L'esercito mercenario africano di Gheddafi: la disinformazione made in CIA
di Wayne Madsen - www.strategic-culture.org - 4 Aprile 2011
Esperti del continente africano, che conoscono molto bene la situazione libica, sostengono che le storie diffuse dai media occidentali, i quali raccontano che il leader libico, Muammar Gheddafi, si affida anche ai servizi di mercenari di colore provenienti dal Sahara e dall’Africa sub-sahariana, sono una manovra di disinformazione da parte della CIA per alimentare i ribelli libici contro Gheddafi con un’ondata di razzismo.
Le fonti occidentali "riferiscono" che Gheddafi ha assoldato mercenari di colore africani per la lotta contro i ribelli libici.
Il risultato è stato che migliaia di lavoratori neri africani in Libia sono stati attaccati da folle inferocite che hanno creduto alla propaganda occidentale. Il ruolo del presidente Obama nel sostenere questa macchinazione della CIA per alimentare la rabbia dei ribelli libici non è stato preso bene dalla comunità afro-americana.
Un leader attivista afro-americano di Washington ha scritto una e-mail che dichiarava: "non esigete maggiore senso di responsabilità da parte di un presidente nero rispetto ad uno bianco, perché riceverete solo una cosa: niente”.
Le agenzie di stampa occidentali hanno riferito che i ribelli libici hanno cominciato la "caccia" al nero.
Pensando di catturare collaborazionisti pro-Gheddafi, imprigionano invece semplici lavoratori che si trovano in Libia in cerca di lavoro nel campo petrolifero, agricolo e edilizio, scappati dai loro paesi economicamente depressi. Ironia della sorte, la maggior parte dei neri cacciati vengono dal Kenya, la terra che secondo le affermazioni di Obama è la sua “casa paterna dei suoi antenati”.
Altri africani, bloccati in Libia e sottoposti all'assalto razziale degli arabi libici, provengono dal Sud Sudan, dall’Uganda, dalla Sierra Leone, dalla Tanzania, dalla Somalia, dall’Etiopia, dal Ghana, dal Ruanda, dal Burundi, dall’Uganda, dalla Repubblica Democratica del Congo, dal Lesotho, dallo Zimbabwe, dallo Zambia e dalla Nigeria. Un milione e mezzo di lavoratori neri africani sono vissuti in pace in Libia prima dello scoppio della guerra tra Gheddafi e le forze ribelli.
Solo pochi africani sono riusciti a scappare, ma la maggior parte di loro sono costretti a nascondersi nelle loro case e fuggire verso squallidi campi profughi in Egitto, in Tunisia e in Sudan. Anche i lavoratori dalla pelle scura non africani provenienti dal Bangladesh, non sfuggono all'ira dei ribelli libici.
Altri africani, in particolare quelli provenienti dal Niger, dal Mali, dal Gabon, dal Ciad e, sono lì in seguito ai progetti di sviluppo finanziati nei loro paesi da Gheddafi ed essi hanno risposto andando in Libia come volontari a sostegno di Gheddafi.
Tuttavia, questi volontari sono stati bollati come mercenari dai media occidentali e dall’intelligence. L’Algeria ha respinto le accuse che i suoi cittadini siano stati inviati in Libia per combattere come mercenari per Gheddafi.
Il Sunday Mirror di Londra ha pubblicato un articolo discutibile, il quale sosteneva che il 27 marzo il figlio di Gheddafi, Seif al-Islam Gheddafi, era andato in Zimbabwe, ad arruolare un esercito africano per aiutare le forze di suo padre.
La relazione afferma che il vecchio dittatore dello Zimbabwe, Robert Mugabe, era pronto a mandare truppe dell'esercito dello Zimbabwe in Libia per combattere a fianco dell'esercito di Gheddafi.
