Parlamentari attaccati alla legislatura. Se B. cade, perdono la pensione
di Wanda Marra - Il Fatto Quotidiano - 23 Giugno 2011
Da Scilipoti a Belcastro, a Sisto: 350 parlamentari non hanno maturato il diritto al vitalizio e non si possono permettere che le Camere si sciolgano
Se tra una settimana Francesco Pionati improvvisamente dovesse decidere di far mancare il suo sostegno al governo, molti si chiederebbero perché.
Ma la motivazione potrebbe essere ritrovata nella sua anzianità parlamentare: tra esattamente 6 giorni, infatti, matura il diritto alla pensione. O meglio a quello che ora si chiama vitalizio.
Stiamo ovviamente ragionando in base a un’ipotesi che in questo momento non sembra essere nell’agenda politica, ma la questione “arrivare al vitalizio” in Parlamento esiste.
E non è secondaria per la tenuta del governo. Sono, infatti, 246 i deputati e 104 i senatori (dati elaborati da Openpolis, www.openpolis.it) che devono ancora maturare il diritto alla pensione, e quasi tutti lo matureranno solo se finiranno il loro mandato parlamentare e dunque se la legislatura avrà il suo termine “naturale” nel 2013.
Eccezion fatta per Pionati e altri 12 deputati, che viceversa avrebbero bisogno di un ulteriore mandato e 5 senatori, di cui uno raggiunge la pensione tra 63 giorni, il Pdl Sanciu, e 4 hanno bisogno di una rielezione.
La pensione? Non prima del 2013
Nel dettaglio si tratta di 84 deputati del Pdl, 36 leghisti, 83 Democratici, 6 dell’Udc, 5 del Gruppo Misto, 12 dell’Idv, 13 Responsabili (quasi il 46% del totale, visto che sono 28) e 7 futuristi. A Palazzo Madama, troviamo in questa situazione 38 senatori del Pdl, 34 Democratici, 11 leghisti, 7 dell’Idv, 6 del Gruppo Misto, 5 dell’Udc, Svp e Autonomie, 2 di Coesione nazionale e uno non specificato.
Che si “giocano”, infatti, non solo la loro indennità (così si definisce lo “stipendio” di un parlamentare), che per un deputato equivale a 11.703,64 euro lordi e per un senatore a 12.005,95 (al netto 5.486,58 euro per un deputato e 5.613,63 per un senatore), ma anche la possibilità di avere una pensione.
Da sottolineare che questa è la prima legislatura in cui le matricole del Parlamento non arrivano alla pensione, se le Camere si sciolgono anzitempo. Prima, infatti, bastavano 2 anni e mezzo (e le pensioni erano anche più alte).
A stabilirlo sono stati i nuovi Regolamenti emanati nel luglio 2007 (durante il governo Prodi), che prevedono che per avere la pensione bisogna aver fatto almeno 5 anni di effettivo mandato e aver compiuto 65 anni.
Per ogni anno in più di mandato, diminuisce di un anno l’accesso alla pensione. Oggi, dunque, il vitalizio minimo corrisponde al 20 per cento dell’indennità lorda: quindi 2340,73 euro per i deputati e 2401,1 per i senatori.
Scorrendo la lista dei deputati che devono finire la legislatura per garantirsi la vecchiaia (alla Camera i numeri sono più risicati e la maggioranza più a rischio, dunque i posizionamenti anche individuali hanno più conseguenze) si trovano alcune nuove conoscenze balzate agli onori della cronaca degli ultimi mesi. Immancabile Domenico Scilipoti, tra i voti decisivi per la fiducia a Berlusconi del 14 dicembre.
Oppure Souad Sbai, tra le più pronte a tornare dai futuristi al Pdl. Tra i pidiellini appesi alla legislatura va menzionato almeno Francesco Paolo Sisto, l’avvocato che era stato mandato d’ufficio ad Annozero a difendere il premier.
O Elio Vittorio Belcastro, passato dall’Mpa ai Responsabili, in soccorso di Berlusconi e poi a Sud, dopo aver mancato la poltrona di sottosegretario. Senza contare il folto drappello di giovani Democratici, portati in Parlamento da Veltroni, da Marianna Madia a Matteo Colaninno.
Quelli dello scampato pericolo
Esiste poi un drappello piuttosto nutrito e abbastanza interessante di parlamentari che hanno maturato il diritto al vitalizio nell’appena trascorsa primavera, giorno più, giorno meno: molti di loro infatti provenivano dalla legislatura precedente che è durata solo due anni.
Secondo i dati elaborati da Openpolis, sono 103 deputati (39 del Pd, 32 del Pdl, 5 della Lega, 9 dell’Udc, 6 Responsabili, 4 furisti, 2 dell’Idv e 4 del Misto) e 40 senatori (20 del Pd, 8 del Pdl, 6 della Lega, 3 dell’Idv e 3 del Gruppo Misto).
Anche qui, andando a scorgere la lista dei deputati che hanno appena scavallato il termine per arrivare al vitalizio, si può avere qualche spunto in più per leggere gli ultimi sommovimenti politici.
E infatti troviamo personaggi come Aurelio Misiti, che ha appena guadagnato una poltrona da sottosegretario per passare dall’Mpa al gruppo Misto, a sostegno di Berlusconi. Senza contare Bruno Cesario, altro socio fondatore dei Responsabili alla vigilia della fiducia di dicembre.
Oppure Giampiero Catone, recentemente premiato con un sottosegretariato per aver scelto di votare la fiducia di dicembre contravvenendo alle indicazioni di quello che era allora il suo gruppo (Fli). Merita una citazione Remigio Ceroni, che per compiacere Berlusconi voleva persino cambiare l’articolo 1 della Costituzione.
