se la Germania tornasse al marco) determinando la caduta delle esportazioni europee nel Mondo facilitando quelle americane.

Inoltre, il fallimento dell’Euro avrebbe l’effetto di consolidare il dollaro che, nonostante tutto, potrebbe presentarsi come l’ancoraggio monetario più stabile. Magari non funzionerebbe per molto, ma un po’ di respiro al biglietto verde lo darebbe.

Poi ci sarebbero conseguenze più propriamente politiche: il naufragio dell’Euro porterebbe con se quello della Ue. Scomparirebbe così una ambigua area di mezzo fra l’Impero di sempre e quelli emergenti o riemergenti, ci sarebbe la fine dell’asse franco tedesco e, di riflesso, la saldatura dell’ asse Parigi-Londra, tradizionale alleato di Washington. Il prezzo potrebbe essere quello di spingere la Germania fra le braccia di Mosca (in fondo è anche in questo caso la ripresa di un asse storico, la linea di Tauroggen) ma a questo si penserà dopo.

Tutto questo ha una logica, quello che invece manca è la logica dei governanti europei che sono un’accozzaglia di Don Abbondio allo sbaraglio.

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Come si esce dall'Unione Europea?
di Brian Palmer - www.slate.com - 2 Novembre 2011
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di Supervice

Intanto ci vogliono due anni di preavviso

Il Primo Ministro George Papandreou è sotto tiro per la sua decisione di sottoporre il pacchetto di bailout da 178 miliardi di euro a un referendum.

Alcuni importanti economisti ritengono che la Grecia dovrebbe semplicemente abbandonare l’euro e tornare alla sua vecchia divisa, la dracma, in modo da dover richiedere un ritiro dall’Unione Europea.

Come fa un paese a lasciare l’Unione Europea?

Intanto, il Primo Ministro dovrebbe inviare una lettera di intenti al Consiglio Europeo. Dopo di che i pezzi grossi del consiglio – i capi di ciascun stato membro, più un paio di funzionari dell’UE - avrebbero da trattare a lungo, dato che i dettagli su come possa funzionare un abbandono sono stati lasciati nel vago col Trattato di Lisbona nel 2009.

Dovrebbe considerare, ad esempio, se il libero scambio e il libero transito presenti nell’Unione Europea possano ancora applicarsi ai cittadini dello stato emarginato.

L’accordo potrebbe essere simile allo status della Svizzera, che non appartiene all’UE ma che gode di molti benefici reciproci. La Banca Centrale Europea dovrebbe capire come rimborsare il contributo greco al suo capitale di riserva – un totale di 146 milioni di euro.

Alla fine di tutte le trattative, la maggioranza dei membri del consiglio dovrebbe accordarsi per la piattaforma finale. (La Grecia non avrebbe diritto al voto.)

Se le negoziazioni fallissero, la Grecia potrebbe semplicemente uscire dall’UE due anni dopo la sua notifica iniziale - che gli altri membri gradiscano o meno – e lasciare che siano gli avvocati a sistemare i dettagli.

Potrebbe essere possibile per i greci uscire dall’euro ma rimanere nell’UE, anche se il Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea non prevede questo esito. Infatti, l’Articolo 140 del trattato stabilisce che i membri sostituiscono “irrevocabilmente” la vecchia moneta con l’euro.

Alcuni osservatori suggeriscono che la Grecia potrebbe uscire dall’UE temporaneamente, ristabilire la dracma e poi aderire di nuovo all’unione (se il resto dell’Europa la rivorrà indietro).

Se la Grecia uscisse, cercherebbe quindi di alleggerire il peso del suo debito cambiando tutte le sue obbligazione dall’euro alla dracma. Poi i greci potrebbero svalutare la propria moneta, che a sua volta limiterebbe il proprio passivo.

Ciò creerebbe un nuovo giro di trattative legali, nel caso in cui i prestatori lottassero per mantenere i propri pagamenti denominati nello stabile e più forte euro.

