Si svolgono oggi in Israele le elezioni per il rinnovo dei 120 seggi della Knesset. Alle urne sono chiamati quasi 5,3 milioni di cittadini aventi diritto al voto su oltre 7,3 milioni di abitanti.
Ma gli appelli al boicottaggio potrebbero ridurre sotto il 50% la partecipazione degli arabo-israeliani (circa un milione e mezzo di persone) in protesta per le vittime civili dell'operazione militare "Piombo Fuso" e come reazione per l'accusa di slealtà e le minacce di revoca della cittadinanza ricevute in campagna elettorale dall'estrema destra.
In lizza ci sono 32 partiti. I sondaggi attribuiscono i favori del pronostico al Likud (destra nazionalista) dell'ex premier Benyamin Netanyahu, che non sembra tuttavia al riparo da una possibile rimonta di Kadima (centro-destra), guidato dall'attuale ministro degli Esteri Tzipi Livni, prima candidata premier donna d'Israele dai tempi di Golda Meir.
Alle loro spalle viene dato in ascesa Israel Beitenu, il partito dell'ultradestra laica e anti-araba dell'ex sovietico Avigdor Lieberman, che appare in grado addirittura di superare per il terzo posto il Partito laburista di centro-sinistra di un altro ex premier, Ehud Barak.
Quinto è indicato lo Shas (destra confessionale sefardita), più lontano il Meretz (sinistra sionista liberal), rafforzato di ben poco secondo le previsioni dalla fusione col movimento pacifista degli scrittori Grossman, Oz e Yehoshua.
Tutto lascia supporre che non sara' comunque semplice riuscire a formare un governo di coalizione, dal momento che nessun partito sembra essere in grado di conquistare una maggioranza di seggi tale da poter governare da solo il Paese.
Israele: su Netanyahu il peso di Lieberman
di Eugenio Roscini Vitali - Altrenotizie- 9 Febbraio 2009
Mancano poche ore all’apertura dei seggi per il rinnovo della Knesset, una consultazione importante, forse più di altre, perché si è arrivati alle elezioni dopo un’inchiesta scandalo che ha travolto il Capo del governo e dopo un’operazione militare che ha dimostrato quanto la crisi israelo-palestinese non possa più essere risolta con l’uso armi.
A contendersi la guida del paese ci sono i centristi di Kadima, guidati dal ministro degli Esteri Tzipi Livni, il Likud di Benjamin “Bibi” Netanyahu, i Laburisti del ministro della Difesa Ehud Barak e i nazionalisti russofoni del Yisrael Beytenu di Avigdor Lieberman, ministro degli Affari strategici fino al gennaio 2008 con il governo Olmert.
Il risultato, che fino a qualche settimana fa dava in netto vantaggio il Likud, sembra ora più incerto, almeno per quanto riguarda le percentuali di vittoria che costringono la destra “moderata” a fare i conti con gli altri partiti. A meno di una settimana dal voto, un sondaggio fatto dal centro di ricerche statistiche “Dialog poll” divideva i 120 seggi del parlamento tra dodici partiti: 28 deputati al Likud, 25 a Kadima, 15 al Yisrael Beytenu, 14 ai Laburisti, 10 agli ultra ortodossi dello Shas, 5 alla sinistra sionista del Meretz e 5 alla coalizione ultra ortodossa Yahadut Ha-Torah, risultato dell’alleanza di due partiti minori: Agudat Israel e Degel HaTorah. Con 4 seggi seguono poi la Lista araba unita e i sionisti dell’Ichud Leumi; con 3 i comunisti di Hadash e Habayit Hayehudi, l’organizzazione politica che si oppone al ritiro dei coloni dai Territori occupati, e con 2 al partito arabo Balad e il Gil, il partito dei pensionati che non ha ancora fatto sapere con quale blocco si schiererà, se con il centro-sinistra o con la destra.