Più anni, più guadagni
Ma in realtà il gioco delle pensioni è ancora più complicato di così: infatti per ogni anno di mandato in più si conquista un 4 per cento del vitalizio. Fino ad arrivare al tetto massimo che si raggiunge ai 15 anni di mandato. 7022,184 euro per gli ex deputati e 7203, 3 per gli ex senatori.
Per cui di fatto, ogni parlamentare ha un interesse economico immediato e futuro a restare in Parlamento il più possibile. Che vuol dire anche garantirsi la rielezione con i cambi di casacca e i riposizionamenti più opportuni.
Una notazione finale: la Camera spende per pagare i vitalizi degli ex deputati ben 138 milioni e 200 mila euro, mentre il Senato 81 milioni e 250 mila euro.
di Stefano Folli - Il Sole 24Ore - 23 Giugno 2011
Se n'erano accorti quasi tutti: da tempo Antonio Di Pietro aveva corretto e aggiornato la sua linea politica. Del resto l'ex magistrato è piuttosto rapido di riflessi.
Ha dimostrato di esserlo anche in questa occasione, quando ha colto i due fenomeni in atto: da un lato il lento, ma inevitabile declino di Berlusconi; dall'altro l'ascesa dei movimenti iper-giustizialisti legati a Beppe Grillo, cui si accompagna la crescita impetuosa della sinistra di Vendola.
Di Pietro ha compreso che non ha senso restare immobili in un mondo che cambia. Anche perché l'Italia dei Valori non ha motivo d'essere soddisfatta dei risultati delle amministrative. De Magistris, è vero, ha vinto a Napoli: ma non è un amico del leader. Altrove il treno dipietresco arranca, segno che soffre i nuovi concorrenti.
Eppure l'uomo di Tangentopoli si è preso una rivincita straordinaria con i risultati del referendum, perché senza dubbio è lui l'autentico ideatore e paladino dei quesiti. Preparati e messi in campo quando nessuno credeva al successo finale. Poi, certo, è arrivato il disastro in Giappone...
Sta di fatto che ieri Di Pietro è riuscito a prendersi i riflettori di Montecitorio con una mossa di notevole astuzia. Nelle ore in cui i capi del centrosinistra snocciolavano la consueta geremiade sulle colpe di Berlusconi, lui ha attaccato l'assenza di una proposta alternativa da parte del centrosinistra.
Da notare che da due giorni il premier batte, pour cause, sullo stesso tasto: l'opposizione non riesce a essere coerente, è divisa in fazioni, non è forza di governo, eccetera. Di Pietro non si è spaventato per la coincidenza e ha affondato il colpo.
Ha fatto di più, come è noto: qualche minuto di colloquio a tu per tu con il diavolo in persona, ossia il presidente del Consiglio. Abbastanza per lasciare allibiti via internet i militanti dell'Idv e per irritare non poco Pier Luigi Bersani.
L'attacco infatti era rivolto tutto contro di lui, il segretario del Pd, accusato di inerzia circa il programma e le alleanze, tutte da definire, del centrosinistra.
Qui Di Pietro coglie senza dubbio un punto di debolezza. Ma cosa vuole ottenere, in realtà? È possibile azzardare un'ipotesi. L'ex magistrato intende sciogliere due nodi politici a breve termine e un traguardo strategico a scadenza più lunga.
Vuole in primo luogo contare di più perché ritiene - non a torto - di aver interpretato il paese referendario meglio di altri. Osserva perciò con sospetto la tendenza di Bersani a discutere e magari litigare quasi in esclusiva con Vendola, considerando l'Idv già acquisita all'alleanza (e in forme marginali).
Poi è molto diffidente verso i segnali che s'incrociano fra Lega e centrosinistra a proposito della legge elettorale. Dunque, obiettivo numero uno: obbligare Bersani a negoziare con lui. Obiettivo numero due, sottinteso: negare allo stesso Bersani il lasciapassare per emergere fra qualche tempo come il candidato premier del centrosinistra.
È evidente che in questo giro tattico Berlusconi resta un avversario, ma non è più un nemico con cui è impossibile prendere il caffé. Tanto è vero che i due hanno picchiato su Bersani con toni non così dissonanti.
Quanto alla strategia a lungo termine, Di Pietro guarda all'oceano dei voti di centrodestra ibernati da Berlusconi. Il giorno che il premier uscirà di scena si aprirà una partita con molti giocatori. Il capo dell'Idv si prepara a essere uno di loro. E non in una posizione secondaria.
Bisignani:"Mi sono speso perchè Santanchè entrasse nel governo"
di Guido Ruotolo - La Stampa - 23 Giugno 2011
I pm stilano la classifica dei rapporti più frequenti di Bisignani con i politici: Daniela Santanchè e il ministro Franco Frattini
«La mia storia parte da lontano». Sembra l’inizio di una autobiografia, romanzo di una vita avventurosa. Luigi Bisignani si racconta, cerca disperatamente di evitare il carcere, si presenta davanti ai pm napoletani che lo indagano, il 9 marzo scorso.E, dunque, inizia a raccontare la sua vita: «Mio padre era una persona molto in vista che è morta quando avevo sedici anni lasciandomi molte “relazioni”. In primis, con Andreotti e Stammati e con altri. Sono stato cronista dell’Ansa e poi collaboratore e e responsabile dell’ufficio stampa del ministro del Tesoro Stammati. Mio padre conosceva Angiolillo e ho continuato a mantenere e a conservare negli anni queste relazioni. Tale aspetto ritenevo fondamentale chiarire e spiegare per farvi comprendere la mia storia. Da cronista dell’Ansa conobbi Gelli che mi dava notizie, tant’è che io diedi la notizia della perquisizione di Castiglion Fibocchi; io non ho mai messo piede in una loggia massonica e non sapevo di essere iscritto alla P2. Ho conosciuto Berlusconi tanti e tanti anni fa, quando non era neppure Cavaliere del lavoro».
