Euronorevoli italiani: i meno presenti e i più pagati
di Emiliano Fittipaldi - L'Espresso - 5 Febbraio 2009
Sono i meno presenti e i più pagati. La metà degli eletti si è dimessa per tornare in patria. Non partecipano ai lavori. Ecco il primato negativo degli italiani a Strasburgo.
Il Parlamento europeo a Strasburgo C'è seduta plenaria all'Europarlamento, ma Gianni De Michelis è a Roma. Non tenta nemmeno di giustificarsi. "La seduta a Strasburgo di oggi? Ma lo sanno tutti che quelle del lunedì non contano niente. Parto domani". In effetti lunedì non si vota, ma inglesi, francesi e tedeschi stanno discutendo importanti dossier su energia, commercio, economia e discriminazione etnica. A guardare bene, il deputato socialista è stato poco assiduo anche altri giorni della settimana: durante la legislatura che sta per finire una volta su due ha saltato gli incontri al Parlamento. "Senta, il mio personale obiettivo era quello di tornare nelle istituzioni nonostante l'accanimento dei giudici, ed essere ammesso nel Partito socialista europeo. Ci sono riuscito".
Pure Vito Bonsignore, eletto con l'Udc e poi passato in Forza Italia, 45 per cento di assenze, è in altre faccende affaccendato. "In questo momento sta parlando in un convegno sul programma elettorale per le amministrative in Val di Susa, non posso passarglielo", dice l'assistente. La plenaria è iniziata da un pezzo, Bonsignore parla a Torino. Chi è partito, ma a sera inoltrata è fermo a Lione in attesa della coincidenza, è l'ex diessino Mauro Zani. Nessuna relazioni in quasi cinque anni di attività. "Lasci perdere le presenze, il lavoro vero si fa a Bruxelles, nelle commissioni. Gli italiani disertano anche quelle? Non posso contestarlo, non frequento quelle degli altri. Di sicuro posso dirle che in Europa contiamo come il due di coppe quando briscola è bastoni. Zero relazioni all'attivo? Guardi che se uno vuole farle basta che si metta in fila...". Iva Zanicchi, di Forza Italia, di fare la coda non ci pensa proprio. È stata ripescata a maggio, e in otto mesi ha collezionato 23 assenze (su 43 plenarie a disposizione), e un solo intervento sulla povertà nel mondo. Quando squilla il telefono la cantante è a Milano, l'Europa è lontana. "Sta facendo una visita, solo un controllo per l'influenza, la faccio richiamare", dice gentile l'addetto stampa. Sanremo si avvicina, Iva vuole essere in forma. Convocata da Paolo Bonolis, canterà 'Ti voglio senza amore', la storia di una donna che decide di smettere di soffrire e comincia a fare sesso senza preoccuparsi dei sentimenti. "Certo che sta provando la canzone. Ma al Festival parteciperà a titolo gratuito, lo scriva".
Record europeo De Michelis, la Zanicchi e gli altri assenti giustificati e non, che tra indennità e spese varie incassano più di 35 mila euro al mese, sono in ottima compagnia. Rispettando la tradizione, anche nella legislatura in corso gli eurodeputati italiani restano tra i più assenteisti d'Europa. Secondo i dati ufficiali del Parlamento europeo, che sul sito pubblica l'elenco dei presenti per ogni plenaria (e sono appena 60 l'anno), i nostri eletti sono rimasti a casa una volta su tre. 'L'espresso' ha preso in considerazione le sedute tenute a Strasburgo e a Bruxelles dal luglio 2004 al 15 gennaio 2009, parametrando le presenze anche in relazione al periodo in cui i deputati sono rimasti in carica: se secondo uno studio Acli nel periodo 1999-2004 l'Italia era fanalino di coda con il 69 per cento di presenze sul totale delle assemblee (i finlandesi, primi, sfioravano il 90 per cento; i francesi, benché penultimi, ci staccavano di 10 punti), nella legislatura corrente siamo migliorati di appena un punto.