E’ evidente che se domani le urne dovessero confermare i sondaggi, nessun partito sarebbe in grado di guidare da solo il paese, anzi, la frantumazione del voto renderebbe difficile anche la formazione di qualsiasi coalizione. Una delle ipotesi meno probabili è la nascita di un governo “di unità nazionale” formato da Likud, Kadima e dal partito Laburista; ultima spiaggia per una governabilità affatto garantita.
C’è poi la remota possibilità che Kadima, se pur di misura, vinca il confronto con la destra: per Tzipi Livni le speranze di formare un governo sarebbero comunque nulle in quanto all’affermazione del centro dovrebbe corrispondere una crescita sensibile dei suoi alleati più tradizionali, cosa alquanto difficile visti i consensi raccolti da Yisrael Beytenu e Shas. Inoltre, la signora Livni deve confidare sul fatto che Barak non ceda alle velate proposte di Netanyahu, negli ultimi giorni particolarmente lusinghiero con il leader laburista per le competenze dimostrate durante l’operazione Piombo fuso.
Sull’altro fronte la situazione è altrettanto complicata: assodato che la convivenza tra Laburisti e Yisrael Beytenu è praticamente impossibile, a Netanyahu non rimane altro che guardare a destra. Il Likud e Yisrael Beytenu hanno un obbiettivo comune: governare. Nei confronti di Avigdor Lieberman, Netanyahu mantiene però un atteggiamento di diffidenza, una posizione già dimostrata in campagna elettorale con affermazioni quali “votare per Yisrael Beytenu significherebbe indebolire la destra e rafforzare Kadima”.
Ma sa anche che con una crescita di 4 deputati, 6 per i più ottimisti, il partito nazionalista dell’ex ministro agli Affari strategici può superare i Laburisti e diventare la terza forza politica del paese, una presenza in numeri che fa di Yisrael Beytenu un vero e proprio oggetto dei desideri. Il blocco di destra potrebbe essere quindi formato dal Likud, dal partito di Lieberman, dallo Shas di Eli Yishai e dal quel gruppo di partiti appartenenti alla corrente più oltranzista del sionismo ed dell’ortodossia israeliana.
Ci sono però un paio di problemi: i rapporti tra i futuri alleati e i precedenti, piuttosto discutibili, di Avigdor Lieberman. L'ebreo moldavo, da sempre convinto che per gli ebrei l’unica soluzione possibile sia l’espulsione della popolazione araba dallo Stato di Israele, vanta una precedente militanza nel Kach, la formazione di estrema destra religiosa dichiarata definitivamente illegale nel 1994, e la definizione di “fascista” con la quale è stato più volte etichettato; “pregi” che fanno di Lieberman un alleato scomodo, uno per il quale il gioco può non valere la candela.
Tra Shas e Yisrael Beytenu, fondamentalmente laico, ci sono poi rapporti piuttosto tesi: durante la campagna elettorale Eli Yishai, che punta alla difesa dei valori tradizionali, ha ammonito gli elettori dal votare un partito laico quale è quello guidato da Lieberman perché ritenuto lontano dai valori della cultura religiosa e degli usi ortodossi rappresentati dallo Shas. Insieme alla mancato stanziamento dei fondi per le famiglie povere e alla garanzie sull'indivisibilità di Gerusalemme, questa era stata una delle ragioni per cui, nell’ottobre scorso, il partito nazional religioso di Yishai, ministro e vice-premier con Olmert, aveva abbandonato la coalizione guidata dalla Livni, favorevole ai matrimoni civili.
Ma tra Shas e Yisrael Beytenu la crisi é dovuta soprattutto all’emorragia di voti persi tra gli elettori sefarditi che secondo i sondaggi starebbero confluendo verso i nazionalisti di Lieberman.Con Yisrael Beytenu al governo sarebbe inoltre impossibile pensare ad un qualsiasi piano di pace israelo-palestinese, progetto caro all’attuale amministrazione della Casa Bianca.