La propaganda di guerra della CIA contro i neri africani in Libia non si è limitata agli editoriali e ai telegiornali di Washington, Londra, Parigi e New York. Un candidato alla presidenza della Liberia, TQ Harris, ha accusato Gheddafi dell’arruolamento forzato di giovani uomini e ragazzi nel suo esercito. La dichiarazione è stata ripresa dai giornali della Liberia, da sempre influenzati dalla CIA.
Il 16 marzo, The Guardian (UK), ha pubblicato la notizia che Gheddafi stava reclutando mercenari dalla tribù dei Zaghawa che vivono nel Darfur e nel Ciad. The Guardian ha scritto che non vi era "alcuna prova che i membri della tribù Zaghawa siano realmente coinvolti nel conflitto in corso".
Non solo si trattava di lavoratori provenienti dal Ciad, Etiopia, Somalia quelli braccati dai ribelli libici impiccati ai lampioni e feriti a morte con asce e machete, ma anche libici neri, per lo più della provincia meridionale del Fezzan hanno subito lo stesso trattamento.
I neo-conservatori di Washington e New York, grazie ai loro media, hanno ignorato la situazione di questi lavoratori neri e hanno continuato ad aizzare la folla, sostenendo che qualsiasi nero presente in Libia fosse un mercenario di Gheddafi, infischiandosene che ciò non fosse vero. Tant’è che i media occidentali non hanno mai dato notizia di lavoratori uccisi “per sbaglio” dagli insorti.
Il New York Times, in un articolo del 16 marzo intitolato "Libyan Oil Buys Loyal African Allies for Qaddafi", ha scritto che Gheddafi stava arruolando "circa 200" giovani del Mali per combattere in Libia.
Il Times ha dato credibilità alla non-notizia costruita ad arte dalla CIA ed ha rilanciato sostenendo che dai 3.000 ai 4.000 mercenari erano stati reclutati dal governo di Gheddafi dal Mali, dal Darfur e dal Niger con un salario di 1.000 dollari al giorno.
Tuttavia, in una notizia pubblicata l'11 marzo dal Times, è stato riportato che in effetti i funzionari dell’intelligence degli Stati Uniti non sono riusciti a trovare conferma alla notizia dei 4.000 e 5.000 mercenari dal Niger, dal Mali e dal Justice and Equality Movement del Darfur erano stati assunti da Gheddafi per 1.000 dollari al giorno. Nonostante viviamo in un'epoca di guerra fondata anche e soprattutto sull’informazione mediatica, la CIA non riesce a tenere la barra a dritta.
L'ambasciatore Usa alle Nazioni Unite, Susan Rice, in una dichiarazione del 17 marzo sull'adozione da parte del Consiglio di sicurezza dell'Onu della risoluzione che consentiva la creazione di una no-fly zone sopra la Libia, ha dichiarato che uno dei motivi della creazione di quella zona era quello di impedire che arrivassero a destinazione gli aerei che trasportavano i "mercenari" in Libia.
È stato anche riferito che i gruppi wahabiti dell'Arabia Saudita legati ai ribelli, tra cui il Gruppo combattente islamico libico, hanno giustiziato lavoratori neri africani di fede cristiana, condannandoli come "infedeli" che sostenevano Gheddafi.
Inoltre sono girate voci che Gheddafi, con il sostegno del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, il ministro degli Esteri Avigdor Lieberman, il ministro della Difesa israeliano Ehud Barak, e il capo dell'intelligence Aman (acronimo ebraico per la direzione dell’Intelligence, ndt) Aviv Kokhavi, avesse organizzato, tramite la società di sicurezza israeliana Global CST, il trasporto segreto di 50.000 mercenari africani in Libia. Il costo: 5 miliardi di dollari.
La connessione tra israeliani e mercenari neri pro-Gheddafi ha alimentato la rabbia degli islamici radicali tra i ribelli libici, i quali erano convinti che Gheddafi non solo avesse un accordo segreto con Israele, ma che fosse un "cripto Ebreo", perché sua nonna era ebrea.
