Damasco ancora nel mirino dei mistificatori
di Matteo Bernabei - www.rinascita.eu - 24 Giugno 2011
Come ogni venerdì che si rispetti da qualche messe a questa parte, anche quello appena trascorso è stato caratterizzato da un’incessante flusso di notizie riguardo le presunte manifestazioni anti-governative in Siria, con annessa ovviamente anche la consueta e altrettanto presunta repressione.
Le agenzie italiane come ogni giorno hanno riportato decine di lanci contenenti informazioni su scontri, morti e feriti e quant’altro, riferite dai soliti sedicenti attivisti della rete. Fra questi improbabili elargitori di verità assolute venerdì è saltato fuori nuovamente il nome Malath Aumran, il quale altri non è che l’alter ego di Rami Nakhla.
Di quest’ultimo Rinascita si era occupata già la scorsa settimana rivelando, grazie a una segnalazione, un passato tentativo di nascondere la propria identità dietro un falso profilo Facebook dal quale diffondere notizie sulla crisi siriana.
Eppure Rami non avrebbe alcun bisogno di celare la propria identità. Il sedicente attivista infatti è recentemente comparso di fronte le telecamere della Cnn spiegando agli americani il suo “delicato compito” nel diffondere le notizie provenienti dalla Siria.
Peccato che Rami non si trovi in Siria, bensì in Libano al riparo da qualunque tipo di rischio perché protetto dal leader dello schieramento anti-siriano, nonché criminale di guerra, Samir Geagea.
Sempre ammesso che ci sia veramente lui dietro il profilo Twitter di Malath Aumran, sul quale non compare la vera foto dell’attivista ma una accuratamente modificata. Perché, bisogna infatti chiedersi, un uomo che mostra il proprio volto in tv e dichiara la propria identità al mondo continua a nascondersi sulla rete?
Tuttavia non sembra che i media internazionali siano molto disposti a indagare sulle reali motivazioni e identità dei propri anonimi informatori.
Forse perché troppo occupati a trascrivere tutto quello che appare in rete per fare una scrematura delle notizie prive di fondamento, o al contrario perché impegnati nell’evitare che le altre voci del web, quelle che raccontano di manifestazioni strumentalizzate e di una forte presenza di gruppi armati, riescano a farsi sentire.
Ad ogni modo, accade quotidianamente che molte notizie rilevanti e in grado di fornire una seconda e forse più plausibile lettura della crisi siriana vengano censurate senza una ragione valida.
Venerdì ad esempio nessuno si è degnato di dare spazio alla notizia riportata dall’agenzia di stato siriana Sana e dalla tv iraniana Irib della scoperta di un’intera nave carica di armi e munizioni nel porto di Latakia, che secondo le prime indiscrezioni erano destinate a “gruppi di terroristi annidati nel nord, precisamente a Jisr al Shughour, al confine con la Turchia”.
Guarda caso gli stessi luoghi dai quali la popolazione starebbe fuggendo e dove alcuni giorni fa 120 soldati siriani sono stati assassinati costringendo l’esercito a intervenire in forze.
Altra notizia che stranamente non ha trovato spazio sui media nazionali è quella riportata da Huda Ibrahim, inviata di Radio Montecarlo in Turchia, la quale afferma che il governo di Ankara vieta ai profughi siriani qualsiasi contatto con l’esterno, sequestra loro i documenti e nega ai giornalisti l’accesso ai campi di accoglienza. Notizia anche questa facilmente fruibile su Facebook e certo non di poca importanza specie ora che la Turchia è tornata a dialogare con Damasco.
Chissà, forse l’esecutivo di Ankara si è accorto che a fuggire oltre confine non sono solo degli innocui civili spaventati, ma anche curdi e pericolosi criminali in fuga dalle proprie colpe. Sta di fatto, però, che la lettura dell’intera situazione che i grandi colossi dell’informazione occidentale forniscono ai cittadini di mezzo mondo risulta distorta e incompleta.
E questo soprattutto perché i giornalisti di queste famose testate “emebdded” continuano a credere ad ignoti che si nascondono dietro lo schermo di un pc, considerando invece “di parte” le notizie provenienti dagli organi ufficiali. Un atteggiamento che ha reso il principio della completezza dell’informazione una vera e propria chimera.
E così il nostro eminente ministro degli Esteri, Franco Frattini, avrebbe scoperto che in Libia è necessaria “una sospensione umanitaria immediata delle ostilità” per consentire “corridoi umanitari” in aiuto alla popolazione. E ha anche parlato di un “cessate il fuoco”, indicando come grave, soprattutto, la situazione a Misurata.
Già, Misurata. Proprio quella città dove accadono tragedie avvolte in un assordante silenzio. Come quanto avviene su giovani donne libiche rapite dai miliziani ribelli e costrette a diventare oggetto di stupro di gruppo di fronte alle loro famiglie.
Dove i miliziani sostenuti dalle bombe della Nato (e dell’Italia) setacciano casa per casa chiedendo ai cittadini se siano sostenitori della rivolta: se dicono di no, vengono uccisi sul posto; se dicono che vogliono stare alla larga dai combattimenti, le loro case “neutrali” vengono chiuse e saldate con le famiglie all’interno. Fatti normali, non “eccezionali”.
Le “feste degli stupri” sono la semplificazione più evidente della perdita del controllo morale della Nato e sui suoi alleati.
Un padre in lacrime ha riferito ad una delegazione di indagine indipendente, occidentale, come due settimane prima sette case del suo quartiere siano state fatte oggetto di tali “attenzioni”, sequestrando la fioglia vergine di ogni famiglia pro-Gheddafi.
Quando hanno finito di violentarle, hanno tagliato i seni a quelle ancora in vita. I seni sono stati accumulati in una piazza per compitare la parola “puttana”. La denuncia del testimone è stata pronunciata in pubblico, in un’assemblea tribale, di fronte ai delegati occidentali.
Ma la signora Clinton, qualche giorno dopo la denuncia degli osservatori indipendenti, ha trasformato la verità nel suo contrario, dichiarando che sarebbero i soldati governativi di Gheddafi gli autori degli stupri.
Così, in Libia, sostenendo la canaglia ribelle, la Nato si è trasformata in canaglia anch’essa.
Il continuo bombardamento di Tripoli, con la mietitura di vittime civili, ne è la controprova.
