Salvataggio finanziario della Spagna: un altro passo verso il disastro
da www.econoNuestra.net - 12 Giugno 2012
Traduzione dallo spagnolo di Alessia Grossi per Il Fatto Quotidiano
Sabato era una giornata tranquilla a Madrid.
C’era il sole, ma non faceva molto caldo, perchè un vento fresco
percorreva le strade della città, rendendo sopportabile la temperatura.
Non è un caso che il salvataggio della Spagna sia avvenuto proprio sabato, visto che la domenica si sarebbe giocata la finale di Roland Garros, e la prima partita della nazionale agli Europei.
Nonostante questo, quando l’esecutivo aveva smentito i giorni
precedenti che quella sarebbe stata la data dell’importante appuntamento
finanziario, l’intera Spagna sapeva che sarebbe avvenuto il contrario.
Stiamo cominciando ad abituarci.
Le menzogne non finiscono qui: Luis de Guindos, ministro dell’economia,
ex presidente esecutivo di Lehman Brothers per Spagna e Portogallo,
nell’eroico tentativo di infiocchettare la realtà, è rimasto quasi senza
voce a forza di ripetere che non si sarebbero imposte ulteriori
condizioni ai tagli per poter ricevere il denaro pormesso. Nonostante
questo, un sguardo rapido alle cifre rende evidente che non sarà così e
che oltetutto la storia non avrà un lieto fine.
Per cominciare, il denaro ricevuto dall’Europa andrà al Frob,
ente pubblico che emette il debito sovrano (che pesa sui conti) per
canalizzare denaro verso gli istituti finanziari. Questa istituzione
dispone dell’avallo illimitato dello Stato, e sarà quest’ultimo a rispondere davanti all’Europa
tanto dei prestiti generali emessi, così come degli interessi che
generano.
Se gli istituti di credito non potessero far fronte a questi
prestiti, sarà il Frob a pagare, cioè la Spagna emetterà debito
pubblico. Per come si evolve l’economia spagnola è difficile immaginare
che le banche potranno far fronte a questo prestito.
Qualsiasi fosse lo scenario, il rapporto debito/Pil in Spagna aumenterà tra il 10 e il 17%
spingendo il debito sovrano vicino, se non oltre il 100% del Pil in
tempi brevi. Questo significherà un aumento di dubbi e sfiducia da parte
dei mercati finanziari fino a mettere appunto in dubbio la capacità si solvenza della Spagna, che già con un 80% di debito pubblico sul Pil ha diffoltà a finanziarsi.
Attualmente perché il rapporto debito/Pil si stabilizzi è necessario più del 4,5% di interesse primario,
il che sembra del tutto impossibile, da che ne consegue che questo
rapporto continuerà ad aumentare.
Questo supponendo che il tasso di
crescita si mantenga costante e i tassi di interesse non salgano, per
cui se consideriamo questo aumento e il deterioramento sicuro delle
variabili fondamentali a breve, questo salvataggio è una gentile spinta verso la bancarotta spagnola, indipendentemente dal risultato degli Europei.
La
magia dell’Europa e Rajoy ha fatto sì che, questo sì, si sia riusciti
ad avere gli aiuti in termini di approssimativamente il 3% di interessi
contro il 6% che paga attualmente la Spagna per le sue emissioni a 10
anni.
Non si è specificato se il salvataggio proverrà dal non ancora
ratificato Ems o dall’Efsf, cosa importante nella misura in cui i debiti
emessi dall’Ems sono prioritari sugli altri debiti e bisognerebbe
apportare qualche modifica legale ulteriore.
Questo implica che il nuovo
debito emesso per finanziare le perdite delle banche si
emetteranno ad un tasso preferenziale del 3%, mentre il debito
esistente e emesso in futuro per altri fini continuerà ad emettersi ai
termini, quasi escatologici, del 6% o più.
Ma per ottenere questi tassi
di interesse vantaggiosi sul mercato (mercato=banche che si salvano), è
necessario che esista un incentivo di sicurezza e
probabilmente fiscale. Basta pensare ai prestiti della Troika
all’Irlanda, alla Grecia e al Portogallo, perché nessuno abbia dubbi:
presto potremo assaporare questo piatto amaro che oggi assaporano altri
paesi europei.
Nonostante ciò potrebbero darsi le
condizioni per recepire questo denaro a braccia aperte nella misura in
cui fossero sufficienti per chiudere la ferita sanguinante dell’economia
spagnola, o, che poi è lo stesso: sono sufficienti 100 mila milioni di euro? No.
Si
possono contare 85mila milioni in prestiti concessi al boom della
costruzione e al settore immobiliare. Questi attivi, potenzialmente
tossici (quasi biologicamente a rischio), hanno molte probabilità di non
essere ripagati, ma le banche hanno appena 50mila milioni di riserve
per coprire le perdite potenziali, con i prezzi delle case che crollano e
una ribasso dei prezzi atteso di almeno il 35%.