I calcoli non sono facili, anche perché i politici italiani considerano le aule europee poco più di un albergo: sui 78 parlamentari iniziali, solo 48 sono tuttora in carica. Trenta, quasi tutti i big, sono andati via in cerca di poltrone migliori, sostituiti dalle seconde file. Di questi, sei sono fuggiti dopo poche settimane, a loro volta rimpiazzati da altri peones. In tutto gli italiani che hanno bivaccato a Bruxelles sono 114, una truppa indisciplinata che è entrata e uscita dalle commissioni come se fosse in un autogrill.
Ancor più gravi delle assenze, sono i tassi scandalosi di produttività: 61 deputati non hanno mai presentato una relazione (che, a differenza delle inutili interrogazioni, sono testi 'legislativi' o 'di indirizzo'), e 17 non si sono mai scomodati ad aprire bocca in assemblea. I sei europarlamentari ciprioti, che guadagnano un quarto degli italiani, sono intervenuti più di tutti i 'fuggitivi' e i loro sostituti messi insieme.
In totale un esercito silenzioso di 76 persone. La delegazione slovena, sette persone che prendono un terzo dei nostri eletti, ha portato a casa più relazioni e dichiarazioni di tutti i 36 italiani entrati a Strasburgo grazie agli avvicendamenti. Squadernando la classifica dei partiti, poi, si capisce perché i parlamentari del Pdl siano stati tra i pochi ad aver votato contro la proposta del radicale Marco Cappato, che costringerà nel futuro prossimo venturo le istituzioni a una maggiore trasparenza: se gli euroscettici della Lega non hanno rivali, grazie a un tasso di assenze medio del 43 per cento, i 'virtuosi' sono i Verdi, quelli di Sinistra democratica, i comunisti del Pdci e quelli di Rifondazione. Deputati diligenti che, a causa dello sbarramento al 4 per cento voluto da Berlusconi e Veltroni, alla tornata elettorale del 6 giugno rischiano il posto. A vantaggio di An, Forza Italia e Pd, partiti infarciti di fannulloni con percentuali di assenza che in qualche caso superano il 70 per cento. Neanche economico.
Liguria, Friuli, Sicilia: la Casta resiste alle misure sostenute da Berlusconi e Veltroni
di Gian Antonio Stella - Il Corriere della Sera - 6 Febbraio 2009
Per vincere in Calmucchia, Kirsan Ilyumzhinov promise di donare un cellulare a ogni pastore, comprare Maradona e proteggere la repubblichina caucasica con un magico «campo extra-sensoriale». Macché: zero. Berlusconi e Veltroni promisero un po' di meno. Ma sui tagli ai costi della politica non sembrano ansiosi di procedere.
Lo dicono le storie, trasversali a destra e sinistra, al Nord e al Sud, di tre Regioni. Ricordate cosa disse il Cavaliere l'11 aprile? Prendiamo il virgolettato dal Giornale: «Dovremmo ridurre della metà il numero dei parlamentari, quello dei consiglieri regionali e comunali, dovremo abolire le province e quasi tutte le comunità montane». Quanto a Veltroni, in un decalogo dettato a l'Espresso («La casta si taglia in dieci mosse») prometteva di risparmiare «un miliardo di euro l'anno». Punto di partenza: «Ridurre i parlamentari: 470 deputati e 100 senatori e, parallelamente, stipulare un patto con le Regioni per ridurre consiglieri e assessori». Meno di un anno dopo, ciao.
Prima storia. Siamo nel Friuli Venezia Giulia, dove la vecchia maggioranza ulivista guidata da Riccardo Illy è stata spazzata via ad aprile dal ciclone berlusconiano. La nuova, forte di numeri confortevoli (21 consiglieri del Popolo delle Libertà più 8 della Lega Nord più 4 dell'Udc e un paio di pensionati nel gruppo misto contro 17 del Pd e 4 dell'Italia dei Valori e tre della Sinistra Arcobaleno) naviga in acque relativamente tranquille senza particolari problemi. Ed è proprio in queste acque calme che il berlusconiano Antonio Pedicini e una pattuglia di amici di partito gettano verso la fine di gennaio un sasso destinato invece a sollevare un'ondata di critiche. Certi che le polemiche sui costi della politica siano ormai un capitolo chiuso, propongono d'abolire la legge varata nel 2007 dalla vecchia maggioranza che fissava per i consiglieri un limite di tre legislature. Rivolta istantanea.