L'accusa è stata trasmessa sulla televisione nazionale israeliana da una donna ebrea libica che sosteneva di essere dell’entourage di Gheddafi. Altre fonti di ispirazione sionista hanno riferito che Gheddafi stava reclutando serbi, ucraini, piloti siriani e un gruppo di feroci guerrieri Tuareg tribali del deserto del Sahara.
Il Washington Times, un giornale di destra di proprietà di un auto-proclamato "Messia" coreano, Sun Myung Moon, il 21 marzo ha pubblicato un articolo del principe Mohamed Hilal Al Senussi, un membro della famiglia reale cacciata da Gheddafi durante il colpo di stato del 1969.
Senussi paragona i ribelli libici ai membri del "Tea Party" repubblicano degli Stati Uniti e ha ripetuto l'accusa che Gheddafi stava usando mercenari africani: "In Baida, oltre 100 persone sono state massacrate da mercenari africani legati a Gheddafi provenienti dal Ciad, Niger e dal Mali, spingendo le forze di polizia locali e l'esercito a proteggere i loro connazionali inermi».
La connivenza delle agenzie di intelligence occidentali, di concerto con elementi israeliani e media occidentali, ha posto le basi per la strage dei libici neri anche in altre parti dell'Africa. Tutto ciò ha fatto infuriare gli afro-americani, che in precedenza avevano sostenuto Obama nelle sue campagne politiche in Illinois e alle presidenziali.
Obama, il primo presidente afro-americano degli Stati Uniti, ha ora il primato di essere l'unico presidente americano a lanciare una guerra sanguinosa in un paese africano. Agli occhi di molti attivisti politici afro-americani, Obama si è rivelato essere tanto uno strumento della CIA, che di Wall Street, che delle compagnie petrolifere, come i passati presidenti americani bianchi.
Ma come? Non era Gheddafi ad avere i mercenari? Certo, è saltato fuori che i "mercenari neri" erano immigrati che lavoravano in Libia. Già, perché su un totale di 6 milioni di libici c'erano 2 milioni di immigrati. Un po' come dire 20 milioni di immigrati in Italia.
In massima parte provenienti dall'Africa nera, e odiati dai "rivoluzionari" che si sono dedicati nelle zone da essi controllate a rastrellamenti casa per casa, torture, uccisioni e stupri (una ragazza eritrea che su LA7 stava testimoniando queste violenze è stata azzittita da Gad Lerner: non disturbare il manovratore).
Se questi sono i "mercenari" di Gheddafi, bisogna però ammettere che in Libia mercenari ce ne sono veramente e saranno sempre di più.
Ce lo rivela il Corriere della Sera. Eccone uno stralcio:
«I costi dell’operazione sarebbero coperti da alcuni paesi arabi, come il Qatar e gli Emirati, che già partecipano alla missione. Il ricorso ai “privati” potrebbe aggirare l’ostacolo – diplomatico e politico – che impedisce l’uso di forze di terra. È chiaro che i “contractors” sono una foglia di fico ma che almeno sul piano legale consentirebbe agli alleati di assistere in modo diretto i nemici di Gheddafi. Lo schema potrebbe essere il seguente: il comitato libico ingaggia ufficialmente i mercenari e i paesi arabi pagano il conto mentre la coalizione sovraintende all’operazione. Come hanno segnalato molti esperti l’offensiva Nato senza il ricorso ai soldati l’offensiva è destinata a raggiungere risultati parziali. E i ribelli, per ora, non sono in grado di fare da soli.»
Un solo breve commento: si capisce bene perché abbiamo subito definito "inaccettabile" la risoluzione 1973 del Consiglio di Sicurezza. Per prima cosa perché ha fatto piazza pulita dei principi base dell'ONU stessa che vietano espressamente di intromettersi negli affari interni di un altro stato. Si può intervenire solo se un Paese attacca o ne minaccia un altro.