Ma
il problema non è solo la Spagna, ma la domanda del momento è: l’Italia
quando crollerà? Anche l’Italia, infatti, potrebbe dover essere
salvata, e se questo avvenisse. il gioco ha tutta l’aria di concludersi a
breve.
L’Italia sopporta il doppio del debito pubblico spagnolo,
e l’economia italiana diminuirà prevedibilmente di un 1,7% quest’anno,
un decimo in più di quella spagnola. Il contagio ha tutta l’aria di
arrivare a breve. L’esodo degli investitori ha lasciato il tesoro
italiano alla mercé delle banche nazionali, gli istituti che più hanno
preso in prestito denaro della Bce attraverso le operazioni a tre anni.
Se l’Italia entra nelle sabbie movili, l’unico che potrebbe appoggiare
il debito pubblco di questo paese, data la sua grandezza, sarebbe la Bce il che creerà tensioni sui mercati del debito fino al punto da diventare letale per l’eurozona.
Il salvataggio delle banche spagnole è un’efficace misura di conversione del debito privato, quello delle banche, in debito pubblico, quello degli spagnoli.
Proprio per questo mette in crisi la possibilità di raggiungere
l’obiettivo di deficit pubblico stabilito dal governo spagnolo (anche se
essendo stato annunciato dal governo, non ci stupirebbe che non si
raggiungesse).
Questo a sua volta renderà più dura la cosiddetta austerity,
e renderà più profondo il trasferimento di reddito che si sta
realizzando dalla cittadinanza al settore finanziario e ai suoi mercati.
Questo fa prevedere un temporaggiamento da parte dell’esecutivo, che ha
una boccata d’ossigeno che durerà il tempo di un soldo in Spagna, cioè
molto poco.
Così come il posticipo di soluzioni reali
che alla fine si imporranno (nazionalizzazione delle banche, controllo,
eliminazione del debito, etc..) si suppone che prolungherà l’agonia in
modo innecessario e ad un prezzo troppo caro.
Non vogliono capire
di PierGiorgio Gawronski - Il Fatto Quotidiano - 12 Giugno 2012
Non vogliono capire
di PierGiorgio Gawronski - Il Fatto Quotidiano - 12 Giugno 2012
100 miliardi prestati alle banche spagnole sono tanti; l’Italia ne metterà oltre venti. Ma l’illusione è durata poche ore. I mercati hanno preso atto che l’Europa non ci sente, e sono andati nel panico.
Alla crisi bancaria spagnola, infatti, è stata somministrata la medicina di sempre: quella che ha messo in ginocchio l’Irlanda; solo, in dosi maggiori.
Ai tax payers spagnoli – già oberati da spread da usura – sono stati accollati anche i debiti delle banche. Ma sulle cause della spirale della morte continua l’arrogante rifiuto ad intervenire. E i mercati prendono atto: al comando dell’Europlano c’è un pilota impazzito.
I mercati mandano a Draghi, alla Merkel, e anche a Monti, a tutto il gruppo delle “riforme strutturali”, un messaggio forte e chiaro: “Niente di male nel salvare le banche… Ma voi continuate – incredibilmente – a non capire il problema finanziario (assenza della BCE prestatore di ultima istanza sul mercato dei titoli pubblici) e i problemi macroeconomici (depressione della domanda; squilibri di competitività) all’origine. Più tardi ci arriverete, più alti saranno i costi”.
Salvare le banche e le imprese invece delle famiglie non porta da nessuna parte: a che serve una impresa senza clienti? Una emissione di moneta assai inferiore, indirizzata ai poveri d’Europa, avrebbe effetto in venti giorni sulle vendite delle imprese; in due mesi gli ordinativi crescerebbero del 20%, in tre mesi la produzione industriale farebbe + 10%. Altro che riforme strutturali!
I mercati non vanno solo e sempre giù. “Non saranno irresponsabili fino alla fine…”, si pensa.. Ma la storia insegna che le ideologie dei benpensanti sono un velo potente, che può frapporsi fra menti intelligenti e la realtà sotto gli occhi di tutti. I governi conservatori degli anni “30 continuarono imperterriti con le loro politiche suicide, finché non furono cacciati via dai mercati (Inghilterra, 1931) o dagli elettori (USA 1933, Germania, 1933).
Ma la cacciata (e, punto fondamentale per la soluzione della crisi, la sottomissione della banca centrale agli obiettivi dei governi eletti) avvenne abbastanza tardi da causare disoccupazione, povertà di massa, e una guerra mondiale. In Italia e in Germania le elezioni sono previste solo nel 2013: secondo me, così non ci arriviamo. Qualcosa succederà prima.
