Berlusconi è minoranza nel Paese
di Peter Gomez - Il Fatto Quotidiano - 13 Febbraio 2011
In questi ultimi anni la politica e il giornalismo italiano sono ruotati tutti intorno a una grande bugia: la falsa convinzione che Silvio Berlusconi e il berlusconismo fossero maggioranza nel Paese.
I numeri, per la verità, hanno sempre detto il contrario. Anche quando Berlusconi era all’apice della sua forza (le elezioni del 2008) mai ha saputo raccogliere il 51 per cento dei consensi.
Il Cavaliere si è invece fermato al 37 per cento dei votanti (cosa diversa rispetto agli aventi diritto al voto), per poi perdere seguito ad ogni tornata elettorale. La grande menzogna, però, è stata ripetuta, raccontata, enunciata e analizzata talmente tante volte, da finire per essere presa per vera.
Con rassegnazione, e senza necessariamente riferirsi solo al Cavaliere, in molti dicevano che il nostro Paese ha la classe dirigente che si merita. Che una nazione fatta di furbi, di evasori fiscali, di fannulloni, di corrotti e di raccomandati, poteva solo essere rappresentata da Berlusconi e dai suoi vari cloni.
Ebbene, si sbagliavano. L’Italia era (ed è) un’altra cosa. Gli italiani – sia a destra che a sinistra – sono in maggioranza un popolo straordinario. Fatto di donne e di uomini che si ammazzano (quando ce l’hanno) di lavoro. Che s’impegnano in quasi 500.000 organizzazioni di volontariato. Che vanno all’estero (4 milioni) per riuscire a fare quello che in patria è impossibile. Questo non è (solo) il Paese delle mafie più potenti del mondo, della classe politica più corrotta di tutta l’Europa occidentale.
Questo è, invece, il Paese di Giovanni Falcone, Francesca Morvillo e Paolo Borsellino, delle associazioni anti-racket, della Confindustria e dei commercianti che in Sicilia dicono di no al pizzo. È il paese di Giorgio Ambrosoli, di Libero Grassi, di Peppino Impastato, dei giornalisti minacciati in Calabria, dei poliziotti che si pagano da soli la benzina per le loro auto, dei dipendenti pubblici che si portano da casa i computer per far funzionare i loro uffici, degli operai che occupano le fabbriche e salgono sui tetti chiedendo solo di poter lavorare.
L’Italia, insomma, è molto meglio di chi al Governo e in Parlamento immeritatamente la rappresenta. E in questa domenica di febbraio, grazie alle donne, cominciamo ad accorgercene.
Mai prima d’ora si era assistito a manifestazioni tanto imponenti organizzate non dai partiti, ma dalla gente. Centinaia di migliaia di persone sono scese in piazza non per moralismo, ma per dignità. Senza odio, senza violenza, hanno detto che loro alla grande bugia non ci stanno più.
Berlusconi che pure, grazie alla compravendita dei deputati, ha ancora la maggioranza alle Camere, è sempre più minoranza nel Paese. Come dimostrano i vari flop delle manifestazioni organizzate dal Pdl, anche tra chi ha votato il Cavaliere è ormai difficile trovare qualcuno disposto a spendersi per lui.
Il Re, non solo metaforicamente, è nudo. Inutile però illudersi. Il presidente del Consiglio non si dimetterà. Non lo farà ora. Per costringerlo a lasciare ci vorranno molti altri 13 febbraio, molte altre piazze, e una finalmente chiara richiesta di elezioni anticipate.
Solo così chi in Parlamento milita al fianco di Berlusconi- non per lealtà, ma per interesse – azzarderà due calcoli. E comincerà a capire che reggere il sempre più pesante trono di un vecchio Sultano in agonia non conviene. Perché al momento dell’inevitabile caduta tutta la corte finirà travolta.
Stanno tutti bene
di Marco Travaglio - Il Fatto Quotidiano - 13 Febbraio 2011
Inutile negarlo, abbiamo preso un “buco”. E dal Giornale di Sallusti (quello che parla con Cavour e Garibaldi in tv). Abbiamo cercato in lungo e in largo le foto che dovevano smentire B. sulle “feste innocenti ed eleganti” ad Arcore e a villa Certosa, e invece sono arrivati prima i segugi del Giornale: quelli che han bivaccato per un annetto tra Montecarlo e Saint Lucia, che Maurizio Porro voleva distaccare a Mantova per dare una ripassatina alla Marcegaglia (nel frattempo rientrata nei ranghi), e che ora, rientrati sul suolo patrio, han dato a tutti una bella lezione di giornalismo investigativo.