In secondo luogo perché lasciava ai volenterosi la possibilità di fare qualsiasi cosa, senza consultarsi con l'ONU e senza nemmeno un comando unificato: la casa delle libertà, insomma. È tuttavia difficile cercare di provare che autorizzi anche un'invasione da terra. Ma niente paura: ci pensano i mercenari, quelli veri!
L'errore di Medvedev. La Russia ha dei ripensamenti sulla Libia
di Israel Shamir - www.counterpunch.org - 4 Aprile 2011
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di Letizia Tocci
La Russia è diversa. Gli americani, gli inglesi e i francesi, bene o male hanno approvato i folli bombardamenti in Libia da parte delle loro forze (sì, alcuni dubitano che ci sia stato un beneficio per i soldi dei contribuenti).
I russi, invece, sono senza dubbio nettamente contrari. L’Ambasciatore russo a Tripoli, Vladimir Chamov, ha ricevuto un’accoglienza trionfale a Mosca. Il Presidente Dmitri Medvedev lo ha fatto dimettere pubblicamente dopo aver ricevuto un cable da parte sua.
Da quanto trapelato, l’Ambasciatore ha definito la risposta di Medvedev alla crisi libica, come “un tradimento degli interessi nazionali russi”. (In seguito le due parti hanno alleggerito i toni: il Foreign Office ha affermato che Chamov non è stato “licenziato”, ma solo “richiamato” da Tripoli e che mantiene la sua carica di ambasciatore e il suo stipendio, mentre Chamov nega di aver usato la parola “tradimento”).
Ai russi non piace l’intervento occidentale in Libia. I critici russi su internet fanno notare come i ribelli non sembrino veritieri; sono un agglomerato di ministri di Gheddafi licenziati per corruzione, mujahedeen di Al-Qaeda, una marmaglia rafforzata dai soldati SAS e supportati dai migliori amici di ogni arabo, i missili cruise americani.
I media russi hanno scoperto che la prima notizia di vittime civili causate dallo spietato Gheddafi, è stata inventata dagli editori di Londra e Parigi.
Gli interventi occidentali hanno causato più vittime civili degli interventi dei ribelli. Il giornale di ampia diffusione Komsomolskaya Pravda ha pubblicato notizie dalla Russia che negano nettamente i bombardamenti per opera di Gheddafi sui quartieri residenziali: si trattava invece di bombardieri francesi e inglesi.
I russi sono inclini a una visione cospirativa della politica. Pensano, infatti, che le rivolte siano state organizzate da nemici ben noti a loro: alcune forze arancioni in occidente, NED, CIA, Mossad, e chi più ne ha, più ne metta, in modo da creare caos, stile Iraq. Citano le dottrine israeliane e americane per promuovere il “caos costruttivo”.
Poi sostengono Gheddafi e sono perfino dispiaciuti per Mubarak. In particolare questo è vero per alcuni patriottici russi che ricordano come Gheddafi fosse dalla loro parte nel 2008, durante il conflitto in Georgia, e per il mondo degli affari che più volte è stato impegnato in progetti in Libia, dal gas alle ferrovie.
Il Presidente Dmitri Medvedev ha buone ragioni per pentirsi della fretta con la quale si è unito all’assalto dei media occidentali, infatti sarà criticato per quello che ai russi sembra già un secondo Kosovo. Probabilmente è stato deviato dai suoi consulenti che gli hanno consigliato di saltare sul carro mediatico internazionalmente riconosciuto del “fermare il massacro in Libia”; e lui c’è salito.
La notizia del primo presunto massacro ancora riecheggiava quando Medvedev accusava Gheddafi di “crimini contro l’umanità”, e inoltre aveva aggiunto che non era più il benvenuto in Russia.