Crisi, tocca all'Italia: fuga dal nostro debito pubblico
Le banche spagnolo, dopo l'ossigeno europeo, sono al riparo. La burrasca così si sposta sul nostro paese. Qui il debito pubblico diventa il punto più fragile della zona euro
Ieri mattina, quando la Borsa Italiana saliva del 2 per cento e lo spread fra il Btp decennale e il Bund tedesco toccava il 4,20 per cento, sono stati in molti a chiedersi: dov’è la buona notizia?
La Spagna ha chiesto aiuto al-l’Europa per salvare le proprie banche,
ha ottenuto la promessa di un prestito da 100 miliardi di euro, e in
cambio dovrà riformare il settore finanziario rispettare tutti i vincoli
di bilancio che le erano stati dati, non ultimo quello di portare il
deficit dal 8 per cento del Pil al 3,1 per cento in due anni. Una cura
da cavallo per un paese che con il 24,8 per cento ha il tasso di
disoccupazione più alto del mondo sviluppato.
Gli investitori si
sono chiesti, ieri mattina: perché comprare titoli italiani? Anche Roma,
dopo Madrid, riceverà aiuti e magari otterrà un allentamento dei
vincoli di bilancio, facendo rifiatare la propria economia?
Migliorerà
il Pil italiano a seguito dell’aiuto alla Spagna?
Niente di tutto questo, anzi l’Italia dovrà partecipare al salvataggio
della Spagna del Portogallo e del-l’Irlanda con oltre 40 miliardi di
euro da versare al fondo salva Stati entro il 2012.
Non importa se
questa cifra sarà conferita sotto forma di garanzie o di denaro, peserà
comunque sul nostro debito pubblico e sul giudizio delle agenzie di
rating. Lo stato italiano già garantisce 100 miliardi di obbligazioni
emesse dagli istituti di credito italiani, aggiungendo i fondi per gli
altri Paesi europei in crisi si arriverebbe a un potenziale
indebitamento pari al 9 per cento del Pil (da aggiungere al 120 per
cento strutturale).
Nessun investitore ha voglia di comprare il debito
di uno Stato con tale livello di esposizione e queste prospettive di
crescita. I dati Istat resi noti ieri raccontano un calo del Pil del 1,4
per cento nel primo trimestre su base annua, confermando così le
previsioni di Citibank che venerdì aveva stimato che alla fine del 2012
il Pil italiano segnerà un arretramento del 2,5 per cento e del 2 per
cento nel 2013, previsioni che tolgono ogni speranza a chi aveva un
minimo di intenzione di comprare i nostri buoni del tesoro.
E infatti ieri, nonostante la “buona notizia” , spagnola gli
investitori hanno venduto: alle 11,30 del mattino lo spread era
ritornato sopra il 4,60 per cento e la Borsa aveva già bruciato tutto il
guadagno delle prime ore di contrattazione.
Nel prosieguo della
giornata le vendite sono aumentate e hanno portato la Borsa a
sprofondare del 2,80 per cento e lo spread fino al 4,70 per cento mentre
lo spread degli omologhi titoli spagnoli (i presunti “salvati”)
arrivava alla cifra record del 5,16 per cento.
Il ragionamento che
circola fra gli operatori di mercato è semplice: dopo la Spagna ora
toccherà all’Italia chiedere aiuto. Con queste premesse nessuno vuole
rimanere incastrato nella tempesta che, ragionano in tanti tra gli
operatori, precederà la resa del governo Monti
all’imposizione di un protettorato europeo in cambio di denaro sonante.
Ieri il commissario europeo Olli Rehn, “mister euro”, ha parlato di
“gravi squilibri” macroeconomici in Francia e in Italia.
Probabilmente
il governo cercherà di convincere investitori italiani ed esteri a
sottoscrivere in toto il debito alle prossime aste del Tesoro a tassi
accettabili, eserciterà tutti gli strumenti di incentivo e di moral
suasion possibili, ma la strada rischia di essere segnata: i Btp
scivoleranno sempre più verso i rendimenti spagnoli, per raggiungerli e
superarli soprattutto sulla parte di curva a breve termine rispetto alla
quale la Spagna è protetta dalla linea di credito europea.
Il Tesoro
dovrà invece fare i conti con banche italiane che hanno già i portafogli
pieni di Brp con scadenze brevi, con importanti perdite potenziali
accumulate e con poca possibilità di sostenere i prezzi nelle aste che
verranno.
Gli investitori stanno cercando di calcolare quanto lunga
possa essere la resistenza italiana: il movimento di mercato di ieri ha
indicato a tutti che l’Italia è considerata la prossima vittima
potenziale della crisi internazionale, che due mila miliardi di debito
pubblico non sono giudicati sostenibili per un Paese in piena
recessione. E che le speranze riposte dai mercati nel governo Monti sono
definitivamente svanite.