Ministri in rivolta
Un salto avanti negli anni. Al 25 ottobre scorso, alle 14,19. Luigi Bisignani parla al telefono con Paolo Scaroni, Ad di Eni, che sta andando all’incontro con Berlusconi ad Arcore: «Calcola che lui è abbastanza giù - dice Bisignani riferendosi al premier - molto polemico col tuo diretto interessato...». «Con chi?» «Giulio (Tremonti, ndr), sì, sì..». Scaroni: «Eh, lo so, oggi Draghi mi ha detto delle cose pazzesche di Giulio... e non so se ripeterle perchè ho paura che glielo dica».
Bisignani: «Ormai la situazione è assolutamente fuori controllo, il discorso che gli puoi fare tu dall’esterno e che lui può apprezzare, gli devi dire: qual è l’urgenza maggiore che hai? Se è quella di fare l’accordo sulla giustizia, mettiti d’accordo con Fini e falla finita. Se non è quella vai alle elezioni però la cosa peggiore che sta succedendo è questa “morta gora” complessiva, con tutti i ministri in rivolta...».
In certi casi, le statistiche rendono bene i contesti. Tra le migliaia e migliaia di pagine della inchiesta sulla P4 c’è un capitoletto di una informativa della Finanza che riassume i contatti più frequenti di Luigi Bisignani con i politici e non solo.
I rapporti più frequenti con i politici: «il sottosegretario Daniela Santanchè, il ministro Franco Frattini. Seguono: Lorenzo Cesa, Raffaele Fitto, Mario Baccini, Salvatore Nastasi, Alfonso Papa, Stefania Prestigiacomo, Elisabetta Gardini, Denis Verdini, Michaela Biancofiore, Alberto Michelini, Clemente Mastella, Giuseppe Galati, Roberto Sambuco».
E poi, scrivono nel loro rapporto gli uomini della Finanza: «Chiedono ripetutamente un appuntamento o di interloquire anche solo telefonicamente con Bisignani: alti ufficiali dell’Arma dei carabinieri e della Guardia di finanza nonché prefetti della Repubblica».
Il comunicato stampa
Rapporti talmente stretti portano per esempio Bisignani a scrivere comunicati stampa della ministra per l’Ambiente, Stefania Prestigiacomo. «Aspetta, il nucleare puntini puntini». Bisignani: «anche perchè Napolitano.. no questo non ti va di metterlo.. anche per Napolitano, d’intesa dunque con l’altro..».
Al telefono, poi, tra i due nessun freno inibitorio. «Stasera vado a fare una cosa pornosissima con una persona...». Calma, nessun annuncio di bunga bunga. Bisignani precisa: «Ho invitato il procuratore generale di Roma, Gianni (Letta, che ha smentito, ndr) e un altro a festeggiare un nuovo giudice costituzionale...». Contento lui.
Torniamo al nucleare. In una ambientale si documenta quando la ministra Prestigiacomo, parlando al telefono con uno del Fli, se la prenda con il sottosegretario Saglia che fa un comunicato: «Veramente antipatico dove dice che non è affatto vero che senza la nomina del componente dell’ambiente non può partire l’agenzia per il nucleare, siccome io non voglio rispondere direttamente, ti posso chiedere di firmare un’agenzia che in quanto ex sottosegretario all’ambiente dici : “ma come si fa a dire questa sciocchezza”...».
Torniamo a Bisignani “gola profonda”. Che si fa interrogare per evitare il carcere: «La Santanchè si trovò in un momento di difficoltà quando il segretario di An, Fini, l’esautorò da tutti gli incarichi di partito... Dopo che con la sua lista non venne eletta, mi spesi per farla riavvicinare al Pdl e poi per farle avere un incarico di governo. Ne parlai sia con Verdini, Letta e Berlusconi. Costoro mi dissero che per loro non c’erano problemi, però c’era il veto di Fini. A questo punto, io mi impegnai per convincere i finiani a togliere questo veto. Presi i contatti con La Russa e Ronchi e soprattutto con Bocchino, che infine, fu decisivo, nel senso che, durante un pranzo a Montecitorio, presente lo stato maggiore del Pdl, presenti sicuramente fra gli altri Fini e Berlusconi, i coordinatori del partito e i capigruppo parlamentari, Bocchino annunciò che era stato tolto il veto alla Santanchè da Fini, che a sua volta annuì».
Nell’informativa della Finanza con le statistiche delle relazioni di Bisignani, si fa cenno anche ai contatti nel mondo della finanza: «Ernesto Monti (Unicredit); Alessandro Daffina (Banca Rotschild); Enrico Tommaso Cucchiani (Unicredit); Cesare Geronzi (Mediobanca); Massimo Ponzellini (Banca popolare di Milano e Impregilo)».
Rapporti talmente stretti che portano Bisignani, per esempio, a chiedere a Massimo Ponzellini di «fare ottenere a Farina Vittorio (suo socio nella Ilte, ndr) un accreditamento per fare degli investimenti.
Farina si reca, quindi a Milano presso la Banca popolare ove si incontra con Ponzellini e, dopo rassicurazioni («ho parlato con Massimo...ed è stato assolutamente allineato..”), l’indomani si reca, insieme a Bisignani, a presentare le loro proposte all' industriale Maurizio Ameduni».
Rispunta Pacini Battaglia
«Jean Marie Pironnet, Sergio Lupinacci, Renato Lauro e Pierfrancesco Pacini Battaglia risultano essere in grado di mediare acquisti di ingenti quantitativi di prodotti petroliferi dalla compagnia russa Gazprom».
Ricordate Pacini Battaglia, il «banchiere un gradino sotto dio» che si beccò sei anni per i fondi neri Eni? Poteva mai mancare anche lui?
Sergio Lupinacci si dà un gran daffare per far ottenere alla ex segretaria di Silvio Berlusconi, l’onorevole Deborah Bergamini, la presidenza del Comitato Esecutivo di “Centro NordSud”, organismo istituito presso il Consiglio d’Europa per favorire i rapporti dei 47 Stati membri con i Paesi in via di sviluppo. Lupinacci al telefono con Tonino Bettanini, portavoce del ministro degli Esteri, Franco Frattini.
