Alcuni articoli sulle elezioni politiche greche di domani, con uno sguardo parallelo anche a casa nostra...
L'austerity nelle urne greche
di Michele Paris - Altrenotizie - 4 Maggio 2012
Gli elettori greci che si recheranno alle urne domenica per scegliere
il nuovo parlamento si apprestano con ogni probabilità ad infliggere
una severa lezione ai principali partiti politici che hanno applicato le
politiche di austerity dettate dagli ambienti finanziari
internazionali, gettando il paese in una situazione a dir poco
disastrosa.
Nell’imminente voto anticipato, la Nuova Democrazia (ND) e,
soprattutto, il Partito Socialista (PASOK) andranno così incontro ad un
vero e proprio tracollo, a tutto beneficio delle formazioni politiche
estreme di destra e di sinistra che in questa campagna elettorale hanno
alimentato l’illusione di un percorso alternativo per il paese europeo
maggiormente colpito dalla crisi del debito.
I più recenti sondaggi assegnano al PASOK un consenso più che
dimezzato rispetto al 2009, quando vinse le elezioni con il 44% dei
voti. Meno pesante dovrebbe essere invece il calo dell’ND di
centro-destra, attestato attorno al 22% contro il 33% di tre anni fa.
I
due più importanti partiti greci pagano ovviamente il loro sostegno
all’attuale governo tecnico guidato dall’ex governatore della Banca
Centrale, Lucas Papademos, succeduto nel novembre dello scorso anno al
leader del PASOK, George Papandreou, già scrupoloso esecutore delle
misure draconiane richieste da Unione Europea e Fondo Monetario
Internazionale in cambio del cosiddetto “piano di salvataggio”.
In netta crescita appaiono al contrario i partiti di opposizione
della sinistra che approfitteranno dell’emorragia di voti del PASOK -
Coalizione della Sinistra Radicale (SYRIZA), Partito Comunista Greco
(KKE) e Fronte della Sinistra Anti-Capitalista (ANTARSYA) - e della
destra, su cui convergerà parte degli elettori dell’ND ma anche del
Raggruppamento Popolare Ortodosso (LAOS) di estrema destra, anch’esso
facente parte della coalizione che appoggia il premier Papademos.
I due partiti della destra greca in ascesa sono i Greci Indipendenti,
una formazione creata recentemente da fuoriusciti dell’ND, e il
movimento neo-nazista Alba Dorata, accreditato dai sondaggi di circa il
5%.
Complessivamente, si prevede che saranno una decina i partiti in
grado di superare la soglia di sbarramento del 3%, facendo nascere il
parlamento greco più frammentato dalla fine del regime militare nel
1974.
Il primo partito dopo le elezioni di domenica dovrebbe dunque tornare
ad essere la Nuova Democrazia ma, secondo le previsioni, il suo leader
Antonis Samaras, per diventare primo ministro, dovrà accontentarsi di
formare una scomoda alleanza di governo con il PASOK.
Insieme, i due
partiti potrebbero sfiorare quota 40%, forse abbastanza per ottenere la
maggioranza in parlamento, dal momento che la legge elettorale greca
prevede un premio di 50 seggi per il partito che raccoglie più voti.
I
vertici dell’ND hanno però già fatto intendere di non essere
particolarmente entusiasti di entrare in una nuova coalizione con il
PASOK, che si baserebbe peraltro su un una maggioranza risicata e su un
partito di centro-sinistra gravemente screditato dall’esito elettorale.
L’altra ipotesi sarebbe quella di un’alleanza che includa i partiti
minori, magari tra il PASOK e le sinistre, la quale darebbe vita in ogni
caso ad un governo ugualmente instabile e precario.
Per questa ragione, molti leader politici greci, soprattutto dell’ND,
parlano già apertamente di altre elezioni entro pochi mesi, qualcuno
addirittura già a giugno, se non si riuscirà a mettere assieme una
maggioranza stabile.
L’aspirazione dell’ND sarebbe appunto di ottenere
una chiara vittoria in un secondo round elettorale nel 2012, così da
formare in autonomia un governo che continui ad ubbidire prontamente
all’UE e all’FMI, contrariamente alla volontà espressa in maniera chiara
dalla vasta maggioranza della popolazione greca.
Che le vie alternative per Atene dopo il voto non siano molte è reso
evidente dalle scadenze fissate dalla troika (UE, FMI, BCE) con cui il
governo Papademos ha raggiunto l’accordo per il prestito da 173 miliardi
di euro lo scorso marzo.
In una situazione di impoverimento diffuso, di
gravissima recessione e con una disoccupazione ufficialmente al 14%, la
Grecia dovrà infatti tagliare la propria spesa pubblica di altri 11,5
miliardi di euro entro giugno.
Anche un eventuale nuovo esecutivo
formato da forze attualmente all’opposizione, che si dicono contrarie
all’austerity o che chiedono di rinegoziare l’accordo con UE/FMI,
sarebbe perciò esposto ad enormi pressioni da parte degli ambienti
finanziari internazionali per ritrattare in fretta le promesse
elettorali.
Come ha significativamente scritto ieri il Wall Street Journal,
se la Grecia non avrà un governo stabile e pronto a mettere in atto
ulteriori privatizzazioni, tagli alla spesa e licenziamenti nel settore
pubblico, l’Unione Europea e il Fondo Monetario potrebbero sospendere
gli aiuti finanziari, aggravando la crisi politica e sociale nel paese
con conseguenze sull’intera unione monetaria.
A ribadire l’accoglienza riservata ad un eventuale gabinetto che
mostrerebbe anche solo qualche esitazione nel rispettare gli impegni
internazionali è stata, ad esempio, una recente analisi di Bank of
America citata sempre ieri dalla Reuters, nella quale si
afferma che “la paralisi politica in Grecia dopo le elezioni potrebbe
portare al default e addirittura all’uscita dall’euro”.
Per questo,
continua il documento della banca statunitense, “crediamo che la troika
non potrebbe avere altra scelta che congelare i fondi diretti alla
Grecia se non ci sarà un governo stabile”.
Inoltre,
visto che Atene nel recente passato ha più volte mancato alcuni degli
obiettivi di rigore imposti da UE/FMI, in molti ritengono che da parte
di questi ultimi ci sarebbe ora ancora meno tolleranza verso leader
greci intenzionati a rinegoziare l’accordo, anche per evitare un
destabilizzante effetto domino in altri paesi europei dove, come in
Grecia, le politiche di austerity sono estremamente impopolari.
