Ma per conoscere i risultati ufficiali bisognera' aspettare altre tre settimane circa.
Comunque nel Nord del Paese non si e' votato e resta ancora da risolvere la spinosa questione del futuro status di Kirkuk.
Iraq, Affluenza in forte calo alle elezioni provinciali, mentre si profila una vittoria di Maliki (e dei nazionalisti)
di Ornella Sangiovanni - www.osservatorioiraq.it - 2 Febbraio 2009
Complessivamente molti meno iracheni sono andati a votare rispetto al 2005. E’ questo il dato che emerge dalle cifre iniziali fornite dalla Commissione elettorale indipendente (IHEC), il giorno successivo alle elezioni che si sono tenute il 31 gennaio in 14 delle 18 province dell’Iraq.
Dunque, un forte calo dell’affluenza, che è stata del 51% a livello nazionale, in una giornata descritta unanimemente come tranquilla (le misure di sicurezza messe in atto da un capo all’altro del Paese erano rigidissime): calo rispetto alle precedenti elezioni provinciali del gennaio 2005 (che si erano svolte in contemporanea con le prime elezioni nazionali del dopo-Saddam), e alle elezioni nazionali del dicembre 2005, ma anche rispetto ad alcune previsioni della vigilia, per non parlare degli auspici espressi dal premier Nuri al Maliki, che si augurava una forte partecipazione da parte degli iracheni.
E invece così non è stato. Secondo i dati forniti ieri dai funzionari della IHEC, nel corso di una conferenza stampa a Baghdad, sono andati a votare in 7 milioni e 500mila (su un totale di 14 milioni e 900mila aventi diritto): il 51% appunto, contro il 55,7 % delle precedenti elezioni provinciali del gennaio 2005, e il 76% delle elezioni nazionali del dicembre dello stesso anno.
Un sondaggio governativo condotto su un campione di 4.750 iracheni poco prima del voto aveva previsto una affluenza del 73%, mentre il premier Maliki si era spinto ad auspicare fino all’80 per cento.
Aumentano i votanti nelle zone sunnite
Tuttavia c’è un altro dato senza il quale quello nazionale non significa molto: sono molti, molti di più gli iracheni che questa volta sono andati a votare nelle zone a maggioranza sunnita: proprio quelle dove invece c’era stato un boicottaggio di massa nel gennaio 2005.
Qui si va dal 40% di al Anbar - il dato più basso fra tutte le 14 province in cui si votava, ma che va confrontato con il fatto che, nell’ex roccaforte della resistenza armata contro l’occupazione Usa, nel gennaio 2005 aveva votato meno dell’1% degli elettori - al 65 % di Salahuddin, l’affluenza più alta a livello nazionale, nella provincia che ha per capitale Tikrit, città di cui era originario Saddam Hussein.
A Ninive, nel nord (capitale Mosul), dove 4 anni fa aveva votato solo il 14%, questa volta l’affluenza è stata del 60 per cento.
Per quanto riguarda le province a maggioranza sciita – quelle del sud – la percentuale più alta dei votanti, secondo i dati della IHEC, è stata a Muthanna, con il 61%; la più bassa – il 46% - a Maysan, un tempo roccaforte dei seguaci di Muqtada al Sadr. Basso anche il dato di Bassora – il 48 per cento.
Le cifre finali per Baghdad non sono ancora disponibili, ma, secondo la IHEC, le prime informazioni darebbero l’affluenza attorno al 40 per cento: un dato che, se dovesse essere confermato, sarebbe inferiore – e non di poco – alla media nazionale.
Le elezioni che si sono tenute due giorni fa in 14 dei 18 governatorati in cui è diviso l’Iraq sono per il rinnovo dei consigli provinciali, che con la nuova legge, approvata nel febbraio 2008, e che entrerà in vigore proprio dopo questo voto, avranno molti poteri.
Migliaia non hanno potuto votare
Erano escluse dal voto le tre province di Dohuk, Irbil, e Sulamaniya, che costituiscono la regione autonoma kurda del nord, e la provincia di Ta’amim, che ha per capitale la contesissima Kirkuk, dove non ci saranno elezioni almeno fino a marzo (se va bene), perché le tre comunità principali – arabi, kurdi, e turcomanni – non sono riuscite a trovare un accordo sulla ripartizione del potere.
Anche in queste quattro province, tuttavia, erano stati allestiti seggi: per gli sfollati interni - persone che sono state costrette a fuggire dai luoghi in cui vivevano, ma che, registrandosi, potevano votare (una possibilità, invece, negata, agli oltre 2 milioni di rifugiati che si trovano fuori dall'Iraq).
Tutto si è svolto in modo sostanzialmente pacifico, senza nessun attacco di rilievo: un forte contrasto con il clima di paura generalizzato del gennaio 2005, nonostante anche allora fossero state adottare rigide misure di sicurezza.