«Il nostro ambasciatore a Strasburgo dice che l’Italia potrebbe avere la presidenza. Il Comitato è stato finanziato dalla Ue, ha avuto 100.000 euro di disponibilità dal ministero dei beni culturali e 70.000 euro sono stati già chiesti al ministero degli esteri e il ministro Frattini ha già dato la disponibilità al pagamento».
Le telefonate con le accuse nel Pdl. Gelmini contro Letta e Cicchitto
di Fiorenza Sarzanini - Il Corriere della Sera - 23 Giugno 2011"Quello che mi fa strano è che il presidente ha messo lì la Santanchè... È una che non te la levi più di torno"
NAPOLI - Su Mariastella Gelmini, Stefania Prestigiacomo, Franco Frattini e Gianfranco Miccichè sembra avere un'influenza pesante. Ma in realtà sono numerosi i politici del Pdl, compresi i fuoriusciti di Fli, che mostra di poter controllare.
Una rete di relazioni che gli consente di orientare le scelte del governo, anche in materia economica, trasformandolo in una sorta di premier «ombra». Confortato dal fido Alfonso Papa, l'ex magistrato eletto in Parlamento che «spia» per suo conto ogni situazione.
Sono le intercettazioni telefoniche e ambientali disposte dai pubblici ministeri Henry John Woodcock e Francesco Curcio a rivelarlo, facendo emergere anche le lotte interne alla maggioranza. Trame e alleanze «segrete» che Bisignani gestisce e talvolta agevola.
Politici «amici» nella lista
Nel capitolo dedicato alle relazioni istituzionali, i magistrati evidenziano «i rapporti diretti con Silvio Berlusconi, i rapporti quotidiani con Daniela Santanchè» e poi fanno l'elenco dei politici «dai quali è spesso cercato».
Si va da Lorenzo Cesa dell'Udc al ministro Raffaele Fitto, da Mario Baccini dei cristiano popolari a Elisabetta Gardini, Nunzia de Girolamo. Poi Alberto Michelini, Clemente Mastella, Giuseppe Galati, fino a Salvatore Nastasi, capo di gabinetto del ministro Bondi quando era ai Beni culturali. Con la Santanchè appare critico, come dimostra una telefonata con Flavio Briatore del 18 agosto scorso. I due commentano la scelta di Silvio Berlusconi di darle un ruolo all'interno del governo.
Briatore: «...lei è una spietata».
Bisignani: «Pazzesco»
Briatore: «Ma io te l'ho sempre detto ricordi? Guarda io la conosco da trent'anni... lei anche se fa una roba per te la fa in funzione che te un giorno la fai il doppio per lei... lei è una brava, poi è intelligente...».
Bisignani: «Ha fatto questa intervista l'altro giorno contro Fini, dicendo che Fini è un uomo di mer... Ma non si fa così...».
Briatore: «Ma quello che mi fa strano è che il presidente l'ha messa lì».
Bisignani: «Di quella te la racconto tutta io la storia, quella te la racconto fino nei dettagli perché l'ha messa lì e quello che è stato fatto perché andasse lì».
Briatore: «Comunque non va bene, è una che non te la levi più di torno... io credo che lei gli telefonerà 27 volte al giorno, poi che lui la richiami una volta al mese è diverso, sono sicuro che lei chiama
Bisignani: E la roba con Sallusti, con Il Giornale, Il Giornale così violento contro tutti. Finisce malissimo 'sta storia».
Briatore: «Adesso lei sta con Sallusti, è ufficiale... Perché mi ha detto che Sallusti al Twiga con lei, l'altro giorno con i bambini tutti assieme».
Bisignani: «Che poi lì si incazza Feltri come una pantera di 'sta cosa».
Gelmini: «Letta sta sbagliando»
È l'8 ottobre scorso. Bisignani chiama il ministro dell'Istruzione e parlano della lite con «Fortunato» che dovrebbe essere il capo di gabinetto di Giulio Tremonti.
Bisignani: «Ti volevo solo dare un bacio, perché tra ieri che ti ha fatto arrabbiare Tremonti e mani su Vecchione, dico, fammi dare alla mia amica un bacio forte... Hai fatto bene a trattare a pesci in faccia Fortunato insomma sei stata proprio brava».
Gelmini: «Guarda ma non è finita Luigi, perché io non mi faccio trattare come Bondi, mi dispiace... Questo Fortunato è un cafone, maleducato e anche impreparato perché alla fine siccome non studia i dossier e non sa i tagli che ho fatto e i risparmi che ho fatto, lui si è permesso, dopo che io mi ero praticamente prostituita per costruirmi un rapporto con Tremonti, lui è andato a dirgli che io facevo la furba e stavo facendo emendamenti per moltiplicare e quindi figurati Tremonti no? È impazzito... Al che io gli ho detto: scusa siccome questa cosa la so perché c'era una persona amica quando le ha pronunciate... lui resta un capo di gabinetto, io sono il ministro, com'è che mi tratta come se fossi sua... non va bene e secondo me sbaglia anche Gianni».
Bisignani: «Sì certo».
Gelmini: «Cioè, tu capisci al netto del "casino berlusconiano", però in qualsiasi organizzazione aziendale se una persona come Gianni Letta che è come l'amministratore delegato consente che un capufficio si comporti così, viene meno l'autorevolezza dell'amministratore delegato».
Proprio quel giorno Gelmini racconta a Bisignani di aver incontrato Luca Cordero di Montezemolo: «Mi è molto simpatico e mi pare che si sia instaurato un rapporto, è nata una simpatia, un'intesa se vuoi. Ormai vuole fare politica, allora l'ho messo in guardia perché era molto critico sul berlusconismo di questi giorni. Insomma sulla Santanchè, Il Giornale, un po' le cose che diciamo tutti».
