giovedì 25 agosto 2011

Libia - update

Un altro sguardo sulla Libia tra guerra in pieno corso, menzogne mediatiche e sfregamenti di mani per i business futuri...



Libia, affari di guerra sporca
di Enrico Piovesana - Peacereporter - 25 Agosto 2011

Lunedì, dopo l'ingresso dei ribelli a Tripoli, precipita il prezzo dell'oro e schizzano i titoli di banche e aziende petrolifere che, come Unicredit e Eni, hanno interessi nel Paese e che hanno finanziato i ribelli. Sui quali pesa l'incognita di Al Qaeda

Lunedì 22 agosto, alla riapertura dei mercati dopo la notizia dell'ingresso dei ribelli a Tripoli, si sono verificati eventi che la dicono lunga sui veri scopi di questa ennesima guerra neocolonialista mascherata da intervento umanitario.

Quel giorno il prezzo dell'oro è iniziato a scendere dopo mesi di inarrestabile e costante rialzo. Toccando ogni giorno un nuovo 'record storico', il metallo giallo era arrivato a sfiorare la quotazione astronomica di 1900 dollari l'oncia.

Da lunedì è iniziato un deprezzamento mai visto negli ultimi mesi: in pochi giorni la quotazione è precipitata a 1700 dollari l'oncia. La certezza di poter mettere le mani sulle 144 tonnellate di lingotti d'oro conservati nei forzieri della banca centrale libica (nella foto) sembra aver placato sete dei mercati.

Sempre lunedì, dopo giorni di crolli in borsa che nulla sembrava in grado di arrestare, le notizie provenienti da Tripoli hanno messo le ali agli scambi e le piazze affari di tutta Europa hanno chiuso con il segno più. A trascinare in alto i listini sono stati soprattutto i titoli energetici e bancari.

La caduta di Gheddafi rimette sul mercato le principali riserve energetiche del continente africano (60 miliardi di barili di greggio e 1.500 miliardi di metri cubi di gas naturale), 150 miliardi di dollari di 'asset finanziari' (quote di grandi banche straniere e azioni di aziende multinazionali) e commesse miliardarie che la guerra ha bloccato.

Imbarazzante l'euforia mostrata lunedì dai titoli delle aziende e della banche italiane con maggiori interessi in Libia: Eni +6 per cento, Saras +6 per cento, Ansaldo +6 per cento, Telecom +4 per cento, Unicredit +3 per cento. Frutti di veri e propri 'investimenti di guerra', come i 300 e i 150 milioni di euro che Unicredit e Eni hanno rispettivamente donato ai ribelli libici.

Ribelli su cui, tra l'altro, rimangono inquietanti punti interrogativi. Il fronte anti-regime comprende infatti anche combattenti delle cellule libiche di Al Qaeda, in particolare del Gruppo di Combattimento Islamico della Libia (Lifg), creato negli anni '90 dai servizi segreti occidentali (Cia e Mi6) proprio allo scopo di assassinare o rovesciare Gheddafi e composto da veterani della guerra contro i sovietici in Afghanistan.

La presenza di questi integralisti tra i ribelli, poco pubblicizzata ma nota fin dalle prime fasi di questa guerra, è stata liquidata dalla stampa occidentale come marginale e non preoccupante.

Molti, però, hanno cambiato idea dopo l'uccisione del comandante militare dei ribelli, l'ex generale nazionalsita libico Abdul Fatah Younis, da parte di mujaheddin della brigata islamica Abu Ubaidah bin Jarrah. Il suo posto è stato preso da Khalifa Belqasim Haftar, ex agente della Cia che fino a pochi mesi fa viveva a Langley, in Virginia.


Il capitalismo rovinoso atterra in Libia

di Pepe Escobar - Asia Times - 24 Agosto 2011

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di Supervice

Inserisci linkPensate alla nuova Libia come l’ultimo capitolo spettacolare delle serie Capitalismo Rovinoso. Invece delle armi di distruzione di massa, abbiamo l’R2P ("Responsabilità di Proteggere "). Invece dei neoconservatori, abbiamo gli imperialisti umanitari.

Ma l’obbiettivo è lo stesso: il cambio di regime. E il progetto è lo stesso: smantellare completamente e privatizzare una nazione che non si è integrata nel turbocapitalismo; aprire un’altra terra per le opportunità (redditizie) al neoliberalismo turbo-alimentato. La cosa è anche molto pratica, perché è proprio nel mezzo di una recessione quasi globale.

Ci vorrà un po’ di tempo: il petrolio libico non tornerà sui mercati primo di 18 mesi. E poi c’è la ricostruzione di tutto quello che la North Atlantic Treaty Organization (NATO) ha bombardato (beh, non molti di quello che il Pentagono bombardò in Iraq nel 2003 è stato ricostruito).

