mercoledì 15 aprile 2009

La roulette thailandese: il rosso perde


L’instabilità politica che regna in Thailandia da circa tre anni ha avuto un’altra impennata nei giorni scorsi con gli scontri di Bangkok provocati dalle cosiddette “camicie rosse”, seguaci dell’ex premier Thaksin Shinawatra, che hanno cercato di ricalcare le orme delle “camicie gialle”. Senza riuscirvi.

Il bilancio finale degli scontri parla di due morti, oltre 100 feriti, l’edificio del Ministero dell’Istruzione andato in fiamme, diversi autobus pubblici incendiati. Uno scenario da guerriglia urbana.


Ma l’obiettivo del disperato tentativo di Thaksin di provocare una massiccia rivolta popolare, che sfociasse in scontri con polizia ed esercito talmente sanguinosi da causare un colpo di Stato che gli permettesse di tornare in Thailandia come salvatore della patria, è fallito completamente.


Thaksin si è giocato il tutto per tutto pur di riuscire a negoziare il suo rientro da una posizione di forza, in particolar modo per ottenere il perdono Reale o un’amnistia per la condanna a due anni per abuso di potere e la restituzione dei 76 miliardi di bath (circa 1,6 miliardi di euro) congelati dopo il golpe del settembre 2006 che lo ha costretto all’autoesilio prima in Inghilterra e ora a Dubai e Hong Kong.


Da mesi Shinawatra, attraverso puntuali video e telefonate durante i raduni delle sue “camicie rosse” dell’UDD (United Front for Democracy against Dictatorship), ha cercato di far salire la tensione prendendo di mira non solo il governo ma anche il Privy Council – il Consiglio del Re, intermediario tra la Casa Reale e il governo – e in particolare il Presidente, l’ex generale Prem Tinsulanonda accusato da Thaksin di essere la mente che ha ordito il golpe ai suoi danni e di tenere le redini dell’attuale governo, di cui ha chiesto le dimissioni insieme ad altri due membri del Privy Council.


Una richiesta del genere in Thailandia è molto pesante, in quanto equivale a delegittimare l’esclusiva prerogativa del Re di scegliere e nominare i membri del Privy Council. Può quindi rientrare nel reato di lesa maestà, che in Thailandia è il più grave in assoluto.

Il Re, la figura più amata e riverita del Paese, rappresenta infatti il pilastro su cui regge l’unità nazionale.


Ma Thaksin ha perso anche perché i rossi, oltre a non godere degli stessi appoggi dei “gialli” del PAD (People’s Alliance for Democracy), non hanno mai raggiunto quella massa critica necessaria per ricalcare in toto le orme dei “gialli”, come ad esempio l'occupazione del Palazzo del Governo per più di tre mesi e il blocco dei due aeroporti della capitale.

Infatti i rossi si sono solo accampati per poco più di due settimane all’esterno del Palazzo del Governo e il loro più eclatante risultato è stato la cancellazione del Summit dell’Asean (l’Associazione delle Nazioni dell’Asia sud-orientale) che si doveva tenere il 10 Aprile scorso a Pattaya, 150 Km da Bangkok, con primi ministri che sono dovuti fuggire in elicottero.


Questo risultato sembrava preannunciare una spaccatura nella polizia e nelle Forze Armate, con una parte che pareva aver deciso di cospirare ai danni del primo ministro Abhisit Vejjajiva, che effettivamente fino a quel momento aveva dato l’immagine di premier debole e piuttosto isolato.

E invece il premier dichiarando lo stato d’emergenza - ancora in vigore - per Bangkok e 5 provincie limitrofe, è riuscito a gestire con abilità e sottigliezza una situazione che poteva facilmente sfuggire di mano.


E i fatti sono lì a dimostrarlo. I rossi hanno abbandonato la loro roccaforte intorno al Palazzo del Governo, dopo essere stati circondati dai soldati e aver realizzato che l’ordine di sparare sarebbe arrivato presto, e non c’è stato il temuto bagno di sangue.


Quindi l’esercito questa volta ha tenuto fede al suo ruolo restando nei confini di difensore delle istituzioni e il premier, assistito in questi giorni anche da un gruppo di ex generali e politici in pensione, è infatti comparso più volte in tv relegando in secondo piano il capo dell’esercito Anupong Paojinda, che è stato tenuto fuori dalle decisioni importanti di questi giorni.


Un altro obiettivo quindi centrato dal premier Abhsit che ha deciso di schierare l’esercito nelle strade attenendosi scrupolosamente alla legge e ottenendo il massimo di autocontrollo da parte delle truppe in una situazione veramente al limite della guerra civile.

I due morti sembra infatti siano stati il risultato di sparatorie tra i “rossi” e alcuni abitanti di Bangkok esasperati dalla guerriglia che si svolgeva di fronte alle loro abitazioni.


I “rossi” quindi si sono arresi, accettando anche gli autobus messi a disposizione dal governo per far rientro a casa, soprattutto nel nord della Thailandia. Tre dei leader dell’UDD si sono consegnati alla polizia e altri 13 mandati di cattura sono stati spiccati, anche per Thaksin a cui è stato revocato pure il passaporto.


Ora resta da vedere se nelle prossime settimane il premier riuscirà a confermare l’immagine di leadership che si è guadagnato con la gestione di questi difficili giorni.

Ieri comunque ha teso un ramoscello di ulivo ai “rossi”, invitandoli a discutere pubblicamente sulle possibili soluzioni per far uscire definitivamente la Thailandia da questa situazione di crisi sociale e politica.


E’ importante che questo dibattito venga avviato seriamente al più presto perché per la prima volta masse popolari - del sottoproletariato urbano e soprattutto del ceto contadino del nord e nord-est del Paese - sono state coinvolte nell’agone politico, anche se strumentalizzate per i personali interessi di Thaksin.

Quindi il governo dovrebbe cercare di tenerne conto rilanciando alcune delle misure che erano state messe in campo dal governo dell’ex premier Thaksin, come ad esempio i microcrediti agli agricoltori e un inizio di sanità pubblica con il “programma-30 bath” (0,60 € circa) per le cure mediche di pronto soccorso.


La situazione sembra perciò essere tornata alla quasi normalità, ma rimangono grossi interrogativi sulla stabilità politica e sociale del Paese a medio e lungo termine.

La crisi economica sta arrivando ovunque e il turismo in Thailandia ha segnato una forte flessione rispetto agli anni scorsi.


Il governo deve assolutamente dare risposte all’esigenza di larga parte della popolazione: migliori condizioni di vita e meno corruzione in politica e nella burocrazia.

Gli scontri di Bangkok hanno infatti evidenziato, indipendentemente dai “giochi” pericolosi di Thaksin, la netta frattura sociale tra l’elite politica-economica-militare e il sottoproletariato urbano e rurale. Un Paese insoddisfatto e diviso in due.


In un’ipotetica roulette thailandese oggi il rosso non è uscito, ma un futuro nero per il Paese resta ancora un’opzione possibile. In tutti i sensi.