giovedì 19 maggio 2011

USA: default dietro l'angolo?

Una serie di articoli sulla sempre più pesante situazione debitoria degli USA, a un passo dal default.

Altro che PIGS...


Si salvi chi può: Washington è più pericolosa di Atene
di Maria R. Calderoni - Liberazione - 18 Maggio 2011

Obama come Bush: aiuti alle imprese e alle banche in crisi

L'orologio della Grande Paura. Provate a cliccare sul sito www.usdebtclock.org (orologio del debito Usa) e vi prenderà un colpo.

Davanti a voi appare una specie di lavagna e lì dentro un invisibile tic tac fa scorrere sotto i vostri occhi, secondo per secondo e in tempo reale, l'intero debito pubblico americano, suddiviso in altrettanto paurosissimi quadranti debitamente titolati e conteggiati.

Debito nazionale Usa. Debito per ogni singolo cittadino. Debito per ogni singolo contribuente. Deficit federale. Deficit stato per stato. Deficit import-export con la Cina. E così via via, voce per voce, con i rispettivi totali che si aggiornano appunto sotto i vostri occhi.

Non senza qualche brivido.

L'Orologio del Debito Americano batte infatti secondi, minuti, ore, giorni tutti da cardiopalmo, pericolo rosso.

Lancette inarrestabili che danno un aumento giornaliero di oltre 5 miliardi di dollari, una voragine. Numeri da capogiro. Oggi come oggi il debito pubblico federale è di 14 mila 300 miliardi di dollari (a cui si devono però aggiungere, dicono gli esperti, altri 7mila miliardi di dollari di "buchi" pubblici dello Stato, delle contee e delle municipalità, vale a dire un debito che, tutto sommato, tocca oggi qualcosa come 21mila miliardi di dollari, provate a immaginarlo se vi riesce).

Sulla base di quell'Orologio, hanno fatto i conti. Quel debito lì aumenta di 12 punti annui, e già oggi arriva al 130% del Pil; avanti di questo passo - hanno fatto i conti - il debito pubblico Usa salirà a 350 punti del Pil entro 20 anni (durante la Grande Crisi del 1929 toccò il 303...). Si chiamerebbe catastrofe.

A lanciare l'allarme è lo stesso Fmi che, nell'ultimo, recentissimo "Fiscal Monitor", sottolinea come gli Usa, appunto, sono l'unico paese avanzato che, insieme al Giappone, presentano nel 2011 un aumento del deficit pubblico.

Oggi come oggi - hanno fatto i conti - ogni cittadino americano, uomo donna bambino neonato che sia, ha sul groppone 46 mila dollari di debito pubblico, per di più in crescita minuto per minuto.

Hanno fatto i conti: continuando di questo passo, fra un anno il puro debito pubblico a stelle e strisce toccherà i 16mila miliardi di dollari, vale a dire circa «8 volte la somma di tutti i debiti europei».

Lo ha detto mica uno qualsiasi, bensì il signor Ben Bernanke in persona, il presidente della Federal Reserve, la Banca centrale americana: «In assenza di ulteriori azioni politiche, il bilancio federale si incanalerà a un livello insostenibile». Profeta in patria.

In un solo anno, 2010-2011, la crescita del debito pubblico, sempre in percentuale sul pil, è passata dal 93,4 al 96,8 (era il 56,6 nel 2001). Una escalation galoppante, oltre 40 punti in più in soli 10 anni: applicando ad essi i parametri europei - dicono i soliti esperti - si arriva già oggi a un debito non intorno al 130, bensì intorno al 150% del pil.

Pil o non pil, i numeri dell'Orologio parlano chiaro. Dai 5.000 miliardi di debito del 1996 si è passati agli attuali 14 mila miliardi e rotti, con una forte accelerazione fra il 2002 e il 2007. Cioé sotto la presidenza Bush. Cioé grazie alla sua politica di interventi militari, appunto molto adatti a fare schizzare il debito.

E non è nemmeno il periodo peggiore. Infatti con l'avvento di Barack Obama - secondo la stessa elaborazione - «la situazione letteralmente precipita e sembra diventare incontrollabile. Il debito Usa passa da 10.000 a 11.000 miliardi in soli 167 giorni, ossia si accresce di quasi 6 miliardi al giorno fra gli ultimi 3 mesi della presidenza Bush ed i primi dell'era Obama».

Il motivo c'è. Anche Obama ha proseguito la politica Bush di forti aiuti alle imprese e alle banche in crisi, nonché di ancora più forti spese militari per le varie operazioni in atto (quella ultima in terra pachistana per l'uccisione di Osama è una delle tante, dalla Colombia alla Corea dl Sud).

Fatto sta che, proprio sotto Obama, «il debito statunitense si accresce di 4,8 miliardi al giorno», dollaro più dollaro meno.

Si salvi chi può, gli Usa minacciano l'economia globale molto, molto più della Grecia, dicono gli esperti. I quali non mancano di sottolineare con aperta preoccupazione, che, sino ad oggi, i drastici correttivi necessari per raddrizzare la gigantesca falla di Zio Sam, non sono apparsi né sono all'orizzonte, né prima né adesso con Obama.

E c'è chi - come Gideon Rachman, commentatore del Financial Times e lo storico inglese Niall Ferguson - parla apertamente di «declino inevitabile della potenza Usa». E c'è chi traduce "God save America" in "speriamo che la Cina non porti via dal Tesoro Usa gli 800 miliardi di dollari di cui è creditrice"...

Fine dell'era del dollaro? Fine del sogno americano? E appunto a proposito di Cina, c'è chi ha già fatto anche altri conti: tenendo buoni gli attuali tassi di sviluppo annuo delle due potenze, il sorpasso del Pil cinese su quello americano, intorno a quota 20 trilioni di dollari, avverrà nel 2019. Al massimo nel 2022.

Titolo di Panorama, gennaio 2011: «Il default Usa? Non è un'ipotesi da fantaeconomia».



Il default invisibile
di Uriel - www.wolfstep.cc - 17 Maggio 2011

Non so se qualcuno se ne sia accorto, ma ieri notte e' successa una cosa piuttosto grave. E' successo che il governo USA ha raggiunto il limite massimo concesso per il debito, e per ovviare temporaneamente ha dovuto sospendere due fondi pensionistici.

Si tratta cioe' di una (piccola) ristrutturazione interna del debito, simile a quella che la Grecia dovrebbe attuare se dichiarasse ufficialmente il default.

Innanzitutto, visto che gira questa parola, occorre chiarire cosa significhi ristrutturazione del debito. La ristrutturazione del debito e' un processo per il quale un governo debitore vi chiama e vi dice "ehi, signori, col mio debito ci avete guadagnato un sacco di soldi, e comunque erano soldi dovuti al rischio di non rivedere una lira. Ora, si da' il caso che io non vi possa ridare indietro i soldi. Vi va bene se ve ne rido' il50%/il30%/il5%/sega% ? Ecchisenefrega se vi va bene, ahahahaha."

L' Argentina, dopo il default, ha ristrutturato il debito attorno al 30%, ovvero ne ha pagato il 30% e ha salutato tutti. Voi direte: ma come, a questi tira il culo e non pagano? Beh, in realta' quello che succede e' che l' Argentina fatichera' un pelino a mettere in giro altri buoni del tesoro sui mercati internazionali, e ci sono delle cause che danno torto al governo argentino. Aha.