E il nostro esimio Ministro, ora, si mimetizza in “umanitario” per rendere più agevole la consegna di armamenti alle forze ribelli che imperversano a Misurata. Con l’utopia di vedere sconfitta la gran parte della popolazione libica che resta fedele al suo governo.
Fuori dalla Nato!
di Giulietto Chiesa - Il Fatto Quotidiano - 25 Giugno 2011
Questa opinione l’ho già espressa pubblicamente, ma la ripeto qui, adesso, perchè voglio sottolineare una cosa semplice semplice: non lo fate in mio nome.
La vergogna di uccidere i civili (con il pretesto di salvare altri civili) è oggi lampante. Chi non riesce a vederla?
So bene che risponderanno qui quelli che la vedono e se ne gloriano. So che ce ne sono tanti, e non me ne stupisco. Questi sono i complici. Ma non è a loro che chiedo. Chiedo a quelli che misero le bandiere della pace alle loro finestre, quando cominciò la guerra in Iraq.
Default per Grecia e Stati Uniti
di Yuri Gavrilechko - www.strategic-culture.org - 24 Giugno 2011
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di Supervice
Nella metà di giugno Alan Greenspan, l’ex direttore della Federal Reserve, ha detto che il default della Grecia è “quasi certo” e potrebbe contribuire a portare l’economia degli Stati Uniti in depressione. La forte dichiarazione di Greenspan sulla Grecia potrebbe essere una “cortina di fumo” per preparare la comunità globale al default degli USA.
Intanto, qualche dato fondamentale.
Il 14 giugno la Commissione Europea ha fallito nel giungere a una conclusione definitiva sulla situazione greca per trovare il mondo di risolvere il problema del suo debito. Si ci aspetta che il Parlamento greco approvi il programma per la riduzione dei costi di bilancio.
Il 16 giugno gli Stati Uniti hanno raggiunto un altro massimo per il tetto del debito pari a 14,3 trilioni di dollari, fissato dal Congresso nel 2010. L’amministrazione USA ha alcune settimane a disposizione per evitare il default, che potrebbe già avvenire il 2 agosto, se il Congresso non dovesse approvare l’innalzamento del limite di questo tetto.
Alcuni esperti fanno presente che, per comprendere appieno il vero significato dell’avvertimento di Alan Greenspan, bisognerebbe tenere in considerazione queste circostanze:
- i mass media globalisti stanno ponendo una maggiore attenzione sul rumore che c'è attorno all’incremento del limite del debito degli Stati Uniti: i Repubblicani stanno spingendo l’amministrazione Obama per prendere misure efficaci per combattere il deficit e sono pronti persino a ritardare l’innalzamento del tetto del debito fino ad agosto per provocare un default tecnico del debito del governo degli Stati Uniti;
- il 17 giugno l’agenzia di rating Moody’s ha avvertito che, se la decisione dell’aumento del tetto del debito non verrà presa entro la metà di luglio, ciò porterebbe a un abbassamento del rating USA e se il tetto non venisse alzato per il 15 agosto questo significherebbe un ulteriore abbassamento del rating USA fino a R.D., che significa default limitato;
- presumibilmente, l’affermazione di Alan Greenspan è un tentativo per avvicinare l’opinione pubblica all’eventualità, e poi all’inevitabilità, del default limitato per gli Stati Uniti, di cui verrà addossata la colpa al “disastro greco”.
Un default negli Stati Uniti, anche se limitato, sarebbe una conseguenza sproporzionata ai problemi della Grecia, che non dovrebbero influenzare gli USA: gli asset lordi delle banche americane e dei broker emessi dalla Grecia ammontano a soli 32,7 miliardi di dollari e gli asset netti sono ancora inferiori.
Un default in Grecia avvantaggerebbe molto gli USA. Non solo per coloro che vogliono innalzare il tetto del debito per la 63esima volta, ma anche perché renderebbe possibile spostare il peso della stretta deflazionistica sulle spalle degli europei.
Il default negli USA è una preparazione per l’iperinflazione?
Dall’altro lato, le passività del settore non finanziario dei paesi sviluppati si stanno avvicinando al limite naturale; ad esempio, negli Stati Uniti e nel Canada i debiti hanno raggiunto il 68% del valore totale accumulato dalla nazione, in Giappone il 64%, in Gran Bretagna il 59%, eccetera.
Questo è il motivo per cui è inevitabile che verranno depennati: sia attraverso una spaventosa “stretta” deflazionistica o con l’iperinflazione. Dopo tutto, ancora non ci sono le condizioni per l’iperinflazione: i collaterali sui prestiti in dollari (che sono stati approvati negli ultimi dieci anni) non sono stati ancora consolidati. L’iperinflazione diventa possibile solo dopo l’intera catena dei default dei debitori che hanno preso i dollari in prestito.
È più probabile che nel futuro immediato l’economia globale debba far fronte a una nuova “stretta” deflazionistica. Per via del termine, fissato in giugno, dei programmi di alleggerimento quantitativo QE1 e QE2 che hanno immesso denaro dal Federal Reserve System (FRS) nell’economia degli USA, e del ritiro da parte della Banca Centrale Europea (BCE) dei programmi d’aiuto finanziari e del progetto di il tasso di sconto, una volta arrivati al 30 giugno il deficit dei dollari avrà inizio, le banche abbasseranno i limiti una con l’altra, perché nessuna saprà quanto forte sarà la dipendenza del proprio contraente dai crediti dalla riscossione incerta collegati ai paesi PIGS (Portogallo, Irlanda, Grecia e Spagna).
Come risultato, almeno nel breve termine e forse anche nel medio, i prezzi delle materie prime diminuiranno.
Una dinamica simile è già evidente, le materie prime stanno diventando meno care: negli ultimi tre giorni il prezzo del petrolio ha perso 10 dollari al barile. Ciò rende improbabile l’iperinflazione in questo contesto.
La stagflazione è il massimo di quello che potrebbe accadere, ma è più probabile che il mondo debba affrontare un nuovo shock deflazionistico, che verrà “estinto” con l’aiuto dell’emissione di moneta. Un altro programma di quantitative easing (QE3) è possibile.
Al momento le quotazioni delle azioni e gli indici sono in calo e i diversi incidenti artificiali come le “epidemie dovute ai cetrioli” nell’Unione Europea le faranno diminuire ancora di più.