A guastare la festa ci sono stati però problemi di altro genere: migliaia di iracheni non hanno potuto votare, perché – inspiegabilmente - non hanno trovato il proprio nome sugli elenchi elettorali, e in diverse zone per questo ci sono state anche proteste di strada.
Niente di tutto ciò comunque è sembrato turbare i funzionari della IHEC, che si sono dichiarati soddisfatti, e tanto meno Staffan de Mistura, il Rappresentante Speciale del Segretario Generale dell’Onu, nonché responsabile della Missione di assistenza all’Iraq delle Nazioni Unite (UNAMI), che, in una conferenza stampa a Baghdad, a urne chiuse, si è congratulato con i funzionari elettorali iracheni, e ha definito il voto di due giorni fa “probabilmente una delle elezioni più osservate degli ultimi anni”.
Secondo quanto riferito da diverse fonti, all’ultimo momento sarebbero infatti arrivati in Iraq circa 800 osservatori internazionali (oltre ai quasi 60.000 osservatori locali addestrati dall’UNAMI e dai suoi partner nella cosiddetta International Electoral Assistance Team): 805 per la precisione, secondo la IHEC, inviati, fra gli altri, da Stati Uniti, Gran Bretagna, Unione Europea, e dalla Lega Araba. Anche se la questione non è affatto chiara.
Quello che invece è chiaro è che per i risultati definitivi bisognerà aspettare – e non poco.
Fino a tre settimane per i risultati definitivi
I funzionari della IHEC sono stati espliciti: per i dati preliminari ci vorrà la fine di questa settimana (se va bene), mentre per quelli definitivi – “certificati” dalla Commissione elettorale – potrebbero occorrere fino a tre settimane. “Si spera”, ha detto ai giornalisti Qasim Abud, il Chief Electoral Officer - che, invitando gli iracheni a essere “pazienti”, ci ha tenuto a ricordare che “solo la IHEC ha l’autorità di annunciare i risultati” .
Nel frattempo, prevedibilmente, impazzano i dati parziali e non confermati. Secondo i quali la coalizione guidata dal partito del premier Maliki – al Da’wa – sarebbe in testa nella maggior parte delle province del sud a maggioranza sciita (se non in tutte), inclusa Bassora, e anche a Baghdad, in particolare a Sadr City – considerata una roccaforte del movimento di Muqtada al Sadr.
Il tutto, a spese del partito sciita rivale (nonché attuale partner di governo): il Consiglio Supremo islamico iracheno (ex SCIRI), che controllava 7 delle 9 province del sud, oltre a Baghdad, e che sembrerebbe aver preso una batosta, che potrebbe metterne a rischio il risultato persino in una delle sue tradizionali roccaforti come la provincia di Najaf. E che potrebbe perdere la capitale.
Ad al Anbar, provincia a stragrande maggioranza sunnita - pur nella delusione data dalla scarsa affluenza (che sarebbe stata particolarmente bassa nella città di Falluja, dove sarebbe andato a votare solo il 25% degli aventi diritto) – la situazione non è chiara.
Secondo alcune informazioni l’Iraqi Islamic Party (IIP), che attualmente controlla il consiglio provinciale, sarebbe destinato a ottenere un gran numero di seggi anche questa volta; secondo altre invece sarebbe in testa una delle alleanze tribali nate dai cosiddetti “Consigli del Risveglio” (che non sono riusciti a formare una coalizione unica): l’“Alleanza Nazionale dei [consigli] del Risveglio iracheni” guidata da Ahmed Abu Risha. Che ritiene che l’IIP stia manipolando i numeri (secondo lui, ad al Anbar l’affluenza sarebbe stata inferiore al 40% annunciato dalla IHEC), e non usa toni rassicuranti.
“Se vincerà l’Islamic Party, sarà un altro Darfur”, dice al New York Times.
Nazionalisti arabi sfondano a Ninive?
Non ci sarebbero invece, sempre secondo le prime informazioni che arrivano, problemi di questo tipo a Ninive, che era considerata un’altra delle province “chiave”, e dove al Hadba - la coalizione araba sunnita, e nazionalista –- sarebbe largamente in testa: nella città di Mosul (la capitale provinciale) addirittura con il 90% delle preferenze, secondo la TV privata irachena al Sharqiya.
Il suo leader, Athil al Nujaifi, ha detto alla Reuters che prevede una vittoria con il 70% , sottolineando che non ci sono state violazioni o irregolarità importanti, nonostante i timori della vigilia (a Ninive si giocava una partita molto importante fra arabi e kurdi, dato che nella provincia si trovano alcuni dei cosiddetti “territori contesi”, che i kurdi vorrebbero annettere alla loro regione autonoma nel nord, e che il consiglio provinciale uscente era dominato dalla coalizione che raggruppa i principali partiti kurdi – un effetto dei boicottaggio di massa da parte dei sunniti alle precedenti elezioni provinciali del gennaio 2005).