Ovviamente non si puo' fare sempre e comunque, nel senso che se lo fa San Marino succede che si trova i para' in casa, ma una nazione come l' Argentina puo' tranquillamente farlo. Questo non perche' sia una superpotenza, ma perche'
  1. Gli investitori , nel tempo, avevano ampiamente recuperato le perdite. (tranne i fessi italiani, ma si chiama darwinismo ed e' giusto cosi')
  2. I bond hanno un costo che e' proporzionale al rating, ovvero al rischio di NON rivedere una lira. Chi compra un titolo (come quello greco) che rende il 10% deve considerare un 10% di probabilita' di non rivedere una lira.
  3. I cinesi hanno offerto copiosi investimenti in Argentina, in modo che le minacce dell' FMI (di non fornire ulteriore credito) sono divenute irrilevanti.
Tornando a bomba, pero', si chiama ristrutturazione l'operazione con la quale un governo debitore rifiuta di restituire i soldi prestati, restituendone meno o nulla. Di solito (come nel caso del Dubai) questo implica un accordo coi creditori, ma (come nel caso dell' Argentina) puo' succedere che le cose non vadano cosi'.

Ovviamente una ristrutturazione non e' sempre in termini di "io e te". Se per esempio il creditore e' interno, basta fare una bella legge e scompare la possibilita', per il creditore, di riavere i soldi, senza che il creditore abbia la possibilita' di dire alcunche'.

Cosi', se il governo ha dei debiti verso una banca locale o verso un creditore che e' un cittadino, puo' semplicemente decidere unilateralmente di non restituire i soldi, e deve solo fare i conti con le conseguenze interne (politiche e di mercato: tutti i privati nazionali potrebbero decidere di non rinnovare il debito interno) del caso.

Cosi', quando il governo USA annuncia di aver bloccato due fondi pensionistici nei quali il governo era socio, sta di fatto annunciando una ristrutturazione del debito. Cioe' il default, o meglio la situazione materiale che normalmente si accompagna al default.

Ovviamente, c'e' una divertente operazione di maquillage per dire la stessa cosa in termini diversi. Si dice che il debito ha raggiunto il "ceiling", ovvero che non e' piu' possibile fare altro debito perche' una legge impedisce di farne altro. Aha.

Potremmo farlo anche noi: basta una legge che vieti al debito pubblico di superare, che so io, il 115%, e alla prossima asta non ripaghiamo due o tre fondi italiani del loro debito. Si e' raggiunto il ceiling, capite?

La chiave per capire l'ombroglio e' questa: i fondi bloccati da Tim Geithner erano dovuti a qualcuno. (in questo caso, alcuni pensionati ex dipendenti pubblici). Se erano dovuti, essi erano , a tutti gli effetti, debito.

Certo, non sempre il diritto a ricevere dei soldi dallo stato e' un debito nel senso che si da' al finanziamento mediante obbligazioni , dal momento che i pensionati non hanno comprato buoni del tesoro (1).

In questo senso, cioe', il tesoro USA ha ristrutturato un debito diverso da quello obbligazionale : non potendo ristrutturare il debito obbligazionale senza dover ammettere pubblicamente il default, ne ha ristrutturato uno che si puo' ristrutturare SENZA ammettere il default del debito pubblico.

Questa operazione e' , circa, quella che si chiede alla Grecia di fare: lo stato deve smettere di erogare soldi a qualcuno, allo scopo di continare a garantire il debito obbligazionario. Qual'e' il guaio?

Il guaio e' che tutti (dalle agenzie di rating alla stampa) ci dicono che la Grecia e' sull'orlo del baratro e dovra' probabilmente ristrutturare il debito (o cosi' spera chi specula sui CDS) , mentre nessuno dice che gli USA sono circa nello stesso stato.

La natura del default statunitense, tuttavia, e' cosi' diversa e atipica che non sembra essere solo cattiva fede. Sicuramente e' cattiva fede delle agenzie di rating, dal momento che a loro e' richiesto di calcolare il rischio ECONOMICO, e i titoli statunitensi sono evidentemente sopravvalutati.

Non e' sempre un segno di cattiva fede invece l'atteggiamento dei media, dal momento che - se fossero un paese normale - gli USA potrebbero riportare il debito a livelli accettabili in qualcosa come 5 anni.

Il guaio e' che gli USA sono un paese fortemente ideologizzato, il corrispondente negativo dell' URSS, e come succedeva all' URSS ci sono provvedimenti che NON POSSONO prendere, non perche' siano infattibili, ma perche' sono contrari all'ortodossia ideologica locale.

In definitiva, cioe', e' crollato il muro di Berlino ma non e' crollato il suo analogo ideologico, cioe' Wall Street.

La risposta americana al problema e', per esempio , essenzialmente ideologica: si chiede al parlamento di cambiare la legge che permette di fare debito, permettendo un debito piu' alto. Ora, a parte il fatto che l'attuale parlamento essendo fortemente repubblicano non fara' mai quanto richiesto, o lo fara' con estrema difficolta', il punto e' che permettere per legge un debito piu' alto non implica necessariamente che qualcuno si affrettera' a prestarvi dei soldi.
  • Il primo punto ideologico e' che gli USA hanno alimentato in se', tanto da investire la classe politica stessa, di un mito, il quale recita che gli USA, essendo la fine della storia, cioe' la nazione speciale, particolare e insuperabile per definizione, sono comunque necessari e indispensabili, tanto che persino la fisica dell'economia deve piegarsi, pur di non privare la storia del suo acme. Come e' possibile, quindi, che gli USA possano trovare difficolta' a finanziarsi sul mercato?
Il secondo punto ideologico e' il sistema fiscale. Gli usa soffrono di un mito fondatore, per il quale la nazione e' nata onde sottrarsi alle malvagie tasse del malvagio governo inglese (malvagio perche' europeo, il continente delle tasse) .

Dunque, da un lato le tasse sono essenzialmente tasse sul reddito e poco sui beni (anche se il reddito viene stimato in parte attraverso il possesso di beni e sui consumi, il che mitiga l'impatto negativo) , dall'altro devono mantenersi basse.

Devono mantenersi basse perche' essendo tasse sul reddito, appunto, ogni aumento sfinisce direttamente l'economia. Se prendiamo un sistema quasi opposto come quello italiano, per dire, che e' dotato di tasse sulla benzina, iva sui prodotti e sulle trasformazioni, tasse sulla casa, sull'auto, praticamente su ogni cosa, il risultato e' che il reddito viene impattato meno in maniera diretta.

Certo, le tasse sui beni primari colpiscono piu' i poveri che i ricchi (io guadagno 20.000 volte meno di Elkann, ma l'automobile di Elkann non consuma 20.000 volte piu' benzina della mia, a meno che non usi un TIR al solo scopo di trasportare il proprio serbatoio) , ma il punto e' che senza drastici peggioramenti dello stile di vita globale l'oscillazione delle entrate fiscali e' piu' limitata.

A parita' di "delta", invece , il gettito statunitense e' enormemente impattato dalle crisi. Esso risente enormemente della quantita' di disoccupati e specialmente della qualita' del lavoro: i pochi rientrati nel mercato del lavoro statunitense sono rientrati con lavori part-time. Il risultato e' che essi non risultano piu' disoccupati, ma la loro cartella delle tasse e' enormemente minore.

Cosi', nonostante i proclami assurdi sulla crescita USA, il gettito fiscale americano e' ancora vittima di un pesantissimo stress, visibile nel debito dei cosiddetti CANI (California, Alabama, New York, Illinois).

Il motivo della sofferenza locale e' che gli americani si spostano moltissimo tra singoli stati. Se la UE fosse , per dire, un paese con la stessa mobilita', oggi in Grecia ci sarebbero solo gli anziani, e qualcosa come il 70% della popolazione avrebbe traslocato altrove. Che e', circa, cio' che succede agli stati USA quando i servizi locali iniziano a peggiorare.