Comunque – dal petrolio alla ricostruzione – si profilano tutta una serie di succose opportunità. Il neo-napoleonico francese Nicolas Sarkozy e il britannico David d’Arabia Cameron credono di essere ben posizionati per profittare dalla vittoria della NATO. Ma non ci sono ancora garanzie che la nuova manna libica sia sufficiente per portare le due ex potenze coloniali (neocoloniali?) fuori dalla recessione.

Il Presidente Sarkozy in particolare vorrebbe mungere le opportunità dati dagli affari per le aziende francesi fino alla fine, una parte del suo programma ambizioso di "ri-sviluppo strategico" della Francia nel mondo arabo.

Un emittente francese indignata ha gongolato sul fatto che questa è la "loro" guerra, rendendo noto che lui ha deciso di armare i ribelli sul terreno con le armi francesi, in piena cooperazione con il Qatar, e anche un commando di ribelli fondamentale che ha navigato da Misurata a Tripoli lo scorso sabato, all’inizio dell’Operazione Sirena".

Bene, ha certamente visto l’apertura quando il capo del gabinetto di Muammar Gheddafi ha cambiato sponda a Parigi nell’ottobre del 2010. Quello è il momento in cui tutto il dramma per il cambio di regime è entrato in incubazione.

Bombe per il petrolio

Come già evidenziato (vedi BENVENUTI NELLA DEMOCRAZIA DELLA LIBIA’, Asia Times Online, 24 agosto) gli avvoltoi stanno già avvolgendo Tripoli per arraffare (e monopolizzare) i resti.

E sì, quasi tutto questo sforzo ha a che fare con la questione del petrolio, come riportato nella franca asserzione di Abdeljalil Mayouf, incaricato delle comunicazioni alla Arabian Gulf Oil Company “ribelle”: "Non abbiamo difficoltà con i paesi occidentali, né con le compagnie italiane, francesi e britanniche. Potremmo avere qualche problema politico con Russia, Cina e Brasile."

Casualmente i tre sono membri cruciali del gruppo BRICS delle economie emergenti (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica), che stanno tuttora crescendo mentre gli Atlantisti, le economie bombardiere della NATO sono ancora infognate nella stagnazione o nella recessione.

È pure un caso che i quattro principali paesi BRICS si siano astenuti dall’approvare la Risoluzione 1973 del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, la truffa della “no-fly zone” che da quel momento si è trasformata nella NATO che si incaricata di cambiare il regime. Hanno visto giusto sin dall’inizio.

A rendere le cose peggiori (per loro), solo tre giorni prima che l’Africom del Pentagono lanciasse i suoi più che 150 Tomahawk sulla Libia, il Colonnello Gheddafi rilasciò un’intervista alla TV tedesca, rimarcando che se la sua nazione fosse stata attaccato, tutti i contratti energetici sarebbero stati trasferiti alle compagnie russe, indiane e cinesi.

Quindi i vincitori della lotteria petrolifera sono già designati: i membri della NATO più le monarchie arabe. Tra le aziende coinvolte, British Petroleum (BP), la francese Total e la compagnia petrolifera nazionale del Qatar.

Per il Qatar – che ha inviato aerei da combattimento e soldati sulla linea del fronte, che ha addestrato i "ribelli" alle più varie tecniche di combattimento,e che sta già gestendo le vendite di petrolio nella Libia orientale – la guerra si rivelerà una decisione d’investimento molto saggia.

Precedentemente alla crisi lunga un mese che ora è terminata con i ribelli nella capitale Tripoli, la Libia stava producendo 1,6 milioni di barili al giorno. Una volta riassestato, il settore potrebbe riversare sui nuovi comandanti di Tripoli circa 50 miliardi di dollari l’anno. Molti stimano le riserve di petrolio in 46,4 miliardi di barili.

I “ribelli" della nuova Libia è meglio non incasinarsi con la Cina. Già cinque mesi fa, la posizione ufficiale della Cina era di un “cessate il fuoco”; se fosse successo, Gheddafi controllerebbe ancora più di metà della Libia. Ancora Pechino, che mai è stata una fanatica dei cambi di regime violenti, per il momento si sta prestando a una moderazione estrema.

Wen Zhongliang, il vicedirettore del Ministero del Commercio, ha osservato pieno di speranze: “La Libia continuerà a difendere gli interessi e i diritti degli investitori cinesi e speriamo di continuare con gli investimenti e la cooperazione economica." Le dichiarazioni ufficiali si ripetono sempre, sottolineando "la mutua cooperazione economica".