Netanyahu, che non può fare a meno dell’aiuto americano e che in campagna elettorale si è impegnato con gli elettori su un piano che prevede il rilancio dell’economia israeliana, si è già detto disposto a proseguire sulla strada imboccata da Olmert ad Annapolis. Secondo la teoria per la quale la continuità politica di un governo è rappresentata dalla sola ratifica degli accordi presi dalla precedente amministrazione e in base alle esperienze passate, “Bibi” riconoscerebbe unicamente l’intesa sottoscritta nel Maryland e non le offerte fatte successivamente.
Netanyahu si è infatti dichiarato contrario ad un completo ritiro israeliano dalla Cisgiordania, così come si è sempre opposto al disimpegno israeliano da Gaza, e non si è detto disposto ad affrontare il problema relativo al rientro di svariate migliaia di profughi arabi in Israele o ad una soluzione internazionale per Gerusalemme. Per motivi di sicurezza nazionale ha anzi chiesto che lo Stato ebraico mantenga il controllo di due zone cuscinetto di fondamentale importanza per la sicurezza dei confini orientali, la Valle del Giordano e il deserto della Giudea.
E’ opinione diffusa che, oltre alla crisi israelo-palestinese, il rapporto tra Netanyahu e i principali partiti nazionalisti ed ortodossi di destra potrebbe colpire gli interessi della già bistrattata minoranza araba, soprattutto visto il programma di personaggi come Lieberman che in campagna elettorale ha portato avanti slogan come “nessuna cittadinanza senza lealtà” e ha proposto un programma di assimilazione che prevede un giuramento di fedeltà allo Stato d'Israele e alla sua natura “ebraica”, pena il ritiro della cittadinanza.
Per gli arabi il pericolo maggiore rimane comunque la sfiducia e il disinnamoramento verso la politica. Critici verso il Partito laburista e il Meretz, ai quali hanno spesso dato una fiducia non contraccambiata, e verso il Partito comunista, che non ha fatto abbastanza per difendere i loro diritti, e stanchi di promesse di uguaglianza mai mantenute, i palestinesi con cittadinanza israeliana, che rappresenta circa il 20% della popolazione, potrebbero non recarsi alle urne, un fatto che diminuisce notevolmente un percentuale di affluenza che dovrebbe essere inferiore al 45%.
Il ritorno dell'incubo Netanyahu
di Johann Hari - The Independent - 6 Febbraio 2009
Netanyahu è l'uomo che ritiene che i palestinesi non abbiano diritto alla terra perchè sono essi che l'hanno "rubata". Nel 636 dopo Cristo.
Israele sta per compiere un errore di giudizio tanto disastroso e mortale quanto l'attacco a Gaza. Sembra che tra pochi giorni [oggi 10 Febbraio n.d.t.] Israele potrebbe eleggere ancora una volta Benjamin Netanyahu alla carica di primo ministro. Questo è un uomo che chiede la violenta rioccupazione di Gaza per "liquidarne" il governo eletto. Questo è un uomo che afferma che farà "crescere naturalmente" gli insediamenti in Cisgiordania. Questo è un uomo che afferma che non negozierà "mai" su Gerusalemme, sulle alture del Golan o sul controllo delle fonti d'acqua della Cisgiordania. Questo è un uomo che afferma che la creazione di uno Stato palestinese lascerebbe Israele "con una minaccia alla propria esistenza e un incubo delle pubbliche relazioni che ricorda la Cecoslovacchia del 1938". Questo è un uomo che la vedova di Yitzhak Rabin accusa di avere aiutato a creare un clima di odio che ha portato al suo omicidio.
Il beneficiario politico dell'"Operazione Piombo Fuso" è stato l'estrema destra israeliana. I sondaggi sono cresciuti per il Likud di Netanyahu e per il persino più estremista Avigdor Lieberman. Essi affermano che l'unico problema dei 23 giorni di bombardamento di Gaza, con l'uccisione di 410 bambini e un enorme rafforzamento dell'appoggio ad Hamas, è il non essere andati abbastanza avanti. Il mondo deve urgentemente guardare a questi individui e chiedersi come si è potuto accettare ciò.