Medvedev ha appoggiato la decisione di passare il caso libico all’ICC; anche se avrebbe dovuto capire dai russi in Libia che nel paese non stava accadendo niente di tanto particolare; giusto una rivolta di piccole dimensioni che stava per essere soppressa.
La situazione può essere paragonata alle rivolte di Los Angeles del 1965 (60 morti e migliaia di feriti) o a quelle del 1992 (50 morti e migliaia di feriti), gli LA backs non avevano però Tomahawks a supporto.
Medvedev è anche considerato la persona che ha ordinato al suo Ambasciatore nel Consiglio di Sicurezza di astenersi. Quando la Russia e la Cina vogliono andare contro il volere dello sceriffo del mondo, generalmente si accordano sul voto – già dal fatidico voto del 2008 per lo Zimbawe quando la Russia aveva posto il veto per la prima volta da Dio sa quando e aveva bloccato la sanzione proposta dall’occidente contro la nazione africana.
Successivamente, la BBC aveva dato la notizia della dichiarazione del segretario degli affari esteri britannico, David Millband secondo il quale la Russia aveva posto il veto sebbene il presidente russo avesse promesso di sostenere la risoluzione.
Questa volta, apparentemente, Medvedev aveva prevalso e acconsentito a qualcosa che ora ha l’aspetto di un’altra campagna di Suez (ricordate il 1956, quando gli inglesi e i francesi avevano tentato di liberare l’Egitto dall’Hitler-du-jour, Gamal Abdel Nasser e tenuto il canale per loro).
Qualche giorno dopo, l’uomo forte in Russia, Vladimir Putin, ha criticato severamente le mosse di Medvedev. Egli ha chiamato l’intervento occidentale “una nuova crociata” e consigliato ai leader occidentali di “pregare per le loro anime e chiedere il perdono di Dio” per tutto il sangue versato.
Questo ha riscosso il plauso generale. Medvedev ha cercato di controbattere con un vuoto commento del tipo “non nominare tu le crociate”, ma neppure lui è riuscito a trovare qualcosa di positivo sulla campagna NATO in Libia.
Come al solito, la reazione spontanea russa è sempre contro ogni intervento occidentale. Erano contro l’intervento americano in Vietnam e in Corea, Iraq e Afganistan, e contro le guerre coloniali di Francia e Inghilterra.
I russi non credono proprio che l’intervento americano abbia a che fare con l’amore per la democrazia, i diritti umani o il valore della vita. Per loro una rosa è una rosa e l’intervento occidentale è l’intervento occidentale, uno dei tanti nel quale si sono trovati dalla parte di chi riceve.
Medvedev, comunque, non ha lasciato che l’intervento occidentale continuasse ad andare avanti per la pura e semplice ragione di “supportare l’Europa”. L’idea è che è meglio che la NATO sia occupata a sud che a est. Per la Russia, la Libia è molto meno importante della Georgia, dell’Ucraina e perfino dell’Afganistan.
Se la bestia deve nutrirsi di qualcosa, meglio che si tratti di qualcuno del Maghreb, dove comunque i Russi hanno una salda posizione. Uno scrittore di WPR ha definito il momento come “una seconda Tilsit” la NATO: riconoscere l’immutabilità dei confini est in occidente in cambio di mano libera a sud.
Per questo Poland non è stato contento dell’operazione Odyssey Dawn: invece di essere in prima linea in uno dei più importanti confronti, questo spostamento a sud ha lasciato i poli in un cul-de-sac geografico.
Non ci dobbiamo far incantare dall’immagine dell’occidente contrapposto all’oriente. Con il lento declino statunitense, il potere europeo inizia a consolidare il suo ruolo. La guerra in Libia è un’iniziativa francese. È stata iniziata da Sarkozy per tentare di rimettere in piedi l’impero francese in nord africa, 50 anni dopo il trattato di Evian, che ne aveva apparentemente confermato il destino.