La scorsa settimana Abdel Hafiz Ghoga, vicepresidente dell’inaffidabile Consiglio Nazionale di Transizione, ha detto a Xinhua che tutte le trattative e i contratti stipulati dal regime di Gheddafi verranno onorate, ma Pechino non sta sfruttando l’occasione.

La Libia ha fornito non più del 3% del petrolio importato dalla Cina nel 2010. L’Angola è un fornitore molto più determinante. Ma la Cina è ancora il più grande cliente petrolifero asiatico della Libia.

Per di più, la Cina potrebbe essere davvero utile sul fronte della ricostruzione delle infrastrutture, o nell’export della tecnologia, tanto che non meno di 75 aziende cinesi con 36.000 dipendenti erano già presenti prima dello scoppio della guerra civile/tribale, e sono evacuate rapidamente in meno di tre giorni.

I russi, da Gazprom a Tafnet, avevano miliardi di dollari investiti nei progetti libici; anche il gigante petrolifero brasiliano Petrobras e l’azienda di costruzioni Odebrecht avevano qui forti interessi.

Non è ancora chiaro cosa gli accadrà. Il direttore generale del Russia-Libia Business Council, Aram Shegunts, è estremamente preoccupato: "Le nostre aziende perderanno tutto perché la NATO gli impedirà di fare affari in Libia."

L’Italia sembra essersi convinta del motto dei "ribelli", "O con noi o contro di noi ". Il gigante energetico ENI sembra non aver subito conseguenze, così come il Premier Silvio "Bunga Bunga" Berlusconi ha pragmaticamente mollato il suo caro amico Gheddafi all’inizio del macello dei bombardamenti Africom/NATO.

I direttori dell’ENI sono fiduciosi che i flussi di petrolio e il gas libici che giungono in Italia meridionale verranno ripristinati prima dell’inverno. E l’ambasciatore libico in Italia, Hafed Gaddur, ha rassicurato Roma che tutti i contratti dell’era Gheddafi verranno onorati. Per chiarire, Berlusconi incontrerà il primo ministro del CNT, Mahmoud Jibril, questo giovedì a Milano.

I soccorsi di Bin Laden

Il Ministro degli Esteri turco Ahmet Davutoglu – con la sua nota politica del "niente problemi con i nostri vicini" – si è lanciato in smancerie verso gli ex "ribelli" diventati il potente di turno.

Dando un’occhiata alla manna del business post-Gheddafi, Ankara – il fianco orientale della NATO – ha deciso di imporre un blocco navale al regime di Gheddafi, ha meticolosamente coltivato il CNT, e a luglio lo ha formalmente riconosciuto come il governo della Libia. Le "ricompense" per gli affari fioccano numerose.

Qui abbiamo la parte importante del complotto; come la Casa di Saud riuscirà a trarre profitto dall’essere stato uno strumento per insediare un regime amico in Libia, possibilmente cosparso di notabili salafiti; una delle ragioni fondamentali per l’offensiva dei sauditi – che ha pure comportato il voto falsificato della Lega Araba – era data dai rapporti pessimi tra Gheddafi e il Re Abdullah dalla rincorsa fin dalla rincorsa per la guerra in Iraq nel 2002.

Non è mai abbastanza quando si ritorna a parlare della cosmica ipocrisia delle teocrazie ultra-regressive assolute monarchiche/medievali, che ha invaso il Bahrein e ha represso gli indigeni sciiti, salutando quello che poteva essere ritenuto un movimento pro-democrazia nel Nord Africa.

Comunque, è tempo di festeggiare. Aspettatevi di vedere il Saudi Bin Laden Group ricostruire da matti in tutta la Libia, trasformando infine la (saccheggiata) Bab al-Aziziyah in un mostruoso e lussuoso centro commerciale della Tripolitania.


Una guerra di finzioni?

di Debora Billi - http://petrolio.blogosfere.it - 24 Agosto 2011

Considero prive di ogni sostanza le notizie ufficiali che arrivano dalla Libia da tre giorni a questa parte, quindi non ho potuto commentarle.

D'altra parte, voci nella notte, twitter di ignoti, telefonate del cugggino da Tripoli, pur interessanti e significativi, non hanno a loro volta alcuna presunzione di certezza.

Io sono così sciocca da credere ancora nei giornalisti. E così ho aspettato, e ravanato faticosamente in Rete. Primo reperimento, la BBC. Mi limito a tradurre alcuni brani di questo articolo, dal titolo "Conflitto in Libia: fatti o finzioni?".