Il debito enorme dei CANI, cioe', e' spesso ingigantito dal fatto che non appena i singoli stati tagliano i programmi locali peggiorando lo stile di vita, o alzano le tasse locali,o peggiorano le prospettive lavorative, aziende e cittadini se ne vanno altrove, abbassando ancora il gettito. Il fenomeno del minore gettito fiscale, nel sistema americano, diventa evidente con estrema rapidita'.

Al minore gettito fiscale, pero', gli americani potrebbero rispondere aumentando le tasse sui ricchi. Questa operazione, che e' abbastanza dolorosa ma fattibile in Europa, e' praticamente infattibile in USA.
  • Gli USA soffrono di un mito fondativo per il quale le tasse sono la quintessenza del male, e l'unica soluzione al problema di finanziamento del governo e' di tagliare la spesa. Contemporaneamente, la spesa e' concentrata nei settori gestiti da lobbies, o in settori come la difesa, ormai grottescamente ipertrofici e palesemente corrotti. Col risultato che tali tagli sono politicamente impossibili.
Andiamo alla voce "tagli", perche' ci si chiede come mai il governo USA non possa tagliare davvero le spese. Il motivo e' semplice: il sistema privatizzato.

Esiste un grosso equivoco, quando si parla di "privato" in termini di privatizzazione di servizi pubblici. Tale equivoco e' dovuto al fatto che si crede che il passaggio di un ente da ente di diritto pubblico ad ente di diritto privato IMPLICHI automaticamente che lo stato NON ci butti dei soldi. Un esempio e' Alitalia: sebbene privatizzata da anni, lo stato e' rimasto l'azionista di maggioranza fino al suo fallimento.

Il passaggio di un ente da ente di diritto pubblico (in qualche modo, cioe', "statale" ) ad uno di diritto privato (il che permette ai privati di prendere decisioni) non implica affatto che lo stato non vi spenda. Questo e' vero in Italia, ma e' enormemente vero in USA.

Si va cianciando del fatto che in USA "tutto lo fanno i privati", ma nessuno va quasi mai a ficcare il naso nella composizione sociale di tali "privati". Le universita' USA sono private, e' vero. Ma se osservate la composizione sociale, ci trovate sempre il singolo stato (che pretende di ficcare il naso in un asset fondamentale.

Ci mancherebbe solo che il Massachussets permettesse al MIT di spostare i laboratori in Ohio, per dire) , spessissimo ci trovate la citta' (anche la municipalita' di Boston partecipa al MIT, of course: ci mancherebbe solo che permettessero al MIT di spostarsi fuori citta') , e quasi sempre lo stato federale sotto forma di qualche "programma" (ci mancherebbe solo che il governo USA permettesse al MIT di esternalizzarsi o aprire grosse filiali in Europa, per dire).

Questo accade, essenzialmente, per ognuno degli istituti "privati" che sostituiscono il welfare: la citta', la contea, lo stato, il governo federale sono soci e immettono soldi. Questo non cambia lo status di "privati": si tratta comunque di enti di diritto privato, e non di enti di diritto pubblico. Tuttavia, lo stato ci mette un sacco di soldi.

Fondi pensionistici , ospedali, scuole, universita', tutto il "welfare americano" e' essenzialmente costituito da entita' di diritto privato, cosicche' diremmo che sono tutti "privati". Ma lo stato, in qualche misura, vi partecipa nella quasi totalita' dei casi.

Si trovano, circa, nella situazione in cui si trovava Alitalia prima del fallimento: in teoria era un ente di diritto privato, ma lo stato era il maggiore azionista.

Finche' tutto va bene e questi enti "pagano", cioe' sono in attivo e pagano dividendi, tutto va bene per lo stato. Se Alitalia fosse stata in attivo e avesse pagato dividendi, cioe', lo stato ci avrebbe pure fatto cassa. Succede(va) anche in USA, dove quando gli enti sono in forte attivo lo stato fa cassa.

Il guaio di questo "welfare privato" e' che quando c'e' una crisi che impatta i redditi, esso smette di fare cassa. E lo stato , nelle forme in cui ha partecipato, si trova a partecipare al passivo di questi enti.

Se , vista la mancanza di lavoro e le voci di licenziamento, moltissimi americani ricorrono alle clausole di prepensionamento, il risultato sara' la sofferenza dei fondi pensionistici, i cui soci accuseranno perdite. E se tra i soci c'e' lo stato, paga il contribuente.

La differenza, pero', e' che i governi europei possono cambiare l'organizzazione (per esempio, consolidando le funzioni) degli enti pubblici, mentre il governo USA, essendo "solo" uno dei soci di un privato, non riesce.

Il privato, come gestito negli USA per produrre ammortizzatori sociali, e' un ombrello che funziona bene nei giorni di sole, mentre inizia a produrre spese incontrollabili nei giorni di pioggia.

Quindi, se escludiamo la nuova riforma alla sanita', e' assolutamente impossibile (o perlomeno tremendamente difficile) che il governo USA possa mettere mani alla spesa pubblica.

L'ultimo punto e' il costo in se' di questo sistema, che non e' affatto meno costoso del welfare pubblico tradizionale. Se osserviamo la spesa medica procapite negli USA , per esempio, osserviamo che sia MOLTO piu' alta di quella dei paesi europei con un welfare piu' pesante.

Questo e' dovuto ad un fatto gestionale: se cinque privati si riuniscono e dicono "dobbiamo mettere 100 per un aumento di capitale", sanno che dovranno mettere le mani in tasca. E se gli affari non vanno tanto bene, non lo faranno, anche perche' le banche non li finanzieranno. Cosi', se c'e' da investire 100 in un ospedale, forse si fa e forse no. Dipende dalle priorita' dei privati.

Ma adesso supponiamo che lo stato di New York abbia il 35% del capitale del nostro ospedale. Il 65% del CDA e' fatto da privati con diritto di voto. L'azionariato diffuso ha il resto, diciamo un 20%, ma non vota. Il 65% dei soci privati decide che si, i soci mettono 100 per migliorare l'ospedale.

Di questo 100, i privati dovranno sborsare circa 45. Il 20 verra' dal ridimensionamento delle azioni degli azionisti non votanti, e il resto va allo stato. La decisione e' presa col 65% dei voti, come da composizione del CDA.

Cosi', nel caso di questi enti "privati" americani, il business e' che essi possono ricapitalizzarsi a spese dello stato. I privati diventano azionisti di un asset che ha aumentato di 100 il suo valore, sborsando 40.

Questo spiega come mai questi enti negli USA appaiano cosi' strafichi: i privati continuano ad approvare aumenti di capitale , cioe' finanziamenti all'infrastruttura , tanto ci pensera' lo stato a finanziarne una parte, e lo stato non ha gli stessi limiti di bilancio dei privati: se un ricco americano chiede soldi per finanziare un ospedale , l'investimento sara' valutato dalla sua banca. Ma se lo fa la citta' di NY, la valutazione sara' diversa.

Cosi', se in un ente con 100% di privati ricapitalizzare e' difficile perche' bisogna cacciare la lira, in un ente ove lo stato ha un 30% c'e' un grosso sconto perche' lo stato ha altre procedure per cacciare la lira.

Come se non bastasse, i parlamenti locali sono pieni di lobbisti, i quali ovviamente votano sempre a favore della ricapitalizzazione del "privato" ospedale della situazione, o della "privata" universita', o del "privato" fondo pensionistico: l'asset aumenta di valore piu' di quanto i soci privati abbiano sborsato , il resto ce lo mette lo stato.
  • Gli USA soffrono di un clamoroso equivoco , secondo il quale un ente non costa nulla allo stato se e' un ente di diritto privato. Al contrario, un ente di diritto privato puo' costare molto allo stato, a patto che lo stato ne sia socio, come capita alla quasi totalita' dei "privati" americani che sostituiscono il welfare europeo.
Poiche' ognuno dei fondi , degli istituti e dei "privati" in questione e' stato finanziato su pressioni di una lobby presente nel governo federale e nel governo locale, e' politicamente impossibile per gli USA rientrare di tali investimenti, o quasi.