Dopo la Spagna l'Italia. Lo tsunami è in arrivo
Il
momento è drammatico. Gli eurocrati non demordono. Pur di salvare
l’euro, e con esso la loro dittatura, dopo che sono fallite tutte le
cartucce, hanno in mente di usare l’ultima arma letale a loro
disposizione: seppellire le nazioni, espropriare i popoli di ogni
residua sovranità, per fondare un super-stato imperiale comandato dalla
aristocrazia finanziaria e parassitaria.
I salvataggi portano sfiga a quelli che li ricevono. E' dimostrato non solo dalla Grecia, ma pure da Irlanda e Portogallo che, dopo gli "aiuti" europei, hanno conosciuto paralisi dell'economia, aumento della disoccupazione, crescita dei disavanzi e dei debiti, privati e pubblici. Quello offerto alla Spagna non farà eccezione.
Il Primo ministro spagnolo Mariano Rajoy fa davvero pena nel suo tentativo di spiegare che non si tratta di "salvataggio". Tenta di salvare la faccia, lui che fino a l'altro ieri, con sicumera, rassicurava i mercati finanziari che la Spagna ce l'avrebbe fatta da sola a salvare le sue banche traballanti.
I salvataggi portano sfiga a quelli che li ricevono. E' dimostrato non solo dalla Grecia, ma pure da Irlanda e Portogallo che, dopo gli "aiuti" europei, hanno conosciuto paralisi dell'economia, aumento della disoccupazione, crescita dei disavanzi e dei debiti, privati e pubblici. Quello offerto alla Spagna non farà eccezione.
Il Primo ministro spagnolo Mariano Rajoy fa davvero pena nel suo tentativo di spiegare che non si tratta di "salvataggio". Tenta di salvare la faccia, lui che fino a l'altro ieri, con sicumera, rassicurava i mercati finanziari che la Spagna ce l'avrebbe fatta da sola a salvare le sue banche traballanti.
«Ma al di là di come lo si chiami l'ammontare di soldi che l'Ue si prepara a stanziare per la Spagna (100Mld) è superiore ai 78 miliardi del piano salva-Portogallo e ai 67 del pacchetto salva-Irlanda. Solo la Grecia ha avuto prestiti più consistenti (247 miliardi in due distinti salvataggi, quello concordato a maggio 2010 e quello resosi necessario a febbraio 2012». [1]
Se
l'Unione europea, con il consenso del G7, ha accettato di sborsare
cento miliardi la ragione è semplice, non ci sono soldi nelle casse di
Madrid, né quest'ultima poteva fare affidamento sull'emissione di nuovi
titoli pubblici, visto che eventuali acquirenti esigono rendimenti
(interessi) oramai superiori al 7%.
Il crack spagnolo non è stato scongiurato
Che sia stato evitato il crack del sistema bancario spagnolo, questo è tuttavia da vedere. Lo avevano già detto in pompa magna mesi addietro, dopo che la Bce di Draghi, con l'operazione Ltro, aveva sganciato alle banche più di mille miliardi (più di 250 solo alle banche spagnole) —operazione evidentemente andata a vuoto. Le borse, ieri, hanno già espresso il loro malumore. Chi fa il bello e cattivo tempo sui mercati finanziari, cioè chi possiede liquidità, non si fida, né della Spagna né del "salvataggio".
Diverse sono le ragioni dei timori nuovi padroni del vapore, leggi i grandi speculatori della finanza, temono il disastro della Spagna, nonostante i 100 miliardi elargiti dalla Ue. La prima di queste è che l'economia spagnola è profondamente malata.
Nella tabella n.1 è possibile vedere come la Spagna, per debito aggregato (la somma dei debiti pubblici e privati), sia terza in Europa dopo Irlanda e Portogallo (ben prima della Grecia).
La Tabella n.2 qui accanto non è meno significativa. A sinistra vediamo chi sono i creditori della Spagna, a destra abbiamo la composizione del debito estero per settori, dove spicca la montagna dei 263 miliardi di dollari in soli derivati, esattamente in Cds (Credi default swap), le note polizze per cautelarsi dal default —la qual cosa è l'indice più infallibile di cosa pensino i mercati finanziari dell'economia spagnola..
Alla base della situazione drammatica spagnola ci sono tutte le storture e i guasti del tessuto economico del paese —la fuga dal capitale alla rendita, il peso abnorme della finanza, il sistema bancario elefentiaco, tra quelli europei forse il più inserito nel circuito del capitalismo-casinò—, quei guasti che portarono all'esplosione della bolla immobiliare, avvenuta sotto gli occhi e e con la complicità sia delle banche tedesche che della stessa Bce.[2]
Ma veniamo ora ai problemi del "salvataggio". Non si tratta solo di dettagli.