Questa era una vecchia idea del presidente francese. Durante la sua prima campagna elettorale, egli aveva proposto la formazione dell’Unione Mediterranea. Il progetto della MU era appoggiato da Israele. I turchi invece si erano opposti fermamente, come hanno fatto ora, in modo pacato, per l’intervento in Libia.
L’Italia supportava la MU e, come previsto, anche l’intervento. La Germania era contro la MU e è contro l’intervento. Da questo punto di vista, l’intervento in Libia è l’inizio di una nuova ondata di colonialismo europeo nel Maghreb.
Un osservatore russo nota un’inquietante somiglianza tra quest’operazione e una portata avanti un centinaio di anni fa in Libia, durante una precedente ondata di colonialismo.
All’epoca l’Italia, aggressiva e forte della recente unità, era alla ricerca di un impero e aveva deciso di impadronirsi della Libia, provincia ottomana. Allora come adesso, i giornali scrivevano di libici in cerca di libertà, oppressi dalla pressione ottomana e del dovere morale dell’Italia di liberarli.
I turchi erano ridotti male e cercarono di trovare un modo di salvare la faccia nell’arrendersi. Proposero di dare all’Italia la Libia, per gestirla e colonizzarla, a patto che la sovranità rimanesse tra la Sublime Porta. Gli italiani rifiutarono e iniziò così la loro Dawn Odyssey.
I turchi combatterono valorosamente e in particolare un ufficiale dimostrò il suo coraggio: si trattava di Mustafa Kemal, detto in seguito Ataturk. La solitaria voce contro l’intervento era di un giovane socialista, Benito Mussolini.
La campagna italiana in Libia è stata il primo bombardamento aereo, esattamente cento anni fa, nel 1911, e la storia ha conservato il nome di Giulio Gavotti, il primo pilota a portare avanti un bombardamento.
La Russia moderna non è l’URSS; non ha troppe ambizioni nel mondo. È preoccupata per la sua parte di mondo e non desidera essere impegnata su altri fronti. Per la Russia, il fatto che l’Europa si stia dirigendo a sud, non rappresenta una minaccia, ma piuttosto la ripresa della Francia del suo ruolo regionale: è per questo che la Russia si è astenuta al consiglio di sicurezza Onu.
Il Presidente Gheddafi è riuscito a dar fastidio a molte persone in diversi luoghi. Ha infastidito Francia e Russia stringendo patti senza poi mantenerli.
Cables di Wikileaks fanno riferimento a questa situazione più volte, in particolare in 10PARIS151 riportando: “l’irritazione francese nei confronti della Libia sta aumentando poiché il paese non sta mantenendo quanto promesso riguardo visti, scambi professionali, educazione in lingua francese e accordi commerciali” “Noi (e i libici) parliamo molto, ma abbiamo iniziato a notare che le parole non sono seguite dai fatti in Libia.” Gheddafi ha irritato i sauditi ma, ancora peggio, il suo stesso popolo.
Siamo sicuramente contro l’intervento in Libia, ma la possibilità di supportare Gheddafi ancora non è stata presa. Muammar Kaddafi aveva/ha due facciate: da una parte era un leader autoctono che ha garantito al suo popolo il più alto standard di vita in Africa; generosi sussidi, cure mediche e educazione gratuiti. Egli ha sostenuto la causa di Palestina/Israele come stato unico e si è fatto amico Castro e Chavez.
Dall’altra parte, negli ultimi 5 anni, Gheddafi e la sua cricca sono stati indaffarati a smantellare il welfare dello stato libico, privatizzando e cannibalizzando il sistema sanitario ed educativo, accumulando ricchezze e facendo affari con compagnie estere di gas e petrolio, per i propri interessi.
“Il nuovo Gheddafi” ha portato via molte conquiste sociali e non ha dato al suo popolo la libertà politica di base. Il suo supporto allo stato unico in Palestina si è prosciugato nel 2002, tanto tempo fa.