Ci sono pochi precedenti per risolvere questa potenziale disputa tra le divise. Alcune nazioni hanno fatto queste modifiche nel passato, in base al principio di legge della lex monetae.

Quando l’Ecuador lasciò il sucre nel 2000, ad esempio, fu capace di scambiare i propri debiti in dollari, la loro nuova moneta. La situazione della Grecia potrebbe essere differente, perché, diversamente dal sucre, l’euro esisterebbe ancora.

E la battaglia legale non sarebbe limitata al debito sovrano greco. Ogni controparte di contratti con altri membri dell’eurozona vorrebbe anche lei convertire le proprie obbligazioni in dracme. Se tutto ciò non venisse negoziato durante il processo di abbandono dell’UE, la situazione risultante sarebbe incredibilmente complessa.



Referendum? l'orrore, l'orrore...
di Pierluigi Fagan - Megachip - 3 Novembre 2011

Il comandante Kurtz (Marlon Brando ) in Apocalypse Now, prendendo tra le mani il testone rasato, pronuncia il lamento di chi è sprofondato nel risucchio dell’incubo più profondo, lì dove c’è “l’orrore…l’orrore”.

L’intera comunità politica europea (e il suo codazzo di economisti e giornalisti che segue gli eventi come coro greco ), davanti all’impavido annuncio di George Papandreu di indire un referendum sulle misure draconiane imposte dalla comunità internazionale al proprio popolo, è inorridita quanto e più del povero Kurtz. E’ normale ?

No, forse Kurtz non era del tutto normale. Ma la comunità politico-economica-informativa europea sta anche un po’ peggio visto che non recita in un film. Ad esser realisti, appare chiaro che andare a chiedere al tacchino se gradisce esser messo al forno (“felice” espressione del Financial Times) porta alla fatidica risposta scontata.

Altri hanno scomodato Churchill che non poteva certo andare a chiedere alla popolazione inglese se e come dichiarare guerra alla Germania nazista.

Ognuno ha il suo esempio iperbolico che vorrebbe dimostrare con evidenza, la sciocchezza intrinseca dell’atto variamente definito “disperato”, “incomprensibile”, “ricattatorio e strumentale”, “irresponsabile”, del pallido premier greco.

L’implicito è la visione paternalista che ha ogni élite. C’è qualcuno che sa quale è il tuo bene e quel qualcuno non sei tu. La tua autodeterminazione è sequestrata da un padre, da un tutore, da un supervisore, che lo fa per il tuo bene.

Quello che in pratica si sta sostenendo è che “ci sono cose che voi umani non potete neanche immaginare” per rimanere in tema cinematografico.

Certe cose non si devono sapere, certe cose vanno rivestite di silenzio o paroloni cattedratici ed “esposte” ai fedeli come miracoli per poi farle presto sgattaiolare in qualche disposizione formale o informale che venga poi applicata nelle norme che regolano le nostre vite in società.

Kant, che non passa certo per esser un democratico radicale, nell’Appendice alla Pace perpetua, diceva “Tutte le azioni relative al diritto degli altri uomini la cui massima non è suscettibile di pubblicità, sono ingiuste”.

La democrazia reale è proprio questo, far circolare liberamente tutta l’informazione che ti riguarda ed in base a questa esser chiamato a decidere insieme agli altri.

La democrazia rappresentativa invece sta oggi mostrando la sua vera natura, quella di essere non rappresentativa ma semplicemente “rappresentata”.

Schumpeter, riprendendo Pareto, diceva che la liberal democrazia è proprio questo: élite in concorrenza tra loro che si disputano il voto del popolo.

Ma Schumpeter è fin troppo idealista poiché a quello che si vede, le élite sono solo bande di interessi che lungi dal farsi una vera concorrenza condividono lo stesso punto di vista e disputano solo chi di loro deve porlo in essere. Questa è la democrazia liberale, una oligarchia eletta a disinformato suffragio universale.