«Poltrone a vita», titola il Piccolo di Paolo Possamai, dedicando alla vicenda uno sferzante editoriale e una pioggia di articoli infuocati. La proposta, sinistra a parte, spacca anche la destra. La Lega, per bocca del segretario Pietro Fontanini, si mette di traverso: non se ne parla. Altre perplessità sono avanzate da Roberto Antonione («Il clima non è proprio adatto a una simile proposta»), dal governatore Renzo Tondo («Non mi pare una priorità») e dallo stesso coordinatore regionale del Pdl Isidoro Gottardo: «Questione legittima ma non è opportuno». Il capogruppo berlusconiano in consiglio regionale Daniele Galasso, però, insiste: «Il limite del terzo mandato va tolto. È un'ipocrisia, uno specchio per le allodole, un nascondino inutile che tentiamo di cancellare in un periodo lontano dalle tensioni preelettorali». Giorni e giorni di liti. Poi la tregua: tutto accantonato. Per ora. Quanto al taglio dei consiglieri...
Seconda storia, dall'altra parte dell'Italia settentrionale, in Liguria. Dove il presidente del consiglio regionale Giacomo Ronzitti, d'accordo coi capigruppo e con lo stesso governatore Claudio Burlando, propone di tornare virtuosamente indietro di quattro decenni: come nel 1970 i deputati regionali devono scendere dal limite massimo di 50 a 40 (più il presidente, per non stravolgere il sistema collaudato dell'elezione diretta) e la giunta da 12 a 10 assessori, che non solo non debbono essere più equiparati nell'indennità ai consiglieri ma possono essere esterni al consiglio solo fino a un tetto massimo di quattro, cioè la metà di oggi. Tutti d'accordo, sulla carta. Finché, come ha ricostruito su La Stampa Ferruccio Sansa, i partiti non si sono messi a fare due conti. Scoprendo ciascuno che i rischi di perdere preziose poltrone erano elevatissimi. A quel punto, ecco alcuni suggerire che «meglio sarebbe la riduzione dei parlamentari, non dei consiglieri regionali». Altri, della sinistra uscita a pezzi dalle politiche, sbuffare che no, non è giusto chieder loro questo karakiri: «Dopo il Parlamento spariremmo anche dalla Regione e ci resterebbero le bocciofile ». Risultato: la proposta è rimasta lì. A galleggiare in attesa che un giorno, forse, chissà...
Terza storia, nel Mezzogiorno. Dove il deputato regionale siciliano democratico Giovanni Barbagallo presenta all'Ars una proposta di legge per ridurre il numero dei parlamentari isolani. Dice che ha fatto i conti: «Il dato siciliano (un deputato ogni 55.746 abitanti) è in stridente contrasto con altre regioni, come, ad esempio, la Lombardia, regione nella quale vi è un consigliere ogni 118.440 abitanti». Chiede dunque di votare una legge di due soli articoli che porta i membri dell'Ars da 90 a 70: «La riduzione determinerebbe un risparmio annuo di euro 6.220.807,20 e avrebbe una forte valenza, anche simbolica». Non basta. Propone parallelamente di abolire i bonus supplementari concessi in aggiunta all'indennità ai deputati regionali che ricoprono qualche carica. Sono una marea, accusa. E costano, spiega al Giornale di Sicilia, un sacco di soldi: «Ognuno dei due vicepresidenti incassa una indennità aggiuntiva di 5.149 euro lordi al mese. I tre questori si fermano a 4.962 euro ciascuno. I tre segretari del consiglio di presidenza hanno 3.316 euro e la stessa cifra guadagnano i 10 presidenti delle commissioni. I 23 vicepresidenti delle commissioni si fermano a 829 euro in più al mese mentre gli 11 segretari delle stesse commissioni ricevono 414 euro». Più i bonus ai 4 capigruppo e ai 9 parlamentari nominati assessori. Un assurdo. Tanto più che «questi soldi si aggiungono a uno stipendio base di 11.703 euro lordi a cui si assommano 4 mila euro di diaria e altri benefici». Totale dei costi supplementari: oltre un milione di euro l'anno. La risposta del presidente del-l'Ars, Francesco Cascio, che solo un paio di settimane fa aveva bocciato la richiesta dell'opposizione di conoscere i dettagli di alcuni viaggi «in missione» fatti coi soldi pubblici (risposta: «Spiacente, c'è la privacy ») è piccata. Dice che certo, per carità, lui le proposte di tagli le gira a chi di dovere, e invita la Commissione per lo Statuto a valutare cosa si può fare. Ma aggiunge una manciata di peperoncino che la dice lunga, sulla sua opinione in materia: «Barbagallo spesso assume posizioni demagogiche nella consapevolezza che rimarranno lettera morta».