La chiave per comprendere Netanyahu sta in suo padre, Benzion. Egli è un noto studioso di storia medievale che ritiene che il mondo sia eternamente infestato da un antisemitismo genocida impossibile da sradicare. Quando egli arrivò nella Palestina del mandato britannico dichiarò che la maggioranza degli ebrei che erano lì erano ingenui e i idealisti. Essi avrebbero dovuto immediatamente appropriarsi dell'intera terra della Israele biblica, conquistando tutta la Cisgiordania arrivando sino a dentro i territori dell'attuale Giordania. Non ci sarebbe mai potuto essere alcun compromesso con gli arabi, che comprendono solo l'uso della forza. L'uomo che egli definiva suo mentore, Abba Ahimeir, descriveva se stesso con orgoglio come "un fascista".
Oggi il figlio di Benzion paragona comunemente il trattare con i palestinesi al trattare con i nazisti. Egli può solo comprendere la loro rabbia come un risorgere dell'odio irrazionale e assassino dell'Europa. Egli insiste che i palestinesi non hanno diritto di condividere questa terra perché essi l'hanno rubata nel 636 d.C. Coerentemente Netanyahu getta nella spazzatura ogni iniziativa di pace offerta da Israele. La sua reazione alla decisione di Yitzhak Rabin di firmare i moderati e modesti accordi di Oslo con Yasser Arafat rivela la profondità della sua opposizione al compromesso.
Egli si rivolse con calore a masse che cantavano "Rabin è un nazista" e " nel sangue e nel fuoco Rabin morirà" ["through blood and fire, Rabin shall expire"]. Egli definì l'ex primo ministro "un traditore" poco prima che Rabin venisse ucciso da un fondamentalista ebreo che la pensava allo stesso modo. L'altra persona che è cresciuta nei sondaggi - e sembra sarà il partner nella coalizione di Netanyahu - è Avigdor Lieberman, un ex buttafuori di nightclub che afferma che il modello per trattare i palestinesi dovrebbe essere il bombardamento della Cecenia a opera di Vladimir Putin nel 1990 che causò la morte di un terzo dell'intera popolazione.
Egli vuole che i partiti politici votati dagli arabi israeliani siano messi fuorilegge, affermando seccamente che dovrebbero essere trattati "come Hamas". Forse ancora più deprimente della loro crescita è la piatta e accondiscendente risposta degli altri partiti. Tanto Kadima che il partito Laburista hanno aggressivamente difeso l'embargo e il bombardamento di Gaza, non da ultimo perché i loro leader, Tzipi Livni e Ehud Barak, guidavano il governo. Persino Barak ha ripreso il paragone a Putin e ha iniziato a citare con approvazione il nuovo zar di Russia. Coraggiosi partiti in favore della pace come Meeretz sono relegati ai margini del dibattito.
Come è potuto accadere ciò? E' essenziale ricordare che gli israeliani non sono finiti in Medioriente per un malvagio desiderio di colonizzare e uccidere, come affermano allegramente alcuni. Essi sono lì perché scappavano da un antisemitismo genocida. Ciò non giustifica un solo crimine commesso contro un singolo palestinese, ma se dimentichiamo questo trauma inimmaginabile che vi è dietro, non possiamo comprendere ciò che sta accadendo ora.
Negli scorsi mesi sono ritornato spesso a uno straordinario articolo scritto dal grande romanziere israeliano Amos Oz nel 1982. Il primo ministro del Likud Menachem Begin aveva paragonato la leadership palestinese ad Adolf Hitler, perciò Oz scrisse: " mostrate il bisogno di far risorgere Hitler dei morti in modo da poterlo uccidere più e più volte ogni giorno... Come molti ebrei mi dispiace non aver potuto uccidere Hitler con le mie mani. Ma non c'è, e non ci sarà mai, una cura per questa ferita aperta.