Con comprensibile soddisfazione, lo zio Tibia è lieto di annunciare in esclusiva mondiale: “Ecco le foto… Le abbiamo rintracciate e regolarmente comprate… Ragazzi e ragazze ospiti in una delle ville più belle del mondo in uno dei posti più belli del mondo. Ridono e scherzano tra loro, si fanno immortalare al fianco del presidente del Consiglio… Su queste immagini si sono costruite leggende metropolitane, evocate orge e altre cose simili”, insomma un odioso “gioco al massacro innescato da pm spioni e alimentato da giornali senza scrupoli”.
Segue intervista del segugio alla “ragazzina spaventata e offesa” che le ha scattate e vendute, Roberta, l’amica del cuore di Noemi, che con lei trascorse la settimana di Capodanno 2008-2009 a villa Certosa. Siccome allora le due erano minorenni, ce ne sarebbe abbastanza per sbugiardare B che giurò a Vespa “mai frequentato minorenni”. Ma non sottilizziamo.
Anche perché forte è l’emozione nello scorrere le foto di questa ragazza un po’ sovrappeso che avvinghia il Cainano per la foto ricordo, fa le boccacce con Noemi e immortala scene da campo rom tipo il giaciglio in disordine e la padella con qualche fetta di pane raffermo.
Ancor più prorompente la commozione nell’apprendere dalla viva voce della supertestimone, pagata e intervistata dal Giornale del premier, che il premier è un gran signore: “Sempre comportato correttamente, nessuna avance, mai… semplici cene con canzoni, balli, barzellette. Poi due chiacchiere e tutti a nanna”.
Soldi? No, anzi sì, ma solo “2 mila euro” più “i soliti regali che in genere uno zio fa a una nipote”. Oddio, ma non bastava Mubarak come zio? Roba da toccarsi.
A parte lo sputtanamento di un vecchio latrin lover che invita 40 ragazze per Capodanno e poi si limita alle barzellette, bisognerebbe fare causa alla Minetti, che prima di una festa “briffava” l’amica con queste parole: “Ne vedrai di ogni. Ci sono varie tipologie di persone: la zoccola, la sudamericana, quella un po’ seria, la via di mezzo e poi io che faccio quel che faccio”. Il premier ci perdoni se insistiamo: ma è proprio sicuro che tutti quei soldi spesi per queste foto servano alla Causa?
Abbiamo come l’impressione che il formidabile scoop di Sallusti sia l’ennesimo autogol che i signorini grandi firme di Arcore stanno insaccando nella porta del padrone. Perché da ieri le altre foto, quelle osè, che naturalmente esistono e terrorizzano Papi, assumono un rilievo ancor più pubblico di prima: nessuno, uscite queste, potrà più menarla con la privacy se usciranno le altre.
No, Cavaliere, così non si può andare avanti. Ma l’ha visto Ferrara al Dal Verme, sotto le mutande appese, che urla come un ossesso “voglio il Berlusconi del ’94 che va in tv col contraddittorio, non è mica Breznev!”. Glielo ricorda lei che non è mai andato in tv col contraddittorio, o dobbiamo pensarci noi?
L’ha visto il ministro La Rissa che scalcia come un mulo Corrado Formigli, poi si mette a strillare come un moccioso che chiama mammà e lo fa trascinare via dalla Digos (mai che portino via quello giusto).
L’ha vista la sottosegretaria Santanchè con quattro gatti e due comari che ulula sotto il tribunale di Milano? Sarebbero questi i fedelissimi che dovrebbero salvarle la faccia? Non vorremmo che, con simili amici, lei dovesse rimpiangere Tartaglia.
Non ci concentriamo sulla mutanda
di Massimo Fini - Il Fatto Quotidiano - 12 Febbraio 2011
Il Tg1 di Minzolini, dopo averci inflitto nei giorni scorsi la comica intervista in ginocchio di uno spaventato spaventapasseri a Silvio Berlusconi, l’altro ieri ci ha presentato il debordante, equilibrato, equo, non fazioso Giuliano Ferrara in un monologo di parecchi minuti sul “moralismo, il bacchettonismo, lo Stato Etico” (poteva mancare lo Stato Etico?) che è patrimonio della sinistra in generale e che si è scatenato sulle recenti vicende giudiziarie che coinvolgono l’onorevole Berlusconi.
