I protagonisti sono sempre gli stessi, con la novità che stavolta chi ricopre il ruolo del premier lo fa a tempo perso.
E sai che novità...
B., una circonvenzione d'incapace
di Peter Gomez - Il Fatto Quotidiano - 17 Settembre 2011
Dimenticatevi Patrizia D’Addario. Scordatevi le 35 escort, le attricette abbindolate con la presenza alle cene ad Arcore di Carlo Rossella o Fabrizio Del Noce: “le persone importanti” che servivano al premier per dare alle ragazze l’illusione di una carriera in Rai o in Medusa.
Tralasciate i racconti boccacceschi, le storie di notti insonni e sudate.
Quello che riportano le 200 e passa pagine della relazione della Guardia di Finanza sulle mirabolanti avventure di Gianpi Tarantini e di Silvio Berlusconi, è altro. Non è né gossip, né voyeurismo. È invece la fotografia del disastro di un Paese: l’Italia.
Lì dentro, infatti, si narra di un presidente del Consiglio vecchio e senza amici, disposto a vendere la cosa pubblica in cambio di una (o più) scopate.
Per mesi e mesi Gianpi Taratantini, con sistematica metodicità, si è fatto vivo con il premier fornendogli donne su donne. Ha così conquistato la sua fiducia ed è stato ammesso nel gioco grande.
Berlusconi gli ha presentato il capo della Protezione Civile Guido Bertolaso e i vertici di Finmeccanica. Ha spinto perché il suo “comitato d’affari”, composto da imprenditori pugliesi di stretta fede dalemiana, chiudesse contratti da centinaia di milioni di euro. Soldi sui quali Tarantini si aspettava una provvigione.
Solo l’esplosione dello scandalo D’Addario ha impedito che il progetto avesse successo. O forse il successo è arrivato e noi non lo sappiamo. Perché Tarantini finora dei suoi veri segreti non ha voluto parlare.
Ma ormai c’è poco da discutere. Non è più il tempo di analisi e ricostruzioni. È del tutto evidente che un premier così non può rimanere un minuto di più a Palazzo Chigi. E non per quello che ha fatto in privato, ma per quello che intendeva fare coi beni pubblici. Coi soldi dei contribuenti.
Certo, leggendo le intercettazioni e le carte degli investigatori, ci si rende conto che a Berlusconi almeno un’attenuante va concessa: l’incapacità d’intendere e di volere. Da oggi però restano senza alibi quegli esponenti della maggioranza ancora non coinvolti con le molte cricche che stazionano in Parlamento.
Per loro dare al presidente del Consiglio altro tempo vuol dire passare dalla categoria politica dei corresponsabili a quella dei complici. Vuol dire mandare il Paese a picco, avendo la certezza che non riuscirà più a rialzarsi.
Vuol dire rendere chiaro a tutti che i personaggi migliori di questa storia erano e resteranno per sempre le ragazze. Loro, almeno, vendevano solo le parti basse. Gli altri, quelli che ancora stanno accanto al premier, hanno venduto lo stomaco, il cuore e, soprattutto, il cervello.
Invidiosi?
di Massimo Gramellini - La Stampa - 17 Settembre 2011
Putin ha dichiarato a un congresso di imprenditori che chi critica le notti brave del suo amico Silvio è un invidioso. Il gerarca russo appone la sua firma d’autore all’ideologia che ha dettato legge negli ultimi decenni: il Pensiero Unico Turbomaterialista, il cui acronimo PUT richiama benevolmente il suono di una flatulenza.
Secondo tale visione maschilista e totalizzante del mondo, gli esseri umani desiderano soltanto fare orge, intascare mazzette e sculettare in tv, non necessariamente in quest’ordine. È inconcepibile che qualcuno possa nutrire interessi culturali, romantici, spirituali.
Quindi chi fa la morale al PUT è come la vecchietta di De Andrè, che dava buoni consigli solo perché non poteva più dare cattivo esempio.
Ora, nessuno è privo di vizi. Ma contesto l’idea che tutti desiderino quella roba lì. Io, per dire, fra una cena con Steve Jobs e una con la consigliera regionale vestita da suora, preferirei conoscere il vecchio Steve, anche vestito normalmente.
Il fatto che i media (mea culpa) intervistino le squinzie invece delle ricercatrici, non significa che tutte le ricercatrici ambiscano a diventare squinzie.
Esistono ricercatrici felici di esserlo (purtroppo lavorano all’estero), come esistono anziani rappacificati con se stessi che la sera vanno a letto con un buon libro e magari con una persona che amano, ricambiati.