L'ultimo equivoco e' che un welfare significantemente privato possa effettivamente alleggerire lo stato di spese fisse. Normalmente si pensa che , al di fuori del meccanismo di capitalizzazione, comunque il meccanismo del welfare privato possa alleggerire lo stato dei costi fissi del mantenimento del welfare. Il che non e'.

In un sistema basato sulle lobby, quando voi dite che la pensione e' privata, per prima cosa le lobby otterranno dal congresso che i versamenti al fondo pensionistico siano detassati.

Se dite che la sanita' e' una cosa privata, per prima cosa otterrete che le lobby otterranno la detassazione dal reddito delle spese sanitarie. Se dite che la scuola e' privata, per prima cosa succedera' che dovrete detassare le spese di istruzione.

Questo sistema funziona meravigliosamente , ma ha un piccolo difetto se la tassazione poggia quasi esclusivamente sui redditi: poiche' i costi del welfare rimangono immutati, una diminuzione dei redditi tassabili fa schizzare in alto le perdite del demanio legate alla detassazione di tali spese.

Prendiamo i costi sanitari: in qualche modo si mantengono costanti. Diciamo che ogni anno i cittadini tolgono dal loro reddito, toh, 100 qualcosa . Il reddito dei vostri cittadini e', diciamo, 10000 qualcosa. Il rapporto e', oggi , dell 1% di entrate fiscali perse.

Adesso andiamo al caso in cui il reddito da lavoro scenda, diciamo a 7500. Il costo sanitario e' rimasto praticamente costante, ma adesso il rapporto e' del 1.3%. Ma quella componente di gettito in meno si accompagna a quei 2500 che avete gia' perso, e come se non bastasse al calo dei consumi che e' risultato dal calo dei redditi.

Questo si applica piu' o meno a tutto il sistema "privato" che sottintende al welfare all'americana. Esso costituisce una voce percentuale incredibilmente rilevante di riduzione del gettito non appena si alza il tasso di disoccupazione o quello di cattiva occupazione, o almeno un calo dell'imponibile.

Il guaio e' che se la sanita' fosse statale, a fronte dello stesso numero di prestazioni , essa avrebbe mantenuto la stessa spesa. Con quel sistema, invece, con lo stesso numero di prestazioni essa aumenta il rapporto percentuale di mancati introiti.
  • Gli USA soffrono di un problema di amplificazione delle minori entrate fiscali , dovuto al fatto di gestire il welfare non come spesa , ma come mancato introito. Se e' possibile consolidare una voce di spesa , non e' possibile agire su un mancato introito.
E' quindi impossibile che il governo USA possa ristrutturare la spesa pubblica, perche' essa non si manifesta in termini di mantenimento di infrastrutture dello stato, bensi' di mancati introiti legati alla possibilita' di scaricare alcune spese (istruzione, sanita', pensioni, etc) dal computo delle tasse.

Voi direte: ma tutto questo e' convenzionale. Nel senso che a livello legislativo e' possibile cambiare le regole, dare regole diverse alla partecipazione dello stato negli enti privati, variare la percentuale di cose che la gente scarica sul reddito, eccetera.

E invece no. Per motivi pratici ed ideologici. Innanzitutto, i parlamenti americani (locali e non) sono fatti da lobbies. Questo motivo pratico rende impossibile, o quasi, votare leggi che di fatto cambino queste regole.

Dobbiamo ricordare che il welfare americano non e' "privato", come ho detto, ma sicuramente e' "a vantaggio dei privati". I privati sono rappresentati a livello legislativo, e le lobbies non permettono che si cambi questo sistema giuridico.

Rimane la possibilita' di lasciare intoccati i vantaggi per i grandi privati che gestiscono il welfare americano, ma toccare il reddito di chi lo usa. Ma qui entriamo in un dibattito ideologico: le tasse negli USA sono il male, ricordate?

Ci sono i Tea Party, che ricordano al cittadino americano che pagando le tasse finira' con l'arricchire Sua Maesta' di Tutte le Britannie , cosa per il quale gli americani hanno fatto la rivoluzione e ammazzano il tacchino e possono portare armi: che non c'entra un cazzo, ma e' sempre bene ricordarlo.(2)

Cosi' nasce la richiesta di Tim Geithner: per favore, cambiate le leggi nell'unico modo che possiamo, ovvero semplicemente permettendo agli USA di fare ulteriore debito. Se i repubblicani al congresso lo consentono, e se qualcuno buttera' ancora soldi nel debito americano, magari funzionera'.

Tuttavia, Tim Geithner ha iniziato con il ristrutturare il debito interno, ed effettivamente lo ha fatto. Se non si fosse trattato di enti che nascono come enti per garantire le pensioni ad impiegati pubblici, e quindi una cosa interamente "statale", ci sarebbero gli estremi per parlare di default. Di per se', almeno ufficialmente, si tratta di tagli, ragione per cui possiamo solo dire che ci sono le condizioni materiali che, in qualsiasi altra nazione, farebbero parlare di Default.

Sicuramente non e' un default ufficiale, ma di fatto e' un default.

Che effetto avrebbe, di per se', il default UFFICIALE del debito pubblico americano? Sul piano meramente economico, cioe' in termini di bilancio, si tratta di circa 14 triliardi di dollari, una cifra analoga a quella del cosiddetto "Credit Crunch", ovvero un'altra crisi mondiale simile a quella del 2008.

Il guaio pero' verrebbe dall'inevitabile svalutazione del dollaro, le cui conseguenze sono letteralmente imprevedibili, anche perche' ci si troverebbe a comprare e pagare praticamente ogni cosa in carta straccia.

Sicuramente avremmo un aumento mostruoso dei costi dell' oro, il che onestamente non e' un bene, dal momento che l'oro serve oggi all'industria elettronica , e un aumento come quello che possiamo immaginare (molte riserve nazionali inizierebbero a comprarne a dismisura , in dollari, alle prime avvisaglie) di fatto potrebbe fermare l'industria elettronica.

Oltre a questo si dovrebbe ipotizzare una crescita enorme della sterlina e dell' Euro, difficile immaginare quanto, ma non della valuta cinese, sia per le perdite che accuserebbe l'erario cinese da un default americano, sia per il fatto che una forte rivalutazione della moneta cinese metterebbe sul lastrico le esportazioni cinesi (che sarebbero gia' in merda per il default americano, btw).

Niente di questo e' facilmente prevedibile, ragione per cui sono solo speculazioni. La cosa certa, notizia cui nessuno ha badato, e' che il governo USA ha de facto ristrutturato pezzi di debito interno per far fronte al default, ovvero che il bilancio federale (ometto per pieta' i bilanci locali) si trova in condizioni economiche simili a quelle della Grecia, se non peggiori.

Ma di questo non si accorgono le agenzie di rating, non si accorgono i finanzieri, non si accorgono i media.

Tra qualche mese, ad occhio e croce dopo agosto, saremo tutti qui a dire che era prevedibile. Non era prevedibile: era sotto gli occhi di tutti. Ma la forza USA e' un simulacro, e quindi la prova contraria non funziona, anzi il simulacro agisce meglio in presenza delle sue prove contrarie, ricordate?

Ah, ma voi state guardando al candidato di Vendola che ha sconfitto sia il candidato di Berlusconi che la leadership di Bersani , a Milano. Siete tutti li' a scommettere se questo fara' cadere dalla sedia prima Berlusconi o Bersani, e non vedete il turbine di minchia che sta all'orizzonte.