Decine di migliaia di arabi morti non cureranno tale ferita. Perché, signor Begin, Adolf Hitler è morto. Non si nasconde a Nabatiyah, a Sidone o a Beirut. È morto e in cenere". La società israeliana consiste, afferma Oz, di "un pugno di rifugiati e sopravvissuti mezzo isterici". Il trauma bimillenario della calunnia del sangue, dell'inquisizione, dei pogrom, di Auschwitz, Chelmno e dell'arcipelago Gulag hanno prodotto una visione distorta in cui ogni grido di dolore diretto verso Israele può suonare come il tuono che ebbe inizio nelle folle ammassate a Norimberga. Ciò significa che Israele sta perdendo delle opportunità per la pace.
Persino Hamas, un partito islamista a cui mi oppongo fortemente, è aperto ad un lungo cessate il fuoco sui confini del 1967. Questa non è la mia opinione; è il parere di Yuval Diskin, l'attuale capo del servizio di sicurezza israeliano Shin Bet. Egli ha detto al governo israeliano, prima del bombardamento di Gaza, che Hamas avrebbe ristabilito il cessate il fuoco se Israele avesse solo posto fine all'embargo alla Striscia e dichiarato un cessate il fuoco in Cisgiordania.
Invece hanno bombardato, e l'offerta è morta. L'ex capo del Mossad, Ephraim Halevy, ha detto che Hamas "dovrà adottare un percorso che non potrebbe portare lontano dai loro scopi originali" se solo Israele inizierà il cammino del compromesso. Ciò toglierebbe appoggio ai membri del fronte del rifiuto, come Osama Bin Laden e Mahmoud Ahmadinejad, e renderebbe più facile costruire coalizioni internazionali. Invece troppi israeliani, imprigionati dalla loro storia, sembrano determinati a scegliere il cammino opposto: quello di Netanyahu e Lieberman e dello spingere uno stivale sempre più alienante sulla gola dei palestinesi. Non dovrebbe essere così. Possiamo solo dire loro, con Amos Oz, con quanta più fretta possiamo: Adolf Hitler non si sta nascondendo a Gaza city o a Beit Hanoun, o Hebron. Adolf Hitler è morto.
Johann Hari è un giornalista del London Independent. Egli ha scritto dall'Iraq, da Israele-Palestina, Congo, Repubblica Centroafricana, Venezuela, Perù e Stati Uniti, i suoi pezzi giornalistici sono apparsi in pubblicazioni di tutto il mondo.
Israele, mancano quattro nomi al voto
di Christian Elia - Peacereporter - 9 Febbraio 2009
Mentre i bombardieri e le truppe corazzate israeliane conducevano l'operazione Piombo Fuso, in tanti si chiedevano quanto le azioni militari avrebbero influito sul voto in Israele. La domanda troverà una risposta domani, anche se le ultime ore potrebbero apportare mutamenti decisivi nello status quo.
Scarsi risultati. A guardare la situazione attuale, con razzi lanciati ieri verso il Negev e la risposta dell'aviazione israeliana, il governo del premier Olmert sembra presentarsi nudo agli elettori. Se l'obiettivo di un attacco che ha causato la morte di 1400 persone, scatenando l'indignazione dell'opinione pubblica internazionale per le vittime civili palestinesi e per l'utilizzo di armi dall'elevato potenziale distruttivo, era risolvere una volta per tutte l'incubo dei razzi lanciati dalla Striscia di Gaza non è stato raggiunto. Ancor meno è stato risolto il 'problema' Hamas, se l'obiettivo dell'attacco era quello di rovesciare il movimento islamico, regolarmente eletto in libere elezioni dalla popolazione palestinese. Il governo Olmert, travolto dagli scandali finanziari e giudiziari, voleva rovesciare l'immagine perdente dell'attacco al Libano del sud del 2006. Non ci è riuscito. Come Hezbollah è rimasto in sella, così sembra aver fatto Hamas. Olmert era già condannato, ma rischia di trascinare con se il ministro della Difesa e leader laburista Euhd Barak e il ministro degli Esteri e leader di Kadima Tzipi Livni. A tutto vantaggio dell'estrema destra.
