L'emergenza migranti
di Rosa Ana De Santis - Altrenotizie - 5 Aprile 2011
Le 48 ore annunciate sono passate e non solo gli sbarchi continuano, ma la soluzione politica si fa sempre più nebulosa all’orizzonte. In 12 ore sono arrivati quasi mille disperati a bordo delle solite carrette del mare.
Nessuno sgombero dell’isola quindi, ma altri 7 sbarchi. Questa volta lo spot del premier dura ancor meno di quanto non sia accaduto per i rifiuti di Napoli e, forse per la prima volta in modo così plateale, l’onda di questa emergenza ha iniziato a far scricchiolare la maggioranza.
L’ipotesi avanzata dai buoni consiglieri del premier, e accettata dopo polemiche e resistenze dalla Lega, è quella di ricorrere per i migranti ad un permesso temporaneo di 6 mesi per l’area Shengen.
Questa soluzione permetterebbe, come rivendicato dagli stessi stranieri in fuga, di utilizzare il nostro paese solo come area di transito e di vedere spostamenti in altri paesi europei: Francia, Germania ed altri.
Una soluzione che farebbe calare anche i rischi di tensioni e proteste da parte di chi si ritrova nei fatti bloccato in tendopoli sparse, senza alcune informazione sulla propria futura collocazione e con una evidente limitazione della libertà individuale.
Intanto l’accordo di cui Berlusconi parlava da giorni con la Tunisia non esisteva e l’incontro con il premier tunisino Beji Kaid Essebsi ha semplicemente affermato una volontà di collaborazione che per ora non ha lasciato carte scritte. Una commissione di tecnici è rimasta al lavoro, ma Maroni non ha alcun accordo in tasca.
Del resto la Tunisia, dopo la rivoluzione dei gelsomini e la deposizione di Ben Ali, è un paese in piena ricostruzione con problemi enormi da affrontare, impensabile vederlo come partner ideale, dotato degli strumenti idonei, per intervenire in una crisi politica internazionale di questa portata.
Anche la Commissione Europea, dopo aver riconosciuto alle autorità nazionali il potere di concedere permessi temporanei, ha ipotizzato, in caso di aumento dei flussi, soggiorni di un anno per i paesi comunitari.
L’onda dei profughi e dei rifugiati ha obbligato persino la politica di casa nostra, stereotipata su retorica mista a xenofobia, di ricorrere a strumenti politici e legislativi di accoglienza intelligente e condivisa con il resto dell’Europa.
Per necessità si è dovuti andare oltre alle richieste di Bossi e dei suoi compari che volevano che i migranti non disturbassero i Comuni del Nord. Inizia però ora un’altra partita, più insidiosa, che sarà affidata alle amministrazioni locali e alla società civile, regione per regione; e sarà lì che il matrimonio con la Lega, che le fonti Pdl ancora danno per granitico e blindato, affronterà la sua sfida più ardua.
I voti dati agli sbandieratori del razzismo e della Padania, faranno fatica a riconoscersi in un governo che non ha voluto né potuto organizzare i rimpatri di massa, gridati nei comizi. Il primo a insistere su questa spaccatura è proprio il Ministro degli Interni, Maroni, che va a Tunisi con l’obiettivo principale di bloccare gli sbarchi, mentre Palazzo Grazioli da il via al permesso di soggiorno.
Ci sono insomma due sensibilità politiche che, ora più che mai, escono allo scoperto e vedono proprio il premier in una posizione più sofferta e meno idillica con il Carroccio.
Da un lato le soluzioni politiche di lungo respiro e l’Europa, che Berlusconi non può disattendere, dall’altro il carattere populistico e anti europeo della Lega.
Un veleno che rischia di far pagare prezzi altissimi a chi è in fuga dalle macerie del Nord Africa e forse anche a questa maggioranza che, senza spot e personalismi, torna a contare i propri voti e a svelare i numeri che il Cavaliere non ha.
La sensazione è che invitare Bossi nella nuova reggia di Lampedusa per un accordo in casa, questa volta proprio non sarebbe una valida mossa, né sortirebbe gli stessi felici esiti di Arcore.
Agli stranieri i nuovi posti di lavoro
di Luca Ricolfi - www.lastampa.it - 2 Aprile 2011
La situazione a Lampedusa si complica. Il mare grosso impedisce l’arrivo di nuovi migranti, ma anche il trasferimento sul continente delle migliaia di persone sbarcate nelle ultime settimane.
Le navi che dovevano assicurare «in 48-60 ore» (parole di Berlusconi) lo sgombero dell’isola non riescono nemmeno ad attraccare, mentre i tunisini ammassati nella tendopoli pugliese di Manduria fuggono (o sono lasciati fuggire?) scavalcando esili reti di recinzione, o passando attraverso varchi lasciati aperti.
Quanto alle Regioni che avevano dato la loro disponibilità a gestire i nuovi arrivati, una dopo l’altra fanno marcia indietro, o come minimo costellano di innumerevoli paletti e distinguo la loro volontà di accoglienza: sì ma solo i rifugiati politici, sì ma non nelle tendopoli, sì ma solo se nessun'altra regione si tira indietro
Bruttissime figure, dunque, sono in arrivo per il governo in generale (l’ennesima promessa tradita) e per la Lega in particolare, pronta a fare la faccia feroce in campagna elettorale, ma impotente - come chiunque - al momento di affrontare il problema dell’immigrazione.
Già, ma qual è il problema? In questi giorni ho sentito due versioni. Una dice: se l’Europa se ne lava le mani, e noi italiani non riusciamo a rimandarli indietro rapidamente, il segnale di impotenza che inviamo a tutti i disperati del Nord Africa avrà conseguenze catastrofiche, perché i 20 mila migranti di questi mesi (tanti ma non tantissimi) potrebbero rapidamente diventare 50 mila, 500 mila, 1 milione.
Per non parlare dei problemi di legalità: uno Stato serio non può accettare che sul proprio territorio circolino o transitino migliaia di persone non identificate, non tutte alla ricerca di un lavoro con cui campare.