Se fossimo di destra potremmo dire, come sempre fan loro, che “mancava il contraddittorio” cosa grave in un talk-show e ancor più nel primo telegiornale della televisione di Stato.
Si sarebbe per esempio potuto obiettare a Ferrara, per quanto riguarda il moralismo sessuale, che quelli della sua parte quando viene arrestato un presunto stupratore dicono “In galera subito, e buttare via le chiavi”.
Non vale per costui la presunzione di innocenza. Non vogliono nemmeno il processo. Come per Berlusconi. Con questa differenza: il premier è innocente “a prescindere”, l’altro è colpevole a priori.
Comunque Ferrara ha potuto evoluire a suo comodo e ha avuto buon gioco. Perché effettivamente la sinistra è moralista, è bacchettona e su quello che impropriamente viene chiamato “il caso Ruby” si è concentrata sugli aspetti morbosi e pecorecci di quanto accadeva in casa Berlusconi.
Sulla “prostituzione minorile” la cui prova è assai difficile e dubbio, nella fattispecie, lo stesso reato perché, sempre ammesso e non concesso, che il Cavaliere abbia trafficato sessualmente con Ruby, oggi una ragazza di 17 anni è minorenne solo per l’anagrafe (per cui sarebbe bene, nei reati sessuali, abbassare l’età minorile, oggi ci sono in circolazione delle autentiche “mine vaganti”) e non è che uno, prima di andarci a letto, possa chiedergli la carta di identità.
Ma il fatto è che quella che è in ballo non è affatto una “questione morale”. È una questione penale. Non riguarda fatti avvenuti nella sua privatissima e sacralissima casa (che è tale quando gli fa comodo, mentre vi si fanno incontri istituzionali che, per decenza, dovrebbero svolgersi altrove), ma un atto compiuto fuori dalle sue mura, pubblico e privato, senza che ci sia di mezzo alcuna intercettazione, ammesso dallo stesso presidente del Consiglio: la telefonata notturna alla Questura di Milano che concretizza il reato di concussione.
Dice l’articolo 317 del Codice penale: “Il pubblico ufficiale che abusando della sua qualità o delle sue funzioni costringe o induce taluno a dare o a promettere, indebitamente, a lui o a un terzo, denaro o altra utilità è punito con la reclusione da quattro a dodici anni”.
La concussione è “in re ipsa”, cioè nella telefonata stessa del presidente del Consiglio che è in sé un’indebita pressione, anche se i poliziotti non avessero poi seguito i “desiderata” di Berlusconi, anche se sotto interrogatorio invece che una bella ragazza ci fosse stato un ragazzo o un adulto o chicchessia.
È questa evidenza del reato che ha permesso alla Procura di Milano di chiedere il rito immediato. Che sia poi competenza del Tribunale di Milano o di quello “per i ministri” è un’altra questione, ma il fatto stesso che ci si riferisca al “Tribunale per i ministri”, conferma che siamo di fronte a un abuso compiuto dal presidente del Consiglio nell’esercizio delle sue funzioni.
Ma le sinistre hanno preferito concentrarsi sulla mutanda. Dando così modo a Giuliano Ferrara di apparire dalla parte della ragione, mentre ha torto marcio.
"Il Caimano c'era già e tanti gli somigliano". Intervista a Nanni Moretti
di Norma Rangeri - Il Manifesto - 11 Febbraio 2011
«Sono stato attento». Nanni Moretti rompe il lungo silenzio di questi anni e torna a parlare dell'Italia del Caimano, di quel che il suo film aveva visto, di quel che forse gli italiani non vedono più, avvolti e sopraffatti da un conflitto di interessi che ci ha cambiato. Il celebre film di Moretti è nei cassetti della Rai. Pur avendolo acquistato cinque anni fa per 1 milione e mezzo di euro, non ha avuto il coraggio di mandarlo in onda.
Oggi quella scena finale, con la molotov che parte dalla folla contro i magistrati che hanno osato processare il Politico, potrebbe uscire dalla fiction e diventare cronaca? E sono "golpisti moralisti" quelli che si ostinano a chiedere il rispetto delle regole, della divisione dei poteri? E perché la sinistra per avere credibilità deve spendere il nome di uno scrittore come Saviano? L'intervista con Nanni inizia promettente: «Dunque».