Come esempio della sorte a cui andrebbe incontro un governo
democraticamente eletto che manifestasse l’intenzione di discostarsi dai
diktat di Unione Europea e Fondo Monetario, per quanto riguarda la
Grecia, c’è d’altra parte quello del gabinetto Papandreou.
Quando il
leader del PASOK lo scorso ottobre annunciò un possibile referendum
popolare sul pacchetto di salvataggio da poco approvato a livello
europeo, venne infatti travolto dalle critiche e fu costretto a
dimettersi di lì a pochi giorni.
In definitiva, anche se i media occidentali continuano a ipotizzare
che un’affermazione delle forze di sinistra ad Atene, assieme ad una
eventuale vittoria nelle presidenziali francesi del candidato socialista
François Hollande, potrebbe produrre un ripensamento generale delle
politiche di rigore, le pressioni e i ricatti dei mercati finanziari
farebbero in modo, tutt’al più, di limitare i cambiamenti a qualche
concessione di secondaria importanza, lasciando sostanzialmente
invariato il drammatico quadro generale nei paesi europei più in
difficoltà come la Grecia.
Tempo da Bruxelles
di Panagiotis Grigoriou - http://greekcrisisnow.blogspot.fr - 19 Aprile 2012
Scelto e tradotto per www.comedonchisciotte.org da SILVIA SOCCIO
La situazione politica greca alle soglie delle elezioni di domani,
domenica 6 maggio, che potrebbero anche decretare la fine della moneta
unica
Ritorno alla capitale, Pasqua è finita. Anche il traffico era molto
fluido in direzione dei rientri, sotto un tempo uggioso, ecco che tutta
la Grecia è sotto la tempesta. Nessuna resurrezione in vista. «È proprio
un tempo da Bruxelles, cielo basso e freddo», era la battuta del giorno
di questo mercoledì mattina alla radio.
Oppure su questa stessa
frequenza radiofonica, si finge interesse per le prossime elezioni. In
televisione è ancora più grottesco. Ieri su un’area di sosta
autostradale, mentre compravo un doppio caffè greco per due euro, non
sono potuto sfuggire allo schermo gigante in piena … azione: «Noi non
ripeteremo i gravi errori del PASOK, siamo una formazione politica
responsabile, e il nostro paese ha bisogno di noi, perché noi
governeremo guidati dal senso di responsabilità …», diceva Antonis
Samaras, a capo della destra (Nuova Democrazia). Soltanto una persona
tra gli automobilisti di passaggio, un uomo che sembrava viaggiare da
solo, ha vagamente seguito le proposte di Samaras, e di nuovo,
indifferenza.
Queste elezioni, se non troviamo una
soluzione, (ritrovare in parte la nostra sovranità e un po’ della nostra
dignità venute a mancare così … come se niente fosse), ebbene queste
elezioni segnano, a detta di tutti, la “diagonale del vuoto politico”,
soprattutto da parte dei politici Memorandisti.
Ad esempio, sembra che
il PASOK abbia difficoltà a trovare dei candidati per completare le
proprie liste. Di conseguenza, è ovvio che appaiano dei nomi quasi
sconosciuti, oppure dei “subalterni”.
Fermo restando la famigliocrazia e
il nepotismo, come a Trikala, città della Tessaglia e capoluogo
dell’omonima unità periferica. Nella circoscrizione di questa simpatica
regione della Grecia centrale, oltre al nuovo Christos Gatselis, il cui
slogan è «Io sono uno di voi - nuovo inizio», ritroviamo sulle
liste del PASOK locale, un certo Giorgios Oikonomou, figlio dell’anziano
deputato e ministro del PASOK Christos Oikonomou, nonché marito della
figlia di Soula Merenditi.
Quest’ultima, anche lei deputata del PASOK,
ha annunciato il suo ritiro dalla vita politica, in favore del suo
genero «per rendere così possibile il rinnovamento politico e per far posto ai giovani».
Noi, d’altra parte, dobbiamo ammettere che la nostra teorizzazione
antropologica sia stata superata da quest’originalità nell’usare il
«prezzo della promessa politica», che sarebbe dunque una sedia in
«Parlamento».
Soula Merenditi trova questa pratica perfettamente
conforme ai «buoni costumi», Memorandum o no. Aveva fatto una campagna
anche durante le legislative del 2009 con questo slogan: «Votate Soula
per avere un posticino»; ed è stata eletta, poiché i cittadini della
divisione amministrativa le concessero allora la loro fiducia, da bravi …
democrati e perché no? “progressisti”.
E invece, la caffetteria chic in
centro a Trikala è fallita, e al suo posto ora vendono ciambelle,
vicino allo stand allestito dagli Indignati locali. Il loro messaggio è
chiaro: «Greci, svegliatevi! I disoccupati sono più di un milione», «Alle urne bisogna dire No ai partiti del Memorandum».
Più a sud, a Corinto, Stavros Dimas, deputato della circoscrizione e
Ministro degli Affari Esteri sotto il governo del banchiere Papademos
dall’11 novembre 2011, non si ricandiderà, ma lascerà il «posto» a suo
figlio, Christos Dimas.
Stavros Dimas, attuale vicepresidente del
partito della Nuova Democrazia (destra), non ha, tuttavia, nulla di un
funzionario politico da sottoprefettura. Giurista di formazione, ha
lavorato per la società «Sullivan & Cromwell» a Wall Street, poi per
la Banca Mondiale, prima di essere più volte ministro negli anni 1980
e, in fine, membro della Commissione Europea tra il 2004 e il 2009.
Dunque, secondo un’idea assai diffusa dalla propaganda che circola in
Grecia ma anche fuori, i «cosmopoliti» come Stavros Dimas, così a loro
agio nella «gouvernance» sovranazionale, sarebbero portatori di un’etica
diversa, basata sull’”efficacia comprovata”, piuttosto che sul
nepotismo, eppure …
Sapendo che il PASOK di Soula Merenditi e la Nuova
Democrazia di Stavros Dimas sono le due principali formazioni previste
dai Troikani «modernisti ed epuratori» in corsa per il potere dopo le
elezioni, allora comprendiamo meglio il senso della … modernità. Ma non
finisce qui.
Akis Tsochatzopoulos, ex-ministro della Difesa (PASOK),
coinvolto in numerosi scandali per appropriazione indebita, è in carcere
da quattro giorni, un evento raro, che, non a caso, ha avuto molta
risonanza nella stampa tedesca: una parte del denaro sporco di cui il
ministro Akis era il destinatario, è stato versato, infatti, da imprese
tedesche.