C’è anche una seconda versione, che capita di ascoltare soprattutto in casa leghista: li vogliamo rimandare a casa perché in Italia c’è la crisi, manca il lavoro, e quel poco che c’è non basta nemmeno agli italiani. Insomma, i tunisini li vogliamo mandare via non perché siamo razzisti, ma perché c'è la disoccupazione.
La prima versione del problema immigrati - un Paese ha diritto di limitare gli ingressi e far rispettare le leggi - pone un mucchio di problemi morali, giuridici, pratici, ma è comprensibile, al limite del puro buonsenso.
Sulla seconda versione, che sottolinea la mancanza di lavoro, ho invece molti dubbi. Sembra logica anch’essa, ma lo è meno di quanto appaia a prima vista.
Giusto ieri l’Istat ha comunicato i dati definitivi sull’andamento dell’occupazione nel 2010, nonché i dati provvisori dei primi due mesi dell’anno.
Ebbene, quei dati ci forniscono un quadro del mercato del lavoro tutt’altro che sorprendente per gli studiosi, ma in forte contrasto con molte credenze diffuse nel mondo della politica e dei media.
Proviamo a sintetizzare. Nei primi tre anni della crisi, ossia fra la fine del 2007 e la fine del 2010, l’occupazione in Italia è diminuita di circa 400 mila unità (senza contare la cassa integrazione).
Quella variazione, tuttavia, è il saldo fra un crollo dell’occupazione degli italiani, che hanno perso quasi 1 milione di posti di lavoro, e un’esplosione dell’occupazione degli stranieri, che ne hanno conquistati quasi 600 mila.
Nel 2007, prima della crisi e dopo quasi vent’anni di immigrazione, gli stranieri occupati in Italia erano circa 1 milione e mezzo, tre anni dopo erano diventati 2 milioni 145 mila, quasi il 40% in più. Un boom di posti di lavoro nel pieno della più grave crisi dal 1929.
Come è possibile? In parte lo sappiamo: gli italiani, pur non essendo molto più istruiti degli stranieri regolarmente residenti in Italia, non sono disposti a fare tutta una serie di lavori che gli stranieri invece accettano. Ma questa non è una novità.
La novità è che durante la crisi l’occupazione straniera è esplosa, e continua a crescere a un ritmo elevatissimo. Anche nell’ultimo anno, con i primi timidi segnali di ripresa, gli italiani hanno perso qualcosa come 166 mila posti di lavoro, mentre gli stranieri ne hanno guadagnati ben 179 mila (+9,1%).
È possibile che una parte dei nuovi posti di lavoro siano state semplici regolarizzazioni, soprattutto relative a «badanti» già occupate. Ma questo meccanismo può spiegare solo una parte dell’aumento, visto che - nonostante la drammatica crisi dell’edilizia - l’occupazione degli stranieri maschi è aumentata di quasi il 30% in soli 3 anni, e continua ad aumentare anche in questi mesi.
La realtà, forse, è un’altra, più difficile da digerire per noi italiani. Nella crisi, il nostro sistema produttivo è diventato ancor meno capace di prima di generare posti accettabili per gli italiani.
È per questo che gli immigrati regolari stanno lentamente, ma implacabilmente, diventando uno dei segmenti più dinamici e attivi della società italiana, come mostrano l’andamento del tasso di disoccupazione (in calo per gli stranieri ma non per gli italiani), il contributo al Pil, il valore delle rimesse verso i Paesi d’origine, il moltiplicarsi in ogni parte d’Italia delle partite Iva e delle micro-imprese gestite da immigrati: negozi, bar, officine, aziende di trasporti e di servizi.
È triste ammetterlo, ma gli stranieri occupati in Italia sono diversi da noi non già perché «loro» sono meno istruiti e meno ricchi, ma perché somigliano a quel che noi stessi eravamo negli Anni 50: un popolo uscito da mille difficoltà e determinato a conquistarsi un futuro a colpi di sacrifici e duro lavoro.
Visto da questa angolatura il problema dell’immigrazione assume contorni un po’ diversi. Sul versante del mercato del lavoro, il problema dell’Italia - per ora - non è di essere invasa dagli stranieri, ma di essere più adatta agli stranieri che agli italiani.
Il nostro guaio non è che gli stranieri ci portano via i posti di lavoro, ma che ci ostiniamo a creare posti che né noi né i nostri figli sono disposti a occupare.
Camerieri, pizzaioli, fattorini, autisti, badanti, muratori continuano a servire al sistema Italia. Molto meno ingegneri, tecnici specializzati, ricercatori, tutti mestieri per i quali - se si è davvero bravi - forse è meglio guardare alle opportunità che si creano negli altri Paesi avanzati che sulla scuola, la ricerca e la cultura hanno puntato più di noi.
Marco Della Luna - http://marcodellaluna.info - 1 Aprile 2011
Nel 2006 ho iniziato a spiegare pubblicamente – primo in Italia, a quanto mi risulta – attraverso i miei libri e le mie conferenze, l’esistenza di pratiche di creazione monetaria della dark pool finance o upstairs finance: operazioni finanziarie extracontabili, fuori dal mercato borsistico, eseguite a porte chiuse, privatamente.
Si tratta soprattutto di emissione da parte di banche, intermediazione e sconto (trading) – con conseguente creazione di mezzi monetari contabili – di grossi strumenti finanziari (taglio standard: 500 milioni di USD), detti MTN, o Medium Term Notes (sorta di pagherò bancari) che possono essere appunto scontati o usati come garanzia per erogare prestiti o analoghe operazioni creative di liquidità.
Liquidità che viene usata sia per estese speculazioni finanziarie e immobiliari (costruzione di bolle), che per investimenti infrastrutturali e simili. Tutto su grande scala.
I profitti per le banche che li emettono e li intermediano sono enormi. Notevole anche la remunerazione dei privati che, mettendo a disposizione la loro liquidità effettiva (non ricevuta a prestito) come investitori, danno la copertura frazionaria a tali operazioni – le banche, infatti, non sono autorizzate a farle direttamente tra di loro e mediante denaro contabile.