Esce solo a tarda sera dal lavoro finale del suo film. In tutti questi anni Nanni Moretti non ha mai accettato di rilasciare interviste. Nonostante le richieste di giornali e televisioni, italiane e straniere.
Tutti volevano chiedergli del Caimano, di quella scena finale, quando i sostenitori di un Politico, finalmente processato, e condannato, lanciavano una molotov contro il Tribunale. E oggi che quello scenario sembra avvicinarsi, Nanni rompe il lungo silenzio. Trascinato proprio dal rifiuto della Rai di trasmettere Il Caimano.
Perché non hai più voluto parlare?
Perché mi imbarazzava dire: «Visto?».
Ma come avevi fatto a "vedere", cosa ti aveva ispirato quella scena?
Quelle fiamme sono macerie simboliche: costituzionali, istituzionali, culturali. Macerie che si lascia alle spalle l'avventura politica di Berlusconi. Il fatto è che ci siamo abituati un po' tutti, anche elettori e elettrici di sinistra, a cose che in una democrazia non sono per niente normali. E uno dei compiti del cinema è mostrare quello che ancora non riusciamo a vedere o quello che non riusciamo più a vedere. Berlusconi, il politico intendo, queste cose le ha sempre dette e sempre fatte. Le sue aggressioni alla magistratura non sono una novità. Sono stato un po' attento.
Pensi che oggi, con l'assalto alle istituzioni, si potrebbe andare oltre la molotov?
Non lo voglio prendere nemmeno in considerazione. Purtroppo, la cosa strana, molto italiana, è questo revanchismo da parte di persone che si identificano in forze politiche che sono state quasi sempre al governo, al potere in questi 60 anni.
Al Caimano i berlusconiani contrappongono 'Le vite degli altri', lo stato comunista spione.
Ma non è vero che si preoccupano di non far intercettare la gente. È vero che Berlusconi non si difende mai nei processi. Questo slogan «è stato sempre assolto» è una mistificazione. È stato condannato a un anno per falsa testimonianza (poi gli è stata tolta) sulla P2. Ci sono state prescrizioni, leggi fatte apposta per lui. E poi la condanna di Previti per aver corrotto i magistrati: per conto di chi se non di Berlusconi?
Attraverso i tuoi film si legge un pezzo della nostra storia politica e culturale. E proprio oggi la Rai non vuole mandare in onda il Caimano.
Uno dei tanti motivi per cui io venticinque anni fa ho fatto, con Angelo Barbagallo, una casa di produzione, la Sacher, era che volevo io scegliermi i finanziatori dei miei lavori e una delle poche cose che dissi da subito a Barbagallo fu: «Se i nostri film hanno bisogno di cooproduzioni con reti televisive, io non voglio essere finanziato da reti Fininvest, come si chiamavano allora. Dico questo perché tra registi e scrittori c'è chi può scegliere e chi non può, e tra quelli che possono scegliere c'è chi non sceglie nemmeno nel 2011. Ecco io ho scelto venticinque anni fa. Non sono per niente d'accordo, anche se succedono cose come quelle di questi giorni, con chi dice «va bene, tanto televisione pubblica e tv privata sono la stessa cosa». No, io voglio lavorare con la televisione pubblica. Già venticinque anni fa nelle tv di Berlusconi c'era una visione del mondo che mi dava disagio.
Ti riferisci alla polemica scoppiata con il caso Mondadori?
Ci sono delle cose che mi tengo molto dentro. Non sono entrato nella polemica sulla Mondadori perché chiunque voglia sapere le cose, le sa, magari non le ricorda. Ma quello è un altro discorso.
La tua storia di cooproduzioni con la Rai è antica e non sempre pacifica.
Da Notte Italiana di Mazzacurati e Domani accadrà di Daniele Luchetti, i primi due film che abbiamo prodotto, ho cercato la Rai. E sempre abbiamo proposto i nostri film, Caimano escluso, ma compreso quest'ultimo che sto finendo, Habemus Papam. E abbiamo sempre collaborato. Tranne una volta: Il Portaborse. Il film uscì un anno prima dell'esplosione degli scandali delle tangenti, era il '91. Allora non c'era Raicinema, si facevano le proposte alle singole reti. Per evidenti motivi non lo proponemmo a Raidue, la rete del Psi. Raiuno invece disse di no facendomi capire che non era per motivi estetici. Raitre disse di no facendoci invece osservazioni sulla sceneggiatura.