Il primo è che l'esborso da parte della Ue non è affatto dietro l'angolo. C'è un iter di diverse settimane (l'Irlanda, ad esempio attese quasi tre mesi prima di ricevere la prima tranche), durante le quali la situazione potrebbe precipitare.
Il crack spagnolo non è stato scongiurato
Che sia stato evitato il crack del sistema bancario spagnolo, questo è tuttavia da vedere. Lo avevano già detto in pompa magna mesi addietro, dopo che la Bce di Draghi, con l'operazione Ltro, aveva sganciato alle banche più di mille miliardi (più di 250 solo alle banche spagnole) —operazione evidentemente andata a vuoto. Le borse, ieri, hanno già espresso il loro malumore. Chi fa il bello e cattivo tempo sui mercati finanziari, cioè chi possiede liquidità, non si fida, né della Spagna né del "salvataggio".
Diverse sono le ragioni dei timori nuovi padroni del vapore, leggi i grandi speculatori della finanza, temono il disastro della Spagna, nonostante i 100 miliardi elargiti dalla Ue. La prima di queste è che l'economia spagnola è profondamente malata.
Tab.2. Composizione del debito spagnolo [clicca per ingrandire] |
Nella tabella n.1 è possibile vedere come la Spagna, per debito aggregato (la somma dei debiti pubblici e privati), sia terza in Europa dopo Irlanda e Portogallo (ben prima della Grecia).
La Tabella n.2 qui accanto non è meno significativa. A sinistra vediamo chi sono i creditori della Spagna, a destra abbiamo la composizione del debito estero per settori, dove spicca la montagna dei 263 miliardi di dollari in soli derivati, esattamente in Cds (Credi default swap), le note polizze per cautelarsi dal default —la qual cosa è l'indice più infallibile di cosa pensino i mercati finanziari dell'economia spagnola..
Alla base della situazione drammatica spagnola ci sono tutte le storture e i guasti del tessuto economico del paese —la fuga dal capitale alla rendita, il peso abnorme della finanza, il sistema bancario elefentiaco, tra quelli europei forse il più inserito nel circuito del capitalismo-casinò—, quei guasti che portarono all'esplosione della bolla immobiliare, avvenuta sotto gli occhi e e con la complicità sia delle banche tedesche che della stessa Bce.[2]
Ma veniamo ora ai problemi del "salvataggio". Non si tratta solo di dettagli.
Il primo è che l'esborso da parte della Ue non è affatto dietro l'angolo. C'è un iter di diverse settimane (l'Irlanda, ad esempio attese quasi tre mesi prima di ricevere la prima tranche), durante le quali la situazione potrebbe precipitare.
Il secondo
è che, se come sembra il prestito (che viene offerto ad un interesse
più basso di quello di mercato, e la qual cosa ha subito fatto incazzare
portoghesi e irlandesi, che non ricevettero lo stesso favore) verrà
elargito attraverso il veicolo del famigerato Esm (Meccanismo di
stabilizzazioe europea), quest'ultimo gode dello status di "creditore
privilegiato", il che significa che ha il diritto ad essere rimborsato
prima degli altri eventuali creditori.
Difficile con questa clausola che
la Spagna trovi altri creditori privati sul mercato. «L'altra
conseguenza è il rischio legato ai parametri degli aiuti che potrebbero
rendere più difficile per la Spagna raccogliere risorse sul mercato:
l'Esm ha infatti uno status di "creditore senior", il che significa che
deve essere rimborsato prima dei "normali creditori", che verranno così
disincentivati ad acquistare titoli spagnoli, visto che finirebbero in
second'ordine rispetto al Fondo salva stati».[3]
Il terzo problema è fin troppo ovvio. Questo nuovo debito dovrà essere ripagato, col che non solo il debito pubblico crescerà (si parla che potrebbe arrivare al 100% del Pil), ma con esso salirà anche il disavanzo —col che addio ai parametri del Fiscal compact.
Tab.3. Il trend dei debiti spagnolo: prima e dopo l'euro [clicca per ingrandire] |
Il terzo problema è fin troppo ovvio. Questo nuovo debito dovrà essere ripagato, col che non solo il debito pubblico crescerà (si parla che potrebbe arrivare al 100% del Pil), ma con esso salirà anche il disavanzo —col che addio ai parametri del Fiscal compact.
Il quarto problema è che i cento miliardi assicurati dall'Unione potrebbero non essere sufficienti:
Dicevamo
del "malumore" del mondo della grande finanza rispetto al "salvataggio"
della Spagna. Malumore è un eufemismo. L'inchiostro con cui erano stato
scritto dai quotidiani che "La Spagna è salva" era ancora fresco che la
Borsa di Milano risponde con un rumoroso tonfo.