Si noti che queste operazioni sono extracontabili, extrabilancio, quindi non appesantiscono i conti apparenti delle banche emittenti (cioè, che si indebitano).
Generando enormi quantità di liquidi, esse consentono di eseguire grandi investimenti, grandi opere pubbliche, grandi programmi di sviluppo Sono quindi lo strumento elettivo per rilanciare le economie di paesi in stagnazione o recessione e affetti da forte indebitamento e forte pressione fiscale.
In tali paesi, di cui l’Italia è uno, i capitali privati aspettano, per investire, che il trend recessivo e di rarefazione monetaria (con conseguente calo della domanda e della capacità di pagare) sia invertito, perché altrimenti non ci sono le prospettive di poter ammortizzare l’investimento e realizzare profitti.
Il trend può venire invertito da massicci investimenti infrastrutturali di lungo termine, che in passato faceva lo Stato spendendo a deficit, ma ora non li può fare perché è senza soldi, schiacciato da debiti, vincolato a tagliare la spesa.
Quindi l’unica fonte possibile di investimenti massicci e di lungo termine è la suddetta dark pool finance.
Da quando mi interesso di dark pool finance, cerco anche di individuare suoi operatori in Italia. Nel mondo ci sono 25 o 26 banche autorizzate a praticare il trading di MTN e simili, ma in Italia non ne ho trovato alcuna.
Ho appreso soltanto di una primaria banca che, giunta in una situazione di pre-crisi, è stata salvata con iniezioni di denaro generato mediante trading. In complesso, quasi nessun dirigente di banca italiana sa di queste cose, oppure ha solo orecchiato qualcosa. Bancariamente, l’Italia è Terzo Mondo.
All’estero, anche in vicini paesi europei, queste operazioni si fanno – si genera cioè liquidità (anche) per investimenti, per il rilancio. Là sì, qua no. Non stupiamoci quindi se l’Italia non solo resta al palo, anzi declina.
E se i pezzi forti della sua economia (dalle griffes alle poche grandi industrie, dalla gestione delle acque al mercato della grande distribuzione e alle quote delle sue banche strategiche) vengono comperati da capitali stranieri.
La mancanza di questi strumenti monetari fa dell’Italia (e di altri paesi) automaticamente un paese senza sovranità o autonomia rispetto ad altri – un paese inferiore e servitore, una nazione “escort”, ma povera, non come Ruby.
Un sistema paese che non ha la capacità di produrre moneta, e che per giunta è indebitato e vincolato a non proteggersi dai capitali stranieri, è automaticamente destinato ad essere comperato e colonizzato dai capitali stranieri, e precisamente da quei sistemi-paese e da quei potentati finanziari che hanno la possibilità di produrre moneta a costo zero o hanno rendite speciali, come il petrolio.
Essi comperano il suo debito pubblico, le sue azioni indebitate, le sue banche, etc. – e in tal modo ne acquisiscono il possesso economico e politico. I rapporti di forza e gerarchia tra i sistemi-paese sono le loro diverse capacità monetarie.
In essenza, se l’Italia vuole uscire dalla recessione, soffrendo scarsità di moneta e non potendo generare moneta internamente, deve farsi comperare da capitali cinesi, francesi, tedeschi, arabo-petroliferi. Deve vendersi.
Ma non come lo fa una escort di lusso, bensì come una donna che si dà per fame e raccoglie le malattie. I suoi politici sono i suoi magnacci, infatti. Magnacci impotenti, perché privi degli strumenti di politica economica.
Questa compera-colonializzazione è tanto più rapida, quanto più il paese debole è carente di liquidità, indebitato, colpito da disoccupazione, non più capace di accumulare risparmio. Una crisi bancaria può completare il processo di colonizzazione in pochi mesi.
E una crisi bancaria, in Italia, è in preparazione. Infatti, dall’interno di una primaria banca, ho informazione che i suoi titolari, al fine di moltiplicare gli utili onde poterla vendere ad un’altra primaria banca a un prezzo superiore al giusto, hanno implementato una politica di bilancio che a) evita di mettere in sofferenza molti crediti che dovrebbero essere messi in sofferenza;
b) mantiene nello stato patrimoniale crediti già ceduti;
c) si crea liquidità a breve (6 mesi, rinnovabili) registrando come “raccolta” portafoglio (ri.ba.) senza valore, spesso fasullo;
d) non paga i premi di produzione ai dipendenti, differendoli ad annate venture. La storia finanziaria recente ci ha insegnato che, in generale, i bilanci non sono attendibili.
I media, le autorità di sorveglianza, i gestori del risparmio nonché i soci, grandi e soprattutto piccoli, della banca prospettiva acquirente o incorporante, stiano quindi in campana. Anche perché analoghe politiche corre voce siano praticate anche da altre banche.
La situazione del sistema bancario italiano appare quindi molto tesa e mascherata con sistematiche falsità contabili. Fonti bene informate prevedono l’emersione massiccia dei trucchi contabili, quindi il collasso finanziario del sistema Italia, pubblico e bancario, tra il luglio di quest’anno e il dicembre del prossimo.
L'estrema destra e i mercenari - l'esercito dei Sayadi Rita Pennarola - www.lavocedellevoci.it - 4 Aprile 2011
In caso di disordini favoriti dal conflitto in Libia, anche nel nostro Paese sarebbero già pronti interi eserciti privati, come già avviene nel golfo della Sirte e da sempre negli Usa.
Le rivelazioni arrivano dal panorama della defense che in Italia, dove la legge proibisce reclutamento e addestramento di mercenari, si muove spesso lungo il confine tra la formazione di vigilantes e il fanatismo. Su tutte arrivano poi le ronde nere della Guardia nazionale fondata da Gaetano Saya.