Perché il Caimano non lo hai voluto coprodurre con la Rai?
Preferivo stare tranquillo. Poi il film è uscito nel 2006 e dopo l'abbiamo offerto alla Rai che lo ha acquistato per 1 milione e mezzo di euro, che non è poco. Lo poteva mandare in onda già nel 2008. Io non ho mai detto niente, non mi piace fare la vittima anche quando come in questo caso ne avrei motivo.
Sei un golpista moralista?
Beh, capisco che possa venire a noia ripeterlo per 17 anni, ma il problema è il controllo televisivo. Noioso, ovvio, banale e grossolano ripeterlo, ripeterselo, ripeterlo agli altri per 17 anni, però non è grossolano dirlo, è grossolana la realtà italiana. Tante persone hanno solo la tv e solo certe reti televisive come rapporto con il mondo. E questo continua a contare tantissimo. Certo poi ci sono anche molti italiani che sono come lui o vorrebbero esserlo. Berlusconi non solo ha formato gli italiani, portandoli un po' più in là, ma è un italiano tipico, uno di quelli che non rispettano le regole, le istituzioni, il senso dello stato.
La sinistra non l'ha capito. E ciclicamente sembra svegliarsi. Ora la società civile si muove. Il Palasharp a Milano, il 13 febbraio a Roma.
Tutto è importante, anche la manifestazione che ci sarà domenica prossima e alla quale naturalmente andrò. Ma andando indietro al '94, lì c'era una situazione straordinaria, in senso negativo, per la democrazia. Ci voleva una sinistra straordinaria, con personalità straordinarie, in grado anche di gesti simbolici non ordinari. Quello che colpisce, oggi, è che non c'è una persona tra le centinaia di quadri politici berlusconiani, che dica che Berlusconi ha un po' esagerato. Nessuno. Né uomo, né donna.
In queste ore Berlusconi ha riunito direttori di giornali e tv a palazzo Chigi. L'informazione è blindata.
Nove anni fa quando facemmo il girotondo davanti alla Rai, ricordavamo che quello era un problema gigantesco. Una concentrazione mediatica impossibile anche per un uomo non impegnato in politica. Eppure tante persone di sinistra si sono stancate di dirlo agli altri e anche a se stesse.
Dove si può arrivare?
Si è già arrivati, la testa delle persone è già cambiata. Come attore, nel Caimano, non mi interessava né la parodia né l'immedesimazione. Volevo riproporre, freddamente, la pericolosità di quelle parole. Che tutti avevamo sentito e continuavamo a sentire. Che però, forse perché filtrate attraverso quello strumento così familiare e ovattante che è la tv, non facevano più impressione. Volevo restituire quella minaccia.
Nel 2002 era Moretti, oggi è Saviano?
Non penso che Saviano abbia alcuna intenzione di fare altro da quel che già fa. È una persona che ha credibilità. La credibilità è una cosa importante. Ci sono persone che ce l'hanno e altri no.
Perché adesso hai scelto il papa?
Non il papa, ma un papa depresso.
Lotta alla Mafia: 10 domande al Ministro Maroni
di Elio Veltri - www.antimafiaduemila.com - 13 Febbraio 2011
Lo strabismo del governo - I silenzi delle opposizioni - Le omissioni dell’informazione.
Dieci domande al Ministro Maroni
1) Il governo vanta grandi successi nella lotta alle mafie e a conferma televisioni e giornali informano i cittadini sugli arresti quotidiani. Gli arresti sono necessari. Ma lei pensa davvero che sono sufficienti per sconfiggere le mafie?
2) Ogni anno per traffico di droga vengono arrestate 40-50 mila persone e sequetrate tonnellate di stupefacenti. Ma le mafie sono più potenti di prima. Non pensa che amplificando le informazioni riguardanti solo gli arresti passa un messaggio fuorviante e sbagliato?
3) E’ d’accordo che per sconfiggere le mafie è necessario colpirle al cuore e che il cuore delle mafie sono: azioni e altri titoli, soldi e beni, rapporti sociali e politici?4) A noi risulta che i beni mobili e immobili delle mafie italiane vengono valutati oltre 1000 miliardi di euro. Se confiscati, utilizzati bene e venduti, potrebbero risolvere il problema del debito pubblico. Lei può confermare? Il governo ha fatto fare una valutazione? E’ in grado di dire agli italiani come sono distribuiti e possiede una stima attendibile della ricchezza delle mafie per settori quali beni immobili, titoli e soldi liquidi, partecipazioni nell’economia legale?