«Cicchitto venduto agli ex an»
I due parlano ancora il 21 ottobre di un articolo uscito su Il Giornale che critica la fondazione Liberamente. La Gelmini si lamenta, dice che «è una porcata», chiede «di dare un retroscena tramite Dagospia per far capire chi è il mandante di questa cosa», e aggiunge: «Ho affrontato un incontro con quaranta parlamentari impazziti che volevano la testa di Verdini e dei coordinatori e dei capigruppo... io ho detto è il momento della responsabilità, della coesione, dobbiamo stare uniti. La verità è che abbiamo siglato un patto di non belligeranza con gli ex An, stiamo puntellando Verdini nell'ottica di tenere unito il partito in un momento difficile, se però il giornale di partito scrive che siamo perdenti te lo faccio vedere io che non siamo perdenti. In tre minuti salta non Verdini ma quell'imbecille di Cicchitto... Anche ieri ha perso un'occasione per stare zitto, perché Frattini ha fatto un intervento serio, dialogante ma dicendo che bisogna tutelare Forza Italia perché comunque non è che ci sono gli ex An... allora questa gente qua che li prendiamo a calci in culo perché Frattini sta in piedi con Gasparri e La Russa? Perché Cicchitto sta in piedi con Gasparri e La Russa? Cioè il senso era questo, questo con livore ha evidenziato quello che è il suo disegno e siccome non ha le truppe si è venduto a questi di Alleanza Nazionale e in questo modo sta in piedi, ma voglio dire dovrebbe essermi grato per il lavoro che sto facendo...».
«Fini non vuole le elezioni»
L'11 novembre, quando i rapporti tra Berlusconi e Gianfranco Fini sono ormai vicini alla rottura, viene intercettata una conversazione tra Bisignani e Andrea Ronchi, all'epoca fedelissimo del presidente della Camera.
Ronchi: «Che dici? Io ti ho cercato».
Bisignani: «Eh sì io pure ti ho provato a chiamare, adesso sto a Milano, ma che succede... Voi vi dimettete lunedì? Martedì?».
Ronchi: «Adesso vediamo, dipende da Berlusconi quando torna dalla Corea... Comunque la proposta della Lega era molto grossa eh».
Bisignani: «Sì, però un minimo di coerenza, l'unica cosa è che non si vada a un governo Tremonti».
Ronchi: «No, questo no».
Bisignani: «Eh perché quello sarebbe un...».
Ronchi: «O c'è un Berlusconi bis o si va a votare... Tu che dici?»
Bisignani: «Che dico, quello ha paura del passaggio, del periodo di interregno tra un incarico e un altro».
Ronchi: «No ma l'inculata non gliela dà Fini».
Bisignani: «No, mica Fini, ma figurati. Fini non gliela dà sicuro, figurati Fini non penso proprio. Ha tutto l'interesse di quello che ha più interessi di tutti a non andare a votare è proprio Fini».
Ronchi: «Esatto. Ma tu hai parlato con qualcuno?».
Bisignani: «Sì, sì come no».
Ronchi: «Beh che dicono? Ma Gianni che dice, scusa, io no l'ho mica capita».
Bisignani: «Beh no, "incazzatissimo" per la Finanziaria ma ha fatto come gli pareva Tremonti, ha fatto come voleva, cioè come ormai superministro unico di tutti, eh capito?... Secondo me alla fine si fa un Berlusconi bis».
Ronchi: «Infatti, ero convinto anche io di questo».
Bisignani: «Perché alla fine lui quando ha paura perché ha questo spettro di Craxi, però alla fine come non fa a non accettare, come fa a dire che non fa il passaggio parlamentare no? Secondo me...».
Ronchi: «Sono d'accordo con te, ma quando torni? Domani ci sei?».
Bisignani: «Domattina».
Ronchi: «Così ci parliamo un attimo con calma...».
Alcuni non sa invece chi siano, come dimostra la conversazione con Papa sulla possibile nomina di Anna Maria Bernini alla commissione Giustizia voluta da Silvio Berlusconi.
Bisignani: «E chi è questa?».
Papa: «È Bernini, la figlia di Bernini ti ricordi il ministro».
Bisignani: «Ma perché lei è parlamentare in commissione Giustizia... di prima nomina pure lei no?».
Papa: «Sì quella... esce di tanto in tanto in televisione, è una secca secca, alta, con il viso molto spigoloso».
Bisignani: «Ma tu da chi l'hai saputo?...».
Papa: «Oggi è stato qua e poi si sono avvicinati tutti i parlamentari per salutarlo no io, pure io, e lui è stato molto affettuoso, molto cordiale, poi dopo sono andate tutte le ragazze... come al solito».
Bisignani: «Oggi è il compleanno della».
Papa: «Esatto e lui gli ha fatto il regalo, gli ha fatto gli auguri così e poi parlando lui mi ha detto, ha detto allora preparatemi una donna alla commissione Giustizia e nominiamo la Bernini, poi quando è uscita lei ha fatto vicino a me e mi nomina la Bernini presidente della commissione Giustizia io ovviamente non ho battuto ciglia, e lui ha fatto, vabbè tanto quella, a te ti va di fare il sottosegretario...».
Quella nomina non è mai passata.
P4, nel Pdl volano i coltelli. Tutti contro tutti
di Luca Telese - Il Fatto Quotidiano - 23 Giugno 2011
Michela Brambilla per Bisignani è una "brutta mignotta". Prestigiacomo: "Berlusconi dev'essere intelligente, ma non lo è. Alla Carfagna dà ragione su tutto"
Ecco vedi: “Una mignotta come poche”. Non è solo il turpiloquio. Non è solo un gioco del telefono, o il normale effetto retroscena che tutte le intercettazioni regalano. Non è (solo) come guardare nel buco di una serratura, questo ritratto di famiglia (ostile) in un interno.