Cristiano Di Pietro/BMW e valori
di Giulio Sansevero - www.lavocedellevoci.it - 5 Febbraio 2009
Prima di venire coinvolto nello scandalo delle raccomandazioni, Cristiano Di Pietro aveva chiesto ripetutamente l'abolizione delle Province, che considerava enti inutili e troppo costosi. Difficile dargli torto, soprattutto visto quello che lui e gli altri consiglieri della Provincia di Campobasso hanno combinato fino al 31 dicembre 2008.
Dal primo gennaio infatti la legge 133 ha introdotto dei vincoli tassativi nel capitolo rimborsi spese per le trasferte. Prima che Giulio Tremonti chiudesse i rubinetti, i consiglieri di Campobasso hanno goduto pero' di rimborsi decisamente generosi. A chi di loro doveva recarsi dalla propria citta' di residenza alla sede della Provincia, il rimborso non veniva calcolato come nella stragrande maggioranza degli altri enti pubblici in base al costo della benzina diviso 5 e moltiplicato per il numero dei chilometri percorsi, bensi' in base alla cilindrata e ai cavalli dell'auto del consigliere; cosicche' era venuta a crearsi la perversa situazione che piu' l'auto era potente, piu' il fortunato eletto guadagnava e piu' l'ente pubblico spendeva.E indovinate con che auto viaggiava il rampollo del leader dell'Italia dei Valori? Con una Bmw 530, una lussuosa quattro ruote 3000 di cilindrata.
In famiglia evidentemente piacciono le auto tedesche, al padre le Mercedes, al figlio le Bmw. Perche' prima della 530, il buon Cristiano aveva scorazzato con un altro modello della casa tedesca, la X5, un Suv anch'esso 3000 di cilindrata. E quando aveva acquistato la prestigiosa macchinona? Proprio in coincidenza dell'elezione in consiglio provinciale, quando si libero' della piu' modesta Fiat Ulysse regalatagli dal papa'. L'ha fatto sapendo che avere un'auto molto potente sarebbe stato molto piu' conveniente? Non lo possiamo dire, ma il sospetto resta.
Il buon Cristiano non e' il solo ad apprezzare le auto di grande cilindrata. Lo sono molti altri consiglieri. Tra questi il presidente della Provincia, Nicolino D'Ascanio, anche lui di Montenero di Bisaccia, il quale si reca ogni giorno in ufficio a bordo di una lussuosa Bmw 3000. Pur con la casacca del Pd, D'Ascanio alle politiche del 2008 ha fatto votare Italia dei Valori convinto che Di Pietro sarebbe confluito nel suo partito; oggi ha diritto all'auto blu con autista ma se ne e' avvalso solo per un breve periodo. Vedendolo alla guida della sua auto i concittadini hanno pensato, «che bravo, rinuncia all'auto blu per far risparmiare la Provincia».
Ma non e' cosi', perche' in realta' l'ente ha speso di piu'. Sapete quanto percepivano Di Pietro e l'amico D'Ascanio ogni volta che da Montenero si recavano nel capoluogo molisano? 200 euro. Una cifra niente male se paragonata a quanto avrebbero ricevuto se fosse stato applicato il criterio di rimborso vigente in tutti gli altri enti pubblici: poco piu' di 40 euro. Insomma, finche' e' durata, dal maggio 2006 al dicembre 2008, e' stata davvero una pacchia. Perche' quei 200 euro a viaggio andavano moltiplicati ogni mese per 22. Questo era, ed e', il numero di volte in cui un singolo consigliere si deve recare in Provincia. Accade infatti che se il Consiglio si riunisce non piu' di due o tre volte al mese, a tenere impegnati i consiglieri sono le preziose riunioni delle sette commissioni che impongono a ciascun eletto di recarsi presso gli uffici di Palazzo Magno non meno di 22 volte al mese. Il massimo possibile, visto che il tetto stabilito per legge e' di 23 riunioni mensili.