La Kurdistan Alliance (la coalizione kurda) adesso dovrà prendere atto dei fatti che la nuova situazione comporta, ha detto Nujaifi all’agenzia di stampa irachena indipendente Aswat al Iraq.
Anche secondo “un alto funzionario Usa” , tutto farebbe pensare che a Ninive al Hadba abbia preso circa i 2/3 dei voti: voti che sono andati a quella che, va sottolineato, è una alleanza di varie forze arabe – nazionaliste e tribali – il cui comune denominatore non è solo l’opposizione all’espansionismo (e al separatismo) kurdo, ma anche l’opposizione alla presenza militare Usa in Iraq.
Quello che unisce sostanzialmente anche le forze – sciite, ma non (più) confessionali – che fanno parte della coalizione messa in piedi dal premier Nuri al Maliki: il nome - “Alleanza per lo Stato di diritto” – è tutto un programma.
Smessi i panni del leader di un partito religioso (e confessionale) sciita – al Da’wa – Maliki sembra (definitivamente?) incamminato verso la sua consacrazione come nuovo “uomo forte” dell’Iraq – sostenitore di un forte governo centrale e capace di mantenere unito il Paese, contro le mire separatiste dei kurdi ma anche dei rivali del Consiglio Supremo, che vorrebbe una mega-regione sciita composta dalle 9 province del sud.
Il tutto, dopo essere riuscito a negoziare con gli Stati Uniti un accordo che prevede che le loro truppe se ne vadano entro fine 2011 – senza lasciare un solo soldato in Iraq.
E avere “sistemato” con alcune campagne militari “ad hoc” – a Bassora, Sadr City, e nella provincia di Mysan – i sadristi, o meglio la loro ala combattente, il cosiddetto “Esercito del Mahdi”.
Se i primi dati dovessero essere confermati, gli elettori iracheni lo hanno premiato: assieme ad altre forze che affermano l’identità nazionale (araba) e l’unità del Paese.
Che siano sunnite o sciite non fa differenza.
Fonti: Agence France Presse, Reuters, Associated Press, Aswat al Iraq, McClatchy Newspapers, New York Times, TIME
I dati sull'affluenza disaggregati per provincia
Tutto si è svolto in modo sostanzialmente pacifico, senza nessun attacco di rilievo: un forte contrasto con il clima di paura generalizzato del gennaio 2005, nonostante anche allora fossero state adottare rigide misure di sicurezza.
A guastare la festa ci sono stati però problemi di altro genere: migliaia di iracheni non hanno potuto votare, perché – inspiegabilmente - non hanno trovato il proprio nome sugli elenchi elettorali, e in diverse zone per questo ci sono state anche proteste di strada.
Niente di tutto ciò comunque è sembrato turbare i funzionari della IHEC, che si sono dichiarati soddisfatti, e tanto meno Staffan de Mistura, il Rappresentante Speciale del Segretario Generale dell’Onu, nonché responsabile della Missione di assistenza all’Iraq delle Nazioni Unite (UNAMI), che, in una conferenza stampa a Baghdad, a urne chiuse, si è congratulato con i funzionari elettorali iracheni, e ha definito il voto di due giorni fa “probabilmente una delle elezioni più osservate degli ultimi anni”.
Secondo quanto riferito da diverse fonti, all’ultimo momento sarebbero infatti arrivati in Iraq circa 800 osservatori internazionali (oltre ai quasi 60.000 osservatori locali addestrati dall’UNAMI e dai suoi partner nella cosiddetta International Electoral Assistance Team): 805 per la precisione, secondo la IHEC, inviati, fra gli altri, da Stati Uniti, Gran Bretagna, Unione Europea, e dalla Lega Araba. Anche se la questione non è affatto chiara.
Quello che invece è chiaro è che per i risultati definitivi bisognerà aspettare – e non poco.
Fino a tre settimane per i risultati definitivi
I funzionari della IHEC sono stati espliciti: per i dati preliminari ci vorrà la fine di questa settimana (se va bene), mentre per quelli definitivi – “certificati” dalla Commissione elettorale – potrebbero occorrere fino a tre settimane. “Si spera”, ha detto ai giornalisti Qasim Abud, il Chief Electoral Officer - che, invitando gli iracheni a essere “pazienti”, ci ha tenuto a ricordare che “solo la IHEC ha l’autorità di annunciare i risultati” .
Nel frattempo, prevedibilmente, impazzano i dati parziali e non confermati. Secondo i quali la coalizione guidata dal partito del premier Maliki – al Da’wa – sarebbe in testa nella maggior parte delle province del sud a maggioranza sciita (se non in tutte), inclusa Bassora, e anche a Baghdad, in particolare a Sadr City – considerata una roccaforte del movimento di Muqtada al Sadr.