Michela Brambilla per Luigi Bisignani è “una stronza, brutta come un mostro, mignotta come poche”. Non è solo miseria, insomma: questo crepuscolo avvelenato dall’invettiva acrimoniosa è la facciata azzurrina del berlusconismo che si crepa come un fondale di cartapesta preso a cannonate, un altro frammento di sogno che si dissolve.
Non sono quindi parole dal sen fuggite in un impeto d’ira, queste, ma lampi di verità distillata, frammenti di una neo-lingua politica tutta da decrittare. Sono le voci di una corte che vivendo sotto una monarchia assoluta, e subendo il vincolo di lealtà imposto dal sovrano taumaturgo, ha come unico sfogatoio l’ingiuria coperta, la maldicenza, l’invettiva privata.
Fa una certa impressione scoprire che il Popolo della libertà e la corte berlusconiana avevano un dark side feroce, “un codice Bisignani” sommerso, fatto di coltellate, lessico triviale e disistima interpersonale elevata all’ennesima potenza.
Ed ecco perché suonava quasi grottesco, ieri, il post messo in rete dal ministro Franco Frattini sul suo blog, rivolto (come se a parlare fosse una bella animella turbata dalle maldicenze), al solito immaginario interlocutore gggiovane: “Vorrei chiedere anche a voi, ragazzi se, leggendo i giornali in questi giorni – scrive il ministro – non condividete con me un sentimento di delusione, di fastidio”. Fastidio? Ma figuriamoci.
Invece, piuttosto, il lettore non affetto da moralismo, da paternalismo o dal politicamente corretto, più che fastidio e delusione prova sorpresa e curiosità per l’abisso che si spalanca davanti ai suoi occhi (e alle sue orecchie), sostituendosi all’unanimismo prefabbricato, ai sorrisi da foto opportunity.
Che dire per esempio del fatto che Flavio Briatore, il socio per antonomasia di Daniela Santanchè, privatamente parli male di lei? “Quello che mi fa strano è che il presidente l’ha messa lì”.
E che dire del fatto che lo stesso Briatore e la Santanchè, insieme, parlassero male dell’Ignazio La Russa (loro amico storico) scalciante nei garretti di Corrado Formigli? “È stata una cosa brutta la sua, molto brutta!”.
E che dire del lamento spietato della ministra Stefania Prestigiacomo (sempre al telefono con Bisignani, senti chi parla) che si lasciava sfuggire l’indicibile? “Berlusconi deve essere intelligente, e purtroppo non lo è”. E che dire del fatto che aggiungesse ancora, sconsolata, con una stilettata (già che c’è) alla Carfagna: “Berlusconi le dà ragione su tutto!”.
Anche nella sintesi imperfetta di questi brogliacci, insomma, si consuma un cortocircuito drammatico fra la rappresentazione elegiaca del partito unanimista e il veleno della contesta interpersonale del partito-faida. Il primo è solo un ologramma che si dissolve, il secondo è quello vero, che si macera tra Orazi e Curiazi.
E il povero ministro Scajola, quello che tutti a parole difendevano? Sempre parlando con Briatore la Santanchè è categorica: “Ma figurati! Ma Figurati se Scajola ritorna…”. E lui: “No, ma… ma non c’è niente da stupirci lì, eh…”. Lei, sempre più indignata: “Ma scherzi?! Ma che dici?! Non possiamo farlo! I nostri ci mandano… l’80 per cento della nostra gente non lo vuole!”.
E che cosa succede quando “Bisi” parla alle spalle del direttore del Giornale, Vittorio Feltri, con un giornalista come Enrico Cisnetto? “Lui – sostiene Cisnetto – ha in testa di candidarsi in politica appena Berlusconi schioda”.
Di più: “Secondo me – aggiunge – alcuni passaggi che lui (Feltri, ndr) fa sono pienamente finalizzati a creare problemi a Berlusconi, perché poi, quando si è messo a tavola a parlare di Berlusconi, ne parlava talmente male… Se avessi avuto un registratore mandavo la cassetta al Cavaliere. Sarebbe svenuto. Cosa non ha detto!”.
Il fatto curioso è che Feltri non aveva nascosto le stilettate a Berlusconi in pubblico (“Io, se devo scopare, non ho mica bisogno della claque”). E che dire, di contro del fatto che Bisignani, considera sbagliata la campagna del quotidiano contro Fini?
Il fatto è che il meccanismo de relato prevale persino su quello pubblico: come se il parlar male alle spalle, nel centrodestra, fosse il vero modo per combattere battaglie politiche. L’unico linguaggio efficace: il che non può stupire in un partito sterilizzato in cui non si vota mai, e in cui tutto discende dal capo.
Un po’ come il sottosegretario Cosentino intercettato (in un’altra inchiesta) mentre parlava con l’amico Arcangelo Martino contro Stefano Caldoro. Il primo diceva: “Tu mi piacesti assai quando dicesti quel gruppo di ricchioni, di frocetti…”.
E Cosentino: “Sì, di frocetti! Ma io sono lungimirante”. E l’altro: “Eh, lo so no tu sta cosa te la porti appresso perché sei stato un grande”. Al che Cosentino concludeva, addirittura euforico: “Sì, sì il fatto dei frocetti rimarrà nella storia”. Profezia avverata, ma non nel senso che lui immaginava.
Così come sarebbe rimasta agli atti, ma non certo a suo onore, la memorabile divisione del partito campano in due aree: “Ci sono i bocchiniani e i bocchinari”. E poi, ovviamente, non mancano gli episodi di comicità involontaria, ad esempio quando un Mauro Masi tutto speranzoso chiede un giudizio a “Bisi” dopo la sua performance ad Annozero: “Come sono andato?”.