Cristiano partecipava ai lavori di tre commissioni: quella dei capigruppo, (dopo le dimissioni non piu'), quella affari generali e quella statuto e regolamenti. A giudicare dal sito della Provincia di Campobasso la cui pagina “Regolamenti” e' completamente vuota, il lavoro di quest'ultima commissione (la piu' affollata, sono in 19) non dev'essere stato tanto. Ma sara' senz'altro colpa di una disfunzione telematica. Fatto sta che da quando si e' insediata l'attuale giunta di centrosinistra (che si regge grazie all'Udc) il numero delle riunioni delle commissioni e' aumentato e Cristiano fino a tutto il dicembre 2008 ha percepito ogni mese 4400 euro di rimborsi spese esentasse. A questi si debbono aggiungere i 35 euro di gettoni di presenza, cifra che va moltiplicata per circa 25 e che fa 875 euro.
Insomma fino allo scorso dicembre Cristiano Di Pietro guadagnava, grazie anche alla potente auto di cui si era dotato, oltre 5200 euro al mese. Per un poliziotto in aspettativa niente male. Inutile ricordare che naturalmente e' tutto in regola e che Di Pietro jr. si e' limitato ad usufruire di norme che valevano per tutti.
Il problema e' che anziche' chiedere l'abolizione delle Province per ridurre i costi della politica, Di Pietro poteva cominciare a viaggiare con un'auto di cilindrata inferiore, ingaggiando magari una battaglia per ridurre il numero delle riunioni di commissione. Ma non l'ha fatto e questo e' davvero un peccato. Il sospetto che dietro quel numero cosi' elevato di riunioni di commissione ci sia qualcosa da approfondire e' venuto, ad esempio, ai giovani del Pd; ma la giunta, in nome della privacy dei consiglieri, ha opposto un divieto alla loro richiesta di accesso agli atti. Perche' Cristiano non si impegna a rendere pubblici quei verbali?
VENAFRO, ITALIA
Che il Molise non sia mai stato per Antonio Di Pietro un fiore all'occhiello era chiaro da tempo. Anzi, possiamo dire che a casa sua l'ex pm ha sempre dato il peggio di se'. Nel 2001 si e' servito di Aldo Patriciello per raccogliere le firme per la lista delle regionali; dal 2006 al 2008 ha inciuciato con il governatore forzista Michele Iorio con il quale si e' spartito le poltrone del CdA dell'Autostrada del Molise; ha omesso di denunciare gli sperperi nella ricostruzione post terremoto; e a Venafro, la quarta cittadina del Molise, sta governando con il centrodestra. Artefice di questa unione contronatura e' il consigliere regionale dell'IdV Nicandro Ottaviano, originario proprio di Venafro.
Tra i nomi che Cristiano avrebbe raccomandato a Mario Mautone - l'ex provveditore alle opere pubbliche in Campania e al centro dell'inchiesta della procura di Napoli su Global Service e dintorni - uno gli era stato segnalato proprio da Ottaviano: si trattava dell'ingegnere Nicola Carrassi, un professionista legato da sempre a Forza Italia ed ex assessore di una giunta di centrodestra di Venafro. Ottaviano, uno dei 79 membri dell'esecutivo nazionale del partito, e' il figlio di un ex sindaco Dc che prima di finire in coma irreversibile ha accumulato oltre 20 procedimenti giudiziari.
In quel di Venafro - al cui cospetto il Far West e' la patria del diritto - gli ultimi due sindaci sono decaduti per incompatibilita', gli abitanti non pagano l'acqua perche' il Comune non riscuote le bollette e l'attuale sindaco di Forza Italia vive in una casa di proprieta' della madre dove non e' mai stata pagata la tassa per l'allaccio alle fogne e per oltre vent'anni la sorella ha incassato affitti di un capannone completamente abusivo. «Lo sport cittadino preferito, quello dell'abusivismo - commenta qualche dissidente in zona - e lo stesso Ottaviano lo pratica con passione».