E certo non invidiano chi esibisce o ricerca corpi rifatti, volgarità e ignoranza. Vede, signor Putin, non siamo invidiosi. Solo un po’ imbarazzati per quelli, come il suo amico, che non sono più capaci di ascoltare la voce provvidenziale della vergogna.
Premier a tempo perso
di Andrea Scanzi - Il Fatto Quotidiano - 17 Settembre 2011
“Faccio il primo ministro a tempo perso“. Così Berlusconi a Marysthell Polanco (l’unica donna meno erotica di Livia Turco). Grande scandalo per cotanta affermazione, ma è un’indignazione fuoriluogo: ce n’eravamo accorti da soli.
Dalla rumenta delle intercettazioni baresi, emerge lo squallore che ti aspetti da un satiro tascabile che millanta (“Ieri sera avevo la fila fuori dalla porta, erano in undici. Me ne sono fatte solo otto, non potevo fare di più”) e ha della plebe il rispetto che il lanista Batiato riservava ai gladiatori (“Possiamo decidere del loro destino perché siamo uomini di potere, ma le voglio tutte giovani”).
Mentre già si parla di una riedizione della legge Bavaglio, nella versione tollerata da parte della cosiddetta “opposizione” e ovviamente pronta all’avallo del Grande Monitorante Napolitano, si leggono i consigli intellettuali di Gianpi Tarantini (“Se metti le calze ti ammazzo”, “Vestiti proprio da mignotta! Mettiti un vestito nero corto altezza f…, si deve vedere il pelo appena”) e i vanti pateticamente machisti di un vecchietto erotomane (da leggenda il dialogo con Patrizia D’Addario.
Berlusconi: “Capisco, tu hai subito dei colpi… perché io poi ti ho dato dei colpi pazzeschi ieri… dei colpi che… e ho mantenuto un ritmo anche colossale“. La D’Addario: “Uhms, se lo sai tu…”.
Poi, rivolgendosi a Tarantini: “Mi buttava la coperta addosso e io stavo morendo di caldo (…) Sai, a un certo punto della notte non ci riusciva… niente, ha detto che era… che era la prima volta… Sarà l’emozione, la stanchezza”).
Gran parte della stampa (di destra e sinistra) glissa: guai a guardare dal buco della serratura. Nel solito impeto di erezione facile, Repubblica ieri paragonava Manuela Arcuri alla Magnani perché aveva detto “no” a Berlusconi (è lo stesso giornale che, dopo le europee, creò l’immortale parallelismo Debora Serracchiani-Barack Obama).
Poi, ovviamente, il giorno dopo si scopre che la Arcuri – la stessa degli spot per il Mahatma Marra sullo “strattttegismo sentimentale” – non ha detto no, ma prima di concedersi “voleva vedere il cammello“.
Essere cioè certa dei vantaggi che avrebbe ottenuto dalla ipotizzata copula a tre (featuring la filosofa Francesca Lana). Alla fine non se ne fece di nulla non per moralismi o pudori, ma perché la Arcuri si imbarazzò quando seppe della presenza – la sera dell’agognato ménage – di Paolo Berlusconi a Palazzo Grazioli, amico della manager della “attrice”.
Lo scenario è drammaticamente chiaro: un premier che neanche in Uganda, un giornalismo che neanche in Belize, una pletora di collaborazionisti e cortigiani che va da ex direttori Rai a pseudo-imitatori da Bagaglino.
In tutto questo – c’è arrivato persino Eugenio Scalfari – il problema non è Berlusconi. E’ chi lo vota. Il problema è un paese che da decenni, anzi da sempre, non si innamora dell’uomo forte ma della caricatura dell’uomo forte. Mussolini, Craxi, Berlusconi.
L’attuale primo ministro (a tempo perso) ne è variante e versione estrema: una macchietta derisa da tutti (tranne che da noi), che nemmeno i suoi avvocati si fidano a lasciar solo per una testimonianza (come parte lesa: non c’è abituato).
Un nonnetto che si dice – da solo – che ce l’ha lungo come una sciabola, che mantiene ritmi “pazzeschi” e “colossali”, che “se ne fa solo otto” (e qui il suo elettorato si gasa: daje), che quando fa cilecca racconta balbettando che “è la prima volta che mi capita, sarà l’emozione“. Una barzelletta bonsai e dannosissima.
“Faccio il primo ministro a tempo perso“. Gli italiani, invece, fanno gli italiani a tempo pieno. E i risultati si vedono. Da diciassette anni almeno.
Ps: Che poi, in tutto questo, quello che non capisco è perché Berlusconi copriva il volto della D’Addario con una coperta. Il contrario, casomai: l’estetica è importante, in certi frangenti.