Forse perche' da Duesseldorf tendo a fottermene di Bersani e Berlusconi, invece, ho deciso di fare un post sulla realta'. Anche perche', e' probabile che questa realta' irrompa nelle nostre vite tra pochi mesi. Anche qui a Duesseldorf. E no, Berlusconi e Bersani potranno farci poco. E anche Vendola.


Note:

(1) uhm. Diciamo i pensionati italiani. Negli USA le cose non stanno sempre cosi', anche se ignoro la composizione del fondo in questione.

(2) Colgo l'occasione per non dimenticare che Hegel era un pirla.


Cosa accadrebbe se si pensasse che gli Stati Uniti sono vicini al default?
di Mike Whitney - www.counterpunch.org - 18 Maggio 2011
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di Supervice

Lunedì il governo degli Stati Uniti ha raggiunto il limite dettato dal suo statuto per la concessione dei prestiti (14,29 trilioni di dollari), il cosiddetto "tetto del debito".

Ciò significa che il Segretario del Tesoro, Timothy Geithner, ha iniziato a mettere in opera il piano emergenziale per mantenere in sella il governo e per pagare i possessori dei bond mentre la Casa Bianca e il Congresso stanno elaborando i dettagli finali dell’accordo sul bilancio.

Ma le manovre contabili di Geithner funzioneranno solo per un breve periodo. Se per l’inizio di agosto non verrà raggiunto un compromesso sul bilancio, "l’ultimo prestatore” e gli Stati Uniti andranno in default.


Alcuni parlamentari Repubblicani credono che un default non sarebbe così grave e che i possessori di titoli e i beneficiari della Social Security avranno gli assegni solo un po’ di tempo più tardi. Ma questa gente davvero non comprende come stanno le cose e quello che è realmente in gioco.

Con le parole di Greg Ip, dell’Economist: "I debiti del Tesoro sono il fondamento di una vasta e complessa rete di relazioni finanziarie in tutto il mondo che verrebbero sconquassate anche da un default tecnico."

La sola allusione al fatto che gli Stati Uniti ritardino i pagamenti ai possessori delle obbligazione sconvolgerebbe i mercati e causerebbe un danno irreversibile alle casse del Tesoro.

E porterebbe la quotazione del dollaro in picchiata e, probabilmente, sarebbe la fine del ruolo del dollaro come divisa di riserva del pianeta. Ecco un estratto da un post di un economista, Menzie Chinn, che riassume tutto perfettamente:

"....se tutto questo provocherà una contrazione del valore del dollaro, impedirebbe di poter alzare il tetto del debito in modo opportuno. In quasi tutti i modelli che ho analizzato, causerebbe una migrazione dal debito degli Stati Uniti o – anche se ci andassimo solo vicini – aumenterebbe il premio di rischio concesso agli investitori e, da quel momento in poi, il totale degli interessi pagati dal Tesoro USA. È il colmo dell’irresponsabilità fare richieste irrealistiche per la riduzione del deficit basate solamente sui tagli alla spesa, rischiando così lo scatenarsi di una crisi. ("What Would Really Bring about a Dollar Dive?, Econbrowser)

Quasi tutti gli economisti dicono la stessa identica cosa. Il Parlamento sta giocando con la dinamite.

La cosa divenuta palese nel corso delle negoziazioni sul bilancio è che i Repubblicani non hanno neanche la più remota idea di come funzioni il mercato finanziario. Naturalmente i Democratici non è che siano messi molto meglio, ma almeno (occasionalmente) tengono in considerazione il consiglio degli esperti.

I Repubblicani no. Sembra proprio che ci sia tanto orgoglio nelle loro zucche vuote. Credono che minacciare di far saltare l’economia sia un’ottima strategia per provocare i tagli alle spese correnti.

Non riescono a capire che la loro gazzarra da galline potrebbe ritorcersi contro e cambiare la percezione che gli USA siano un posto sicuro dove gli investitori possano investire i propri capitali. E questo pensiero non sembra assolutamente passare per la loro testa.

Un altro estratto da una lettera di Geithner (al Senatore Michael Bennet), dove avverte delle "conseguenze economiche catastrofiche" che si verificheranno se il limite del debito non verrà alzato velocemente:

"Il ruolo particolare delle emissioni del Tesoro nel sistema finanziario globale comporta il fatto che le conseguenze del default sarebbero davvero severe. Le emissioni del Tesoro sono un punto fermo nelle pagine dei bilanci di quasi tutte le più grandi compagnie di assicurazione, delle banche, dei fondi che investono a breve termine e nei fondi pensione di tutto il mondo. Sono anche molto usate dalle istituzioni finanziarie come collaterali (http://it.wikipedia.org/wiki/Collateralized_debt_obligation) per reperire nel mercato finanziario il flusso di cassa necessario per le loro operazioni giornaliere."

Geithner sta spiegando il funzionamento delle “banche d’affari” e come si affidino ai collaterali con la tripla A. Se le emissioni del Tesoro, finora considerati gli investimenti più sicuri al mondo, soffriranno un abbassamento del rating a causa del default o del calo della fiducia degli investitori, tutto questo porterebbe a una serie di tagli nei rendimenti (http://en.wikipedia.org/wiki/Haircut_(finance)) che darebbero il via a una nuova crisi.

Geithner ancora:

"Un default del debito del Tesoro potrebbe portare a domandarsi della solvibilità dei fondi d’investimento e delle istituzioni finanziarie che hanno le emissioni del Tesoro nel loro portafoglio, cosa che provocherebbe un assalto ai fondi che investono a breve termine (http://en.wikipedia.org/wiki/Money_market_fund) e all’intero sistemo finanziario, qualcosa di simile a quello che è successo sulla scia del collasso di Lehman Brothers. Come hanno dimostrato le recenti crisi finanziarie, un contraccolpo improvviso alla fiducia sui mercati finanziari può scatenare un timore che minaccerebbe la salute dell’intera economia globale e il lavoro di milioni di Americani."

Geithner non sta esagerando. Questo è quello che accadrà. Perché? Perché è quello che è successo nel 2008 e, sfortunatamente, da allora niente è cambiato. Se gli Stati Uniti andranno in default, allora il premio per il rischio che il Tesoro dovrà concedere salirebbe e le quotazioni dei titoli scenderebbero.

Questo significa che i trilioni di dollari che sono stati scambiati per le emissioni del Tesoro nel mercato dei pronti contro termine (http://it.wikipedia.org/wiki/Pronti_contro_termine) - dove le istituzioni finanziarie scambiano liquidità con garanzie collaterali di primo livello – andrebbero riprezzati e questo causerebbe perdite consistenti per i possessori di emissioni del Tesoro.

Queste perdite si riverberebbero nei mercati dei capitali e in quello dei titoli di credito, iniziando a far saltare il domino costruito dopo il fallimento della Lehman Brothers.

In conclusione, nessuna delle riforme Dodd-Frank ha aumentato la stabilità del mercato finanziario. Il sistema è soggetto al collasso così come lo era nel settembre del 2008.

Di nuovo Geithner:

"I titoli del Tesoro ricoprono un ruolo peculiare nel sistema finanziario globale proprio perché sono considerati un investimento privo di rischio. […] Un default metterebbe in discussione lo status delle emissioni del Tesoro che sono ora ritenute un pilastro del sistema finanziario, mettendo a repentaglio questo ruolo e i benefici economici che ne derivano."

Questo è un punto molto importante e potrebbe essere d’aiuto fare un’analogia.

Diciamo che io ho bisogno di liquidi per finanziare degli affari. Così vado al banco dei pegni con la mia Jaguar customizzata, il mio dipinto di Vermeer autentico e la mia collezione di monete d’oro rinascimentali.