Cosa può servire come motivazione aggiuntiva per il FRS e la BCE per implementare il QE3? Prima di tutto questo potrebbe causare una bancarotta di un altro gruppo di banche sovraccaricate non solo di titoli “tossici”, ma anche di altre titoli di stato non garantiti. Se le banche fallissero, si avvierebbe una nuova crisi. Una nuova immissione di denaro nell’economia potrebbe prevenire questo scenario.
Oro al tungsteno per la Cina, ossia la crisi globale della fiducia
All’inizio dei giugno i mass media si sono focalizzati sullo scandalo della vendita dei lingotti d’oro falsi alla Cina (1). Una volta ordinato il lotto, il governo cinese si è premunito di controllare la finezza dell’oro e il peso dei lingotti. Le barre erano false.
Il lotto conteneva barre di tungsteno coperte con una fine patina d’oro. Questi lingotti “d’oro” erano stati prodotti negli Stati Uniti e sono stati conservati a Fort Knox per molti anni.
Il governo cinese ha avviato un’indagine e ha rilasciato una dichiarazione in cui fa riferimento alle macchinazioni del governo degli Stati Uniti. I numeri di registrazione del lotto dimostravano che i lingotti furono ricevuti dall’FRS durante la presidenza Clinton. In quel periodo furono prodotte da 1,3 a 1,5 milioni di barre di tungsteno, del peso di 400 once ciascuna, in seguito all’ordinativo dei banchieri dell’FRS.
640,000 di queste barre di tungsteno furono ricoperte d’oro e spedite a Fort Knox dove sono state conservate fino ad ora. In base ai risultati dell’indagine, le rimanenti barre di tungsteno furono anch’esse ricoperte d’oro e vendute nel mercato internazionale.
Non solo le riserve d’oro degli Stati Uniti hanno ricevuto oro patacca, ma anche il mercato globale è stato truffato dai banchieri dell’FRS. Il prezzo della “truffa dell’oro di Clinton” è di circa 600 miliardi di dollari.
Un ulteriore avvenimento che mi rammenta quella truffa è il recente scandalo sessuale dell’ex direttore del FMI, Dominique Strauss-Kahn. L’ex direttore del FMI face una dichiarazione pubblica in cui rivelò l’informazione che gli Stati Uniti non avevano riserve d’oro. Questa potrebbe essere una delle ragioni dietro lo scandalo.
Strauss-Kahn era sempre più preoccupato dalla mancanza delle riserve d’oro dopo che gli Stati Uniti avevano ritardato la “spedizione” di 191,3 tonnellate d’oro per il FMI, che ne aveva bisogno come alternativa alle riserve composte dalle divise. Durante il suo soggiorno negli Stati Uniti, Strauss-Kahn ha ricevuto conferma dai funzionari della CIA che la riserva d’oro era scomparsa.
La pubblicazione della conversazione tra il parlamentare Ron Paul e il rappresentante del FRS Scott Alvarez all’inizio di giugno dà conferma a quest’informazione. In questo dialogo hanno detto che il FRS non ha più oro per sostenere il dollaro (2).
La diffusa opinione che il FRS possieda oro non è vera. Le riserve del FRS sono stimate in 11,1 miliardi di dollari, ma questo dato potrebbe decisamente salire se il Ministero delle Finanze rivalutasse il suo oro e introducesse la pratica nella rivalutazione del valore facciale prevista dalla legge. Infatti il valore del dollaro è molto più basso e il FRS non ha molte possibilità per usare i suoi asset.
L’unica cosa che potrebbe prevenire il collasso del sistema è la fiducia del mercato. Quando questa sparisce, scomparirà anche qualsiasi altra cosa. Se la decisione fosse quella di avviare uno scenario iperinflattivo non sarebbe necessario applicare alcuno strumento finanziario.
Nella situazione odierna sarebbe già abbastanza lanciare una campagna informativa nei mass media per creare il panico. Per i funzionari del FRS, del FMI e della BCE sarebbe già abbastanza evitare di commentare la cosa.
Strategicamente, non fa alcuna differenza se il default della Grecia sia possibile nel futuro immediato o se fosse posticipato grazie all’immissione di decine di miliardi di euro nell’economia nazionale dall’estero.
Il risultato sarebbe lo stesso in entrambi i casi: prima uno shock deflazionistico e poi l’iperinflazione.
Per questa ragione, se la Grecia ricevesse un aiuto economico dall’estero gli Stati Uniti avrebbero più tempo per preparare lo scenario fissato dell’iperinflazione del dollaro.
Note:
(1) http://perevodika.ru/articles/18828.html
(2) http://hvylya.org/news/digest/11075-v-frs-priznajut-zolota-u-nas-net-s-1934-goda.html
Italia, prossima vittima della speculazione?
di Ugo Bertone - Il Sussidiario.net - 24 Giugno 2011
La Federal Reserve rivede al ribasso le stime di crescita per il 2011/12. La frenata della Cina, per ora, si è tradotta in ben poca cosa. Ma, prima o poi, le misure aggressive dell’autorità monetaria (sei aumenti consecutivi della riserva obbligatoria delle banche negli ultimi sei mesi) produrrà i suoi effetti.
La crescita europea ricalca lo schema dei polli di Trilussa: la locomotiva tedesca cresce a ritmi sensazionali, il sud Europa segna il passo. In generale, l’economia globale arranca più del previsto, cosa che sta scombinando i piani di rientro dall’eccesso di liquidità che la Federal Reserve, almeno fino ad aprile, pensava di mettere in cantiere con l’estate.
Al contrario, nonostante gli eccessi speculativi sui mercati alimentati dal denaro a basso costo e nessun controllo, Bernanke non può stringere i cordoni della Borsa. Anzi, ci avvete Bill Gross, il più importante gestore al mondo sui mercati obbligazionari, è probabile che ad agosto, in occasione del meeting dei governatori delle banche centrali a Jackson Hole, Bernanke annunci un nuovo piano di stimoli per l’economia.
Molto, avverte Jim O’Neill di Goldman Sachs, dipenderà dalla capacità di reazione di alcune società giapponesi, tanto ignote anche al pubblico degli addetti ai lavori quanto vitali per l’industria.