I liberal democratici, ufficiali e non, qui commettono più di un errore. Ma vorrei concentrarmi su uno solo di questi errori perché è quello più importante ed a giudicare dai fatti di questi giorni, il più attuale. Il governo delle società complesse è, e diventerà, sempre più improbabile nella misura in cui aumenta la distanza tra popolo e governo.

I fautori del realismo machiavellico sorridono, “non sarà bello ed etico, ma ti assicuro che funziona”.

Ecco, io penso che ciò non sia più vero, non anteponendo l’etica al realismo ma proprio sul piano del realismo non credo che “funzioni” più. In Occidente oggi, non c’è un governo che abbia dietro il suo popolo, neanche uno.

Il circo dell’haute finance sta subendo la più massiccia campagna mondiale di pubblicità negativa da parte dei milioni di giovani e non, che ne ridicolizzano le pretese.

Il Gekko anni ’80, non simpatico ma anche un po’ ammirato, ora ha un soprannome: “bankster”. Qualcuno sta cominciando a domandarsi se è mai possibile dare un Nobel a cialtroni che non sono in grado mai di dirti esattamente cosa succede (non dico prevederlo ) se non che non hai applicato le loro ricette irrazionali alla perfezione.

C’è chi si sta domandando se tutto ciò vale la pena, cosa sono esattamente l’euro e l’Europa, che investimenti sono, in favore di chi, a quali prezzi ?

L’intero senso di una vita spesa a far soldi per comprare cose che ti obbligano a spendere la tua vita a far soldi, se la guardiamo dal di fuori, ci fa sembrare dei criceti. Noi, sembriamo dei criceti a noi stessi, non è bello.

Fare un referendum, è un primo possibile antidoto a questa degenerazione senza freni dell’élitismo. Non lo faranno fare ai greci ? Qualcun altro potrebbe riprenderne il vessillo.

Pensare l’economia politica in funzione di coloro che ne subiranno le determinazioni, pensarla così sin dall’inizio perché già da prima sai che alla fine saranno loro ad accettarla o meno.

Esser chiamati ad esprimersi sull’economia politica di cui subirai le determinazioni, obbligarti a cercar di capire ciò che nessuno ha vero interesse tu capisca, avvicinarti con informazione e partecipazione alla gestione delle cose che ti riguardano.

Direttamente come individuo singolo ed indirettamente come parte di una società complessa.

Solo l’aumento costante di pratica democratica, solo una riduzione costante della distanza tra governo e governato, possono creare quel presupposto senza il quale, le nostre mastodontiche società sempre più complesse ed obbligate a navigare nei perigliosi mari della transizione ai nuovi tempi, rischiano di spappolarsi.

O si va tutti quanti da qualche parte, discutendolo e decidendolo assieme, o non si andrà da nessuna parte.



Quando la democrazia entra dalla porta, il mercato esce dalla finestra
di Alberto Montero Soler - www.rebelion.org - 2 Novembre 2011
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di Supervice

Non è trascorsa neanche una settimana dal summit dell'Eurozona il cui esito è stato definito dal presidente della Commissione Europea un "accordo per salvare la stabilità del mondo".

Tuttavia, avrebbe fatto meglio a risparmiarsi questa retorica assordante dopo il caos che si è installato nei mercati quando il Primo Ministro del governo greco, George Papandreu, ha fatto l’unica cosa che gli era rimasta dopo questi accordi e a causa della pressione popolare che tiene ancora i cittadini greci nelle strade.

In effetti, in quella riunione si è giunti all’approvazione di un piano di salvataggio per la disastrata economia greca del valore di 100 miliardi di euro.