Cinquantamila uomini, dislocati nelle più diverse regioni del territorio italiano sarebbero già pronti. Nel caso in cui la polveriera Maghreb dovesse deflagrare definitivamente, con conseguenze drammatiche anche sul nostro Paese, alcuni eserciti paralleli, assolutamente privati e finora rimasti nell'ombra potrebbero cavalcare l'onda dei disordini e condurre l'Italia sull'orlo del golpe, fomentando anche l'onda dei movimenti autonomisti, che potrebbero entrare comunque in azione al primo scoccare di una scintilla.
Non si tratta di fantapolitica, ma di segnalazioni circostanziate, con tanto di documenti, arrivate alla Voce da luoghi e personaggi diversissimi, affidabili e certamente non in contatto fra loro. I segnali, poi, sono anche altri.
Un esempio su tutti: il sondaggio lanciato a metà marzo dalle colonne del quotidiano Libero: “In caso di attacco straniero all'Italia, ti arruoleresti?”, in cui prevale una maggioranza di sì. Cerchiamo allora di vederci chiaro, mettendo insieme gli elementi raccolti e raccontando due diversi scenari, collegati ad altrettanti personaggi.
RONDA SU RONDA
Si parte con l'approvazione della legge numero 94 del 15 luglio 2009: fortemente voluta dalla Lega e dai duri e puri dell'allora Alleanza Nazionale, è la norma varata nell'ambito del “pacchetto sicurezza” che prevede, oltre a regole più restrittive per gli extracomunitari, anche l'istituzione delle cosiddette ronde, gruppi di cittadini che, a metà strada fra volontari della protezione civile e rudi vigilantes, in coordinamento con sindaci e prefetture, ma senza poter fare uso di armi, esercitano funzioni di sorveglianza sui territori cittadini.
Questo, almeno, lo spirito della legge. Che però, oltre agli sparuti gruppi di cittadini “inkazzati” che escono in perlustrazione la sera nelle cittadine del nord, ha dato il via anche alla nascita di gruppi seriamente intenzionati ad armarsi e scendere in campo con ben altre finalità.
Il tutto, per giunta, starebbe avvenendo grazie ad una “mediazione” molto particolare: «alcuni segmenti della Lega Nord - rivela una fonte vicina a questo milieu - non sono estranei ad una rete capillare di pseudo logge massoniche sparse su tutto il territorio nazionale che puntano proprio sugli “eserciti rondisti” per realizzare, in determinate condizioni, i loro intenti secessionisti».
Funzionali a tali scopi sarebbero poi, nell'ambito dello stesso scenario, taluni movimenti autonomisti, soprattutto quelli attivi al sud. «C'è un autentico piano eversivo - dice ancora la nostra fonte - che si basa sulla presenza di eserciti privati, finora rimasti sotto traccia, pezzi della Lega e frange consistenti dei movimenti sudisti in odor di autonomia».
L'ORA DI SAYA
In testa ai rondisti dall'arma facile ci sarebbero alcuni uomini “carismatici”, come un personaggio già noto alle cronache giudiziarie: il neofascista (ma lui preferisce definirsi nazionalista) Gaetano Saya.
Chi è davvero Saya? Un pericolo pubblico per la democrazia? O solo un pataccaro capace di suggestionare gli istinti più feroci? Facciamo un passo indietro.
È il primo luglio del 2005 quando la procura della repubblica di Genova, che sta indagando sull'arruolamento di Fabrizio Quattrocchi, morto in Iraq, dispone l'arresto di Gaetano Saya e dell'allora suo braccio destro Riccardo Sindoca.
L'accusa è quella di aver dato vita ad un Sismi parallelo, il Dipartimento studi strategici antiterrorismo (Dssa) costituito da sedicenti agenti segreti dediti ad attività investigative non ufficiali sul terrorismo di matrice islamica.
Associazione per delinquere finalizzata all'usurpazione di pubbliche funzioni, illecito utilizzo di dati ed informazioni riservate attraverso l'illegale consultazione delle banche dati del ministero dell'Interno: questi i reati a vario titolo ipotizzati per Saya e per gli altri 22 indagati, molti dei quali risultati appartenenti a Polizia, Carabinieri, Guardia di Finanza e Polizia Penitenziaria.
Operanti in nove regioni italiane, i “miliziani” della Dssa secondo gli investigatori puntavano ad accreditarsi presso importanti organismi nazionali ed internazionali, tra i quali probabilmente anche servizi segreti stranieri, per ottenere finanziamenti.
I falsi 007 non esitavano ad effettuare pedinamenti o indagini e ad utilizzare illecitamente distintivi e palette in uso alle forze dell'ordine. Un filone dell'inchiesta arriva fino a Milano, dove la Dssa aveva appena aperto una sede a supporto del quartier generale di Roma.
UN CERTO ABU OMAR...
Questa la versione ufficiale dei fatti, la cronaca giudiziaria che abbiamo letto sui giornali. Ma ci sarebbe un piccolo particolare: lo scoppio contemporaneo sulla stampa del caso Abu Omar, vale a dire il rapimento dell'Imam di Milano ad opera della Cia e di una parte dei Servizi italiani. Il 1 luglio 2005, come abbiamo visto, scatta l'arresto ai domiciliari per Saya.
E il giorno dopo l'agente Betulla, Renato Farina, scrive su Libero: «Gaetano Saya e il Dssa hanno fatto parte del gruppo operativo della Cia che ha sequestrato Abu Omar». Farina, oggi deputato del Pdl, ha patteggiato la pena per le accuse di favoreggiamento a suo carico, riconoscendo fra l'altro di essere a libro paga del Sismi di Nicolò Pollari.
E qui si arriva al punto. Perché, secondo alcune fonti riservate, Saya era stato già in precedenza convocato da emissari di Pollari, compresi alcuni noti giornalisti i cui nomi vennero fuori proprio nel periodo degli scandali al Sismi.
«Nel corso di un appuntamento in zona via Sicilia, poco distante dalla redazione di Panorama, a Saya fu fatto credere che, con i suoi squadroni, avrebbe realmente avuto un ruolo nella vicenda dell'Imam». A fine giugno 2005 il Corriere della Sera titolava già “I pm di Milano: arrestate gli agenti della Cia”.