La Renesas, ad esempio, ovvero un produttore di chip per l’auto che serve quasi tutti i produttori a quattro ruote del pianeta. I problemi che hanno seriamente rallentato la produzione dell’impianto di Naka hanno provocato la frenata dell’auto in Usa e in Europa. Ma, ci consola O’Neill, nel Paese del Sol Levante la ricostruzione degli impianti procede a ritmi spettacolari e presto se ne vedranno gli effetti. Quasi ovunque.
L’Italia, che dal Duemila in poi sembra che abbia registrato il peggior tasso di crescita del pianeta (con l’eccezione d Zimbabwe e Haiti) non perde l’occasione per ridurre la sua velocità di marcia. In questa cornice in grigioscuro del mondo nel quinto anno della Grande Crisi che ha preso il via nell’estate del 2007 non stupisce che l’Italia, al solito, faccia fatica a mantenere un’andatura di marcia appena accettabile.
Dalla stima iniziale dell’1,1% di crescita per il 2011, siamo già scesi, secondo il Centro studi Confindustria allo 0,9%. Ma non si tratta di un rallentamento congiunturale, in sintonia con l’economia mondo: il Bel Paese si sta avvitando su se stesso, al punto che “in assenza di riforme strutturali” la crescita rischia addirittura di dimezzarsi a un modesto 0,6%.
Insomma, non basta la valvola di sfogo dell’export su cui fa conto l’industria italiana che trae profitto dalla corsa della locomotiva tedesca. Una gigantesca cappa di incertezza, drogata dalla paura di possibili se non probabili “sberle” fiscali per tener fede alle promesse europee (altro che sgravi...), incide sui consumi delle famiglie, mentre i ritardi nei pagamenti, soprattutto sul fronte pubblico, frena, se non paralizza, buona parte della piccola industria a partire dall’edilizia. Così facendo, però, per paradosso s’allontana l’aggancio con l’Europa.
Secondo i calcoli di Banca d’Italia, infatti, per rispettare senza particolari sacrifici l’appuntamento con il pareggio di bilancio nel 2014, sarebbe sufficiente che l’Italia crescesse al 2% annuo, cosa che richiede scelte in grado di “rafforzare la fiducia di famiglie e imprese e innalzare le rispettive propensioni a consumare e investire”.
Ovvero, delle due l’una. O si investe in quelli che Confindustria chiama i “campi da dissodare” (semplificazione, realizzazione di opere pubbliche, liberalizzazioni e apertura del mercato in molti servizi, più formazione, efficienza della pubblica amministrazione, contrasto all’evasione, riforma fiscale) oppure in un futuro non tanto lontano sarà necessario uno shock formato ‘92.
Stavolta non prenderà, forse, la forma di un prelievo forzoso sui depositi bancari (“lo scippo”, come lo definì il suo autore Giuliano Amato), ma non si limiterà di sicuro a far pagare un piccolo prelievo forzoso ai proprietari di yacht, come lascia intendere lo stesso Amato.
O si guadagna di più, insomma, o sarà necessario pagare di più. Anche perché con i tempi che corrono non è sensato sperare in un consenso politico sull’unica riforma che potrebbe far tornare il Paese a crescere: un taglio strutturale della spesa pubblica. E allora prepariamoci a indossare l’elmetto.
In settimana, un professore della Stern University, Edward Altman., ha spiegato sulla base di un elavorato meccanismo econometrico, che l’Italia è il prossimo “pilastro” dell’area euro che potrebbe cadere sotto i colpi della speculazione che, al solito, preferisce i quattrini facili che si fanno giocando contro i Btp piuttosto che il finanziamento dell’economia reale.
Le ragioni? Oltre all’elevato debito pubblico e al basso tasso di crescita, Altman mette il dito sulla piaga della scarsa solidità patrimoniale delle imprese: una nuova caduta delle quotazioni azionarie metterebbe a serio rischio una parte consistente del made in Italy che sta in piedi solo grazie al paracadute delle banche (a loro volta garantite dai pegni azionari).
Non si tratta di fare inutile allarmismo. Ma la situazione è difficile. E non se ne viene fuori se non si riscopre un obiettivo comune su cui far convergere un’ampia maggioranza di interessi dei cittadini accantonando le questioni più futili che, tra inchieste più o meno “gossipare” o proposte bizzarre come il trasloco dei ministeri, occupano le prime 14-15 pagine dei quotidiani nostrani: la politica urlata, da troppo tempo, nasconde il vuoto politico.
Contro l'inflazione la Borsa è come la roulette
di Beppe Scienza - Il Fatto Quotidiano - 23 Giugno 2011
Sempre pronto a dare consigli sbagliati, il Corriere della Sera apre la prima pagina del supplemento CorrierEconomia del 3 maggio 2011 col titolo “L’inflazione fa paura? Azioni e bond per difendersi”.
Il concetto è sviluppato a pagina 17 da un articolo che inizia così: “Contro il carovita ci pensa Piazza Affari”. L’autore è Adriano Barrì: una firma nuova per una vecchia bufala.
Non è vero che le azioni proteggano dall’inflazione, ovvero che di regola il valore dei propri risparmi venga preservato investendoli in Borsa. Basta un minimo di competenza per sapere che ciò è accaduto a volte sì e a volte no.
Il Corriere della Sera poteva anche titolare: “L’inflazione fa paura? La roulette per difendersi”. Se, infatti, uno punta tutto sul rosso ed esce, ottiene una salvaguarda del potere d’acquisto dei suoi risparmi anche con un’inflazione del 100%.
Si veda nel grafico cosa capitò a Piazza Affari dopo il 1973, ovvero durante l’ultima fiammata inflattiva in Italia. Nel giro di un paio d’anni era andato in fumo fra il 60%-70% delle somme investite. Bella difesa dall’inflazione!
I dati come al solito non provengono dal centro sociale Leoncavallo, bensì dall’ufficio studi di Mediobanca, diretto non da Fausto Bertinotti, bensì da Fulvio Coltorti.
Peraltro già nel 2009 uno studio del Fondo Monetario Internazionale giungeva a conclusioni ugualmente negative per l’investimento azionario: “Inflation Hedging for Long-Term Investors” di Alexander P. Attié e Shaun K. Roache.