L'Italia sconfitta nella Guerra del Mediterraneo
di Stefano Marcelli - www.globalist.it - 15 Settembre 2011
Oggi Sarkozy, Cameron ed Erdogan sono in Libia. Berlusconi resta a casa e l'Italia subisce una delle sconfitte più pesanti della sua storia.
Due notizie sui giornali di oggi sanciscono la sconfitta italiana sul fronte libico e anche su quello dei nuovi assetti dell'area mediorientale. La prima, clamorosa, è la visita congiunta di Sarkozy, Cameron ed Erdogan in Libia, con al seguito centinaia di aziende dei propri Paesi.
L'assenza di Berlusconi da questa partita segnala la sconfitta italiana sulla presenza economica e politica nella nuova Libia del dopo Gheddafi e anche la perdita dell' egemonia storica di Roma sul Paese petrolifero del Mediterraneo.
Nel dopoguerra gli Stati Uniti avevano assegnato all'Italia un ruolo egemonico sul Mediterraneo sia dal punto di vista militare, dove la nostra flotta aveva preso il posto di quella inglese e quella francese, sia dal punto di vista economico e politico con l' Eni che contrastava soprattutto i francesi sulla gestione delle risorse energetiche nell'area.
Il colpo di Stato che il 1 settembre del 1969 portò il colonnello Gheddafi al potere fu concepito in un albergo di Abano Terme e anche quello incruento di Ben Ali in Tunisia fu gestito dai servizi italiani.
Quando il 27 giugno 1980 fu abbattuto l'aereo Itavia ad Ustica, nel Ciad era in corso uno scontro armato dove le truppe libiche, sostenute da " consiglieri militari " italiani si scontravano con quelle locali fiancheggiate da quelli francesi. La strage sarebbe stata un atto collaterale a quella quasi-guerra tra Italia e Francia.
Oggi Sarkozy, con la guerra di Libia e l'eliminazione di Gheddafi, si sarebbe preso la rivincita su quelle antiche sconfitte e starebbe recuperando oggi le posizioni perdute dalla Francia nell'area del Magreb.
Ma che l'esito della vicenda libica sarebbe stato questo, nonostante le dichiarazioni rassicuranti del buon Frattini, lo si era capito fin dall'inizio, con la recalcitrante adesione del governop italiano alla missione Nato.
Ancora più inquietante è l'altra notizia che ci informa oggi, attraverso le dichiarazioni di un manager di Finmeccanica, che l'amicizia tanto sventolata dal premier con il turco Erdogan si è rotta e il leader di Ankara non vuol nemmeno più vedere il satrapo di Arcore.
Dunque, se l'Italia proprio oggi viene ridimensionata nel Mediterraneo, rischia di restare esclusa anche dai nuovi assetti dell'intero Medioriente, che faranno perno proprio sul neo-ottomanesimo di Erdogan.
A 150 dalla nascita, la nostra Nazione sta subendo oggi una delle più pesanti sconfitte della sua storia.
Come eliminare Silvio Berlusconi?
di Moreno Pasquinelli - http://sollevazione.blogspot.com - 16 Settembre 2011
La "Quinta soluzione"
Chi ci segue sa quanto grande sia la distanza che ci separa dalle forze sistemiche che a vario titolo si considerano antiberlusconiane. Le ragioni di questa distanza sono evidenti.
Queste forze, osservate dal punto di vista della qualità delle loro proposte politico-sociali generali, non sono affatto migliori del nemico che dichiarano di voler defenestrare.
Ove riuscissero a salire al potere un’altra volta, Dio ce ne scampi!, non farebbero nulla di diverso da quanto hanno già fatto.
Da questa premessa, dal disprezzo verso l’accozzaglia antiberlusconiana, alcuni amici ne deducono che … tanto vale tenersi il pataccaro. Giusta la premessa, sbagliata la conclusione.
La ripulsa verso gli antiberlusconiani non giustifica affatto una posizione indifferentista o, peggio, d’indulgenza verso il governo di centro-destra e il suo stregone.
La misura è colma da tempo. Occorre eliminare Silvio Berlusconi, prima è, meglio è. Ma come?
Prendiamo in esame le diverse possibilità contemplate dal senso comune, seguendo un ordine di efficacia decrescente. A seguire i giudizi di merito.
Prima soluzione: metodo D’Alema
Il governo, temendo di andare in minoranza e quindi di cadere, pone la fiducia su uno dei suoi innumerevoli decreti ad personam. Viene battuto per due voti poiché alcune decine di parlamentari passano con l’opposizione.