Il gestore dà un’occhiata al mio tesoro e mi dice che può prestarmi 25.000 dollari per una settimana, ma che gliene dovrò rendergli 26.000 per avere la mia roba indietro. Allora dico, “Va bene” e prendo a prestito i soldi. Questo mi permette di continuare i miei affari. Poi, una settimana dopo, torno dal monte dei pegni e restituisco i soldi.

Fino qui tutto a posto?

La settimana seguente torno da lui e cerco di chiudere la stessa trattativa. Ma questa volta il gestore ha fatto una piccola ricerca e ha scoperto che la mia Jaguar customizzata è un vecchio modello di una Yugo riverniciata a meraviglia, il mio Vermeer originale è un lavoro di un falsario che ho preso al mercatino delle pulci e la mia collezione di monete d’oro rinascimentali è in verità una manciata di spiccioli della slot machine placcati di pirite.

Così il gestore, tutto stizzito, mi dice che mi presterà solo la metà di quanto concesso la volta prima, 12.500 dollari. Ma questo per me è un grosso problema, perché così non ho abbastanza denaro per finanziare le mie operazioni o per pagare i miei dipendenti.

E allora devo dare fondo ai miei risparmi (il capitale bancario) e questo mi renderà quasi impossibile prestare del denaro a chi me lo richiedesse. Col passare del tempo sarò forzato a vendere una parte sempre più grande delle mie proprietà (asset) solamente per rimanere a galla.

Questo è esattamente quello che è successo alle banche nel corso della crisi finanziaria. Le compagnie finanziarie che hanno concesso il valore corrispondente alle obbligazioni garantite (la mia Jaguar) hanno cominciato a preoccuparsi del fatto che questi titoli contenevano al suo interno prestiti tossici di categoria subprime (la mia Yugo).

E allora hanno ridotto il totale dei soldi prestati in cambio delle obbligazioni. I cosiddetti haircut hanno avviato un panico al rallentatore che è durato oltre un anno, facendo perdere quasi 4 trilioni di dollari al sistema delle banche d’affari.

Il problema era complicato dal fatto che nessuno sapeva quali contenitori finanziari avessero in sé i mutui peggiori o quale banca avesse il peggior assortimento di obbligazioni. E così il prestito interbancario cominciò a fermarsi, il LIBOR (ndt: tasso interbancario ‘lettera’ su Londra, http://it.wikipedia.org/wiki/LIBOR) salì alle stelle e li mercato del credito andò in stallo.

Quando Lehman Brothers andò in default il 15 settembre del 2008, la voragine si aprì sempre più e l’intero sistema finanziario collassò di conseguenza.

Se gli Stati Uniti andranno in default sul suo debito, le emissioni del Tesoro saranno riprezzate, le maggior banche del paese scopriranno che abbiamo meno capitale di quanto si pensasse prima e il sistema finanziario patirà le conseguenze di un altro collasso.

Solo che questa volta andrà molto peggio, perché le emissioni del Tesoro non saranno a quel punto considerati investimenti di punta privi di rischio su cui vengono poi misurati tutti gli altri asset finanziari.

Questo significa che gli Stati Uniti dovranno pagare interessi più alti per adempiere a quanto pattuito e questo renderà sempre più difficile uscire dalla recessione.

Wall Street e il mondo degli affari hanno compreso la gravità della situazione e questo è il motivo per cui hanno cercato di scoraggiare il gioco al rialzo dei Repubblicani. Ma i membri del Parlamento del Tea Party hanno scrollato le spalle e sono rimasti ostinatamente sulle loro posizioni. La loro idea era che Obama avrebbe capito di essere nelle loro mani e che avrebbe ceduto. Non è così che funziona il potere?

Questa è una lezione che gli attivisti politici devono imparare. Il Tea Party è riuscito a trovare una strategia "asimmetrica" perfettamente legale per ottenere un cambio a loro vantaggio, ossia individuare le vulnerabilità del sistema e sfruttarne le debolezze per plasmare la politica. Non c’è alcuna ragione per cui la sinistra non debba fare lo stesso gioco, a condizione che abbia la volontà di sporcarsi le mani.


Gli Usa preparano un nuovo "attacco" all'Europa
di Mauro Bottarelli - Il Sussidiario - 17 Maggio 2011

Detto fatto, la terza ondata di quantitative easing da parte della Fed è pronta! Nonostante proprio ieri il debito Usa abbia toccato il suo tetto legale di 14,3 trilioni di dollari, sempre più voci si fanno sentire in favore di una prosecuzione della politica monetaria espansiva che sta inondando il mondo con moneta a costo e valore facciale zero.

Giovedì scorso è stato il turno dell’economista di Princeton ed ex vice-governatore della Fed, Alan Blinder, che a Bloomberg ha dichiarato chiaramente che una «ulteriore espansione è necessaria», mentre venerdì si è alzata alta in cielo la voce del padrone: Goldman Sachs.

Attraverso un report dal titolo “Fiscal Adjustment without Fed easing: a tall order”, a cura di Sven Jari Stehn, la banca d’affari sposa in pieno la tesi di Blinder, sottolineando che per migliorare la figura riguardante il mercato del lavoro, nuovamente in stato di deterioramento, è necessario un nuovo stimolo fiscale.

Un qualcosa di formalmente impossibile, stante la promessa del Congresso di tagli al deficit per 4 trilioni di dollari nei prossimi anni. Occorre, però, vedere come sostanziare e giungere a questi tagli: c’è chi vuole, come i Repubblicani, tagli alla spesa e chi, come i Democratici, punta a un innalzamento delle tasse per i più ricchi.

Nonostante nessuno dei due approcci sia destinato a funzionare negli Stati Uniti senza un’austerity indotta da un crash obbligazionario sovrano, Goldman ha una certezza: nessuna riduzione del deficit può funzionare senza l’assistenza parallela della politica monetaria, sia essa un abbassamento dei tassi o un ulteriore programma di Qe.

In parole povere, l’unica cosa che può prevenire una contrazione dell’economia nei prossimi due anni di semi-austerity, è un’ulteriore espansione monetaria. E stante lo stallo politico a Washington, appare chiaro che la palla tornerà a breve nelle mani della Fed, la quale sta già facendo tutto quanto in suo potere per sgonfiare il prezzo delle commodities. Insomma, se come sembra l’unica alternativa è monetaria, prepariamoci a un terzo diluvio di denaro stampato in cantina.

Quanto sta accadendo è chiaro, Goldman ha ripreso il suo ruolo di supplenza rispetto alla politica per quanto riguarda l’economia Usa: d’altronde, un Congresso che per quattro mesi non è riuscito a trovare una soluzione per il tetto di debito che permettesse di sopravvivere ai prossimi 90 giorni - passati i quali, se non ci sarà un innalzamento, sarà default tecnico -, sembra aver quasi bisogno di qualcuno che operi in sua vece.

E state certi, quando arriverà giugno e la parola default diverrà qualcosa di quotidiano, il buon Bernanke dovrà affrontare le grida isteriche di molti “esperti” che gli porranno l’alternativa tra deflazione e stampare moneta: secondo voi, per quale alternativa opterà il capo della Fed?

Ma è credibile l’ipotesi di default per gli Usa? E come avverrà? Pagherà il conto solo Wall Street o anche Main street, ancora una volta? Ha provato a immaginare uno scenario simile il think tank Third Way, secondo cui «gli Stati Uniti potrebbero ripiombare in recessione se l’immobilismo politico a Washington forzasse il Paese verso un default sul debito», almeno stando a una nuova analisi pubblicata in quasi contemporanea con il raggiungimento da parte del Paese del limite legale della sua autorità di prendere a prestito.

Per il report di Third Way, una tale ipotesi si sostanzierebbe «nella sparizione di 640mila posti di lavoro, un peggioramento ulteriore dello stato di salute del mercato immobiliare, crollo azionario, contrazione dell’attività di prestito se la nazione sarà incapace di pagare i suoi conti».