Al Corriere della Sera sono così incompetenti da ignorare del tutto la materia su cui pontificano? Il fervore pro-azionario del quotidiano di via Solferino si spiega altrimenti, cioè coi suoi padroni. Che sono: Mediobanca, Fiat, Pesenti, Della Valle, Pirelli, Ligresti, Merloni, Generali, Banca Intesa ecc. A tutti costoro fa gioco che i risparmiatori italiani comprino loro azioni (di minoranza).
La conferma viene dal Sole 24 Ore, controllato dai soci di Confidustria e quindi da soggetti ugualmente interessati a trovare tapini disposti a prendersi sul groppone le azioni di minoranza delle loro società.
Qui gli esempi si sprecano. Il 27 luglio 2008 Marco Liera scrive a pagina 25 che “le azioni storicamente sono uno dei migliori impieghi anti-inflazione” e cita “uno studio dell’investment bank Kleinwort Benson”, che non è propriamente la fonte più autorevole in materia.
Su Plus 24 del 25 aprile 2009, a cura dello stesso campione del giornalismo economico, leggiamo in prima pagina riguardo alla “quota da destinare alle azioni: si parte dal 10 fino a un massimo del 70%”.
Il 14 maggio 2011 a pagina 17 il gestore invitato, quella settimana, a farsi bello sulle pagine di Plus 24 consiglia a un artigiano circa il 55% in azioni, in maniera diretta o indiretta. E addirittura il 34% a una coppia con un profilo conservativo! Nell’ultimo caso il responsabile dell’inserto era cambiato.
Ma ciò non ha nessuna importanza. Seguo il foglio della Confindustria dalla fine degli anni ’70 e ho visto alternarsi più direttori, senza che si notassero differenze, salvo forse nella grafica dei supplementi.
di Debora Billi - http://petrolio.blogosfere.it - 23 Giugno 2011
No, non è una battuta sui sacchetti multicolori. Ma un dubbio amaro che viene guardando le foto della rivolta napoletana di stanotte. De Magistris si è insediato da appena una settimana, e la città è percorsa da una rivolta come mai si era verificato negli anni scorsi.
Ma non avevano votato ieri per De Magistris con percentuali bulgare? Ora gli stessi si rivoltano contro di lui, senza neanche dargli il tempo di attaccare il cappotto? Non solo.
Nelle foto si vede gente a volto coperto (mascherine anti miasmi, si come no) che sbandiera tutta contenta sopra mucchi di monnezza. Dove sono le forze dell'Ordine? Dove sono i soliti manganelli, sempre pronti all'uso in questi casi?
Non ce n'è traccia; in compenso, è pieno di fotografi. Anche se sui giornali nazionali, quelli di sinistra, non si trova uno straccio di analisi e la notizia è relegata in fondo a destra.Tutto ciò ricorda tanto certe "rivoluzioni colorate" a cui abbiamo assistito ultimamente, in cui quattro gatti hanno ottenuto risonanza internazionale e messo in difficoltà i propri governi. Emanazione diretta di chi puntava a un cambio di regime.
E infatti, ecco Lettieri pronto a sostituirsi all'inetto De Magistris, dichiarando di avere la soluzione nel cassetto. Soluzione che non può certo prescindere dal governo nazionale, che infatti fa di tutto per mettere i bastoni tra le ruote al neosindaco e tiene a sua volta i decreti chiusi a chiave per lasciarlo nei casini il più possibile.
Casini che non sono solo di ordine pubblico o di cattiva fama, sia chiaro: si punta al commissariamento del Comune di Napoli, e a nuove elezioni. Un vero cambio di regime imposto a forza, per bypassare la volontà popolare e il risultato elettorale conseguito da poche ore.
D'altronde, si sa, De Magistris è isolato. E come sosteneva Falcone, chi viene lasciato solo è bersaglio di chiunque. Di Pietro teme la sua popolarità, per il PD è una minaccia al proprio sistema di potere costruito in Campania in tanto tempo, il PDL è stato espropriato da una vittoria che aveva pianificato a tavolino grazie al caso monnezza mantenuto per anni, la delinquenza organizzata non può sopportare un PM per sindaco, l'industria teme la cancellazione del business degli inceneritori a favore di differenziata e riciclo, e gli spazzini saranno costretti a lavorare. Insomma, un quadro da "solo contro tutti" che non pronostica favorevolmente.
Così, eccoci alla rivoluzione colorata. Il popolo napoletano insorge, tutti indignados, tutti all'intifada, ma con qualche mese di ritardo e senza polizia. E se questa situazione perdura, ci sarà qualcuno che ci guadagnerà.
I rifiuti di Napoli e la Lega carogna
di Gad Lerner - La Repubblica - 25 Giugno 2011
La Lega incarognisce e comincia a dare il peggio di sé. Sgominata nel Nord che sognava già suo; asserragliata nel governo di Roma ove s’è distinta solo per lottizzazione e clientelismo; incapace di emanciparsi dal Capo che non ne azzecca più una; scattano in lei i riflessi pavloviani dell’egoismo territoriale.
I confini della Padania immaginaria che nella fase espansiva si fantasticavano estesi fino all’Umbria e alle Marche, ora vengono ristretti alle ridotte pedemontane; all’antimeridionalismo delle origini; alla ricerca, un quarto di secolo dopo, dell’impossibile revival purificatorio.
Dàgli ai napoletani, allora! Con becero compiacimento i gerarchi incanutiti sogghignano dell’emergenza rifiuti campana e giocano a boicottare il decreto governativo che ne consentirebbe lo smaltimento in altre regioni, già pronte a trattarli.
Piace loro, nel centocinquantenario della nazione, riprodurre la dinamica degli staterelli preunitari. Alla faccia di un federalismo solidale in cui non hanno mai creduto, sposano la burocrazia delle dogane e delle frontiere interne alla penisola.
Il loro giornale titola soddisfatto: “Napoli soffoca nei rifiuti ed è senza vie d’uscita”. Si arrogano il merito di far soffrire i partenopei, descritti come topi in gabbia (testuale), vicini alla catastrofe (testuale).
La responsabilità storica di avere portato al governo questi energumeni nemici dell’italianità, disposti a giurare sulla Costituzione pur di fare i ministri, per poi rinnegarla, grava sulle spalle di Silvio Berlusconi.
Come dimenticare, del resto, le parole minacciose e vendicative con cui il presidente del Consiglio apostrofò gli elettori dopo la vittoria di De Magistris? La frase sfuggitagli dopo l’esito dei ballottaggi –“I napoletani si pentiranno moltissimo”- acquista oggi un eco sinistro.