«È questo insieme di circostanze che spinge molti, nei governi e nel mercato, a sospettare che l'intervento per le banche sia solo il primo dei salvataggi necessari per Madrid. Se tutto fosse stato fatto prima, forse sarebbe stato diverso. Ma ora Janet Henry, capo-economista di Hsbc per l'Europa, pensa che sterilizzare il contagio spagnolo intervenendo solo sulle banche non sia scontato: «La domanda chiave - osserva l'economista inglese - è capire se un pacchetto di sostegno per il settore finanziario sia la fine o solo l'inizio dell'assistenza alla Spagna». Dopo gli istituti, anche il governo potrebbe aver bisogno di un prestito internazionale tra non molto. La differenza fra le due opzioni è fra un pacchetto di circa cento o di 300 miliardi di euro». [4]L'onda si avvicina all'Italia
Così, nella loro
versione web, gli stessi quotidiani capovolgono in poche ore la linea: "Allarme rosso per lo spread": «Doveva
avere l'effetto di rassicurare i mercati finanziari. Invece, l'accordo
sulle banche spagnole ha finito con il moltiplicare le paure di un
contagio. E l'Italia ne ha pagato le conseguenze.
Nel giro di poche ore,
la Borsa di Milano ha perso il 2,9% (la peggiore d'europa, bersagliati
nuovamente i titoli degli istituti di credito), mentre lo spread
BTp-Bund è schizzato 470 punti». [5]
L'avvento
della moneta unica era stato fortemente voluto dai principali circoli
della nostra classe dominante perché venne ritenuto la sola maniera per
porre fine all'andazzo di una spesa pubblica fuori controllo e di un
capitalismo che troppo si affidava alle svalutazioni della lira. Il
vincolo esterno della moneta unica, l'incatenarsi al ceppo tedesco,
erano presentati come salvifici.
Tab. 4. Debiti sovrani e banche: l'intreccio esplosivo (clicca per ingrandire) |
Questo
disegno è fallito. Il vincolo della moneta unica si è rivelato un nodo
scorsoio, tutti i differenziali tra noi e la Germania sono cresciuti,
mentre, più che al ceppo tedesco siamo incatenati a quelli dei paesi
"periferici" e tra questi la Spagna.
Se la Spagna precipita nel baratro,
certo tutta l'eurozona verrà sconquassata, ma di sicuro l'Italia sarà
trascinata a fondo per prima.
Il rischio, come segnaliamo da tempo, dato
il legame strettissimo tra banche e debito sovrano (vedi Tab.n.4) è che
in Italia si verifichi un crack bancario parallelamente al crollo dei titoli di stato diventati "tossici" o "titoli spazzatura".
Se lo spread
e i tassi con cui la Spagna, invece di scendere, saliranno, il
contagio, l'onda, arriveranno immediatamente in Italia, con effetti,
anche sul governo Monti, non meno devastanti di quelli che dovette
subire l'esecutivo di Berlusconi nell'autunno 2011, visto che già
adesso, malgrado le durissime manovre di austerità e rigore «Con
gli attuali tassi d'interesse di mercato la posizione di bilancio
dell'Italia è probabilmente su un percorso di lungo termine
insostenibile...a causa della crescita cronicamente assente il rapporto
fra debito e Pil tende a salire per un periodo prolungato». [6]
Nelle
prossime settimane sapremo se l'euro riuscirà a sopravvivere o se
imploderà. Lo sanno gli analisti, gli economisti, gli stessi eurocrati,
tra cui Monti. Lo ha affermato ieri lo stesso direttore del Fmi. [7]
Come
potrà essere salvato non è più un mistero per nessuno. Se ne parla in
tutte le tribune da mesi. L'Unione europea deve mutualizzare (con titoli
"eurobond") i debiti sovrani. Deve stabilire una garanzia unica per le
banche, ovvero garantire i debiti bancari).
Per farlo deve passare ad
una univoca politica fiscale ed economica; deve in poche parole fare un
salto mortale verso una più stringente unificazione politica, deve
edificare, sulle ceneri di ciò che resta degli stati nazionali, una forma di super-stato imperiale
e oligarchico. Con le sovranità nazionali risucchiate nel vortice
centralista verranno cancellati gli ultimi brandelli di sovranità
popolare. I parlamenti nazionali saranno solo passacarte di decisioni
già prese dalle autorità europee centrali.
Come afferma Roberto Napoletano, voce della Confindustria italiana:
Come afferma Roberto Napoletano, voce della Confindustria italiana:
«Si può raggiungere solo a patto che si scambi la protezione in comune con la modifica della Costituzione di ciascun Paese per cedere sovranità nazionale e acquistare sovranità europea sigillata da una nuova, vera carta costituzionale. Perché diventi realtà chi governa i singoli Paesi (Francia e Germania comprese) deve avere la forza di far capire ai suoi elettori gli indubbi benefici di breve e medio termine conquistabili con tale scelta. Può sembrare un processo ardito (di certo non è agevole) ma è addirittura obbligato se non si vuole fare la fine dei dieci piccoli indiani di Agatha Christie». [8]
Questo
è ciò che chiedono i "mercati", leggi la potentissima finanza globale.