Tutto a destra. Benjamin Netanyahu, leader del partito Likud, è indicato come il vincitore delle elezioni di domani. ''Se vinco, rovescerò il regime di Hamas'', ha dichiarato in un comizio ad Ashkelon, una delle città sotto il tiro dei razzi dalla Striscia di Gaza. Netanyahu ha capito che il fallimento delle ultime operazioni militari di Olmert sono l'asso nella manica per vincere le elezioni. Il Likud si sente più o meno sicuro di vincere, anche se teme l'avanzata di una forza ancora più a destra: il partito Israel Beitenu e il suo leader Avigdor Lieberman, formazione nata da meno di dieci anni tra gli immigrati di origine russa, ma che oggi si lancia sul mercato elettorale con vocazione nazionale. Secondo gli ultimi sondaggi, Lieberman potrebbe rivelarsi il vero vincitore di queste elezioni, con la prospettiva di conquistare 18 dei 120 seggi della Knesset, in forte crescita rispetto agli 11 attuali. Non a caso, proprio oggi, sul sito del Likud è apparso un duro attacco nei confronti del partito Israel Beitenu. Secondo il testo, dopo la guerra in Libano nel 2006, a salvare il pericolante governo di Olmert fu proprio Israel Beitenu che ricevette in cambio un ministero. Su Lieberman, secondo il Likud, gravano indagini della polizia per questioni finanziarie serie.
Ultima chance. Insomma, per salvare la Livni e il suo partito Kadima e Barack e il partito laburista ci vorrebbe un miracolo. L'effetto dell'attacco alla Striscia di Gaza, che nei primi giorni dell'operazione aveva garantito un certo recupero nei sondaggi alla coalizione al governo è già scemato. Non a caso la diplomazia israeliana è indaffarata per tentare, in extremis, di portare a casa un successo. Il botto sarebbe la liberazione del caporale Gilad Shalit, nelle mani di Hamas dal 25 giugno del 2006. Livni e Barack sperano almeno di ottenere una tregua duratura e il rilascio dle militare. Un accordo sul cessate il fuoco dovrebbe essere firmato entro le prossime 48 ore. Lo scrive il giornale egiziano al-Gomhuria, secondo cui l'intesa prevederebbe due fasi: un accordo orale delle due parti per la tregua, seguita da un accordo scritto con l'impegno per far tacere le armi per almeno un anno. Lo stesso giornale sostiene che Mahmoud al-Zahar, l'ex ministro degli Esteri di Hamas impegnato nelle trattative, dovrebbe tornare al più presto al Cairo con una risposta positiva alle proposte presentate al movimento dall'Egitto. L'accordo prevederebbe anche il rilascio di Gilad Shalit in cambio della riapertura dei valichi nella Striscia, ma sembra che la trattativa si sia arenata su quattro nomi dei quali Hamas chiede la liberazione. Lo scrivono i giornali al-Quds al-Arabi e al-Sharq al-Awsat, secondo cui Israele avrebbe acconsentito al rilascio di tutti i prigionieri richiesto dal movimento di resistenza islamico ad eccezione di Abdullah Barghouti, Ibrahim Hamad e Abbas el-Said, di Hamas, e di Ahmed Saadat, leader del Fronte popolare per la liberazione della Palestina. Il tempo passa inesorabile e Kadima e i laburisti devono decidere in fretta.
L’estrema destra potrebbe essere la sorpresa delle elezioni in Israele
di Simone Santini - http://www.clarissa.it/ - 8 Febbraio 2009
A pochi giorni da un voto importantissimo per Israele, previsto per martedì 10 febbraio, gli ultimi sondaggi elettorali hanno gettato scompiglio tra i dirigenti dei massimi partiti, e nonostante le incertezze siano ancora alte tra gli elettori, potrebbe configurarsi uno scenario del tutto nuovo per il governo di Tel Aviv.