La villa dove abita con la moglie Anna Ferreri, gratificata con una consulenza da 40.000 euro dall'allora ministro delle Infrastrutture Di Pietro, e' sconosciuta al catasto. La particella 403 del foglio 19 appare classificata come un terreno “seminativo”. Si tratta di 5120 metri quadrati acquistati dalla giovane coppia il 17 luglio 2003 nell'ambito di un frazionamento. Su quest'area i coniugi Ottaviano hanno edificato in 18 mesi la loro bella abitazione, dando il via ai lavori non appena Nicandro e' stato eletto consigliere regionale. «E' stata costruita su un terreno agricolo grazie ad un espediente molto usato a Venafro. Si chiama asservimento - spiega un tecnico - e consiste nell'acquistare le cubature di altri terreni agricoli magari distanti, trasferendole in quello dove si vuole costruire una casa e dove, per i limiti imposti alle costruzioni rurali, le cubature non sarebbero state sufficienti. Poi si fa un progetto in cui si scrive semenzaio al posto di salotto, stalla al posto della camera da letto e si confida nella complicita' degli uffici competenti». Complicita' che puntualmente arriva.
Tutta Venafro e' stata costruita cosi', rincarano ancora la dose. In base ad una finzione - viene spiegato - che ha visto trasformare di soppiatto costruzioni agricole destinate a chi lavora i campi in civili abitazioni. Chi dovrebbe verificare abusi di questo tipo e' il responsabile dell'Ufficio urbanistica che pero' e' il suocero di un assessore dell'Italia dei Valori, Adriano Iannaccone. Andra' a controllare come mai la villa di Ottaviano sorge su un terreno agricolo? Se il consigliere regionale dell'IdV paga la tassa sull'immondizia oppure quella sugli scarichi fognari? E il pupillo di Di Pietro come fara' a dichiarare nel 740 la sua bella villa fatta passare per casa rurale se essendo sconosciuta al catasto non dispone di una rendita catastale? E' l'Italia dei Valori sconosciuti. Anche al catasto.
Alitalia/Cai: il figlio di papà non resta a terra
di F.G. - spreconi - 2 Febbraio 2009
Qualcuno nasce con la camicia, qualcuno con le ali ai piedi. Federico Matteoli, figlio dell’Altero ministro alle Infrastrutture, può vantare di avere sia le ali, sia la camicia: almeno quella con i gradi di pilota della Cai di Roberto Colaninno & Company, che il giovane aviatore è riuscito a strappare di dosso a colleghi più titolati per anzianità aziendale, età, esperienza e figli a carico. Come ha fatto?
Matteoli junior era già stato graziato una volta: nella defunta compagnia di bandiera era entrato solo nel 2002, unico e ultimo assunto a tempo indeterminato, con le assunzioni chiuse da mesi. Il papà allora era ministro all’Ambiente. E il suo partito, An, nella vecchia Alitalia contava su Silvano Manera, poi nominato direttore generale dell’Ente per l’aviazione civile (Enac), e Luigi Martini, ex parlamentare, oggi consulente personale di Rocco Sabelli, l’ad della nuova compagnia.
Questa volta però il Federico volante sembrava destinato alla cassa integrazione, anche perché l’aereo che guida, l’Md80, finirà in pensione. Invece ecco il colpo di scena: i manager di Colaninno-Sabelli-Martini hanno inventato una graduatoria di anzianità a parte a Milano, la città dove Matteoli junior era stato assunto. E così il figlio del ministro ha potuto scavalcare centinaia di colleghi davanti a lui.
Un buon inizio per un’operazione che già ci costa 3 miliardi e 300 milioni: 55 euro di debiti per ciascun italiano, compresi i bambini.
Vigilanza RAI: Zavoli ripristina l'ordine?
di Mariavittoria Orsolato - Altrenotizie - 5 Febbraio 2009
Con un liberatorio sospiro di sollievo possiamo dire che finalmente è finita. E’ finito cioè quell’inglorioso spettacolino di cui la politica nostrana ci ha fatto sfoggio dallo scorso maggio, quando la poltrona maxima della Commissione parlamentare di vigilanza Rai è rimasta vacante. La nomina dell’ottuagenario (alla faccia del rinnovamento) Sergio Zavoli, già presidente Rai nonché stimato giornalista, ha messo d’accordo in modo quasi bipartisan, ponendo fine agli indecorosi giochetti e battibecchi che avevano portato al ben noto affare Villari, (detto Vinavillari, perché è così che viene scherzosamente appellato l’ex senatore Pd eletto grazie ai voti - e alle spinte - del Pdl). Su 39 commissari presenti, Zavoli ha avuto ben 34 placet, solo 4 astensioni e una scheda nulla pro Villari: un miracolo di concertazione che però era già scritto da almeno un paio di mesi e che era slittato solo ed esclusivamente a causa dell’indefesso attaccamento al dovere del precedente presidente di Commissione.