Insomma, un colpo mortale. Tanto che sia Reuters che Down Jones hanno messo in guardia tutti nel corso della scorsa settimana, visto che il raggiungimento del tetto di debito «renderà impossibile l’accesso del Treasury al mercato dei bonds. I responsabili legali di entrambi i partiti hanno però già reso noto che non approveranno ulteriori incrementi all’autorità di prestito senza che siano compiuti passi per mantenere il debito sotto controllo».

Qualche dettaglio? I T-Bills perderanno per sempre la loro aurea di sicurezza, portando con sé un aumento di mezzo punto dei tassi d’interesse e dei costi governativi per prendere a prestito denaro una volta che l’attività di prestito sarà ripartita. Un combinato che si sostanzierà in un aumento di 10 miliardi di dollari del deficit di budget sul breve termine.

L’aumento dei tassi si riverbererà sull’economia reale, causando una contrazione dell’1% del Pil e il taglio di 640mila posti di lavoro. Le banche potrebbero quindi tagliare l’attività di prestito, colpendo le piccole attività e imprese e portando con sé l’aumento deltasso di interesse sulle carte di credito: anche i prestiti per gli studenti e per l’acquisto di automobili diventerebbero più cari.

L’indice S&P 500 potrebbe perdere il 6,3% di valore in tre mesi, causando una contrazione dei portafogli dei fondi pensionistici, almeno stando alle valutazione della Janney Montgomery Scott di New York.

Lo status del dollaro di valuta di riserva mondiale potrebbe essere minacciato, visto che gli investitori potrebbero investire denaro in franchi svizzeri, yen o euro: questo potrebbe far crescere l’export Usa, ma aumenterebbe anche i costi per beni di consumo come benzina o generi elettronici.

I costi dei mutui immobiliari, che sono legati ai tassi del Treasury, potrebbero salire e il mutuo medio attuale di 221.900 dollari registrerebbe per chi lo accende un aumento di 24.738 dollari lungo la sua estensione temporale, di fatto assestando un ulteriore colpo al già boccheggiante mercato del real estate.

Per Third way, «fare default sul nostro debito non è un’idea astratta che potrebbe colpire poche istituzioni di Wall Street: potrebbe minacciare decine di milioni di americani in modo profondo e di lungo periodo».

E a confermare che la situazione è decisamente fluida e preoccupante ci hanno pensato gli hedge funds e gli speculatori che hanno tagliato le loro scommesse al rialzo sulle commodities per un controvalore pari a 17 miliardi di dollari la scorsa settimana, la più grossa inversione a u ribassista dal 2009, stando ai dati resi noti venerdì scorso dai regolatori.

I cosiddetti fondi “managed money" hanno tagliato le loro posizioni long nette in 22 mercati futures dei Usa su 222mila contratti, pari al 13%, nei cinque giorni che hanno preceduto il 10 maggio scorso, come rileva la Reuters su calcoli resi pubblici dal bollettino settimanale della Commodities Futures Trading Commission.

I dati, basati sia su futures che su opzioni, confermano quindi che molti grossi fondi speculativi, advisors sul commercio di commodities e altre maggiori istituzioni speculative hanno pesantemente tagliato le loro esposizioni proprio nel corso della settimana che ha conosciuto un vero e proprio collasso dei prezzi, prima di porre in essere un modesto rimbalzo.

La politica della Fed e la minaccia che presto anche i margini sui contratti futures sul petrolio potrebbero conoscere rialzi come quelli per l’argento hanno sgonfiato i prezzi della commodities, ma resta il problema enorme del debito e della sua gestione: se la risposta, come richiede Goldman Sachs, è quella di ulteriore politica monetaria espansiva, addio Stati Uniti.

Non per colpa del default, ma perchè questa volta la Cina alzerà la voce davvero prima che la bolla
esploda: dollaro scaricato dalle riserve e stesso destino per i T-Bills, ovvero il debito che Pechino detiene in quantità industriale insieme a quel Giappone che, a breve, farà lo stesso per pagare i costi della ricostruzione.

Barack Obama e Ben Bernanke stanno decidendo il futuro degli Usa e forse del mondo in questi mesi: c’è poco da stare allegri. A meno che un bel casus belli, vero o presunto, non giunga in soccorso di Washington.

Oppure che Dominque Strauss Kahn decida di uscire nudo dal bagno della sua stanza al Sofitel di New York e tenti di molestare la cameriera, facendosi arrestare alla vigilia dell’incontro decisivo con Angela Merkel per discutere del salvataggio della Grecia e dell’Ecofin, nei fatti gettando la situazione europea nel baratro e spingendo la Grecia verso il default, opzione che imporrebbe il salvataggio di tutte le banche elleniche oltre che di due francesi e due tedesche, esposte in maniera colossale al debito di Atene. Il dollaro, ovviamente, ringrazierà.

Tu guarda, a volte, i casi della vita. D’altronde, ve l’avevo detto la scorsa settimana: se Goldman Sachs, al contrario del mondo intero, aumenta la sua esposizione alle securities del Treasuries e si pone lunga sul debito Usa, vuol dire che un motivo per farlo c’è...


La "nuova" Cina mette fuorigioco gli Usa

di Mauro Bottarelli - Il Sussidiario - 19 Maggio 2011

Soltanto cinque anni fa sarebbe stato folle ma oggi, nel mondo post-Lehman Brothers, si può tranquillamente affermare che il libero mercato abita in Cina e lo statalismo è di casa negli Stati Uniti.

Per una serie di motivi che cercherò di spiegarvi e che vanno al di là del fatto che gli Usa abbiano sfondato lunedì scorso il tetto legale del debito e Tim Geithner abbia annunciato che il Tesoro metterà le mani nei fondi pensione federali per fare cassa e pagare interessi e cedole. Si tratta di altro: valuta.

Nonostante la tiepida risposta ottenuta nel primo giorno di collocamento a Hong Kong dello yuan come moneta offshore lo scorso mese, gli analisti restano ottimisti e prevedono che questo sia il primo ma fondamentale passo per la trasformazione della divisa cinese in valuta globale.

Per Jeff Ward, broker alla Icap, l’internazionalizzazione dello yuan «è una delle cose più eccitanti sul mercato dei cambi stranieri accaduta dall’introduzione dell’euro.

La creazione di un mercato offshore potrebbe essere un atto analogo al mercato euro/dollaro dei tardi anni Sessanta e dei primi Settanta», riferendosi ai depositi denominati in dollari in banche al di fuori degli Stati Uniti.

L’indice denominato in yuan Huixian Reit Ipo è sceso del 10% quando è debuttato alla Borsa di Hong Kong lo scorso mese, ma la domanda di generi denominati in yuan continua a essere forte. I depositi in yuan a Hong Kong, il principale test per prodotti in yuan offshore, hanno raggiunto i 451,4 miliardi di dollari nel primo trimestre, otto volte il dato dell’anno precedente. Il tasso di crescita dei depositi, poi, sta crescendo a un ritmo di 60 miliardi di yuan al mese contro la previsione di Deutsche Bank di 20 miliardi al mese.

Lo stesso istituto tedesco si dice certo che il ruolo della valuta cinese sta crescendo in proporzione allo status economico del Paese e si sbilancia pronosticando che il sistema monetario globale sarà caratterizzato da valute di riserva “tri-pod”, ovvero dollaro, euro e sul lungo periodo yuan, destinato a scalzare yen e franco svizzero.

Per il già citato Jeff Ward, «nonostante attualmente lo yuan incida molto poco sui 4 trilioni di dollari al giorno di commercio in valuta estera, potrebbe diventare la chiave del commercio tra Usa ed Europa e potrebbe rimpiazzare il dollaro/yen e l’euro/yen. Il tempismo di questa opzione è tuttora sconosciuto, ma la direzione è quella. Per cui, chiunque operi nel mercato dei cambi sa che la storia è questa e farà di tutto per posizionarsi e poter partecipare alla festa».