Non è stata la prima volta che abbiamo visto certe immagini del figlio di Gheddafi Saif-Al-Islam - se ne stava in piedi su un camion fuori dal compound del padre martedì, sorridendo e mostrando il pugno.

Ma queste immagini sono strane perché, domenica, i ribelli avevano annunciato di aver arrestato il successore del leader libico(*).

Queste immagini mettono a rischio la credibilità dei ribelli e danneggiano quella dell'International Criminal Court e provano, qualora qualcuno avesse ancora dubbi, che questa è una guerra mediatica.

E' una guerra di percezione e di informazione. (...) E' significativo che gli aiutanti di Saif al-Islam sono andati direttamente al Rixos Hotel per svegliare i giornalisti e dimostrare che era ancora libero.

E un articolo dall'Associated Press dice:

Saif-Al-Islam (all'Hotel Rixos) mi ha detto:"Vi state perdendo una grande storia. Venite con me, vi mostrerò i punti più caldi di Tripoli."

Un gruppo di giornalisti è saltato in una seconda macchina, e lo abbiamo seguito insieme ai suoi soldati, nel buio attraverso la città. Sembrava fiducioso e sicuro, e aveva un messaggio da mandare: Gheddafi è ancora al suo posto, ancora combatte e ancora ha i suoi sostenitori. Poi siamo tornati all'hotel.

Non sappiamo come finirà, e vediamo poco di quello che accade. Posso raccontarvi una storia su giornalisti intrappolati, ma la vera storia di cosa sta accadendo il Libia è là fuori. Sfortunatamente, non possiamo raccontarvela.

(E allora CHI ce la sta raccontando?)

Poi anche l'Huffington Post:

Ma seriamente, gente, cosa è successo al giornalismo? (...) Sembra che i media occidentali siano diventati il braccio della propaganda dei ribelli. O forse è solo pigrizia terminale.

Diverse settimane fa i ribelli hanno ammazzato il loro comandante militare, pare per via del fatto che fosse della tribù sbagliata. Non abbiamo mai avuto una spiegazione, e le domande dei media sono state fermate.

Mesi fa, alcuni reporters a Bengasi hanno notato che i Jihadisti dell'Est che erano stati ad ammazzare americani in Afghanistan stavano tornando in Libia per fornire ai dilettanti ribelli un po' di preparazione professionale. Avete sentito qualche giornalista parlarne? Come entreranno costoro nel governo nazionale? E cosa dire di quelle operazioni coperte, mercenarie, che preparano e forse guidano le milizie?

Gli esperti di intelligence di Washington si sono chiesti come prevenire che il nuovo governo "venda" armi ad Al Qaida in futuro. Ma non si chiedono perché dovremmo preoccuparci di Al Qaida che compra armi da un governo, quando Al Qaida potrà essere parte di quel governo che possiede le armi.

Noi serviamo il pubblico riportando solo quello che sappiamo e abbiamo confermato come vero. Si chiama integrità giornalistica. La quale è a quanto pare andata persa - e non solo alla Fox, ma in tutta la stampa mainstream mondiale. Vergogna.

Non c'è molto altro, appunto, nei media mainstream. Vorrei aggiungere solo due parole sulla stampa nostrana: La Repubblica sta facendo un lavoro indecente, che va oltre persino il concetto di propaganda, con "i cecchini del rais sparano ai bambini" è scesa a livelli che neanche in nord Corea o ai tempi del maccartismo. Qualcuno critica anche Il Fatto, dove mi capita talvolta di scrivere.

C'è una differenza importante: sul Fatto sono possibili i commenti (cosa che Repubblica impedisce), e se li leggete scoprite con sbalordimento quanto la gente sia infuriata verso quella che percepisce come vergognosa guerra di propaganda. Il Fatto se ne è accorto, e ha moderato un po' i titoloni scandalistici. Gocce nel mare.

(*) La BBC, che ha una dignità giornalistica, non chiama Gheddafi "il rais".


Il carnevale dei cazzari

di Gianluca Freda - Blogghete - 24 Agosto 2011

Di tanto in tanto, quando dolce e chiara è la notte e senza vento, faccio un sogno bellissimo, che è per me uno dei principali motivi per cui valga la pena di vivere. Sogno che in un futuro imprecisato, in uno scenario fantapolitico dai contorni indefiniti, l’Italia sia stata occupata da un esercito straniero rivoluzionario.

Rivoluzionari veri, non gli zombi pagati dalla CIA e teleguidati tramite Facebook che abbiamo visto all’opera, in Africa e Medio Oriente, in questi mesi. La nazionalità dell’esercito rivoluzionario varia di circostanza in circostanza. A volte sono irakeni, a volte libici, a volte indiani Apache, ma non è importante.