5) Il Procuratore Grasso scrive che i beni sequestrati equivalgono al 10 per cento e che i beni confiscati costituiscono il 5 per cento dei beni totali delle mafie italiane. Può spiegare agli italiani perchè i beni mafiosi non vengono confiscati se non in minima parte?
6) A noi risulta che del 5 per cento dei beni confiscati il 70 per cento non è utilizzato e che nonostante il governo ne abbia deciso anche la vendita, da noi condivisa, non vengono venduti. Può spiegare perchè i pochi beni confiscati non vengono nè utilizzati nè venduti? Può dire a che punto è l’Agenzia per la confisca dei beni e come funziona?
7) Una delle cause è costituita dai tempi lunghissimi( anche 10-12 anni) che passano tra il sequestro e la confisca. Può dire agli italiani se il governo ha intenzione di ridurre i tempi e se si pone l’obiettivo di procedere ad una confisca più rapida ed efficace dei beni mobili e immobili e quale uso intende farne?
8) I soldi e i titoli sono nascosti nei paradisi fiscali. Può dire se il governo ha in programma di intervenire direttamente e anche con una iniziativa forte nell’Unione Europea proponendo misure drastiche quali forme di embargo finanziario e divieto di aprire sedi di società e di banche italiane al fine di ottenere la collaborazione dei governi dei paradisi fiscali?
9) Il reato di riciclaggio è fondamentale per ripulire i soldi sporchi. In italia i processi per riciclaggio sono pochissimi perchè la legge non funziona e va modificata. Il governo intende introdurre il reato di autoriciclaggio e ridurre ulteriormente l’uso di denaro contante?
10) La direzione distrettuale antimafia di Milano diretta da Ilda Bocassini, con la collaborazione dei magistrati di Reggio Calabria, ha condotto una grande inchiesta sulla ndrangheta. In Lombardia sono state individuate 20 “ locali”dell’organizzazione criminale e i rispettivi capi. La presenza è particolarmente consistente a Pavia, Milano e nelle province del nord della Lombardia, dove la Lega ha una forte presenza elettorale e politica. Dall’inchiesta sono emersi rapporti politici e di affari. Come mai nessun Prefetto ha nominato una commissione di accesso per verificare se alcune amministrazioni comunali e provinciali andavano sciolte? Può confermare se questa è la linea del ministero dell’interno?
Finalmente non sto più con La Russa
di Filippo Rossi - Il Fatto Quotidiano - 12 Febbraio 2011
Adesso ve lo dico per come me la sento, senza compromessi, senza peli sulla lingua. Voi potete non crederci, ne avete tutta la facoltà e tutto il diritto. Potete anche prendermi a sberleffi: me li prenderò tutti, senza fiatare. Perché me li merito quasi tutti.
Vedendo le immagini di Ignazio La Russa (è ancora un ministro della Repubblica?) prendere a calci il giornalista di Annozero Corrado Formigli che tentava di fargli una domanda sul bunga bunga berlusconiano e sulle prostitute minorenni ho pensato di getto: finalmente sto da un’altra parte, finalmente sto dalla parte giusta.
Vedere quel ministro comportarsi come un teppista di strada mi ha fatto provare schifo e vergogna per dove sono stato, volente o nolente poco importa, per tanti anni, troppi anni. È stato un pensiero di liberazione personale e psicologica. Potete non crederci e io al posto vostro, forse, non ci crederei, ma la spaccatura culturale e antropologica all’interno della destra italiana non è roba di qualche mese fa. C’era chi stava altrove anche stando lì dentro.
C’era chi si era illuso che tutto poteva essere cambiato, migliorato. Non era vero. È stato un grandissimo errore umano prima che politico. Ne siamo usciti con un urlo di liberazione. Finalmente possiamo vedere Ignazio La Russa con gli occhi di chi può dire: io non c’entro, io non c’entro più con quella gente.
Le donne ai tempi di B.
di Laura Cucci - Megachip - 12 Febbraio 2011
«Perché se io saprei che mia figlia mi diventerebbe velina, porco il mondo che c'ho sotto i piedi, viva ce la faccio mangiare!!!»
Per rabbia e per reazione omeopatica, la dico alla maniera di Vito Catozzo.