I redattori del sito francofono paradisfj.info («Paradisi fiscali e giudiziari»), precisano da parte loro, che «la
scorsa settimana, l’ex-ministro della Difesa ed ex vice Primo ministro
Akis Tsochatzopoulos (settantadue anni), uno dei fondatori del PASOK nel
1974 e vicino all’ex Primo ministro socialista Costas Simitis, è stato
arrestato. L’arresto è il risultato di due anni d’ inchiesta sulle
transazioni immobiliari realizzate o sponsorizzate da società offshore
controllate dal politico e con sede a Cipro (Torcaso), in Liberia
(Nobilis) e negli Stati Uniti (Blue Bell). L’affare era esploso a fine
maggio 2010, quando due testate greche, «Kathimerini» e «Proto Thema»,
svelarono che Akis Tsochatzopoulos aveva acquistato tramite una
società-schermo un lussuoso appartamento nel centro di Atene per un
milione di euro. Il nome dell’alto dirigente del PASOK è uscito fuori,
inoltre, in due grossi affari di corruzione legati all’acquisto di
materiale militare (Siemens, Ferrostaal).Secondo il fisco l’imputato
avrebbe depositato alcuni milioni di euro in diverse banche europee, di
cui 16,2 milioni di franchi svizzeri depositati nella Confederazione
Svizzera. Anche tre parenti sono stati arrestati, tra cui suo cugino
Nikolaos Zigras, anche lui ex ministro. Anche sua moglie e sua figlia
potrebbero essere indagate. Il PASOK si è affrettato a espellere il suo
ex-responsabile».
Nel frattempo, la Nuova Democrazia, riabilita alcuni politici «di casa»,
coinvolti, da parte loro, nello scandalo del Monastero di Vatopedi,
candidandoli alle legislative del 6 maggio, è questa l’ultima prodezza
di Samaras, il «ri-fondatore».
Resta la strada. I greci affermano che l’arresto di Akis è solo fumo negli occhi, soprattutto in vista delle elezioni. «Siamo ancora … capaci di votare il PASOK e la Nuova Democrazia, sì o no?»,
è questa la domanda che la gente si pone ogni giorno e in ogni momento
ad Atene come anche altrove.
A questo proposito, D., un mio amico
dentista (che sta depositando l’istanza di fallimento del suo studio),
esprime i suoi dubbi: «Non so. La gente è arrabbiata, certo, ma resta
immobile, è una pentola a pressione che un giorno esploderà, questo è
certo. Ma, i due ex-grandi partiti (PASOK e Nuova Democrazia),
potrebbero non essere abbastanza indeboliti dopo queste elezioni. In
questo caso, si formerebbe un secondo governo di coalizione guidato dal
banchiere. Che dire allora, cosa dobbiamo pensare degli elettori? Ebbene
… semplicemente che le persone, se votano ancora così, avranno, ahimé,
ciò che si meritano. Ma vedo che qualcosa si sta muovendo. Io, e per la
prima volta, voterò per la sinistra, ma c’è anche altra gente che mostra
un comportamento elettorale che definirei inusuale, per dirla breve.
Come un amico che conosco da anni, che era leggermente di destra fino ad
ora, e che ha accettato di far parte delle liste elettorali dell’Alba
Dorata (estrema destra). Gli ho detto: “ma sei scemo? adesso diventi
fascista?” Ha risposto di no, naturalmente, e visibilmente imbarazzato
ha detto di “voler punire il sistema”, i partiti nepotisti. Non so quale
sarà il risultato finale di queste elezioni; non ho molta fiducia. Allo
stesso tempo, in molti si allontanano dai media e dall’informazione. A
prima vista non sembra una reazione politica, ma piuttosto un atto di
sopravvivenza psicologica, perché la gente non ne può più di questo choc
permanente, è troppo violento. Quest’auto-esclusione dalla sfera
pubblica, è vissuta da queste persone come un meccanismo di autodifesa,
un ultimo atto istintivo, è la loro ultima spiaggia prima di sprofondare
nella follia. I pochi pazienti che visito allo studio in questi giorni,
mi dicono la stessa cosa da quasi un mese … Ma penso che alla fine
andranno a votare».
Altri temono ancora che i risultati saranno truccati. Georges M., ateniese, ha avvertito via mail tutti i suoi amici: «Come
potete ancora fidarvi di un governo che ha già violato la Costituzione
per ben sei volte dal primo Memorandum? Dei funzionari del ministero
degli Interni che conosco, mi hanno detto che anche quest’anno è stato
tutto preparato come nelle elezioni degli altri anni, compreso la stampa
e l’aggiornamento delle liste elettorali per seggio elettorale. Queste
elezioni, sono forse, ancora, realtà virtuale?».
Per il momento, non possiamo aspettarci altro che il caos, cioè un
risultato che renderà il paese ingovernabile, soprattutto dalle forze
del Memorandum, poi si vedrà.«Votate per noi, altrimenti il paese sarà ingovernabile e verrà sottoposto a manovre che potrebbero condurlo fuori dall’Europa»,
questo è l’ultimissimo argomento dei tenori del PASOK e della Nuova
Democrazia, che suonano lo spartito dell’opera buffa il cui libretto è
stato scritto dalla Troika.
Ieri mattina, nella metro, proprio a
proposito del caos, una signora diceva: «Preferisco il caos
all’umiliazione. Insomma preferisco morire, ma a testa alta. E poi,
chissà, il caos tanto temuto da loro, potrebbe condurci verso l’uscita
dalla crisi, certo non immediatamente, ma nel giro di dieci o vent’anni
avremmo riconquistato il nostro futuro. Lo dobbiamo ai nostri figli e
non alle banche …». Alcuni hanno applaudito, è stato spontaneo, anche la signora ne è rimasta sorpresa.
Neanche José Manuel Barroso sembra avere un’aria serena. Da Bruxelles,
davanti al Parlamento Europeo, il presidente della Commissione ha
ricordato la logica implacabile del Memorandum: «Il processo di
trasformazione e di adeguamento della Grecia sarà lungo; ciò non toglie
che l’attuazione di queste misure costituirà il punto di partenza del
suo risanamento. È necessario far comprendere al grande pubblico il
programma e il fine degli importanti cambiamenti che avranno luogo nei
prossimi mesi se vogliamo convincerlo che i sacrifici e gli sforzi messi
in atto oggi produrranno dei risultati concreti domani» (Commissione Europea - Comunicato del 18 aprile 2012 - 183 def.).