Poche ore dopo scatta il piano: tirare in ballo Saya e creare un polverone mediatico, proprio mentre gli uomini dei Servizi statunitensi lasciavano in segreto il nostro Paese.
«Si trattava in realtà di una trappola - dice la nostra fonte - l'ennesimo depistaggio per deviare il corso delle indagini su Abu Omar, una nuova tappa dello scontro in atto al Sismi fra i “pollariani” e i nemici del generale. Ma tanto servì ad attribuire a Saya e ai suoi una visibilità che altrimenti non avrebbero mai avuto».
Sei anni dopo, con le inchieste giudiziarie ancora pendenti sul suo capo (mentre Sindoca è stato prosciolto), Saya torna in campo più roboante che pria. Lancia anatemi via web al pubblico ministero milanese Armando Spataro (che a suo carico ipotizza i reati di apologia del fascismo e ricostituzione del partito fascista, mentre è caduta l'accusa di associazione per delinquere) e si proclama capo della GNI, Guardia Nazionale Italiana, ala militare del Movimento Sociale Italiano Destra Nazionale, capitanato da Maria Antonietta Cannizzaro, moglie del “conducador” di stampo mussoliniano.
Nel frattempo, infatti, il governo ha varato il famoso pacchetto sicurezza del 2009 e sdoganato, indirettamente, i “rondisti” Saya e C. Proprio all'indomani della nuova norma, Saya presenta in pompa magna a Milano le sue Ronde nere. Poche ore dopo scattano le indagini dei pm Spataro e Manlio Minale.
Passano alcuni mesi e i fascistoni ci ricascano: ad aprile 2010 in provincia di Genova viene fermato un «imprenditore campano cinquantenne» per uso illecito di palette della polizia, sirene ed altri elementi distintivi delle forze dell'ordine.
L'uomo, sorpreso, si dichiara appartenente all'Msi Destra Nazionale della Cannizzaro. Non vengono rese note le sue generalità, si sa soltanto che si occupa di macchinette per i videopoker. Attività che in Campania è notoriamente appannaggio esclusivo dei clan camorristici o di personaggi ad essi collegati.
PATACCARO A CHI?
Siamo così arrivati ai giorni nostri, alle turbolente atmosfere di guerra dietro l'angolo del Mediterraneo e a tutta quella serie di assetti privati in divisa che starebbero già vagheggiando il ruolo di contractors e relativi appalti da miliardi. In testa, a quanto pare, anche gli uomini al comando di Saya.
La notizia arriva da fonti molto vicine alle “camicie nere” del neofascista (ma in pubblico si proclama “nazionalista”) di origine messinese, il quale si sposterebbe oggi con maggior frequenza dalla base romana alla sua terra natale per via della intensa frequentazione con una esponente delle forze dell'ordine (questa sì, autentica), specialmente dopo la separazione consensuale dalla compagna Maria Antonietta, cui rimane legato dalla comune militanza politica.
Lei intanto, la “generalessa” Cannizzaro, ama farsi ritrarre in divisa al comando dei suoi “militi”, o in abito di gala mentre scende da auto blu di grossa cilindrata (Mercedes, Bmw, Porsche o giù di lì), tutte rigorosamente con sirena lampeggiante e, possibilmente, autista al seguito.
«Quello dei bolidi circolanti - spiega un fuoriuscito dallo staff “presidenziale” - è uno status symbol che, nel partitino della Cannizzaro, risulta dilatato oltre ogni misura. Sono oltre una decina, come è possibile controllare al Pubblico registro automobilistico, le vetture di questo genere intestate al Msi ed utilizzate da altrettanti dirigenti, dalla Calabria al Lazio fino alla Lombardia e altrove».
Nel “pacchetto”, aggiunge il nostro interlocutore, ci sarebbero anche contravvenzioni per una cinquantina di migliaia di euro, tutte ferme nei cassetti ed in attesa di condono “dall'alto”.
Ma da dove arrivano, al partitino della Cannizzaro, i denari necessari a mantenere un apparato così faraonico?
Lei, la signora, nata a Messina, un diploma di ragioniera esibito su Facebook a corredo dell'album fotografico tra glamour e kapò, l'ambizione dichiarata di diventare “infermiera professionale”, mentre indossa staffe, stivaloni e berrettacci neri con l'effigie dell'aquila reale, si attrezza nel miraggio degli squadroni a contratto, e intanto non disdegna la vendita di distintivi, divise ed altri gadget in odor di neonazismo.
«La stessa cosa - dichiara a mezza bocca un ex iscritto - che fa Saya. Vuoi entrare in massoneria? Ecco: una sostanziosa quota d'iscrizione, un bel cappuccio in testa e giù nello scantinato con lui a lume di candela. Per entrare nella Guardia Nazionale Italiana invece - precisa ancora il nostro uomo - è prevista una cifra simbolica. Solo che poi devi comprare la divisa, gli stivali e tutto il resto. E da chi li acquisti? Da lui, naturalmente...».
Insomma, nell'estrema destra di Saya, Cannizzaro e C. non si butta via niente: dagli orpelli venduti alle centinaia di giovani che fanno richiesta per entrare nelle “truppe nere” destinate a “ripristinare l'ordine nel Paese”, fino alle ben più ambiziose mire di “esercito privato”, bell'e pronto in caso di conflitto o destabilizzazione.
Durante la parata milanese dello scorso anno i “legionari” agli ordini di Saya erano circa 1.200. Oggi il numero sarebbe decuplicato.
«Questi dieci-ventimila uomini - taglia corto un anziano militare - sparsi lungo la penisola, pronti ad entrare in azione al momento opportuno, non sono oggi ufficialmente armati, ma non possiamo escludere che siano addestrati, anche perché tra le loro fila ci sono molti simpatizzanti attivi attualmente in seno alle forze dell'ordine o all'esercito.