Si chiama Israel Beitenu (Israele Casa Nostra) il movimento politico, populista e ultranazionalista di destra, che può rimescolare le carte e diventare l'ago della bilancia per la formazione del prossimo governo. È guidato da un leader finora considerato rozzo, pittoresco e torbido, ma il cui linguaggio diretto e non conformista sta facendo breccia presso l'opinione pubblica israeliana: Avigdor Lieberman è l'uomo nuovo di questa tornata elettorale.
Fieramente di origine russa (e non fa nulla per celare il suo evidente accento durante i discorsi pubblici), Lieberman si rivolge in particolare proprio alla sua gente, gli ebrei russi di Israele, una comunità di "ultimi arrivati" (in gran parte sono giunti nel paese venti anni fa, con la fine dell'Urss) e spesso trattati come cittadini di seconda categoria, tanto che molti lamentano una mancata integrazione se non addirittura razzismo nei loro confronti. Alcuni, specialmente giovani, se ne vanno per trovare fortuna in America o Europa, ma quelli che rimangono sono tanti e rappresentano il 20% della popolazione ebraica.
La condizione dei russi di Israele ne fa una comunità speciale, quasi a parte, in cui gli ultra quarantenni preferiscono esprimersi in russo piuttosto che in ebraico, che ha accesso solo ai lavori più umili e sottopagati malgrado molti di loro avessero avuto una istruzione superiore in Unione Sovietica. Questa comunità soffre della cosiddetta "sindrome dell'assedio", sia all'interno del paese che verso l'esterno, e identificano negli arabi il proprio nemico, sia gli arabi-israeliani, cittadini israeliani a tutti gli effetti ma di etnia araba e religione musulmana, in quanto loro concorrenti sociali diretti nella più classica delle guerre tra poveri, sia gli arabi dei Territori perché sognano che con un "Grande Israele" ci possa essere uno spazio vitale anche per loro.
Già nel 2006 il 60% della comunità di origine russa aveva votato per Avigdor Lieberman, ed ogni giorno che passa questa tendenza sembra consolidarsi. Non a caso le parole d'ordine di questa campagna elettorale sono state contro gli arabi di Israele, che specialmente durante l'ultima guerra di Gaza avevano manifestato con fermezza contro l'uso spropositato della forza dell'esercito di Tel Aviv, e dunque considerati alla stregua di traditori e quinta colonna di Hamas all'interno di Israele stesso. "Niente lealtà, niente cittadinanza" tuona Lieberman ad ogni comizio contro gli arabi col passaporto d'Israele.
Ma queste idee sono ormai dilagate nell'opinione pubblica, in un recente sondaggio il 70% della popolazione si è detta d'accordo con questo slogan ed il successo è quasi unanime tra i più giovani. I media israeliani sono arrivati addirittura a parlare di "russificazione" della campagna elettorale, intendendo una forte sterzata a destra dei sentimenti popolari e del sentire comune. I sondaggi, se confermati, dicono che il Likud di Netanyahu (destra conservatrice) rimane il primo partito con qualche punto di vantaggio sui centristi di Kadima guidati da Tzipi Livni, ma il cui consenso è stato fortemente eroso nelle ultime settimane proprio a vantaggio di Israele Casa Nostra che diventa il terzo partito del paese sopravanzando i Laburisti.
Secondo le proiezioni Lieberman potrebbe contare su quasi 20 seggi, ovvero indispensabile per la formazione di qualunque governo, a meno di ricorrere a larghe intese, un poco proponibile accordo di unità nazionale tra Likud e Kadima. Netanyahu è stato il primo ad accorgersi del pericolo che gli veniva da destra. Le liste del suo partito sono infatti state riempite di "falchi", ha fatto più volte riferimento ad un voto utile evocando il pericolo che disperdere i voti a destra potrebbe favorire solo Kadima, ma al tempo stesso ha rassicurato l'elettorato che in caso di vittoria metterà a disposizione di Lieberman un importante ministero del suo governo.