Senza indugio, la mattina stessa del 18 aprile, l’Unione degli
Imprenditori dell’Industria Alberghiera greca si era già … adeguata.
Essa ha denunciato unilateralmente i contratti collettivi che
disciplinano il settore. Ora, tutti i dipendenti (rimasti) devono
“negoziare” caso per caso degli accordi “personalizzati” con i loro
datori di lavoro. È anche (e soprattutto) questo il senso del
Memorandum.
Il direttore della Banca centrale europea, un ex di Goldman Sachs, Mario
Draghi, durante una lunga intervista, rilasciata venerdì 24 febbraio al
Wall Street Journal, ha affermato che il «modello sociale europeo è morto». Tranne che per i figli di Soula e di Stavros.
Quanto piace Syriza, coalizione di sinistra
di Argiris Panagoulos - www.ilmanifesto.it - 4 Maggio 2012
Domenica si vota in un paese sconvolto I partiti di governo Pasok e Nuova democrazia l'attaccano insieme ai comunisti di Kke
La campagna elettorale si chiude in Grecia con il fantasma della
sinistra a spaventare i partiti conservatore e socialista dei
Memorandum, i banchieri e gli investitori.
Domenica si vota e la febbre
degli elettori per Syriza, la piccola coalizione di sinistra, viene
considerata il pericolo maggiore per la stabilità politica ed economica
del paese, perché un governo di sinistra allontanerebbe la Grecia
dall'Unione europea e dall'euro.
Nella realtà, Syriza ha un programma
così moderato da poter essere accettato da tutti quelli contrari alle
politiche neoliberiste che distruggono la Grecia. La svolta verso Syriza
e la sinistra rappresenta anche la rabbia di un popolo contro i veri
padroni del paese, i due partiti che hanno governato per più di
trent'anni con governi monocolore.
Il fascino del giovane presidente di Syriza, Alexis Tsipras, la
demonizzazione della coalizione fatta dagli avversari e la fiducia di
tantissima gente che ha condiviso gli ultimi due anni di lotte,
scioperi, occupazioni, manganellate e gas, hanno fatto crescere le
simpatie verso Syriza.
Tsipras si preparava ieri sera per il suo comizio
in piazza Omonoia, la ex piazza popolare di Atene trasformata dopo il
1989 in «piazza Tiranna» e più tardi nella «piazza degli immigrati».
La grande massa degli indecisi sembra muoversi verso i partiti contrari
al Memorandum, mentre anche chi optava per l'astensione ha capito che il
non voto è un voto a favore di Nuova Democrazia e del Pasok, e dunque a
favore della odiata troika e dell'ancora più odiata cancelliera Merkel.
La Grecia ha perso la sua autonomia e indipendenza con i Memorandum, ma
i greci sembrano conservano l'orgoglio di resistere.
Syriza sembra il «marchio vincente» delle elezioni. Si vede dalla marea
di gente che inonda i gazebo della coalizione, nelle grandi città e
nella periferia del paese. Molti sperano che Syriza lavori per un cambio
del governo e per la fine dei tagli, che invece il governo ripropone
per giugno.
Syriza chiede la collaborazione della intera sinistra per
cambiare pagina in Grecia e in Europa, mentre lavoratori e pensionati
hanno visto nelle ultime settimane diminuire di nuovo le loro entrate e
aumentare l'esercito dei disoccupati.
Nuova Democrazia e Pasok sono spariti dalle piazze e dalle strade. I
loro dirigenti si possono vedere praticamente solo in televisione. Il
leader conservatore Samaras ha sfidato la sorte e si è fatto vivo
mercoledì a un comizio all'aperto a Salonicco, ripetendo che la sua
Nuova Democrazia non vuole un governo in collaborazione con il Pasok.
Nella stessa città, il fuoriuscito da Nuova Democrazia Kammenos e oggi
leader dei «Greci Indipendenti» ha però radunato in piazza il doppio
della gente andata a sentire il suo ex capo.
Il ministro Venizelos ha chiesto un governo di larghe maggioranze e ha
sferrato un durissimo attacco contro Syriza: «Grazie al suo populismo,
vuole riportare la Grecia alla dracma». Il segretario dei comunisti
Papariga, in chiusura di campagna elettorale al Campo di Marte, ha detto
no alla proposta di Syriza per un governo di sinistra, perché «non
vogliamo giocare questo gioco, per non uccidere la speranza del popolo».
Di fronte a più di trentamila militanti, Papariga ha cercato di serrare
le fila del Kke di fronte al molto probabile sorpasso di Syriza. Lo
slogan? «Non sprecare il tuo voto a destra e a sinistra. Vota Kke».
Le ricette della troika svalutano il Paese e lo consegnano ai corsari
di Francesco Piccioni
- www.ilmanifesto.it - 4 Maggio 2012
70 miliardi spariti dalle banche elleniche; in attesa di tornare per accaparrarsi un po' di tutto a prezzi stracciati
Nessuna politica economica è socialmente neutra. Ma quelle in atto ora
nella Ue sono davvero molto esplicite. Facciamo il caso della Grecia,
che ci somiglia un po'.
Sono due anni precisi che la troika (Bce, Ue,
Fmi) picchia con decisione su tasti che anche qui stiamo conoscendo
bene: privatizzare i beni pubblici e licenziare gli statali, abbassare i
salari (del 25% solo nel 2011), rendere «flessibile» il mercato del
lavoro. Ecc.
Risultato? Nessuno, in positivo. Aumentano i borseggi e i furti, ma non
concorrono alla«crescita»; 400.000 bambini in età scolare sono
malnutriti, ma la sanità è stata tagliata lo stesso. I greci ricchi sono
invece evaporati e ricomparsi all'estero, con tutte le loro fortune
liquide, gli investitori stranieri non si fanno vedere.
Il motivo è
semplice: «troppa corruzione, infrastrutture disastrose, governi che
cambiano le regole in corsa». Ora ci aggiungono anche gli scioperi
ricorrenti, ma il dato strutturale è l'altro. Quindi la Grecia non può
riprendersi, visto che i privati non vogliono e lo stato è bloccato dai
veti Ue, oltre che dal «vincolo di bilancio».