Nel 1983, quando è andata in onda la prima puntata di Drive In, avevo sedici anni e tra i miei sogni non c’era quello di rifarmi il seno raggiunti i diciotto per poterlo scodellare in televisione come le “ragazze fast food”. Oggi non posso non pensare quanto quel termine così umiliante fosse presago di tutto quello che poi sarebbe venuto.
Antonio Ricci e Ezio Greggio oggi mettono le mani avanti, fra uno spot e un altro in casa Mediaset, e dicono che la loro tv sgallettava le donne con ironia, anzi, persino con senso critico. Sarà.A me risulta che portavano acqua al mulino delle armi di distrazione di massa, e sacrificavano centimetro dopo centimetro ogni argine di decenza, anche loro, dentro il messaggio martellante di quel modello televisivo coordinato, sinergico, implacabile. Un’ideologia che aveva già deciso il posto delle donne.
Veline, paperette, letterine, letteronze, schedine, donne usa e getta, pezzi di carne da utilizzare per vendere ogni cosa, da consumare in fretta: ragazze fast food. Il messaggio della televisione commerciale, che in Italia ha un solo padrone-pappone, è in sintesi estrema questo: tutto si compra perché tutto ha un prezzo.
Leggere le notizie in questi giorni è sempre un urto allo stomaco, un continuo al peggio non c’è fine, tra l’imbarazzante silenzio di Quirinale e Vaticano, e il disprezzo sempre meno sussurrato di tutte le donne del presidente.
Perché un festino – al di là di ogni considerazione morale e gusto personale – è fatto da adulti consenzienti che si dilettano con reciproca soddisfazione. Qui anche il più libertino vedrebbe una cosa totalmente diversa: un mesto simposio in cui vecchi clown in declino strafatti di viagra sfogano i loro istinti più decrepiti su giovani ragazze che sperano che tutto finisca il più presto possibile per andarsene via, magari scortate da poliziotti o carabinieri, con la busta dei contanti, la promessa di un bonifico, o di un incarico politico strapagato e senza merito, a spese nostre.
Nel delirio di onnipotenza dei suoi monologhi, il padrone grida al complotto, inveisce contro una presunta lobby golpista antiberlusconiana e millanta un consenso universale che lo spinge ad andare avanti contro il suo stesso interesse, spalleggiato da Giuliano Ferrara, quello che si proclamava “ateo devoto” e ora fa il guardiano del porcile.
Il 13 febbraio 2011 è perciò un giorno importante, per il ritrovarsi in piazza delle donne e degli uomini di questo paese che chiedono con forza rispetto per la dignità femminile: per affermare che la maggior parte delle donne italiane lavora, studia, si impegna e si ingegna per sé, per la propria famiglia e quindi per il decoro di tutto il paese. Sì, decoro, decenza: «convenienza d’atti e di cose proporzionata alla condizione di donne e uomini onorati».
La maggior parte delle donne italiane non desidera per sé, per i propri figli né per i giovani e le giovani, successo e soldi facili da raggiungere a costo della mercificazione del proprio corpo e della propria anima.
E' ancora una maggioranza, una moltitudine che si indigna per la sessualizzazione precoce dei bambini, ammiccanti nelle pubblicità, dove le lolite sono sempre più piccole per creare – a che prezzo – un nuovo segmento di consumatori.
E prova ancora un disagio furibondo, anche se non si è ancora tradotto in risposta politica, di fronte ai bambini e le bambine ridotti a piccoli mostri che cantano di sesso e passione, oscenamente usati dalla televisione. Si indignano per il modello relazionale tra uomini e donne proposto dalle massime istituzioni di questo paese e vogliono dire basta.
Mi ha commosso l’operaia vista ad Annozero, mentre rivendicava l’ultima riga della sua busta paga di un mese, 1050 euro, un settimo di una busta post bunga bunga: «questo è il mio attestato di dignità». Se in televisione ci sarà un ritorno alla realtà, quella donna ci rappresenterà.
Ormai è abbastanza chiaro. C’è qualcosa che non va. La qualità della vita è decisamente migliorata rispetto al passato, o almeno così si suol dire, ma c’è qualcosa che stride, che non convince un numero sempre più elevato di individui.
Anche una volta raggiunti questi incredibili e mai sufficientemente elogiati livelli di “progresso” e benessere (definizione molto opinabile, perché il benessere è ormai stato soppiantato dal “tantoavere”), probabilmente si possono ottenere ulteriori e più reali miglioramenti.