Il vero pericolo insomma è che, in un momento di difficoltà per il Paese, possano trovare qualcuno disposto a finanziarli ed armarli».
Resta il fatto che la Guardia Nazionale Italiana si proclama apertamente al fianco del Pdl e di Silvio Berlusconi. E che il simbolo scelto per il Partito Nazionalista Italiano, annunciato da Gaetano Saya, è composto da una serie di SS di nazista memoria ripetute infinite volte dentro un cerchio nero.
Quanto al rapporto col premier, dopo le ripetute avances andate a vuoto del partito della Cannizzaro, pare siano state respinte al mittente anche le profferte di Saya, latore di presunti “dossier” sui finiani durante la lacerazione del Pdl.
LA SERA ANDAVAMO DAL PAPA
Negli anni “d'oro” della Dssa, quando le frequentazioni altolocate servivano a circondarlo d'un'aura imperscrutabile di onnipotenza, Saya amava circondarsi di una leggenda, le regolari visite dal papa.
L'auto sulla quale viaggiava per gli spostamenti in Vaticano era guidata all'epoca da un conducente speciale: Marcello Sanna. Il quale, oltre ad essere un fervente adepto della Dssa, nella vita faceva il capo operaio presso una casa di cura molto particolare con sede in zona Castelli romani.
La clinica esiste tuttora ed è un autentico colosso della sanità privata. L'Istituto Neurotraumatologico Italiano, reparti per vip a Grottaferrata e direzione generale nel centro di Roma, è stato fondato da Guelfo Galileo Faroni, oggi presidente onorario ultranovantenne del gruppo, amministrato dalla figlia Jessica Faroni, medico e da un paio d'anni presidente dell'Aiop nel Lazio, la sigla associativa delle case di cura private.
Solo un caso, il fatto che a far da chauffeur a Saya per le “visite al papa” («in realtà andavano a trovare un usciere dei Palazzi Vaticani, licenziato appena si è scoperta la messinscena», dice uno dei nostri informatori) fosse un dipendente dei Faroni?
Magari c'è qualcosa d'altro, o forse no. Ma qualcuno, in ambienti investigativi della capitale, ricorda che l'istituto dei Faroni fu lambito dallo scandalo su “lady Asl”, la zarina della sanità regionale Anna Iannuzzi condannata nel 2007 per aver creato “un buco” da 80 milioni di euro nelle casse della sanità laziale con la complicità di medici, funzionari e politici di primo piano.
«Le indagini a tutto campo sul caso Lady Asl - viene ancora sottolineato - furono condotte da poliziotti che qualche volta si trovarono fra le mani documenti scottanti. Di certo, parecchi fra loro sono stati repentinamente destinati a missioni estere, dal Kosovo all'Albania, ed hanno dovuto lasciare quelle inchieste sulla sanità».
Fra le circostanze che stavano venendo alla luce - ricorda qualcuno - anche la frequente presenza di pezzi grossi dei Servizi italiani, o di loro “ospiti”, per degenze di lusso nella clinica dei Faroni.
SCATTA LA DEFENSE
Fin qui le gesta di Saya e dei suoi. Ma non è finita. Perché un altro gruppo attivo nella capitale potrebbe - secondo alcune fonti - essere da tempo al lavoro sullo stesso terreno: quello della security capace di trasformarsi, all'occorrenza, in un esercito bell'e pronto per l'uso. Nessuna violazione, almeno in apparenza, della legge italiana, che proibisce l'addestramento di mercenari.
Ma solo la solita, “innocente” formazione di body guard, vigilantes, buttafuori e dintorni, Il personaggio intorno a cui ruoterebbero simili attività, come tutti i Rambo di professione, ama circondarsi d'una fama leggendaria: tanto per cominciare, racconta d'aver avuto una love story con Nicole Kidman, «dopo la fine della relazione fra la diva e Tom Cruise», chiosano un paio di siti gossippari sul web.
Non sappiamo se lui, il quarantasettenne Antonio Marrapese originario di Capua, provincia di Caserta, abbia realmente fatto breccia nel cuore della bellissima Nicole, ma di sicuro può contare su alcune amicizie di peso.
Non si spiega diversamente, per esempio, l'autentico redazionale sulla sua biografia pubblicato sotto forma di articolo (con tanto di firma: Romano Pietro) dal Corriere della Sera il 28 agosto del 2009 a pagina 43. L'incipit parla già da solo. «Dalla società del metronotte alla security international company. È lo slogan della Defensecurity, l'azienda creata da Antonio Marrapese.
Casertano di origine, formazione internazionale, rappresentante legale per l'Italia di Defence security training service corporation (la numero due al mondo nel settore della sicurezza dopo il gigante Blackwater), Marrapese, un imprenditore molto riservato che non vuole diffondere sue immagini, conta esperienze nella tutela di capi di Stato e, più di recente, in Iraq e in Afghanistan».
Blackwater, lo ricordiamo, è il principale contractor per la fornitura di uomini ed eserciti armati sui territori di guerra, dall'Iraq all'Afghanistan.
Proprio ad agosto 2009 la società di Marrapese faceva intanto il suo ingresso nel salotto buono di Confindustria e il Corriere, per celebrare degnamente l'evento, non trovava di meglio che auspicare l'arrivo della «autorizzazione di polizia che le permetterà di scendere in campo», sottolineando al tempo stesso che «nel frattempo è scattato il reclutamento di 3.500 uomini, da completare entro il 2011, quando si prevede un fatturato di 190 milioni. Per la fine dell'anno - viene precisato più avanti - l'organico sarà di mille unità», tutte superpagate, dal momento che «gli stipendi alti sono al centro della politica aziendale di Marrapese».
Iscritta come soggetto estero alla Camera di Commercio di Roma, la Defense Security Service Corporation, con sede legale a Panama, declina un oggetto sociale “rude” (anche con la lingua italiana), ma piuttosto eloquente: «Gli scopi generali della società si basano nel fare tutte le cose che più avanti si espongono nello stesso modo che le persone naturali possono fare in qualsiasi parte del mondo».