Difficile pensare che non vi sia stato un calcolo cinico da parte di Berlusconi nel rinviare l’approvazione del decreto di smistamento per due, tre sedute del Consiglio dei ministri. Solo che l’apprendista stregone, disposto a tollerare e strumentalizzare l’energia distruttiva del leghismo pur di tirare a campare, ora rischia di esserne a sua volta travolto.
Il ministro della Complicazione normativa, Roberto Calderoli, promette di far “volare le sedie” anche contro di lui. Il linguaggio rozzo e violento dei capi leghisti messi alle strette perde la sua aura carnevalesca. Il buffone incattivito altri non è che una carogna.
Il raduno di Pontida ha evidenziato come la Lega abbia esaurito i suoi spazi di manovra. Decaduto il mito dell’abilità tattica di Bossi, consumato il repertorio delle trovate demagogiche con l’ultima farsa dei ministeri al Nord, il Carroccio è costretto a giocarsi anche l’ultima sponda del rapporto diplomatico con il Quirinale.
Già era entrato in rotta di collisione con Giorgio Napolitano pretendendo la violazione degli accordi internazionali sulle missioni militari in Libia, in Libano e in Afghanistan. Ma adesso il veto leghista al soccorso di Napoli suona come un’offesa diretta alle sollecitazioni del Capo dello Stato.
Il governo, minoritario nel paese, reagisce abdicando al suo mandato di operare nell’interesse di tutta la nazione. Diviene attore della sua spaccatura, nella miope aspettativa di trarre vantaggio dalle pulsioni meschine dell’antimeridionalismo. Con ciò dimostrando di ignorare, ormai, le aspettative assai più degne degli stessi cittadini settentrionali.
L’involuzione estremista della Lega, purtroppo, non la riporta automaticamente alla sua collocazione naturale di movimento destinato all’opposizione. La nomenclatura del Carroccio è composta da uomini seduti da quindici, vent’anni in Parlamento. Fingono, quando si dicono pronti a lasciare le poltrone. Temono con ragione che l’abbandono del potere determini la frantumazione del loro movimento.
Mai come oggi l’Italia avrebbe bisogno di recuperare un sentimento di partecipazione comune al dramma dei napoletani. La crisi dei rifiuti, originata certo –come dimenticarlo- da gravi colpe delle amministrazioni locali, non potrà mai essere gestita senza un armonioso concorso delle istituzioni, dal Comune alla Provincia, dalla Regione al Governo nazionale.
Il boicottaggio di questa urgente collaborazione fra poteri pubblici, scatenato per biechi pseudo-interessi di partito, esaspera, insieme alla sofferenza della popolazione, la crisi della nostra democrazia.
Napoli sommersa dai rifiuti non è una vergogna che si possa liquidare solo come fallimento della sua classe dirigente. Altrettanto vergognoso è lo spettacolo di ministri della Repubblica che irridono alla sciagura e voltano le spalle ai cittadini, venendo meno al proprio dovere.
B. stia tranquillo. Ci pensano loro
di Andrea Scanzi - Il Fatto Quotidiano - 24 Giugno 2011
Soltanto loro potevano, e possono, salvarlo. Dopo le amministrative, dopo i referendum. Era il pensiero che in tanti, me compreso, avevano espresso. “Loro”, ovviamente, è il centrosinistra. Non sono passate neanche due settimane dal plebiscito referendario, e già sembra tutto così lontano.
Ricapitolando.
Subito dopo il successo dei Sì, Pier Luigi Bersani rilascia una fastidiosissima conferenza stampa in cui fa lo sborone e si appropria della vittoria. Ma anche no. Bersani era favorevole, come tutto il Pd, al nucleare. Poco e nulla ha fatto, come tutto il Pd, contro il legittimo impedimento.
E riguardo all’acqua pubblica, gioverebbe riascoltare quel discorso di Carpi in cui esortava ad affidare l’acqua alla Veolia. Chiedendo al suo amico ministro Mastella, peraltro, di zittire i medici che si permettevano di dire quanto gli inceneritori fossero dannosi per la salute dei cittadini.
Massimo D’Alema, in quei giorni, ha detto a Ballarò: “E’ curioso. Se perdiamo è colpa nostra, se vinciamo è merito della società civile. Noi non vinciamo mai. Ahahahahah”. Ahahahahah. Ride lui, rido io: è l’unica cosa condivisibile detta dal Presunto Intelligente negli ultimi 62 anni.
Già, D’Alema. Un altro che esultava, dopo quei referendum che, fino a Fukushima e ai successi delle amministrative, erano sgraditi poiché “facevano il gioco di Berlusconi” (cioè rubavano il lavoro al Pd).
E con lui esultavano Casini, e Fini, e Rutelli. Tutta gente che, anche dopo il disastro in Giappone, era favorevole al nucleare (e Casini, già che c’era, si era adoperato di persona per il legittimo impedimento).
I rutelliani, in una delle molte sintesi panecicoriesche che li hanno resi mitici, hanno aggiunto che il loro appello a votare ai referendum è stato aritmeticamente decisivo per la vittoria dei Sì. Considerando che di rutelliani, in Italia, ce ne sono sì e no 7, evidentemente non mi sono accorto che il quorum è stato raggiunto per un nonnulla.
Ma torniamo a D’Alema. E’ lui uno dei primi rianimatori berlusconiani. Da sempre e non solo per la Bicamerale. Nessuno ha mai capito bene se sia ingenuo, tonto, in malafede o un infiltrato berlusconiano nelle file della “sinistra” italiana.
Non si sa, però lui ci ha tenuto a far sapere che sulle intercettazioni su Bisignani e la P4 “Leggiamo una valanga di intercettazioni che nulla hanno a che vedere con vicende penali e sgradevolmente riferiscono vicende private delle persone”. Una sintesi garantista, peraltro riassumibile col sempiterno Sticazzi, a cui non era arrivato neanche il ministro (va be’) Alfano.
Berlusconi è finito. Si telefona da solo, la base leghista lo strozzerebbe, nessuno lo sostiene davanti ai Tribunali. Lo schifa anche la serva. E’ però qui che il Pd, solerte, lo aiuta. Da una parte sostenendo tesi inaccettabili (per chi dice di essere alternativo al premier), dall’altra fermandosi sempre un attimo prima – anzi, molto prima – di portare l’ultimo colpo al pugile rivale.