Napolitano da l’incarico a Casini, che forma un nuovo governo. Accadrebbe in questo caso a Berlusconi quanto già gli accadde nel dicembre del 1994, e quanto capitò il 9 ottobre 1998 a Romano Prodi.
Seconda soluzione: metodo detto di Agrippina
A causa di un complotto ordito da ambienti vicini al Cavaliere, forse “servizi deviati”, forse la CIA, pone un veleno letale nella mozzarella di bufala di cui Berlusconi va ghiotto, il quale crepa dopo pochi istanti. Così morì nel 54 d.C, per mano di sua moglie Agrippina Minore, madre di Nerone, l’imperatore Claudio, a sua volta golosissimo di funghi.
Terza soluzione: metodo Gavrilo Princip
In occasione di una delle numerose pagliacciate pubbliche del Cavaliere, un "pazzo", si fa per dire, gli pianta una pallottola in testa, spedendo nell’al di là il Presidente del consiglio. Proprio come accadde a Sarajevo, il 28 giugno del 1914, all’arciduca austriaco Francesco Ferdinando.
Quarta soluzione: metodo basco
Durante uno dei suoi spostamenti tra un luogo e l’altro, l’auto del Cavaliere salta per aria per oltre trenta metri scavalcando un palazzo di sei piani ed atterrando nel cortile interno del palazzo stesso, a causa di un ordigno di 100 kg di esplosivo collocato sotto la strada. E’ quanto accadde, il 20 dicembre 1973, a Carrero Blanco, successore designato del dittatore spagnolo Francisco Franco.
Quinta soluzione: metodo sanculotto o tunisino
Il combinato disposto dell’esasperazione per la miseria sociale crescente, della collera per la politica antipopolare seguita dal governo, dell’indignazione generale verso il Cavaliere-pataccaro e lo schifo per la casta dei politicanti, causa un’improvvisa sollevazione generale. Una manifestazione spontanea si trasforma in un presidio di massa permanente davanti al Parlamento.
Il presidio si ingrossa a dismisura, fino a prendere d’assalto i tre palazzi del potere: Montecitorio, Chigi e Madama. I manifestanti chiedono alle opposizioni di abbandonare le aule parlamentari.
Il Corriere della Sera afferma che nel paese regna l’anarchia, e si lamenta che le forze preposte al mantenimento della legge sono latitanti. Di fronte al diniego delle opposizioni gli insorti danno vita ad un anti-Parlamento. Berlusconi e alcuni suoi fedelissimi scappano all’estero scampando al linciaggio.
I partiti antiberlusconiani danno vita ad un governo d’emergenza, ma sono divisi sul da farsi: proclamare la Legge marziale? Lasciare che passi la tempesta? Indire nuove elezioni? Gli insorti non vogliono saperne del Governo d’emergenza, a cui non riconoscono alcuna legittimità, e chiedono anzi un’Assemblea costituente, per voltare veramente pagina e fondare una nuova repubblica.
Si apre una partita dall’esito incerto, ma tre risultati la sollevazione li ha ottenuti: la cacciata di Berlusconi, lo sbriciolamento della casta politica e delle vecchie istituzioni, l’insorgenza di un potere sociale costituente.
Va da sé che chi scrive preferisce di gran lunga la Quinta Soluzione. La Prima in quanto si è dimostrata del tutto inefficace nel risolvere il problema ed anche ove lo risolvesse, lascerebbe le cose praticamente come prima.
Le tre successive, chi può negarlo, sono accattivanti (di meno la Seconda, detta di Agrippina), ma hanno l’inconveniente per cui, come si dice, “morto un papa se ne fa un altro” ovvero, si taglia la testa al Drago, ma non viene per niente schiantato il suo corpo sociale, a cui presto spunterebbe una testa nuova, di sicuro ancor più pericolosa.
Neanche prendiamo in considerazione l’eventuale Sesta soluzione (Di Pietro o manettara), ovvero l’ennesimo affondo giudiziario, tutti risoltisi nel nulla. Qualcuno potrà arguire che ci vorrebbe un mandato di cattura.
Ma quale Procura sarebbe pronta, invece di cincischiare su puttane, concussioni, peculati e malversazioni a spiccarlo per Alto tradimento e Attentato alla Costituzione? Nessuna, e anche ove qualcuna fosse disposta a pensare l’impensabile... rimedierebbe questo Parlamento di corrotti respingendo la richiesta.
Non resta dunque che la Quinta. “Ma questa è la rivoluzione”, ci si obbietterà. Appunto, la rivoluzione. E le anime belle farebbero bene a non mettercisi di traverso, che più la frenano più essa sarà devastante.