E cosa fanno, in qualsiasi parte del mondo, le “persone naturali”? «La gestione ed organizzazione di corsi di addestramento di attività relative alla protezione delle persone e dei suoi beni, servizi di antisequestro, ricerca di persone scomparse, servizio antiguerriglia e servizio antiterrorismo».
Alla Defense di Marrapese, stando alle brochure informative, sul “Security Training” non si trascura alcun particolare: si va dalla Analisi degli attentati alla Gestione della minaccia, dalle Strategie e tattiche di scorta protettiva alle Armi e balistica, dalle Tecniche di tiro da combattimento alle Tecniche di individuazione di ordigni esplosivi o di microspie, fino alla Pianificazione scorte nei paesi ad alto rischio, con un accento particolare posto sull'esigenza di «ottenere il riconoscimento giuridico nei paesi dove non è previsto, in special modo in Italia».
Esistono realmente, da qualche parte dell'Italia o all'estero, eserciti di giovani addestrati all'uso delle armi e pronti ad imbracciarle al momento opportuno? Molti, fra coloro che sono dentro al rischioso mondo della security, sono pronti a giurarci.
Quanto a Marrapese, un paio d'anni fa aveva dettato la sua autobiografia anche ad un giornale non ufficiale dei sindacati di polizia. E da lì scopriamo che all'estero la sua società gli eserciti privati li fornisce ufficialmente e già da tempo («Come sono armati i contractors e quali Rules of Engagement hanno?», gli chiede l'intervistatore. Risposta: «Veniamo armati direttamente dai governi per i quali lavoriamo»).
E poi un particolare di non poco conto circa la sua formazione: «Antonio Marrapese ha passato 18 mesi in un campo di addestramento sul lago della Sirte ad imparare i primi rudimenti sulle armi, l'esplosivistica, l'interrogatorio ed il controinterrogatorio».
Insomma, con la guerra che infiamma oggi proprio il Golfo della Sirte, l'uomo giusto al posto giusto.
Pd, ultima chiamata
di Marco Travaglio - Il Fatto Quotidiano - 5 Aprile 2011
Domani, salvo ennesimo rinvio, la Giunta per le autorizzazioni a procedere del Senato voterà pro o contro l’arresto del senatore dalemiano del Pd Alberto Tedesco, disposto due mesi fa dal gip di Bari Giuseppe De Benedictis per corruzione, concussione, turbativa d’asta e falso (Tedesco li avrebbe commessi per favorire le aziende di famiglia con le Asl quand’era assessore regionale alla Sanità nella prima giunta Vendola, prima di approdare in Senato al posto di Paolo De Castro, volato a Strasburgo).
Com’è noto, il Senato non è chiamato a valutare se Tedesco vada arrestato o no: questo l’ha già deciso un giudice terzo.
Il Senato deve solo autorizzare l’esecuzione dell’ordine di custodia, salvo che ravvisi nell’inchiesta un fumus persecutionis ai danni del senatore. Cioè dimostri che non esiste alcun indizio a suo carico, ma solo la volontà congiunta di procura e gip di perseguitarlo con accuse infondate.
Ma nessun membro della giunta, lette le migliaia di carte con intercettazioni e testimonianze, ha osato sostenerlo. Dunque il discorso, secondo la legge e la Costituzione, è chiuso: Tedesco deve andare in carcere, come i cinque coimputati che, non avendo avuto la fortuna di rifugiarsi in Parlamento, sono finiti ipso facto in cella.
Invece da trent’anni il Parlamento respinge tutte le richieste di autorizzazione ad arrestare suoi membri. E senza mai giustificare i dinieghi con il fumus persecutionis, ma invadendo ogni volta il campo della magistratura.
Come? Sindacando sulle esigenze cautelari (gravi indizi di colpevolezza e pericolo di fuga o di inquinamento probatorio o di ripetizione del reato), che sono competenza esclusiva del giudice e non del Parlamento.
Anche stavolta andrà a finire così: Pdl e Lega, avendo salvato e dovendo salvare decine di compari di avventura dediti al crimine, non si lasceranno sfuggire l’occasione di salvare anche Tedesco, per poi passare all’incasso quando toccherà a qualcuno dei loro, o per rinfacciare l’incoerenza al Pd che, sull’impunità per i politici, predica bene in casa di Berlusconi & C e razzola male in casa propria.
Dunque, se il Pd vuol essere credibile nella battaglia campale annunciata contro la nuova ondata impunitaria pro B. (prescrizione breve, processo morto, conflitto di attribuzioni e forse voto di improcedibilità nel processo Ruby), domani i suoi nove senatori in giunta dovrebbero tutti autorizzare l’arresto di Tedesco.
L’Idv, con Luigi Li Gotti, ha già annunciato che dirà di sì. Così finalmente vedremmo il centrosinistra compatto sul principio fondamentale dell’eguaglianza di tutti i cittadini dinanzi alla legge.
E, se Tedesco si salverà, sarà per il voto del centrodestra e della solita Udc, che in materia di impunità non ha nulla da invidiare a Pdl e Lega.
Purtroppo le cronache dicono che i nove pidini sono divisi: due (Casson e Adamo) pro arresto, sette contro (tra cui il solito presidente della giunta, Follini). E questo sebbene nessuno (nemmeno il relatore del Pdl Balboni) ravvisi nella richiesta del gip il fatidico fumus persecutionis.
A questo punto si attenderebbe una chiara pronuncia del segretario Bersani o della capogruppo Finocchiaro, invece incredibilmente il vertice del Pd ha deciso di lavarsene le mani: “Il partito – ha detto Bersani – non ha alcuna linea su Tedesco, non darà alcuna indicazione e non ha alcuna situazione da tutelare. Ho detto ai nostri di ritenersi completamente liberi”.