Ma lo stato non potrebbe recuperare parte dei capitali fuggiti nei
paradisi fiscali? «Una tale misura sarebbe contraria al diritto
comunitario», spiegava qualche giorno fa Ilias Bissias, avvocato
ellenico con studio in Svizzera. Di fatto, chiunque può portare dove
vuole i capitali che ha, senza limiti. Con la Svizzera Atene ha una
convenzione che comporta la «doppia imposizione» per i capitali greci lì
depositati.
E stava pensando di siglare un accordo più stringente -
come fatto di recente da Austria, Germania, Gran Bretagna - che potrebbe
portare a una «sanatoria» in cambio di una tassa del 25% sul capitale
(non il 5, come nello «scudo» di Tremonti). Naturalmente, è bastato
l'accenno a questa ipotesi perché parte di quei capitali cambiasse casa
(Emirati, Singapore, ecc).
Questi movimenti sono possibili, senza perdere in sicurezza, solo per
gente molto potente sul piano internazionale. Come gli armatori, vero
(ex) nerbo industriale greco. I nomi leggendari (Onassis e Niarchos)
sono stati sostituiti da tempo, ma la genìa resta quella dei possessori
del 19% della flotta navale globale.
Con una differenza, rispetto al
passato: nel 2011 hanno costruito 654 navi, ma una sola nei cantieri
greci. L'incidente della Prestige in Galizia, nel 2002, spinse la Ue a
rendere obbligatorio per le petroliere il doppio scafo. Gli armatori
andarono a comprare allora in Corea, Cina, persino Giappone; costo del
lavoro più basso e facilitazioni fiscali.
Mentre lo stato greco non
poteva - per normative europee - «aiutare» cantieristica e acciaio. Una
fortuna per la Turchia, che in questo decennio ha potuto sviluppare la
sua cantieristica. I «fondi strutturali» della Ue, nel frattempo, sono
serviti a costruire grandi aeroporti senza traffico. Geniale, un po'
come in Italia.
Ma se tornassero alla dracma, andrebbe meglio? Per i ricchi che hanno i
soldi all'estero certamente. Dopo due anni così, il patrimonio del paese
(industriale, turistico, immobiliare, ecc) è già fortemente svalutato.
Il ritorno alla moneta nazionale non potrebbe che avvenire con
un'ulteriore - drastica - svalutazione.
Un po' come per i salari, che
sono previsti in caduta quest'anno di un altro 20%. A quel punto
chiunque - non necessariamente un greco - abbia capitali liquidi
denominati in euro, dollari, yen, renmimbi, ecc, potrà entrare in Ellade
e far man bassa, acquistando un po' di tutto a prezzi stracciati.
Così
si capisce cosa intendiamo dire con l'espressione «nessuna politica
economica è socialmente neutra». Favorisce qualcuno, immiserisce altri.
La Grecia è in default
di Beppe Scienza - www.beppegrillo.it - 30 Aprile 2012
"Chi aveva per esempio 10 mila euro di titoli greci, un paio di
settimane fa si è visto arrivare al posto del suo titolo 24 titoli
diversi, li ha sommati e si è accorto che aveva solo duemila euro.
Questo si chiama in linguaggio tecnico “default”, si chiama
insolvenza. Se uno deve pagare degli interessi, un rimborso (Stato o
società privata che sia) e non li paga, si chiama in termini brutali
fallimento, in termini tecnici insolvenza o default."
Due inganni sulla Grecia.
Prima un saluto agli amici del
blog di Beppe Grillo. Sono Beppe Scienza, insegno al Dipartimento di
matematica dell’Università di Torino e mi occupo soprattutto di
risparmio (ahinoi!) tradito.
Sulla Grecia il discorso è
un po’ complesso, con qualcosa di contraddittorio, perché qualche
settimana fa si sono sentiti titoli di telegiornali, si sono lette sulla
stampa frasi di questo tipo: "La Grecia è stata salvata", "Successo della ristrutturazione del debito pubblico greco", "Evitato il fallimento della Grecia". Poi uno che aveva per esempio 10 mila Euro di titoli greci, un paio di
settimane fa si è visto arrivare al posto del suo titolo 24 titoli
diversi, li somma e si accorge che ha soltanto 2 mila euro. La Grecia si
è salvata e io ho perso l’80%, come la mettiamo? Bisogna dire la
verità: ci sono stati due inganni.
1) un inganno da parte dei massimi politici ed esponenti dell’Unione Europea, della Banca Centrale che hanno detto: "Salveremo la Grecia", "La Grecia no, assolutamente, la Grecia non deve fallire", "La Grecia deve essere salvata".
2) un inganno è avvenuto dopo, perché adesso gira la storiella che la Grecia è stata salvata.
La ristrutturazione dei titoli greci, Dio non voglia che abbiano la stessa sorte quelli italiani, è avvenuta in due fasi:
1)
si è fatta una proposta dicendo alle banche, ai fondi comuni, alle
assicurazioni: volete accettare di cambiare questi vostri titoli con
titoli nuovi, accettate che si faccio un taglio? In effetti la
stragrande maggioranza dei cosiddetti investitori istituzionali hanno
accettato, sul modo che hanno accettato vorrei citare il capo della
Commerzbank tedesca, Martin Blessing, che riguardo all’accettazione
della ristrutturazione del debito greco ha detto: "Essa è così volontaria, come era volontaria la confessione nell’inquisizione spagnola". La Banca centrale ha ottenuto che le banche accettassero questa cosa e questi sono fatti loro.
Quelli
che non sono fatti loro è che dopo, anche chi non aveva accettato, si è
trovato la stessa sorte, gli hanno dimezzato in valore nominale i
titoli che aveva e in valore di mercato la perdita è dell’80%. Ora
questo si chiama in linguaggio tecnico “default”, si chiama
insolvenza. Se uno deve pagare degli interessi, un rimborso (Stato o
società privata che sia) e non li paga, si chiama in termini brutali
fallimento, in termini tecnici insolvenza o default.
La Grecia ha fatto
default, la Grecia è stata insolvente nei confronti di quelli che non
hanno accettato la ristrutturazione, la Grecia non ha rispettato il
regolamento e questo si chiama insolvenza, quindi la Grecia è fallita.
Non è la prima volta che è fallita, tutti i greci ricordano una frase
pronunciata il 10 dicembre 1893 dall’allora primo ministro Charilaos
Trikoupis che in greco è "Δυστυχώς επτωχεύσαμεν" (distihós eptohéfsamen) "Purtroppo siamo falliti".