Risposta lapidale: “Hai fatto una figura di merda”. Il che per una volta combacia alla lettera con il giudizio consegnato ai pm: “Ho sempre pensato che fosse inadeguato a ricoprire quel ruolo”. Qui siamo molto oltre il vilipendio sessuo-antropologico del capo, oltre a quel memorabile epiteto – “culo flaccido” – che Nicole Minetti riservò a Berlusconi.
Così, anche se prendi questo grumo di veleni e gli fai la tara, anche se pensi che tutti noi al telefono non risparmiano incazzature e motteggi, resta un segno indelebile. Un tempo si diceva che i panni sporchi si lavavano in famiglia. Stavolta invece restano sporchi, nessuno li lava, e se ne restano lì, come i rifiuti per le strade di Napoli.
Il volto del potere
di Massimo Gramellini - La Stampa - 23 Giugno 2011
Conoscere la faccia del Bisignani è un privilegio concesso a pochi. Quei dieci o undici milioni di italiani che gli hanno parlato al telefono non l'hanno mai visto di persona e i cittadini comuni che hanno appreso della sua esistenza solo in questi giorni continuano a vedere la stessa foto, quella con gli occhiali a goccia e il faccino stirato, scattata qualche secolo fa. Paradossale, vero?
Il mondo non fa che dirci che esistiamo solo se siamo visibili, ma intanto i potenti veri non li conosce nessuno. Mai visto un banchiere sulle poltrone dei talk show, neanche in America.
I burattinai mandano i pupazzi in tv ad agitarsi al posto loro. Forse temono che l'immagine rifratta in migliaia di schermi finisca per prosciugare l'anima. O più banalmente sentono che il potere si nutre di timore. E nulla toglie il timore quanto la familiarità.
Appena un gradino al di sotto degli invisibili, stanno gli audio-potenti: quelli che non vanno in tv però le telefonano, incombendo con voce monologante sugli ospiti effigiati in studio. Scendendo di un gradino ulteriore, ecco il potente distaccato: si fa vedere, ma in collegamento da un'altra sede, ritratto sul maxischermo con le dimensioni di un poster di Mao. Comunque appare, quindi conta già poco.
Chi invece non conta proprio niente sono gli habitué. Le marionette abbarbicate alle poltroncine, che si agitano per strappare un primo piano alla telecamera, bofonchiando il mantra «io non ti ho interrotto tu non mi interrompere». Il popolo senza speranza li disprezza e li vota. Il potere senza volto li disprezza e li usa.
La legge della Cloaca: P2, P3, P4… Pn
di Paolo Flores d'Arcais - Il Fatto Quotidiano - 23 Giugno 2011
C’era una volta la “Casta”, ma era tanto tempo fa, ed era solo la “donna dello schermo”. Dietro cui operava il vero “doppio Stato” che col regime di Berlusconi ha potuto scatenarsi senza più freni nella saturazione di tutte le arterie e i gangli vitali del potere.
Il “caso Bisignani” rende evidente e irrefutabile questa “cloaca”, e il coro quasi unanime, troppo unanime, dei “minimalisti” che negano l’esistenza di reati e ne fanno una questione di mero cattivo gusto (Il Foglio di Giuliano Ferrara, ex a libro paga Cia, prova a buttarla in burletta: Bisignani, uno che raccomandava Edwige Fenech…) sottolinea solo la straordinaria pericolosità del sovvertimento antidemocratico in atto.
La formula della “cloaca” è la progressione aritmetica: P2, P3, P4… Pn, che non è stata fermata proprio perché settori troppo ampi di politica, finanza, economia e anche magistratura (oltre che giornalismo) si sono fatti nei decenni trascorsi “zona grigia” rispetto alla metamorfosi dell’establishment in associazione a delinquere.
L’inchiesta P3 ha evidenziato il tentativo del regime di appropriarsi della magistratura, ma il Csm è restato inerte, e Cosimo Maria Ferri, che compare nelle intercettazioni di tre inchieste (Calciopoli, Agcom/Berlusconi, P3), è stato trionfalmente eletto segretario di Magistratura indipendente. Gli anticorpi latitano.
La legge 17/1982 contro le associazioni segrete prevedeva (prevede!) fino a cinque anni di carcere per i promotori di “attività diretta ad interferire…”, ma la tessera 1816 è alla testa del regime, e la tessera 2232 è il suo capogruppo alla Camera, e l’opposizione ci ha invitato per anni a “non demonizzare”, e il programma di Gelli è stato realizzato punto per punto, e i pregiudicati di Tangentopoli sono stati installati in tutte le stanze di tutti i bottoni, l’abuso d’ufficio è stato di fatto depenalizzato (il falso in bilancio anche), mentre andava potenziato con l’aggiunta del traffico di influenze (per non parlare dell’”intralcio alla giustizia” con pene americane).
Ormai è improcrastinabile l’azione congiunta e “giustizialista” di tutta l’Italia pulita nella sesta fatica di Ercole: l’epurazione delle stalle. Epurazione, sì.
Serviva e serve, più che mai, una vera e propria rivoluzione della legalità repubblicana, di fronte all’assuefazione per nomine cruciali, all’Eni, alla Rai, ai Servizi, ovunque vi sia potere, che avvengono in forma alla lettera ob-scena (fuori scena), in spregio e distruzione della Costituzione. Il golpe è già servito, in guanti bianchi. Chi continua a minimizzare si fa complice.
Napoli: la rappresaglia del Pdl
di Alessandro Iacuelli - Altrenotizie - 22 Giugno 2011
Una pesante rappresaglia. Di questo si tratta. Perché il “fortino” di Napoli ha resistito alla calata dell'orda elettorale del PDL, che in Campania ha preso Regione, Provincia di Napoli e diversi comuni, ma è mancato il capoluogo per fare il cappotto. Altro che “emergenza rifiuti”, o incapacità del Comune o dell'Asia a ripulire la città.