Il tutto, a spese del partito sciita rivale (nonché attuale partner di governo): il Consiglio Supremo islamico iracheno (ex SCIRI), che controllava 7 delle 9 province del sud, oltre a Baghdad, e che sembrerebbe aver preso una batosta, che potrebbe metterne a rischio il risultato persino in una delle sue tradizionali roccaforti come la provincia di Najaf. E che potrebbe perdere la capitale.
Ad al Anbar, provincia a stragrande maggioranza sunnita - pur nella delusione data dalla scarsa affluenza (che sarebbe stata particolarmente bassa nella città di Falluja, dove sarebbe andato a votare solo il 25% degli aventi diritto) – la situazione non è chiara.
Secondo alcune informazioni l’Iraqi Islamic Party (IIP), che attualmente controlla il consiglio provinciale, sarebbe destinato a ottenere un gran numero di seggi anche questa volta; secondo altre invece sarebbe in testa una delle alleanze tribali nate dai cosiddetti “Consigli del Risveglio” (che non sono riusciti a formare una coalizione unica): l’“Alleanza Nazionale dei [consigli] del Risveglio iracheni” guidata da Ahmed Abu Risha. Che ritiene che l’IIP stia manipolando i numeri (secondo lui, ad al Anbar l’affluenza sarebbe stata inferiore al 40% annunciato dalla IHEC), e non usa toni rassicuranti.
“Se vincerà l’Islamic Party, sarà un altro Darfur”, dice al New York Times.
Nazionalisti arabi sfondano a Ninive?
Non ci sarebbero invece, sempre secondo le prime informazioni che arrivano, problemi di questo tipo a Ninive, che era considerata un’altra delle province “chiave”, e dove al Hadba - la coalizione araba sunnita, e nazionalista –- sarebbe largamente in testa: nella città di Mosul (la capitale provinciale) addirittura con il 90% delle preferenze, secondo la TV privata irachena al Sharqiya.
Il suo leader, Athil al Nujaifi, ha detto alla Reuters che prevede una vittoria con il 70% , sottolineando che non ci sono state violazioni o irregolarità importanti, nonostante i timori della vigilia (a Ninive si giocava una partita molto importante fra arabi e kurdi, dato che nella provincia si trovano alcuni dei cosiddetti “territori contesi”, che i kurdi vorrebbero annettere alla loro regione autonoma nel nord, e che il consiglio provinciale uscente era dominato dalla coalizione che raggruppa i principali partiti kurdi – un effetto dei boicottaggio di massa da parte dei sunniti alle precedenti elezioni provinciali del gennaio 2005).
La Kurdistan Alliance (la coalizione kurda) adesso dovrà prendere atto dei fatti che la nuova situazione comporta, ha detto Nujaifi all’agenzia di stampa irachena indipendente Aswat al Iraq.
Anche secondo “un alto funzionario Usa” , tutto farebbe pensare che a Ninive al Hadba abbia preso circa i 2/3 dei voti: voti che sono andati a quella che, va sottolineato, è una alleanza di varie forze arabe – nazionaliste e tribali – il cui comune denominatore non è solo l’opposizione all’espansionismo (e al separatismo) kurdo, ma anche l’opposizione alla presenza militare Usa in Iraq.
Quello che unisce sostanzialmente anche le forze – sciite, ma non (più) confessionali – che fanno parte della coalizione messa in piedi dal premier Nuri al Maliki: il nome - “Alleanza per lo Stato di diritto” – è tutto un programma.
Smessi i panni del leader di un partito religioso (e confessionale) sciita – al Da’wa – Maliki sembra (definitivamente?) incamminato verso la sua consacrazione come nuovo “uomo forte” dell’Iraq – sostenitore di un forte governo centrale e capace di mantenere unito il Paese, contro le mire separatiste dei kurdi ma anche dei rivali del Consiglio Supremo, che vorrebbe una mega-regione sciita composta dalle 9 province del sud.
Il tutto, dopo essere riuscito a negoziare con gli Stati Uniti un accordo che prevede che le loro truppe se ne vadano entro fine 2011 – senza lasciare un solo soldato in Iraq.
E avere “sistemato” con alcune campagne militari “ad hoc” – a Bassora, Sadr City, e nella provincia di Mysan – i sadristi, o meglio la loro ala combattente, il cosiddetto “Esercito del Mahdi”.
Se i primi dati dovessero essere confermati, gli elettori iracheni lo hanno premiato: assieme ad altre forze che affermano l’identità nazionale (araba) e l’unità del Paese.
Che siano sunnite o sciite non fa differenza.
Fonti: Agence France Presse, Reuters, Associated Press, Aswat al Iraq, McClatchy Newspapers, New York Times, TIME
I dati sull'affluenza disaggregati per provincia