Questo è ciò che vogliono sull'altra sponda dell'Atlantico. Ora sappiamo
che lo desidera anche la Cina. Che questo super-stato possa
diventare dopodomani un problema geopolitico per le altre potenze, si
vedrà, oggi lo si deve istituire, non tanto e non solo per la salvezza
dell'euro, ma per salvare la baracca pericolante del capitalismo
internazionale. Un super-golpe per un ultra-stato.
Non
pensiamo ci sia bisogno di spiegare per quali ragioni i popoli, tutti i
popoli, debbono opporsi a questa follia imperialistica. Ciò che la Ue
porta in grembo è talmente mostruoso che anche le forze che oggi, in
nome di un malinteso "europeismo", difendono l'euro, dovranno cambiare
opinione.
La domanda è: ce la faranno gli eurocrati a compiere questo passo prima che tutto crolli?
Riusciranno a piegare i sovranismi tedesco e francese? Accetteranno le borghesie di questi due paesi una coabitazione more uxorio tra esse e con le altre? A cedere anche loro potere per trasferirli una volta per sempre ad una curia sovranazionale?
Noi
lo riteniamo altamente improbabile. Mentre è quasi impossibile che ci
riescano nei tempi strettissimi (alcuni mesi) in cui consiste
quest'ultimo atto dello psicodramma dell'euro. Vedremo cosa riuscirà a
partorire il vertice europeo del 28 giugno.
Tra
le diverse spinte e controspinte, azioni e reazioni, la tendenza
oggettiva più forte resta quella che conduce all'implosione della moneta
unica e, con essa dell'unione europea. A questo scenario, chi vuole
davvero cambiare l'ordine di cose esistente, deve prepararsi, iniziando
con l'indicare l'alternativa.
[1] Vito Lops. Il Sole 24 Ore, del 11 giugno 2012
[2] «Oltre a questo, la crisi spagnola condensa tutti i vizi dell'ultima grande crisi finanziaria, quella partita cinque anni fa dagli Stati Uniti e dai derivati sui mutui subprime. Perché, come negli Usa del 2007-2008, quella iberica è una crisi immobiliare-bancaria. Come negli Stati Uniti le banche spagnole hanno concesso credito facile a categorie che non sono più in grado adesso di rimborare le rate del mutuo. La differenza? I subprime (categorie meno abbienti) americani erano lavoratori il cui basso reddito consentiva solo di rimborsare rate di mutui con tassi variabili ai minimi storici (una volta poi saliti i tassi son diventati insolventi). Mentre i subprime spagnoli sono perlopiù costruttori che hanno ottenuto crediti facili dalle banche per mettere in piedi palazzi a un ritmo sfrenato e privo di logica. Gonfiando la bolla immobiliare su cui si è retta sinora l'economia spagnola, grazie al meccanismo di crediti facili. Garantiti tanto dai colossi del credito spagnolo quanto da banche cooperative politicizzate» (...) «Nel vortice dei prestiti facili delle banche spagnole è stata coinvolta anche la Bce che ha finanziato gli istituti di credito spagnoli ottenendo come garanzia anche i prestiti fantamilionari concessi a società sovra-indebitate. Del resto, le maglie delle garanzie con cui la Bce ha prestato soldi agli istituti di credito europei a tassi agevolati nell'ambito delle ultime due operazioni Ltro (a dicembre e febbraio) si sono allargate parecchio (sono stati chiesti in cambio anche titoli con basso rating)».
Vito Lops, Ibidem
[3] Wall Street Journal del 10 giugno 2012, in IlSole24Ore.com del 11 giugno 2012
[4] Federico Fubini, Corriere/economia del 10 giugno 2012
[5] Il Sole 24 Ore del 12 giugno 2012
[6] Rapporto di Citigroup del 9 giugno 2012; in Federico Fubini, ibidem
[7] Christine Lagarde, Il Corriere della sera del 12 giugno 2012
[8] Roberto Napoletano, Il Sole 24 Ore del 12 giugno 2012
Grexit, chi ha paura della dracma
Dentro o fuori. Mancano pochi giorni alle elezioni in Grecia, le
seconde in un mese, ma a nessuno sembra più che si tratti di eleggere un
nuovo governo. Il voto ellenico è presentato in tutta Europa come un
referendum sulla permanenza o meno di Atene nella zona euro.