Ma la "russificazione" sembra ormai la parola d'ordine anche nei partiti di sinistra. Il ministro della difesa laburista, Ehud Barak, ha incentrato tutta la sua campagna elettorale sul suo passato militare di generale super decorato, sulla necessità della sicurezza per Israele, sulla fermezza e decisione dimostrata durante la recente crisi di Gaza. Ha fatto impressione una sua battuta su Lieberman, che nonostante la sua durezza verbale, tuttavia "non ha mai sparato ad un solo arabo", e rispolverando una vecchia frase di Vladimir Putin (riferita ai ceceni), Barak si è detto pronto "ad andare a stanare i terroristi anche nei cessi".
Nota di Megachip: A corredo dell’ottimo articolo di Simone Santini riportiamo una frase che Avigdor Lieberman ha pronunciato a gennaio 2009 nel pieno della strage di Gaza:«Il popolo di Israele non sarà sicuro finché Hamas governa la Striscia di Gaza. Dobbiamo fare esattamente ciò che fecero gli Stati Uniti d’America con il Giappone durante la Seconda guerra mondiale, così non ci sarà bisogno di occupare Gaza».
Israele espelle gli attivisti di Free Gaza
di Carlo M. Miele - http://www.osservatorioiraq.it/ - 9 Febbraio 2009
Sono stati già espulsi gli attivisti internazionali e i reporter che si trovavano a bordo della Tali, l’imbarcazione del Free Gaza Movement partita dal Libano e sequestrata ieri da Israele a largo delle coste di Gaza.Secondo fonti della polizia israeliana citate dalla Associated Press, quindici persone di nazionalità libanese e siriana sono state ricondotte in patria, mentre altre tre (due indiani e un britannico) sono ancora in arresto, in attesa di essere espulsi dal Paese.
Tra gli attivisti allontanati vi è anche l’84enne Hilarion Capucci, ex arcivescovo greco-cattolico di Gerusalemme, detenuto nello Stato ebraico nel corso degli anni settanta per la sua adesione all’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (Olp).
“Bendati e ammanettati”
Ieri la marina israeliana ha fermato l’imbarcazione che trasportava aiuti umanitari e ha arrestato il personale a bordo, sostenendo che potesse costituire un pericolo per la “sicurezza” o venire usata per il contrabbando.
Secondo un giornalista della emittente araba al-Jazira che ha preso parte alla spedizione, le forze di sicurezza israeliane hanno sparato contro l’imbarcazione e successivamente hanno picchiato alcuni passeggeri. "L’esercito israeliano ha confiscato tutte le nostre riprese; siamo stati separate gli uni dagli altri, bendati e ammanettati", ha raccontato Salam Khader, aggiungendo che i militari “hanno picchiato alcuni di noi, al petto e sulla schiena”. Israele ha smentito questa versione.
Secondo il ministero della Difesa israeliano, in un primo momento la marina ha chiesto all’imbarcazione di cambiare rotta e dirigersi verso l’Egitto, e solo in un secondo momento ha deciso di abbordarla.
Rompere l’assedio
Quello fallito ieri rappresenta l’ennesimo tentativo compiuto dagli attivisti di Free Gaza per rompere l’assedio israeliano sulla Striscia e portare aiuti umanitari alla popolazione.
A partire da agosto le imbarcazioni del movimento internazionale hanno raggiunto le coste palestinesi per quattro volte. Gli ultimi due tentativi, compiuti nel pieno dell’offensiva israeliana nella Striscia, non hanno avuto successo a causa dell’opposizione della marina israeliana che in entrambi i casi ha costretto gli attivisti a invertire la rotta.
Ieri, per la prima volta, la marina israeliana non si è limitata a respingere l’imbarcazione ma ha deciso di abbordarla e confiscarla.
Sotto sequestro sono finiti anche gli aiuti umanitari che si trovavano a bordo, tra cui forniture mediche, cibo, vestiario, giocattoli, materassi e coperte, per un totale di 60 tonnellate). Secondo l’esercito israeliano, una parte di essi saranno portati oggi a Gaza via terra.