Si tratta del secondo piano di riscatto per Grecia e questa volta, per garantirsi che tutto sarebbe andato al passo e al ritmo della Troika (BCE, Commissione Europea e FMI) e, con l’unico scopo di garantire la sostenibilità dei pagamenti del debito, questa ha richiesto che la Grecia accettasse una supervisione permanente dell’Unione sui conti ellenici oppure di porre un limite alla propria democrazia, cedendo la sovranità in materia fiscale e di bilancio e lasciando che le proprie decisioni debbano essere approvate dalla delegazione dell’Unione Europea.

Questo dovrebbe essere accompagnato da un programma per la sospensione dei pagamenti ai debitori, una proposta finora aperta, veicolata senza alcuna accettazione da parte né di creditori né dei debitori. All’inizio era stato proposto che i creditori delle obbligazioni greche accettassero un taglio fino al 50 per cento del valore nominale.

La proposta greca era quella di offrire ai creditori obbligazioni a 30 anni a un tasso di interesse del 6 per cento e per un importo equivalente al 35 per cento del debito esistente e per il 15 per cento restante si sarebbe prodotto un pagamento in moneta cancellando il debito.

Tuttavia, lunedì il Primo Ministro greco ha dato una svolta annunciando la convocazione di un referendum per far decidere al paese se accettare o meno l'accordo raggiunto e, con ciò, ha sferrato un attacco, mentre Merkel e Sarkozy hanno già iniziato a fare pressioni, per riportarlo alla ragione e per farlo rinunciare a questo proposito.

D’altra parte, questa decisione ha generato una crisi politica all’interno dell'Eurozona, dove lo stato che si supponeva dovesse accettare senza fiatare le condizioni del suo salvataggio ha promosso quello che viene considerato, dalle alte istanze del governo europeo – si parla della Germania – come un atto di insolenza per voler sottomettere l’accettazione dell’accordo alla cittadinanza.

Si sono accodate irritazioni e dichiarazioni che farebbero vergognare chiunque attribuisca anche un valore minimo alla democrazia: dalla Germania, Bruederle ha dichiarato che la Grecia si stava smarcando da quanto pattuito e che, nel caso di insolvenza e di mancato rispetto degli accordi, si sarebbero chiusi i flussi di denaro; dalla Finlandia, le dichiarazioni sono state simili: ciò viene assimilato implicitamente a un referendum ed è stata reiterata la minaccia che, se non si adegueranno al compromesso, verranno tagliati gli aiuti; il presidente della Commissione Europea, Durao Barroso, e quello del Consiglio Europeo, Van Rompuy, hanno fatto una dichiarazione congiunta sollecitando la Grecia a onorare i suoi impegni perché, dicono, sono convinti che il programma di aggiustamento concordato è la cosa migliore per la Grecia; in Spagna, il ministro José Blanco ha dichiarato che il referendum greco non è una buona decisione per l’Europa (non sappiamo se gli sembra una buona decisione per i greci).

Tutte queste pressioni non sono altro che l'espressione della difficoltà che la decisione del Primo Ministro greco ha provocato tra i governanti europei, che vedono come l'applicazione nei propri paesi dei piani di accomodamento possa avere una svolta inaspettata.

Se i greci potranno esercitare il diritto di decidere se sono disposti a soffrire ulteriori tagli ai propri livelli di vita e di benessere, niente ostacola, al contrario, che altri europei possano richiedere la stessa cosa.

La decisione di Papandreu apre, in questo senso, la scatola di Pandora della rivendicazione del diritto di qualunque cittadino di poter decidere sugli aspetti che impattano negativamente la propria vita.

E, contemporaneamente, dimostra che la resistenza popolare nelle strade, che gli scioperi generali, le manifestazioni, l'interruzione e il sabotaggio delle iniziative pubbliche continuano a essere non solo l'unica opzione legittima per esprimere la volontà popolare quando la democrazia si è ridotta al mero atto della votazione nel giorno delle elezioni, ma anche l’unica valida per costringere un governo a fare gli interessi dei cittadini.