I rifiuti a terra in questo momento sono da rimuovere, ad ogni costo, e subito. Intanto si può ragionare su piani più sensati sulla lunga distanza temporale. Ma come risolvere il problema dell'accumulo di RSU nelle strade di Napoli adesso?
La soluzione era stata trovata, con un accordo fra Prefettura, Regione, Provincia e Comune. Soluzione che avrebbe consentito di liberare Napoli dai rifiuti in 5 giorni, tramite la realizzazione di un sito di trasferimento collocato nella stessa Napoli.
A questo punto è scattata la rappresaglia politica dei perdenti. Questa soluzione è naufragata, ed anche in modo poco trasparente e degno degli anni più bui della storia.
Tanto per cominciare, durante la raccolta dei rifiuti nella zona del centro storico cittadino, sono avvenuti alcuni fatti inquietanti che hanno impedito la raccolta dei rifiuti e che sono stati già segnalati alle forze dell’ordine.
Come già avvenne all'inizio del 2004, e poi in altre occasioni, si è resa necessaria la vigilanza da parte della polizia verso i mezzi di raccolta. E non è certo per fatti di camorra. Semmai, per la vendetta del sistema politico-affaristico che da sempre lucra sui rifiuti solidi urbani.
La rappresaglia di chi voleva mettere le mani sull'affare di Napoli è cominciata con i dipendenti delle società che, in subappalto, gestiscono la raccolta in alcuni quartieri città.
Fomentati nel modo giusto, spaventati dall'ipotesi di perdere il posto di lavoro e lo stipendio, di notte hanno impedito fisicamente la raccolta, e non certo con le buone maniere. Poi c'è l'aspetto politico. Che stavolta ha un solo colore: l'azzurro.
Non solo perché in una delle società che gestiscono la raccolta è impegnato finanziariamente un ex consigliere provinciale di Forza Italia, recentemente arrestato, ma soprattutto grazie all'opera di intralcio al nuovo piano rifiuti comunale messo in opera dal Presidente della Giunta Provinciale, Luigi Cesaro.
Suo il compito, da molti mesi, di individuare il luogo dove depositare gli RSU di Napoli: non l’ha fatto. L'ha fatto invece, guarda caso, per tutti i comuni che hanno il PDL in giunta e non per gli altri.
Le tonnellate di rifiuti in più dovevano essere destinate, secondo accordi precedenti, ad altre Regioni. Pertanto fa parte della stessa rappresaglia il “veto” marcato Calderoli sull'invio di monnezza napoletana in territori esterni.
Fa parte tutto dello stesso piano, marcato probabilmente Silvio Berlusconi, che all'indomani del risultato del ballottaggio napoletano aveva subito lanciato l'anatema sui napoletani, giurando di farla pagare cara. Lo sta facendo.
E' facile immaginare quanto sia fragile un sistema di rifiuti integrato. Integrato nel senso che non è controllato da una sola istituzione. Al comune spetta la raccolta dai cassonetti, ma la gestione del trasporto e dello stoccaggio, a norma di legge, è nelle mani della Provincia. Poi, spetta alla Regione decidere dove sversarli.
E la Regione trova sempre dove sversare i rifiuti dei comuni guidati dal centro-destra, ma per Napoli, puntualmente, il posto non si trova. Se il posto non si trova, i camion dell'ASIA e delle società che lavorano per l'ASIA restano pieni, e il giorno dopo non possono effettuare una nuova raccolta. E il gioco della rappresaglia è fatto.
Siamo ormai oltre le 2600 tonnellate rimaste a terra, nelle strade, a ostruire passaggi. Ma il senso di responsabilità manca e si prosegue nel gioco politico del voler minare la nuova giunta comunale. Sulla pelle della gente.
Il gioco allo sfascio non termina qui. Nei giorni scorsi, è apparso su Youtube un video amatoriale in cui si vede un camion della raccolta rifiuti che, invece di raccoglierli, li spinge da un lato e addirittura riversa in strada il contenuto dei cassonetti accanto.
Il video ha fatto il giro della rete, con didascalie tipo “Ecco l'ASIA come raccoglie i rifiuti”. Peccato che il camion sia della società cooperativa Lavajet, che lavora in subappalto per l'ASIA. Il presidente di Lavajet è Giancarlo Vedeo, dirigente provinciale del PDL a Savona.
Il piano di rappresaglia è chiaro: forzare la mano per giungere ad una nuova soluzione di commissariamento straordinario del ciclo dei rifiuti a Napoli e provincia. In tal modo, attraverso la Protezione Civile che risponde direttamente alla Presidenza del Consiglio, l'affare lucroso della monnezza napoletana tornerebbe “nelle mani giuste”, eliminando dai giochi una giunta comunale di un altro colore, che si oppone all'inceneritore che si vorrebbe costruire a Ponticelli, sulla cui costruzione sono pronti a metterci le mani gli imprenditori amici del cuore di quel Calderoli che blocca il decreto sull'esportazione extraregionale. E il cerchio si chiude.
Al momento di scrivere, è stato convocato un altro tavolo presso la Prefettura di Napoli, presenti il presidente della Giunta Stefano Caldoro, con l’assessore all’Ambiente Giovanni Romano, il vicesindaco di Napoli Tommaso Sodano, l’assessore all’Ambiente della Provincia Giacomo Caliendo e rappresentanti di altre province campane. L'accordo raggiunto è che Napoli potrà portare i rifiuti in altre province della stessa Campania.
Potrebbe funzionare, sulla breve durata ovviamente, se non che nel frattempo sono entrati in agitazione proprio i lavoratori di Lavajet, per cui anche per oggi c'è il rischio che i rifiuti non possano neanche essere raccolti, anche facendo fare gli straordinari a uomini e mezzi dell'ASIA. Quando poi Lavajet riprenderà a lavorare, allora assisteremo al prossimo bastone tra le ruote. Marcato ancora una volta PDL.