Il Pd Sanna parla addirittura di “anomalie dell’indagine” (ma, se ci sono, spetta al Riesame e alla Cassazione sanarle, non certo al Senato) e aggiunge: “Stabilito che non c’è fumus persecutionis, la questione va su un crinale politico: bisogna determinare quali siano oggi i reati considerati di eccezionale gravità ed è un limite che va fissato dal Parlamento”.
Par di sognare: il Parlamento decide quali reati sono gravi e quali no, quali sono meritevoli di arresto e quali no, e non è affatto certo che lo siano la corruzione e la concussione. Ora, per dire certe scempiaggini, bastano e avanzano i Berlusconi e gli Alfano. A che serve, dunque, il Pd?
Quando lanciarono le monetine a Craxi all'hotel Raphael c'erano gli italiani. Oggi a contestare La Russa in piazza ci sono i partiti camuffati da movimenti. Nel 1992 in Parlamento c'erano dei deputati e dei senatori eletti dai cittadini, oggi soltanto degli squallidi personaggi "nominati" dai segretari di partito.
I leader delle mie palle dopo gli scontri verbali in aula si fanno insieme gli gnocchi alla romana al ristorante dietro Montecitorio e si scambiano i parlamentari come su un album delle figurine Panini. L'indignazione un tanto al chilo, o forse sarebbe meglio dire al voto, stravolge le facce di Franceschini e di Bersani, rappresentanti di un partito che ha "salvato" per quindici anni tutte le leggi di Berlusconi.
Fassino dove cazzo eri quando si votava per le elezioni congiunte amministrative e referendarie per il nucleare? E D'Alema e la Melandri quando si poteva fare cadere il governo con il voto sullo Scudo Fiscale? Il primo, con l'aria di chi può permettersi di prenderti per il culo, dichiarò che "Non aveva capito che era importante", la seconda era in gita premio a Madrid.
In Italia non esiste un partito di governo e uno di opposizione, ma un partito unico, come ai tempi del fascismo.
Si danno il cambio a tirare la volata alle lobby del nucleare, dell'acqua privatizzata, degli inceneritori e delle leggi "ad partitum", come quella dell'indulto che salvò dalla galera amministratori pubblici di tutti i partiti.
Il nome di Berlusconi è bandito da questo blog. Oggi lo nomino per l'ultima volta e chi vuole discuterne ha a disposizione tutti i quotidiani on line che non sanno parlare d'altro, per aumentare il traffico o per calcolo elettorale.
Mi tirano per la giacca per fare alleanze con tizio o con caio, la mia risposta è semplice, chi vuole vada con tizio o con caio e non mi rompa i coglioni. Io ho obiettivi, sono descritti nel Programma del MoVimento 5 Stelle, e a Dio piacendo, li vorrei raggiungere.
Le alleanze sono un compromesso tra obiettivi diversi, dei quali, come si è visto in questi anni, non se ne raggiunge neppure uno, a parte l'occupazione delle poltrone. Gli obiettivi li raggiungono i cittadini della Val di Susa, i Movimenti per l'acqua, i no Dal Molin, non i partiti che altro non sono che comitati di affari.
Questo sito è deberlusconizzato. Solo a dirlo mi sento più leggero. Per tenere in vita l'elefante è necessario continuare a parlarne, farne il centro dell'universo. Cancellato l'elefante, si cancellerà d'incanto anche la merda collaterale che viene prodotta a ritmo continuo. Loro non si arrenderanno mai (ma gli conviene?). Noi neppure.
La P2 è un incubo maschile
di Beppe Grillo - www.beppegrillo.it - 5 Aprile 2011
La P2 era una loggia massonica coperta. Oggi abbiamo un governo massonico scoperto. I piduisti di ieri hanno fatto carriera. Il presidente del consiglio, tessera 1816, e il portavoce del Pdl alla Camera, Fabrizio Cicchitto, tessera 2232 ci spiegano il Piano di Rinascita Democratica di Gelli con i fatti. Giorno dopo giorno, nella sua applicazione reale, concreta.
Gelli, il gran maestro, condannato a 10 anni per calunnia aggravata dalla finalità di terrorismo per depistaggio delle indagini sulla strage della stazione di Bologna (85 morti e 200 feriti), recita la parte di vecchio saggio in televisione e si lamenta perché non gli viene riconosciuto ufficialmente il copyright del programma di Governo, dalla Giustizia, alla legge elettorale, al controllo delle televisioni.
In un altro Paese sarebbero stati condannati per alto tradimento, nel nostro hanno raggiunto i vertici delle Istituzioni.
Quando, nel 1981, fu scoperto dai giudici Gherardo Colombo e Giuliano Turone l'elenco dei piduisti si capì che la Storia dell'Italia nata dalla Resistenza, democratica e repubblicana era una copertura per un gruppo di avventurieri che avevano il controllo della nazione, banchieri, generali, politici, giornalisti, magistrati.
Una cupola da far impallidire Cosa Nostra. Solo 972 piduisti furono identificati su 2.400.
Tina Alselmi fu scelta come presidente della Commissione parlamentare da Nilde Iotti, allora presidente della Camera, e interpretò il suo ruolo con coscienza e coraggio. Per questo la sua carriera politica fu distrutta. Sarebbe stata un grande Presidente della Repubblica.
Tina Anselmi credeva che i nomi venuti alla luce fossero i pesci piccoli, gli altri, un migliaio, mai identificati, erano più importanti.
Ma cosa è più importante di un generale o di un direttore di giornale se non un presidente del consiglio o un suo ministro o il capo di una grande impresa?
Oggi il cerchio si chiude, il cittadino è escluso dalle istituzioni con la legge elettorale porcata di matrice piduista, le televisioni sono il megafono del governo, la giustizia sta per essere ingabbiata. La P2 regna. Dove si deve andare per iscriversi?
Con in più la perla costituita dall'avere sovrinteso in qualità di direttore del comitato per l' organizzazione dei Mondiali di calcio d'Italia 90 all'edificazione con il denaro pubblico del più orribile stadio di calcio italiano (Delle Alpi di Torino) andato incontro alla demolizione dopo neppure 20 anni di vita.....