Non c’è da sorprendersi che gli altri governi dell'Eurozona siano tanto nervosi: la Grecia ci sta indicando la strada per la quale tutti dovremo passare.

E, dall’altro lato, si può notare anche la crisi causata sui mercati dalle dichiarazioni di Papandreu, che solo alcuni giorni fa, dopo l'annuncio dei risultati della riunione, sembravano essere relativamente tranquilli.

L'annuncio del referendum ha provocato il crollo delle Borse in tutta Europa, con un calo generalizzato per le azioni del settore bancario; l’aumento del premio di rischio per l'Italia - fino al livello in cui di solito scatta la procedura di salvataggio - e anche quello per la Spagna sono stati controllati solo grazie all'acquisto delle obbligazioni di questi due paesi da parte della Banca Centrale Europea, contravvenendo, ancora un'altra volta, al Trattato dell'Unione e agli Statuti; e, infine, si è avuto anche un calo della quotazione dell'euro.

La sensazione non potrebbe essere più angosciante. Ma le cose sono più complesse, perché la precaria stabilità del sistema finanziario mondiale dipende in questo momento dalla Grecia o, più concretamente, dei greci, malgrado i media economici e anche le agenzie di rating stiano cercando di concentrare gli effetti della decisione greca esclusivamente su questa nazione, ipotizzando che il referendum possa portare al fallimento e, perfino, all’uscita dell'euro, come ha confermato Fitch.

Ma la cosa non è così semplice e le ripercussioni si propagherebbero come un’onda concentrica ben oltre la Grecia.

In effetti, se i greci decidessero di non approvare il piano di aggiustamento e il taglio del 50 per cento del proprio debito, il fallimento del paese sarebbe quasi istantaneo se, effettivamente, l'Eurozona smettesse di concedergli gli aiuti. Tuttavia, la Grecia può sfruttare un vantaggio, sapendo che la cosa è altamente improbabile. Perché?

Perché, se si dichiarasse il fallimento greco, le banche francesi e tedesche - principali detentrici degli oltre 26 miliardi del debito greco in circolazione - andrebbero anche loro molto vicine al fallimento, e dovrebbero essere sostenute e ricapitalizzate dai bilanci dei rispettivi paesi (da notare che, curiosamente, i suoi governanti sono stati i primi due a richiamare Papandreu all'ordine).

Ma non finisce tutto qui. Queste banche, comprando il debito sovrano greco hanno anche acquistato le assicurazioni per coprirsi dal rischio di fallimento - i famosi CDS - e i principali venditori di questi CDS sono, guarda un po’, le banche e le imprese assicuratrici statunitensi.

La conclusione è chiara: il fallimento greco non solo provocherebbe quello delle banche europee che hanno in portafoglio il suo debito, ma metterebbe in grande difficoltà anche le banche statunitense che hanno venduto assicurazioni per proteggere i compratori di questo debito.

Il rischio sistemico si muove in senso inverso rispetto ai tempi delle ipoteche farlocche che arrivarono dagli Stati Uniti per contaminare i bilanci delle banche europee.

In questo scenario, non c’è da sorprendersi che i mercati abbiano cominciato a soffrire e che il nervosismo, se non il panico, sia diventato la sensazione dominante.

E questo panico dovrebbe aggravarsi ancora di più se la Grecia prendesse in considerazione quell’espressione popolare secondo cui, quando qualcuno deve seimila euro a una banca è lui ad avere un problema, ma quando gli deve sei miliardi allora il problema ce l'ha la banca.

Se alla fine il referendum verrà indetto e il paese greco respingerà il piano di accomodamento e il taglio del debito, le tensioni generate sui mercati saranno talmente alte che il potere di negoziazione potrebbe riequilibrarsi per facilitare una ripartizione più adeguata dei costi della crisi tra debitori e creditori.

Di nuovo, la Grecia ci sta indicando la strada: ci sta dicendo che quando la democrazia entra dalla porta, possiamo fare saltare dalla finestra i mercati.