Fallita allora, una storia analoga negli anni 30, e fallita di nuovo. I greci possono dire e dicono "Δυστυχώς επτωχεύσαμεν ξανά" (distihós eptohéfsamen ksaná) "Purtroppo siamo di nuovo falliti". Allora non raccontiamo la storia che la Grecia non è fallita: la Grecia è fallita!
Una faccia, una razza.
Però questo fallimento ha un’altra
stranezza: non ha toccato tutti e c’è stato qualcosa che, se riguardasse
una società privata, si chiamerebbe bancarotta preferenziale e sarebbe
un reato, Perché la Grecia
aveva, a fine 2011, 380 miliardi di debito pubblico, tantissimo, il 170%
abbondante del Pil. Al ché dovrebbe essersi dimezzato, uno direbbe, se
non altro. No, non s'è dimezzato. Perché? Prima della ristrutturazione,
prima della proposta di adesione volontaria al piano di taglio del
debito pubblico, c'è stato un giochettino un po’ strano. I titoli
posseduti dalla Bce e dalle altre banche centrali, della Bundesbank,
dalla Banca d’Italia ecc., hanno subito un cambiamento di codice. Sono
stati cambiati i codici e questi titoli non sono stati toccati, né dalla
proposta, né dal taglio coatto. Questi titoli, rimasti come prima solo
con cambiamento di codice, hanno incassato gli interessi, quelli scaduti
sono stati tutti rimborsati: non sono falliti.
Non si può dire
certo che hanno favorito dei privati, hanno favorito lo stesso sistema
finanziario dell’Unione Europea che presta i soldi. La cosa può anche
essere difendibile, però è curioso il fatto ed è stato discusso e anche
contestato da parte dello stesso presidente della Bundesbank Weidmann,
il quale ha trovato che questa cosa in effetti era un po’ strana. Quindi
la Grecia è fallita, ma non è fallita per quanto riguarda i titoli
posseduti dalle banche centrali.
A questo punto una cosa da non fare.
Non impelagarsi in cause contro la Grecia, non andare a dare soldi ad
avvocati che promettono di fare causa e riuscire a recuperare quello che
si è perso. Gli stati sovrani si chiamano proprio sovrani perché
possono, se vogliono, non pagare i loro debiti. O ci si fa la guerra
oppure è così. Nessuno pensa di fare la guerra alla Grecia, però evitare
di perdere altri soldi facendo cause che magari si possono anche
vincere, alcuni hanno vinto cause contro l’Argentina, le hanno vinte
anche in tribunali americani. Ma vincere queste cause non è servito a
niente, perché uno vince la causa, ma poi dopo i soldi non gli vengono
dati.
Merita estendere il discorso, è capitato alla Grecia… può
significare qualcosa per l’Italia? La Grecia può essere un modello per
l’Italia? Discorso delicato evidentemente.
Una domanda che molti si pongono “Come mai si è arrivati a questo punto?”.
Sì è detto perché la Grecia falsificava i bilanci pubblici, faceva dei
pasticci. È vero, certo: la Grecia si era servita di contratti derivati,
causa di tanti disastri nei comuni, regioni e province italiane,
L’aveva fatto anche con Goldman Sachs, per esempio. Quando a Goldman
Sachs c'era Mario Draghi, tanto per capire. Quindi aveva nascosto i
buchi, aveva fatto apparire il debito più basso di quello che era. Tutto
vero sicuramente. Però bisogna dire che da parte dell’Unione Europea e
della Banca Centrale un po’ più di serietà, di accortezza e di
lungimiranza ci voleva. Ma possibile che non gli venisse nessun dubbio
fino a quando nel 2010 i mercati finanziari si preoccupano della Grecia? È possibile che dall’ingresso della Grecia nell’euro, quindi nell’arco
di tutto il decennio, non ci fosse nessun sospetto che in Grecia
qualcuno falsificava o abbelliva i bilanci? Forse perché qualcosina,
magari meno grave, lo facevano anche la Francia, l’Italia e la Germania,
si è chiuso anche un occhio. Qualche responsabilità c'è. Non sono tutti
tonti alla Banca centrale europea o a quella tedesca. Il dubbio che ci
fossero delle cose non a posto ce l’avevano sicuramente, ma non han mai
detto nulla. Meglio se lo dicevano prima, nel 2007 per esempio, quando
la Grecia aveva un debito soltanto del 115%.
Altro discorso, la
Grecia è un modello per l’Italia? Per il Portogallo e Spagna? Potrà
capitare la stessa cosa? Parliamo dell’Italia anche perché chi è stato
in Grecia si è sentito dire spesse volte. "Una faccia, una razza". Noi greci e voi italiani ci assomigliamo, siamo simili…
La sveglia dei mercati finanziari.
Siamo simili anche
nella situazione della finanza pubblica? A me non piace fare
catastrofismo, però qualche analogia c’è, la vera analogia di fondo è
l’altissimo debito pubblico italiano, il grosso problema in Italia non è
la possibilità di licenziare la gente, come il peggior ministro del
governo Monti, ossia la Fornero, sembra ritenere.
Il problema
dell’Italia, che purtroppo non è stato ancora affrontato, anche perché è
difficile, sia ben chiaro, è il debito pubblico che è a livello del
120%. Cioè il doppio di quello che era il parametro virtuoso di
Maastricht del 60% del prodotto interno lordo. Ora è il 120%, quando
però in effetti era così a metà degli anni 90, ma era sceso verso il
2007 sul 103%, poi è risalito.
Questo è il macigno, non si vede come
si riesca a farlo scendere, questo non vuole dire che capiterà come con
la Grecia. In Grecia ha avuto un andamento esplosivo. Il debito pubblico
dal 2007 in poi è passato da 115 per cento, al 121, 137, 153, 174 per
cento.
In Italia la dinamica è molto diversa, però a questo punto non si
può dire che la soluzione greca non sia, magari lontana dall’orizzonte,
non si prospetti anche per l’Italia. Se non c’è una ripresa economica,
non si vede come risolverlo con qualche piccola manovrina, una nuova
serie di tasse. Tremonti ha fatto due manovre sui 30 miliardi l’una
circa, Monti ne ha fatta un’altra.
"Una faccia, una razza".
Può essere un incubo, però qualche dubbio che la Grecia possa essere un
modello per l’Italia non si può escludere tutto, non lo escludono i
mercati finanziari. La sveglia l’hanno data i mercati finanziari, per la
Grecia e anche per l’Italia.