La maggioranza barcolla, e loro si nascondono. Sono già tornati mansueti. E Bersani ha smesso di farsi rappresentare da Crozza nei discorsi importanti: peccato, ci aveva guadagnato in cipiglio e credibilità.
Il sistematico bocca a bocca del centrosinistra al governo non si limita però al Partito Democratico. E’ di questi giorni la rutilanza di Antonio Di Pietro, uno dei reali vincitori del referendum. Più cauto, più moderato, più trattenuto. E già questo aveva infastidito qualcuno.
La sua chiacchierata a Montecitorio con Berlusconi ha poi fatto inferocire molti internauti. Una polemica patetica, che dimostra come la Rete sia sì straordinaria, ma permetta anche a qualsiasi frustrato di sfogare bile e rabbia sul personaggio famoso di turno. Ergendosi a duro e puro che insulta, protetto da anonimato, il “traditore”.
Che colpe ha Di Pietro? Che doveva fare? “Menargli”, come ha ironizzato lui? “Inciucio” de che? Non scherziamo, via. L’episodio dimostra piuttosto quanto sia messo male il Premier. “Un signore” - ha raccontato Di Pietro - mi si avvicina e mi dice ‘Buongiorno’… Poi mi domanda: ‘Visto quanto è bello il mio discorso’?”.
Berlusconi è così solo da andare dal suo peggior nemico per ricevere un complimento. Poveraccio. Di Pietro ha fatto benissimo a parlarci, dicendogli quello che lui dichiara di avergli detto (“La cosa migliore per il Paese è che lei se ne vada a casa”). Il problema non è questo, ma casomai la sua nuova veste di Pifferaio Magico dei delusi destrorsi.
Basta leggere l’intervista di stamani a La Stampa, fatta da Fabio Martini. Legittima la svolta moderata, legittimo il sottolineare quanto in Parlamento la vera opposizione l’abbia fatta (quasi) soltanto l’Italia dei Valori.
Ci sta anche la sverniciata al Retore Supercazzolico Vendola (“Lui vuole le primarie, ma per fare cosa? Per capire cosa farebbe il candidato Vendola, potrei guardare in Puglia. Ma cosa sta facendo? Niente. O comunque nulla di rivoluzionario”).
Facile anche l’attacco al Pd: “E’ un pachiderma. E’ finito per loro il tempo di sentire applausi. L’unica cosa che hanno fatto, dopo averci sparato addosso per i referendum, è stata quella di metterci il cappello sopra. Si sentono sempre i primi della classe, ma si devono dare da fare. Riconosco che il motore debba essere costituito dal partito di maggioranza relativa, però suono la sveglia”.
Meno condivisibile accusare il Pd di aver detto sempre “no”, come l’asino di Buridano che poi morì di fame (sempre ruspante, Di Pietro, quando ricorre ai paragoni): di “no”, il Pd ne ha detti pochi. Troppo pochi. E i risultati si vedono.
E’ però la sintesi finale a non convincere. “Con il crollo del Cavaliere c’è tutto un elettorato che va riportato sulla retta via. Ce lo hanno già detto i referendum: sono andati a votare 27 milioni di italiani, molti di più dei 17 che votarono centrosinistra alle Politiche”.
Poi: “Io non voglio morire di inedia in attesa che il Terzo polo decida che fare. Nel sistema bipolare gli elettori liberaldemocratici che non vogliono buttare il proprio voto, se votano centrosinistra sanno di trovare nell’Idv un riferimento ben strutturato. Noi siamo una realtà liberaldemocratica che vuole dialogare con la sinistra ma non essere ghettizzati ideologicamente a sinistra. Lo Stato sociale va difeso ma il libero mercato non è un nemico da abbattere. Difendiamo i lavoratori, ma senza imprese i lavoratori non ci stanno. L’assistenzialismo fine a sé stesso non porta da nessuna parte”. Quindi: “Dobbiamo intercettare i voti in uscita da destra”.
I politologi l’hanno definita svolta moderata dell’Idv. E non si scopre oggi che Di Pietro non sia mai stato un uomo di sinistra. Casomai, il fatto che lui e Grillo continuino a intercettare gli Orfani Sinistri dà la misura di quanto la nomenklatura di sinistra sia impresentabile – e per fortuna gli elettori del Pd sono molto superiori a chi dovrebbe rappresentarli.
La sintesi politica del “nuovo” Di Pietro suona però raffazzonata. Un po’ MoVimento 5 Stelle, un po’ Casini , un po’ D’Alema. Poche idee e confuse. Volere intercettare i voti della destra è leit motiv antico.
Lo sostiene il bolscevico Follini, lo ripete nell’ultimo numero di MicroMega il grillino Favia, affermando che nessuno può riuscirci tranne loro (falso: Gunny De Magistris a Napoli c’era riuscito eccome. Infatti, come premio, adesso lo stanno lasciando tutti solo).
E’ chiaro che esiste una fetta di elettorato fluttuante, quasi sempre centrista tendente alla destra. C’è sempre stata. Ciò che Di Pietro non capisce, è che se spinge verso destra, forse può intercettare parte dei mitologici “2 milioni di voti” che servono per vincere le elezioni, ma al tempo stesso ne perde altrettanti – se non di più – a sinistra. E’ la classica coperta corta.
Di Pietro ha avuto successo proprio per i suoi toni netti, duri, a volte manichei. Nel momento esatto in cui esce dall’arena per entrare goffamente nella realpolitik, diventa un “ex sbirro” qualsiasi. Un Casini fuori tempo massimo. Un D’Alema di destra (cioè un D’Alema 2).
Amministrative e referendum hanno dimostrato che il centrosinistra vince quando non si vergogna di essere tale. Quando propone persone credibili, quando se ne sbatte dei diktat dall’alto. Quando si impegna in battaglie “felicemente bipartisan”. Quando non scimmiotta veltronianamente il finto moderatismo del centrodestra.
Di Pietro si è appena iscritto all’esercito smandruppato dei presunti statisti. Quelli che inseguono il centro, e nel frattempo perdono la base. Viene da chiedersi: e se la soluzione fosse convincere non i delusi di destra, bensì intercettare – ancora di più – quegli orfani di sinistra che nel 2008 si astennero, ma due settimane fa sono stati i primi a votare quattro Sì?