Anche perché altri fattori stanno creando le condizioni per un rafforzamento dello yuan. Nonostante, infatti, il segretario al Tesoro Usa, Tim Geithner, continui a dire che un dollaro forte è nell’interesse degli Usa, la cosa più probabile è che il biglietto verde continui a scendere nei prossimi anni, proprio per la pressione che Washington sta mettendo sulla Cina affinché rivaluti lo yuan.

Se la divisa cinese si apprezzasse del 5-7% contro il dollaro nei prossimi cinque anni, cosa che molti analisti si attendono, il biglietto verde è destinato a scendere del 20-30% sugli indici basati su un paniere di valute.

E questo non solo per l’impatto diretto dello yuan su questi indici, ma perché un rafforzamento della divisa cinese avrebbe un effetto a catena sui competitor commerciali, sui partner in Asia e sugli altri grandi mercati emergenti, che a quel punto sarebbero più disponibili a far rivalutare le loro monete.

Aggiungete a questo la correlazione creatasi tra euro e yuan - che spesso si sono mossi in tandem negli scorsi anni - e l’impatto positivo della crescita economica cinese sui dollari australiano e canadese e appare davvero difficile difendere l’argomentazione a favore di un dollaro forte sposata da Tim Geithner.

«La gente parla da tempo della debolezza del dollaro, ma vi assicuro che non abbiamo ancora visto niente del genere al riguardo», assicura Douglas Borthwick, direttore del Faros Trading di Stamford, secondo cui «la prospettiva è quella di un dollaro a 1,50 sull’euro in breve tempo, con la possibilità di salire ancora non appena lo yuan sarà rivalutato».

Nonostante la scorsa settimana il dollaro abbia conosciuto una ripresa, mandando l’euro ai minimi da marzo, questa crescita viene definita di brevissimo termine dagli analisti, visto che comunque dall’inizio dell’anno il biglietto verde ha perso il 6% contro l’euro. E le implicazioni che un dollaro debole porta con sé sono molteplici e toccano sia l’economia Usa che quella globale.

Se da un lato renderebbe i costi della manifattura Usa più competitivi, dall’altro aumenterebbe i costi delle importazioni, con un potenziale effetto di contrazione per consumatori ed esercenti. Renderebbe più economico per i turisti stranieri visitare gli Usa e comprare proprietà immobiliari americane, ma aggraverebbe i costi per gli statunitensi che intendono andare all’estero.

Il problema è che se il declino del dollaro fosse troppo rapido, l’inflazione potrebbe salire, mentre la Cina e altre nazioni ridurranno la loro posizioni sui Treasuries, atto che potrebbe innescare un innalzamento dei tassi d’interesse Usa e della “bolletta” del debito da pagare. Nelle ultime due settimane, i mercati hanno cominciato ad alimentare speculazioni riguardo una potenziale presa meno ferrea della Cina sullo yuan.

Le aspettative in tal senso sono cresciute dopo che il Tesoro Usa ha dichiarato, basandosi su commenti di funzionari cinesi durante colloqui di alto livello, che la seconda economia mondiale ora intende applicare l’apprezzamento della sua moneta come parte della strategia anti-inflazionistica.

Pechino, infatti, ha già permesso un apprezzamento dello yuan nelle scorse settimane, pari allo 0,9% contro il dollaro e del 5% da quando la Cina ha slegato la sua moneta dal peg biennale con il dollaro lo scorso giugno.

Da quando poi lo yuan ha ricevuto il via libera per essere trattato entro una banda più ampia nel 2005, la crescita rispetto al dollaro è stata del 27%. Ma un altro elemento che spiega la debolezza del dollaro, al di là dello yuan, è il cambiamento dell’impatto del suo valore rispetto ad altre monete.

Alcuni analisti hanno cominciato a mettere sullo stesso piano la crescita di yuan ed euro, parzialmente a causa del fatto che il tasso di cambio dollaro/yuan è stato strettamente correlato con il dollar index, la cui componente maggiore è proprio in euro, con il 58,6%. Le altre componenti sono lo yen (12,6%), la sterlina (11,9%), il dollaro canadese (9,1%), la corona svedese (4,2%) e il franco svizzero (3,6%).

Con una tale aspettativa di deprezzamento del dollaro, gli investitori si aspettano sempre minor finanziamento del conto corrente e del deficit di budget Usa da parte della Cina, quindi aprendo una necessità di finanziamento che porterà a rivolgersi ad alcune nazioni europee, come la Germania, con ampi surplus.

Per Jeffrey Young, analista monetario alla Barclays Capital di New York, «per attrarre i risparmi extra-Usa per finanziare i deficit statunitensi, è necessaria una combinazione di dollaro debole rispetto a euro, yen o sterlina e tassi d’interessi più alti».

Non è un caso che nei periodi successivi al primo de-peg della Cina, nel luglio 2005 e del secondo lo scorso giugno, si sia registrato un aumento degli acquisti cinesi di euro, sterlina e dollaro australiano per diversificare le riserve.

La domanda, ora, è una sola: quanto può crescere lo yuan? Molti economisti lo hanno fattorizzato in un modesto 5-7% di apprezzamento quest’anno nonostante ci siano stime che vedono lo yuan svalutato del 40% rispetto al dollaro.

Se il dollaro dovesse deprezzarsi in base alla previsioni medie del 5% l’anno per i prossimi cinque anni rispetto allo yuan, questo significherebbe un 20-25% di calo nel dollar index, basato sulla stretta correlazione tra questo indice e il dollaro/yuan. Il già citato Borthwick della Faros Trading pensa che il dollaro potrebbe indebolirsi del 7,8% l’anno contro lo yuan, ipotesi che potrebbe tradursi in un calo del 40% nell’Ice dollar index nel prossimi cinque anni.

A suo avviso, questo trend corrisponde alla caduta del dollaro contro lo yuan nel periodo che va dall’ottobre 2007 al marzo 2008, lasso di tempo in cui nessuno, né in Cina né negli Usa, discuteva riguardo il ritmo del declino del biglietto verde.

Un 40% di calo può sembrare una prospettiva estrema, ma non per gli standard dei mercati monetari globali: per guardare il trend in prospettiva, il dollaro australiano è cresciuto dell’81% dal 2008 a oggi e in molti continuano a comprare!

Inoltre, come se tutto questo non bastasse, da ieri la Cina ha ufficialmente dichiarato guerra al Comex e al suo monopolio globale sulle commodities metalliche aprendo l’Hkmex, il mercato cinese dei derivati sui metalli, destinato a diventare un competitor pericoloso poiché creato su misura per compratori e non per speculatori o grandi istituzioni finanziarie.

Come? Semplice, attraverso i volumi dei contratti. Un contratto derivato Hkg rappresenta, infatti, un barra da 1 chilogrammo di oro “good delivering”, equivalente a circa 34mila euro in oro: un prezzo che consente a una vasta platea di investitori privati di portare a scadenza il contratto e farsi consegnare fisicamente il metallo, finalità per cui è garantita la massima trasparenza attraverso corrieri privati di cui si conosce ogni singolo particolare e dettaglio già attraverso il sito dell’Hkmex.

Questo a differenza del Comex, dove il contratto equivale a 100 once e la quantità minima per ottenere la consegna fisica è di 400 once, ovvero circa 420mila euro, cifra che assottiglia e non di poco la platea dei potenziali investitori e si sostanzia nel paradiso della speculazione pura e semplice, con caveau in realtà vuoti. Che ne dite, siete d’accordo con me che il liberismo abita più a Pechino che a Washington?