In questo tripudio di mani che si congratulano l’un l’altra, di occhiate d’intesa che sembrerebbero adatte a ben altre occasioni, gli unici nasi storti si scorgono tra le file dell’Idv. Dopo aver perso platealmente la battaglia per la nomina di Leoluca Orlando, il partito di Di Pietro si vede definitivamente estromesso dalla Commissione di vigilanza e, nell’augurare sinceramente buon lavoro al neopresidente, i capigruppo Massimo Donadi e Felice Belisario tengono a precisare che “il Cda Rai dovrebbe essere composto da professionisti lontani dai partiti e dovrebbe soprattutto valorizzare le professionalità interne all'azienda”.
Chiamatela invidia, ma è pur vero che l’Idv si ritrova quasi sempre tenuta a debita distanza dagli incarichi istituzionali - diciamo così - politicamente succosi, ed è anche vero che questa querelle non ha fatto altro che confermare le tesi dipietriste sulle connivenze e i concorsi di colpa del mostro a due teste ribattezzato Veltrusconi.
Inutile perciò tentare di dare un senso sia politico che umano a questa trista e prolissa parentesi del nostro buon governo, l’importante è che sia conclusa e soprattutto archiviata. Zavoli si augura che la sua presidenza possa essere un buon segnale per l’Italia e subito s’impegna a smorzare i toni che lo hanno preceduto: “Io - ha sottolineato - rappresento un principio e un monito, un messaggio al Paese: se il Parlamento vuole è in grado di risolvere i suoi problemi, la politica può decidere, e c'è molto bisogno di politica quando la politica stessa sembra voltarci le spalle”.
Che quello di Zavoli sia un j’accuse o una richiesta di aiuto lo si capirà a breve, quando si dovranno decidere le nomine del Consiglio di Amministrazione Rai e, soprattutto, quando l’azienda verrà chiamata a rispondere dell’ennesima tirata d’orecchie sull’operato del giornalista Michele Santoro.
Fabrizio Cicchitto e Gaetano Quagliariello hanno infatti indirizzato immediatamente una nota congiunta al neoletto presidente, definendo “quantomeno inopportuno” l’invito che Santoro ha rivolto a Gioacchino Genchi - il consulente giudiziario ormai proclamato collezionista di inciuci telefonici - per partecipare alla prima serata di giovedì: “Ci auguriamo che il neoletto presidente della Commissione di Vigilanza approfondisca la questione e assuma le conseguenti determinazioni” hanno dichiarato i due messi forzitalioti. Come si dice, uomo avvisato…
Zavoli è giornalista capace e persona stimabilissima. La sua elezione alla Presidenza della commissione parlamentare di vigilanza è una buona notizia per tutti; resta da vedere lo spazio di manovra che gli verrà concesso. Ma è certo che, se i partiti pensavano ad uno zerbino, restaranno delusi. Il neopresidente si è già messo al lavoro; non appena conclusa la seduta che lo ha eletto, il giornalista che Montanelli definì “principe della notizia televisiva”, ha convocato l’ufficio di presidenza della bicamerale per discutere e approvare il regolamento per l'applicazione della par condicio in vista delle elezioni regionali in Sardegna, in programma il 15 e 16 febbraio.
Che i lavori della nuova commissione saranno all’insegna di “sobrietà e serietà” - come ha specificato in conferenza stampa Zavoli - lo si è capito quando il neopresidente ha lasciato la sede di Palazzo San Macuto: al posto di una rombante berlina scura, ad aspettarlo c’era una 600 azzurrina. Non significa nulla in particolare, ma c’è da dire che dopo aver assistito al prepotente starnazzare della casta, è un vero sollievo riuscire a scorgere, in una carica pubblica, un segno di misurata austerità. Di questi tempi non è poco.