I miei amici a Tripoli non supportano Gheddafi. Sicuramente sono contro l’intervento occidentale, ma a loro non piace il vecchio colonnello per le sue abitudini dittatoriali.
Sono adulti, vogliono prendere parte alle decisioni, sono contro la corruzione e vogliono che l’Islam abbia un ruolo maggiore. Ai loro occhi Gheddafi ha mantenuto la retorica anti-imperialista per utilizzarla in pubblico, ma il suo modo di fare è stato occidentale e neo-liberale.
Va bene che Gheddafi si sia preso gioco dei reali sauditi e che abbia schernito i leader occidentali, ma allo stesso tempo ha dato la ricchezza libica agli stranieri. Mentre ci si mantiene dalla parte dei non interventisti, bisogna ricordarsi che non tutti gli anti-Gheddafi sono lacchè occidentali o soldati di al-Qaeda.
Questo potrebbe essere il punto di partenza per la democrazia in Libia, non necessariamente una democrazia sullo stile europeo, ma un modo migliore per i libici di partecipare nella forgiatura delle proprie vite.
Il fatto che una nave da guerra della Nato abbia bloccato un rimorchiatore libico che trasportava armi ai ribelli di Misurata conferma i crescenti timori che esse finiscano «in mani sbagliate». L'ammiraglio statunitense James Stavridis, comandante supremo alleato in Europa, ha avvertito che vi sono indizi di una presenza di Al Qaeda tra le forze anti-Gheddafi.
Il viceministro degli esteri algerino Abdelkader Messahel si è detto preoccupato della crescente attività, nella vicina Libia, del Maghreb islamico (Aqim, ala nordafricana di Al Qaeda). Uno dei suoi capi, Abdul Al Hasadi, entrato nelle forze anti-Gheddafi dopo essere tornato dall'Afghanistan, sta addestrando centinaia di insorti a Derna.
Appena nove mesi fa, quando Washington era in ottime relazioni con Tripoli, il Dipartimento di stato sottolineava che «il governo libico ha continuato a cooperare con gli Stati uniti per combattere il terrorismo, soprattutto il Gruppo combattente islamico libico (Lifg) e Al Qaeda nel Maghreb islamico» (Congressional Research Service, Libya: Background and U.S. Relations, 16 luglio 2010).
Oggi anche il Lifg, collegato ad Al Qaeda, fa parte integrante delle forze ribelli che combattono contro quelle leali a Gheddafi.
Il Gruppo combattente islamico venne fondato non in Libia, ma in Afghanistan da mujaheddin libici che avevano combattuto contro le truppe sovietiche. Collegato alla Cia e al servizio segreto britannico Mi6, e finanziato dall'Arabia saudita, iniziò nel 1995 in Libia la Jihad islamica contro il regime laico e, nel febbraio 1996, tentò di assassinare Gheddafi (nell'attentato morirono diverse guardie del corpo).
Ad assicurare i collegamenti dell'Mi6 e della Cia con il Gruppo combattente islamico libico era lo stesso capo dell'intelligence di Gheddafi, Moussa Koussa, che svolgeva il ruolo di «doppio agente».
Contemporaneamente, l'Mi6 e la Cia «aiutavano» Gheddafi a «combattere il terrorismo», in particolare il Gruppo combattente islamico collegato ad Al Qaeda.
Moussa Koussa, rifugiatosi la scorsa settimana a Londra, è stato subito ricompensato: i suoi conti bancari all'estero, bloccati dal Tesoro statunitense, sono stati «scongelati».
Non corre però buon sangue tra lui e altri ex generali di Gheddafi, ora nel «governo» di Bengasi: in particolare Abdul Fatah Younis, già ministro dell'interno, e Khalifa Haftar che, reclutato dalla Cia nella guerra del Ciad e portato negli Usa, è divenuto capo militare del Fronte di salvezza nazionale libico.