L'equazione
sembra facile: se vince Syriza, il partito di sinistra radicale nemico
dell'austerity concordata con Bruxelles, si torna alla dracma; se invece
prevale Nea Democratia, la formazione conservatrice che ha siglato
quello stesso patto con Ue e Fmi in cambio del salvataggio, ai greci si
spalanca un futuro di miseria nella moneta unica. Ma è davvero tutto
così lineare?
L'impressione è che nelle ultime settimane si stia giocando una
partita a carte con un piatto molto pesante. Dall'altra parte del tavolo
c'è la Germania, che esclude categoricamente la possibilità di
rinegoziare le misure da macelleria sociale imposte alla Grecia.
In nome
del rigore e dell'intransigenza sulla parola data, Berlino si dice
disposta ad affrontare le conseguenze di un'eventuale uscita di Atene.
Il tono è minaccioso, eppure fino ad ora nessuno ha dato al Bundestag il
potere di cacciare un Paese membro dall'Eurozona.
Tanto più che nemmeno a sua maestà Angela Merkel converrebbe affatto
un esito simile della vicenda. Con il ritorno alla dracma, i greci
direbbero addio anche al loro debito pubblico, lasciandosi trasportare
dalle onde del default totale e incontrollato. Ora, si dà il caso che
proprio le banche tedesche siano fra le più esposte in territorio
ellenico. L'ultimo dei loro desideri è che quei pasticcioni dei greci si
producano in una bancarotta stile Argentina.
Un gigante come la
Germania non sarebbe comunque in pericolo di vita, ma senza dubbio il
salvataggio gli costerebbe meno del fallimento. Vale davvero la pena di
rischiare tanto? Se Atene piange, Sparta può far quello che vuole, ma
Berlino di sicuro non ride.
Per sfortuna della cancelliera, in Grecia queste cose le sanno
benissimo. Ed è qui che al probabile bluff teutonico si intreccia la
risposta ellenica. Dopo aver mandato a monte le elezioni di maggio
rifiutando di appoggiare qualsiasi possibile coalizione, il giovane
leader di Syriza, Alexis Tsipras, mira alla poltrona di premier. E lo fa
con un programma che, probabilmente, lo porterà alla vittoria (gli
ultimi sondaggi - per quanto inattendibili - lo danno in testa).
A mettersi nei panni di un greco, in effetti, non è facile capire
come si possa ancora votare per Nea Democratia o per il Pasok. Nel
panorama della politica ellenica, conservatori e socialisti sono i veri
responsabili del disastro finanziario attuale. Il Paese si trova in
questa situazione perché negli anni passati i partiti di governo hanno
truccato pesantemente i conti per soddisfare i parametri di Maastricht e
entrare così nell'euro.
Ma non basta. Due anni fa è venuto fuori che dal 2001 la Grecia ha
pagato Goldman Sachs e altre banche di investimento per mascherare la
quantità di denaro che il Paese chiedeva in prestito ai mercati. Intanto
debito e deficit schizzavano alle stelle, con buona pace di Maastricht.
Il crollo definitivo è arrivato tra fine 2009 e inizio 2010, quando -
come al solito cadendo dalle nuvole - le agenzie di rating americane
Standard & Poor’s e Fitch hanno tagliato il rating ellenico da A- a
livello spazzatura nel giro di pochi mesi.
E
oggi? Quale alternativa offre Syriza ai greci? Tsipras dice no al patto
d'austerity con l'Europa e punta a nazionalizzare il sistema bancario
(dopo opportune ricapitalizzazioni). Vuole alzare a 781 euro lo
stipendio minimo e cancellare le norme sul lavoro che hanno abolito i
contratti collettivi.
E ancora: mantenere sotto controllo statale le società d'importanza
strategica, congelare i tagli sulle pensioni, introdurre misure per
alleggerire la pressione sulle famiglie più indebitate e ridurre
l'Iva soprattutto sui bene alimentari di prima necessità.
Tutte misure da sogno per il popolo greco, ma con la prima c'è un
problema. Ricusare il memorandum siglato con Bruxelles - in linea
teorica - vorrebbe dire rinunciare agli aiuti internazionali da 130
miliardi di euro che Unione europea e Fondo monetario internazionale
hanno stanziato per il salvataggio del Paese.
Senza le prossime tranche di quei prestiti, le casse elleniche si
ritroverebbero a corto di liquidità nel giro di pochi giorni. A quel
punto il governo di Syriza inizierebbe a salutare l'Eurozona.
Tsipras però non è affatto un redivivo profeta della dracma,
tutt'altro: si dice determinato a mantenere la Grecia nella comunità
monetaria. Perché il suo piano funzioni è necessario che la Germania
ceda per prima e si convinca della necessità di rinegoziare il
memorandum.
Dando un'occhiata alle casse delle sue banche, la
cancelliera ha miliardi di buoni motivi per farlo.