C’è un’altra analogia in effetti tra
la Grecia e la situazione italiana. Per la Grecia la sveglia l’hanno
data i mercati finanziari, non le autorità europee. Quando i titoli di
Stato greci sono cominciati a crollare nel 2009-2010, allora ci si è
accorti della Grecia. In Italia questo è capitato nel luglio 2011.
Vediamo un titolo come i Btp-i 2021. Erano intorno a 95 e cambiavano
poco. A un certo punto hanno cominciato a scendere, scendere… e adesso
comunque sono a 81. Sono i mercati finanziari che hanno costretto a
dire: "Ahi! La situazione italiana è veramente grave, bisogna intervenire". Speriamo che non siano i mercati finanziari anche a dare la botta finale all’Italia, come alla Grecia!
Non
c’è solo un problema in Italia e anche in Grecia del debito in sé, c’è
un problema politico, c’è la scarsa credibilità della classe politica al
potere, anche in Grecia sono ben qualificati, sia ben chiaro, anzi
almeno quanto in Italia, ci sono soluzioni dolorose in questi casi e che
i politici italiani destano fondati sospetti che quando fanno qualche
proposta lo fanno per continuare a stare lì e rubare, o almeno molti di
loro destano questi sospetti.
Quando Churchill promise agli inglesi,
britannici la vittoria, ma annunciando anche lacrime e sangue, non c’era
nessuno dei britannici che diceva “Bravo tu, vuoi solo stare lì e continuare a rubare”. Purtroppo se adesso politici italiani o comunque governanti italiani fanno queste proposte molti dicono “Bravo tu dici questo, ma intanto la cinghia la tiriamo noi!”. Questo rende molto difficile il risanamento della finanza pubblica.
Preavviso di uscita dall'euro - euro brake up warning
di Marco Della Luna - http://marcodellaluna.info - 4 Maggio 2012
Il FMI ha ultimamente pubblicato numeri che danno la certezza matematica
che l’Italia non può essere risanata e portata nei parametri
dell’Eurosistema: è vero che dal 2008 al 2017 sarà leader nell’avanzo
primario, ma questo conta ben poco rispetto al fatto che il suo pil, in
quel periodo, calerà dell’1,7%, mentre quello USA aumenterà del 20,3,
quello francese del 10, quello tedesco dell’8,8, quello cinese del 116.
Il rapporto debito/pil italiano peggiora del 13,2%.
Ciò basta a porre l’Italia fuori del circolo dei paesi del Primo Mondo
(già nella precedente fase di crescita era rimasta indietro di molti
punti dall’Eurozona e dall’America) e ad escludere che possa rispettare
il Fiscal Compact (riduzione del 20% all’anno della quota di debito
pubblico eccedente il 60% del pil).
Quindi, a breve termine,
l’Italia sarà o fuori dall’Euro, oppure governata direttamente dai
finanzieri del Meccanismo Europeo di Stabilità, cioè di Berlino, con
costi, reazioni sociali, controreazioni repressive, potenzialmente
estremi.
Anche in Spagna e Grecia le ricette “europee” (cioè quelle
dettate dalla Germania a tutela del suo c.d. “modello economico
renano”), stanno portando l’economia al disastro. E continuano a venire
imposte.
Le richieste di tasse e sacrifici da parte di un governo sono legittime
se il governo dimostra che sono necessarie e idonee a un programma
realistico e utile al paese.
Quelle del governo Monti non sono
necessarie, perché il governo dovrebbe prima tagliare spese pubbliche
parassitarie e gonfiate, e non lo fa; non sono idonee, perché, conti
alla mano, non risolvono la crisi ma paiono aggravarla con l’avvitamento
fiscale; inoltre non rientrano in un programma di interesse nazionale,
anzi non si capisce nemmeno che fine stia perseguendo il governo, date
le grandezze sopra riportate.
I tagli previsti alla spesa pubblica indebita per beni e servizi sono di
4,2 miliardi su un totale di 147, quindi è chiaro che non si liberano
risorse per investimenti produttivi né per alleggerimenti fiscali, ma
rimane intatto il sistema di produzione di consenso e profitto partitico
e mafioso mediante scialo e appalti gonfiati.
Idem per le opere
pubbliche, sistematicamente gonfiate. E per la spesa per un personale
elefantiaco e poco efficiente. Tagliare la spesa pubblica parassitaria
significherebbe peraltro eliminare quel sistema e i suoi titolari, e ciò
è impossibile per un governo che dipenda dai partiti.
Dato quanto sopra, ciò a cui sta lavorando il governo e chi lo
appoggia, con tanti tagli e tante tasse, non è, non può essere, un piano
di risanamento e rilancio del paese, che essi sanno benissimo essere
irrealizzabile; dunque è un piano con un fine diverso.
Probabilmente è un piano di liquidazione del paese (ossia di raccolta e
distribuzione tra potentati esterni ed esterni dei valori in esso
presenti: risparmio, proprietà private e pubbliche) e al contempo di sua
collocazione, in posizione subalterna, entro una nuova architettura
“europea” di poteri reali e formali, con un ampio haircut dei diritti e
delle garanzie civili, politici, fiscali, sindacali; e con forte
compressione fiscale e bancaria delle piccole imprese italiana, onde far
posto nel mercato italiano ad imprese straniere.
Remunerando l’appoggio parlamentare dei partiti politici con la
conservazione dei loro privilegi e feudi, si tiene insieme il paese per
il tempo necessario a liquidare i suoi assets e a completare il lavoro
di ingegneria sociale. Poi, quando il paese salta, lo si fa cadere in
una gabbia appositamente predisposta. Questo mi pare lo scenario più
verosimile, anche se spero di sbagliarmi.
In tale scenario, è ovvio che i cittadini ritengano che le tasse siano
non solo eccessive, ma anche contrarie agli interessi della nazione,
perché esse vanno a sostenere un’operazione di quel tipo. Se uscire
dall’Eurosistema è inevitabile, tanto vale uscire al più presto, prima
che il processo di demolizione dell’economia nazionale produca ulteriori
danni, e con ancora qualche soldo in tasca. Se ci lasciamo portar via
le ultime risorse, dopo saremo in balia del capitale dominante
sostanzialmente tedesco, mentre anticipando i tempi potremmo ripartire i
danni con i paesi amici.