Stia tranquillo, Berlusconi. Ci pensano loro, a rianimarla un’altra volta. Hanno già cominciato.
Il secondo comma
di Massimo Gramellini - La Stampa - 25 Giugno 2011
Invoco la protezione celeste e la nostra umana vigilanza sulla bozza Tremonti per la riduzione dei costi della politica, affinché non cada vittima della maledizione del secondo comma.
Se ogni legge italiana avesse soltanto il primo comma, saremmo la nazione più civile della Terra. In esso riposa il principio universale, la regola chiara, il termine inderogabile.
Purtroppo il primo comma procede sempre in coppia con un altro che contiene gli appigli a cui ci si potrà aggrappare per vanificare quanto solennemente decretato due righe più sopra.
La bozza Tremonti sancisce che i parlamentari non possono essere pagati meglio dei loro colleghi europei: sembra un’ovvietà, invece è una mezza rivoluzione. Poi però aggiunge che l’adeguamento al ribasso scatterà «dalle prossime elezioni».
Campa cavallo. Veniamo alle auto blu. Qui il primo comma è un inno alla sobrietà: «La cilindrata delle auto di servizio non può superare i 1600 cc». Ma è contraddetto dal secondo: «Le auto a oggi in servizio possono essere utilizzate fino alla loro dismissione o rottamazione».
Morale: per adesso se le tengono tutte. E i famigerati benefit? Svaniranno «dopo la scadenza dell’incarico». «Durante» no. E vedrete che anche sul «dopo» si troverà modo di aggiungere un comma più ragionevole.
Ma il capolavoro sono i finanziamenti alla Casta, che vengono drasticamente «ridotti del…». Qui il ministro, in preda a uno scoraggiamento preventivo, ha lasciato la cifra in bianco. Ben sapendo che i legislatori inseriranno una percentuale pari alla stima che noi nutriamo nei loro confronti: zero.
Casta, a Parma il tappo è saltato.
di Peter Gomez - Il Fatto Quotidiano - 25 Giugno 2011
Il Titanic su cui viaggia un pezzo importante della nostra classe dirigente imbarca sempre più pericolosamente acqua. Nel pomeriggio di venerdì il tappo è saltato a Parma.
Qui undici arresti nella pubblica ammistrazione e un furto di denaro dei contribuenti stimato intorno ai 500mila euro ha spinto un folto gruppo di abitanti a considerare ormai colma la misura.
Cinquecento cittadini hanno preso d’assedio l’ingresso del Municipio, hanno chiesto a gran voce le dimissioni del sindaco Piero Vignali e hanno lanciato monetine agli assessori, come era accaduto con Bettino Craxi ai tempi dell’Hotel Raphael. Trenta di loro sono anche entrati nella sala del consiglio comunale urlando “ladro, ladro” all’indirizzo di Vignali.
Contemporaneamente a Roma la maggioranza della P4, invece che discutere seriamente del probabile declassamento del rating del Paese e delle banche, o della proposta per ridurre i costi della politica avanzata dal ministro Giulio Tremonti, ha continuato a blaterare di legge bavaglio sulle intercettazioni.
Non contenti di aver dato il peggio di sé intrattenendo affettuosi rapporti con il pregiudicato (per tangenti) ed ex piduista Lugi Bisignani, i nostri eroi non hanno pensato neanche per un minuto a prendere l’impegno, almeno per il futuro, di evitare frequentazioni del genere. E hanno proseguito il dibattito su un vecchio tema: qual è il modo migliore per evitare che gli elettori sappiano certe cose.
È ormai una reazione pavloviana. Ogni qualvolta un’indagine fa emergere comportamenti criticabili da parte delle classi dirigenti, la Casta riscopre il pensiero unico sulla limitazioni alla libertà d’informazione.
Lo dimostra anche la mossa di Pierluigi Bersani che, dopo la direzione del Pd, si è detto favorevole a una legge per vietare la pubblicazione delle “intercettazioni irrilevanti”.
Esattamente lo stesso concetto espresso in mattinata dal ministro della Giustizia Angelino Alfano, deciso ad approvare le nuove norme prima di agosto. Ovviamente, visto l’autogol politico, sono poi piovute semi-ritrattazioni e precisazioni.
Ma a rimettere a posto le cose è arrivato Silvio Berlusconi. Mentre tutto il partito della P4 plaudiva l’avversario, il premier ha fatto sapere che per lui andrebbe benissimo ripartire dal disegno di legge di Clemente Mastella.
Cioè dalle norme bavaglio inventate dal centrosinistra un anno dopo lo scandalo bipartisan delle scalate bancarie (“i furbetti del quartierino”) e votate dall’intera camera, con sole sette astensioni, nel 2007. Come dire: eravamo d’accordo allora, possiamo ritrovarci d’accordo adesso.
Non è qui nemmeno il caso di ricordare che nessuna delle intercettazioni (non più segrete, perché tutte regolarmente depositate) pubblicate in questi giorni dai giornali può essere considerata irrilevante (e non lo erano nemmeno quelle sulle scalate bancarie).
È infatti evidente che se si indaga su una “normale” (per questo Paese) organizzazione illegale in grado di pilotare nomine nello Stato e nel parastato, scelte politiche e presentazione di emendamenti in parlamento, non è possibile ignorare le conversazioni tra il venerato maestro del network occulto e decine e decine di ministri, magistrati, grand commis dello Stato, parlamentari ed esponenti delle forze dell’ordine, della finanza e dell’industria.
Più interessante notare invece la tendenza al suicidio che ormai pervade buona parte della politica italiana. Dopo che amministrative e referendum hanno segnalato come i cittadini chiedano un’immediato mutamento di rotta, la barra è rimasta a dritta. E così il vento cambiato, di cui molti parlano, a poco a poco si sta trasformando in tempesta.
A Parma si sono sentite le prime forti folate. Nei prossimi giorni, c’è da giurarlo, ne arriveranno delle altre. Le onde diventano sempre più grosse. Ma il Titanic continua come niente fosse a navigare. E arrivati a questo punto si può solo sperare che il mare lo inghiotta presto. Senza tirare anche il resto del Paese a fondo.