Il quadro è ulteriormente complicato dalla presenza di Abdul Al Hasadi e altri capi dei gruppi islamici. Composti da combattenti esperti, tali gruppi sono oggi ancora utili contro Gheddafi, ma domani potrebbero essere pericolosi per gli interessi statunitensi e alleati in Libia.
Su questo terreno mette piede l'Italia, accodatasi alla Francia, insieme alle monarchie di Qatar e Kuwait, nel riconoscere il «governo» di Bengasi, cui Frattini non ha escluso di fornire anche armi. Lo scopo è evidente: farsi perdonare il trattato di amicizia italo-libico del 2008 e far sì che gli investimenti dell'Eni nel settore energetico libico non vadano perduti.
Ma, mettendo ufficialmente piede a Bengasi, l'Italia si candida a inviare truppe quando lo decideranno a Washington, Londra e Parigi. Esse si troverebbero in una situazione di tipo balcanico, in un paese spaccato in due o più stati etnico-tribali, o di tipo iracheno/afghano, con una resa dei conti tra le stesse forze ribelli e una continua guerriglia interna. Con la differenza che sarebbe a poche centinaia di km dalle nostre coste.
Bombardatevi i coglioni
di Beppe Grillo - www.beppegrillo.it - 8 Aprile 2011
Russell Harding, vice comandante dell'operazione Unified Protector condotta dalla Nato in Libia, ha dichiarato che non chiederà scusa per i libici uccisi dal "fuoco amico". Chiamare un assassinio "fuoco amico" è come definire seduttore uno stupratore.
"Vedendoli dall'alto non possiamo identificare di che natura siano i mezzi" ha aggiunto Harding. Quindi sono cazzi di chi sta di sotto quando arrivano i liberatori. Se muoiono sarà per una giusta causa, quella degli Stati Uniti, e alleati, di non voler rischiare i loro uomini sul campo di battaglia.
I bombardamenti sono nel DNA degli americani, è un modo per massimizzare i risultati riducendo le perdite. Muoiono i civili e salvi i tuoi soldati. Una tattica vincente, dall'Italia del 1943/45 in cui le persone uccise dalle bombe degli alleati furono decine di migliaia, da Dresda trasformata in un rogo dove bruciarono vivi 25.000 tedeschi, in massima parte donne e bambini.
Fino al trionfo di Hiroshima e Nagasaki, dove le atomiche furono lanciate a scopo dimostrativo nell'agosto del 1945, a guerra praticamente finita con Hitler e Mussolini già defunti da mesi.
Le bombe continuarono in Vietnam e Laos fino all'Iraq di Bush padre, all'Iraq e all'Afghanistan di Bush figlio e alla Libia di Obama, Nobel della Pace forse inconsapevole.
La Nato sta facendo pressioni sull'Italia perché partecipi ai bombardamenti. Ho una risposta per i vertici della Nato: "Bombardatevi i coglioni!". La Nato è diventata uno strumento di aggressione, ma in origine la sua missione, mai smentita, era difensiva. E' sufficiente una delibera dell'ONU per bombardare in 24 ore Libia e Costa D'Avorio.
E' cosa nota che nelle guerre il numero di vittime civili aumenta sempre di più e sopravanza ormai di molto quelle militari. Le città sono diventate il fronte. Le contraeree sono costruite vicino agli ospedali, come deterrente, ma è un esercizio inutile. I bombardamenti andrebbero proibiti. Ci vorrebbe una moratoria internazionale.
Lanci una bomba dalla carlinga o un missile Tomahawk da una nave e quello che succede succede. Va messa la parola fine ai bombardamenti, qualunque bombardamento è un assassino potenziale di innocenti.
Chi vuole fare la guerra, come Russel Harding, scenda sul terreno di combattimento e rischi la sua pelle. Fuori l'Italia da qualunque guerra, a iniziare dall'Afghanistan, e quando si scrive di bombardamenti si usi il termine esatto: "Assassinio!".