Per esempio, liberarci dagli stili di vita consumistici odierni potrebbe farci vivere meglio sia per le innumerevoli tensioni e frustrazioni che si possono evitare, sia per il fatto di poter vivere in un ambiente meno oberato di rifiuti.
Quando ci renderemo conto del fatto che le cose sono spesso ladre di tempo, che ciò che possiedi alla fine ti possiede (per dirla con Fight Club), ci si potrà trovare in una situazione di tranquillità e di lucidità tali da darci modo di riapprezzare la vita così com’è, senza tutti i fronzoli artificiali che ormai sostituiscono le vere bellezze e i veri piaceri. Che non sono necessariamente la borsetta firmata o gli occhiali da sole all’ultimo grido.
Quelli sono giocattoli che possono ovviamente dare un certo piacere, ma che non dovrebbero, come invece succede troppo spesso oggi come oggi, sostituire cose ben più importanti, o sostituire la bellezza del mondo e della vita che non sappiamo più vedere.
Una volta fatto nostro questo concetto, ci si può automaticamente liberare dalla schiavitù del produttivismo forsennato e di una società basata sulla fretta e sulla frenesia. Lavorare meno può non solo migliorare la qualità della nostra vita, ma probabilmente anche ridurre in parte i problemi legati alla disoccupazione che assillano le nostre società composte per lo più di persone totalmente dipendenti dal mercato.
E i soldi in meno che si guadagnano non sono un problema, se si sono ridotti i propri bisogni superflui. E lo sarebbero ancor meno se si riuscisse davvero ad avere il tempo e la capacità di auto-prodursi almeno una parte dei propri beni e dell’energia necessaria alle proprie abitazioni.
Tutto ciò è possibile anche dopo una presa di coscienza da parte della razza umana del fatto che non siamo superiori agli altri esseri su questo pianeta. Abbiamo indubbiamente capacità intellettive ben più sviluppate (che dovrebbero appunto dotarci di una maggiore coscienza), ma non siamo i padroni del mondo. Siamo addirittura una specie incredibilmente giovane rispetto alle altre.
È stato calcolato che se si considera l’età della Terra lungo l’arco di un anno di tempo, la nostra specie è comparsa negli ultimi quindici minuti del 31 Dicembre. Se invece si considera la storia registrata e “documentata”, questa rientrerebbe solo negli ultimi sessanta secondi!
E il fatto di essere responsabili, con il nostro comportamento, con il nostro inquinamento, dell’estinzione di un numero di specie che va dalle 50 alle 55 mila ogni anno, dovrebbe fare riflettere. Nonostante i nostri incredibili risultati tecnologici, medici, farmaceutici ecc, abbiamo moltissimo da imparare dai più piccoli ed umili esseri di questo pianeta.
Basti pensare alle incredibili e tuttora misconosciute proprietà terapeutiche e curative di certe specie di piante o funghi, alla resistenza di alcuni tipi di conchiglie o semplicemente a quella di una ragnatela, in proporzione cinque volte più resistente dell’acciaio. Il tutto “prodotto” sempre silenziosamente, a temperatura ambiente e senza produrre rifiuti.
Viviamo in totale disarmonia con ciò che ci circonda. Una volta resisi conto di ciò, si possono fare scelte che possono dare realmente inizio ad un cambiamento. Un cambiamento in positivo, possibilmente non solo a parole e non fatto solamente di buone intenzioni. Dire che dobbiamo salvare il Pianeta, comunque, è abbastanza ridicolo.
La Terra va avanti anche senza l’essere umano, baby-specie, come ha sempre fatto prima e come farà appunto anche dopo di noi. Semmai dobbiamo salvare noi stessi, oltre ovviamente le migliaia di specie che stiamo sopprimendo quotidianamente.
Come è possibile? Visto che non dobbiamo aspettarci nulla dall’attuale sistema corporativo, guidato per sua stessa natura dal solo perseguimento di profitti sempre più cospicui ed immediati, né tanto meno dai governi, che al suddetto sistema si sono venduti (quando non ne fanno addirittura parte: si pensi al politico/imprenditore Berlusconi o ai Bush, famiglia di petrolieri), sta a noi cambiare le nostre abitudini.
Gradualmente, con impegno e costanza. Il che non vuol dire fare voti di povertà o di rinuncia, né vivere di stenti, ma semplicemente cambiare alcune delle assurde abitudini che ci hanno inculcato, e soprattutto decidendo con più criterio cosa comprare o, ancor meglio, cosa non comprare.