Il popolo e le imprese hanno quindi interesse
ad attivarsi per sventare il disegno di liquidazione del paese,
rovesciando il tavolo. E a ricordare alla Germania che il Nazismo e la
II GM sono conseguenza dell’austerità imposta ad essa stessa per il
pagamento dei suoi debiti.
In ogni caso, conviene prepararsi a un cambiamento valutario, quindi
alla probabilità che i depositi bancari e gli altri crediti denominati
in Euro siano convertiti in Lire o altra valuta, con una forte
svalutazione rispetto all’Euro e con una perdita di potere d’acquisto.
Contromisure preventive, oltre all’emigrazione, sono
a) spostare i
depositi in un idoneo paese estero (Svizzera, per esempio);
b) convertire
i depositi da Euro a valute forti, con scarso debito pubblico;
c) investire in valori sganciati dalla valuta italiana.
Monti ci spezza le reni per dare i soldi alla Grecia
di Franco Bechis - www.liberoquotidiano.it - 27 Aprile 2012
Regaliamo 35 miliardi anche a Irlanda e Portogallo. E il rapporto deficit/Pil si impenna al record del 124%
Lo rivela Mario Monti a pagina 36 del Def appena portato in Parlamento.
Il premier italiano annuncia triste che a fine 2012 il rapporto debito
pubblico/Pil schizzerà per l’Italia alla percentuale record del 123,4%.
Una cifra mostruosa, che in parte deriva dalle scelte di politica
economica del governo italiano, che mettendo troppe tasse ha provocato
la recessione (facendo scendere dunque il Pil più delle previsioni) e
che non tagliando la spesa ha provocato la crescita del debito pubblico.
Ma c’è anche un’altra ragione dei guai italiani, che era meno nota.
Monti
infatti nel giro di poche settimane ha messo la sua firma sotto due
decisioni dell’Unione europea. La prima è il varo del famoso trattato
sul fiscal compact, che rischia di mettere in ginocchio l’Italia perchè
prevede l’obbligo di rientro rapido nel parametro debito/pil del 60%,
costringendo a fare manovre annuali da 40 miliardi di euro l’anno per
circa 20 anni.
Mentre il premier, ben conscio di quel debito pubblico
che stava schizzando alle stelle, con la sua firma da una parte metteva
la testa dell’Italia sotto la ghigliottina, dall’altra firmava altri
documenti che aggravavano ancora di più la situazione dell’Italia
sborsando la bellezza di 35,1 miliardi di euro a favore di Grecia,
Portogallo e Irlanda.
Il Def lo racconta così: «Lo scorso anno per il 2012 si prevedeva
complessivamente un esborso aggiuntivo per la Grecia di circa 0,2 punti
di Pil inclusi nel fabbisogno. Tra la fine dello scorso anno e l’inizio
di quello in corso gli accordi europei sono stati modificati prevedendo
che gli aiuti alla Grecia transitino attraverso l’Efsf insieme con
quelli per il Portogallo e Irlanda, approvati successivamente all’uscita
del programma di stabilità del 2011 (che infatti non li includeva).
L’ammontare previsto delle emissioni di debito Efsf, per la quota
italiana, sarà pari a circa 29,5 miliardi di euro, cui vanno aggiunte le
tranche di pagamento per la costituzione del capitale dell’organismo
permanente Esm (European Stability Mechamism), pari a circa 5,6 miliardi
per il 2012 (anche esse non previste nella stima dello scorso anno)».
In tutto appunto fanno 35,1 miliardi di euro, una cifra spaventosamente
alta che Monti si è impegnato a spendere senza per altro chiedere
permesso al Parlamento né discutere pubblicamente della cosa. Certo,
salvare la Grecia può essere utile anche all’Italia che era travolta
dalla tempesta finanziaria subito a ruota.
Ma quei 35,1 miliardi come
oggi Monti riconosce, hanno un effetto grave sul debito pubblico
italiano, visto che in cassa non c’erano e per pagarli si sono emessi
nuovi titoli pubblici. «Complessivamente», scrive il premier italiano,
«questi contributi rappresentano circa il 2,2 per cento del Pil, due
punti percentuali in più rispetto alla stima dello scorso anno.
D’altra
parte la previsione per il fabbisogno del settore pubblico, proprio per
effetto del superamento della modalità di erogazione diretta alla
Grecia, è previsto essere inferiore di circa 0,2 punti percentuali di
Pil rispetto alla stima dello scorso anno. A questo andamento dello
stock del debito va poi associata una dinamica del Pil nominale
decisamente più lenta».
Traduciamo per chi non fosse a conoscenza dei termini tecnici. Secondo
gli accordi che l’Italia aveva con la Ue prima dell’arrivo dei governi
tecnici, l’aiuto alla Grecia sarebbe stato di circa 3 miliardi di euro
da pagare direttamente. Monti ha portato quell’impegno a 35,1 miliardi
di euro, emettendo titoli del debito pubblico.
Il risultato sarà che il
deficit scenderà di 3 miliardi di euro non per merito del governo
tecnico, ma per una scelta contabile. E il debito pubblico peggiorerà di
35,1 miliardi di euro, facendo schizzare il parametro debito/pil a quel
123,4% appena annunciato per il 2012.
Valeva la pena mettere l’Italia in queste condizioni e aggravare ancora
di più la manovra di rientro imposta dal trattato sul fiscal compact?
Come ha fatto Monti a firmare con la mano destra lo stanziamento di quei
35,1 miliardi a Grecia, Portogallo e Irlanda e con la sinistra la
ghigliottina che costringeva a tagliare quei 35,1 miliardi ogni anno per
rientrare nei parametri fra debito e pil?
Che logica ha aiutare gli
altri paesi per impiccare l’Italia? Questa è una domanda che va rivolta
al premier ma anche ai partiti che così acriticamente lo stanno
sostenendo da mesi.
A che serve un governo di unità nazionale? A farci
morire tutti per obbedire alle regole di quella Angela Merkel che ormai
tutti i paesi d’Europa non sopportano più, in primis la Francia che l’ha
fatto ben capire con il suo recente voto alle presidenziali. Il governo
di unità nazionale semmai era una grande occasione per dare all’Italia
la forza di ribellarsi e fare le politiche esattamente opposte.
Se la
Germania vuole solo rigore, se ne vada lei dalla Ue. L’Italia difenda i
suoi interessi. Che non sono certo quelli di essere costretta a sborsare
35 miliardi per gli altri, sapendo già che quel gesto la farà finire
pure sul banco degli imputati.