Nel mio sogno, i nuovi occupanti hanno fatto arrestare, quali traditori, mentitori e fiancheggiatori di assassini, tutti i giornalisti italiani, sia televisivi che della carta stampata, e si accingono a fucilarli in una grande piazza (che a volte è piazza del Duomo a Milano, altre volte è la Piazza Grande di Arezzo) in un radioso mattino di sole. Lo spettacolo è aperto al pubblico, che interviene numeroso e festante.

Io arrivo tenendo per mano le mie bambine e le mie bambine sorridono. In una delle tante bancarelle aperte per l’occasione, ho comprato loro dei palloncini e dello zucchero filato, denso e bianchissimo.

La fucilazione è deliziosa. Tutti i traditori della TV e della stampa sono in fila su un lato della piazza, con la benda sugli occhi. Ci sono Ezio Mauro, Paolo Mieli, Piero Ostellino, Vittorio Feltri, Ernesto Galli Della Loggia, Marco Pasqua, insomma tutta la cricca nazionale di cazzari di professione al soldo dei conquistatori americani.

Il capo del plotone di esecuzione (che a volte è Saddam Hussein, altre volte Geronimo) offre loro un’ultima sigaretta, ma Ezio Mauro rifiuta sdegnosamente, perché il fumo fa male alla pelle. Marco Pasqua solleva il pugno al cielo rantolando “Viva la libertà dei gay! Viva Israele”, ma nessuno lo sente.

Poi c’è un breve crepitìo di moschetti e i traditori si abbattono al suolo senza un gemito, crivellati dai proiettili, proprio come gli uomini, le donne e i bambini di Tripoli, della Palestina, dell’Iraq e di tante altre nazioni, un tempo felici e oggi trasformate in carnaio dalle loro schifose menzogne.

I bambini ridono e applaudono, in cielo non c’è neanche una nuvola.

Dopo lo spettacolo, porto le bambine a esaminare i cadaveri. Le piccole stringono i palloncini nella manina e si divertono un mondo. “Lo vedi, a papà, quel signore col cervello che gli esce dalle orecchie?

Quello è Angelo Panebianco, che dalle pagine del “Corriere” strillava contro il pericolo islamico, senza dire che eravamo invece noi ad essere un pericolo per l’Islam. E quel signore dalle cui orecchie non esce niente? Quello è Gad Lerner”.

E’ un sogno ritemprante, che mi consente di affrontare con rinnovata energia la triste realtà quotidiana. E la realtà quotidiana è una realtà fasulla e artificiale, costruita a tavolino dagli assassini di cui sopra e ben rappresentata dalla pagina del sito di “Repubblica” che vedete riprodotta qui sopra.

L’ho salvata a futura memoria nella notte tra domenica e lunedì, quando la “diretta” di Repubblica sulla presunta conquista di Tripoli pubblicava senza sosta, una dietro l’altra, una sequela di fregnacce di dimensioni mai viste prima, più lunga della processione dell’Immacolata.

Conoscendo i miei polli, sapevo bene a che gioco stavano giocando e per conto di chi, e così ho voluto conservare per i posteri un souvenir della loro maramalderia.

Guardatela bene. Non c’è una sola notizia che si sia poi rivelata veritiera. Non c’è una sola voce su cui un solo membro di quell’accolita di cialtroni che si fregiano del pomposo titolo di giornalisti si sia preoccupato di fare qualche riscontro.

Si prende per oro colato la fonte più inverosimile e inattendibile che sia possibile immaginare, cioè le dichiarazioni della banda di tagliagole al soldo degli USA che in quel momento, nella periferia Tripoli, stavano dandosi al saccheggio, all’omicidio e allo stupro.

Sarebbe bastato dare un’occhiata alle fonti indipendenti di internet per rendersi conto che la conquista di Tripoli, la cattura dei figli del “raìs” (come lo chiamano loro), addirittura la cattura dello stesso Gheddafi (!) erano solo un mare di cazzate.

Mentre “Repubblica” parlava delle false manifestazioni degli insorti nella Piazza Verde, secondo molte fonti nella Piazza Verde c’era Gheddafi, che rincuorava il suo popolo e lo incitava a non arrendersi alla bestialità dei nemici.

Certo, anche questa era una voce da verificare, ma appunto, sarebbe valsa la pena di verificare anche quella anziché pubblicare le sole idiozie partigiane. Ma il fatto è che questa gentaglia non è pagata per controllare le fandonie che gli vengono propinate dalle agenzie di stampa statunitensi. Sono sicari.

Sono pagati per vomitare su internet, sui giornali e sulle TV le oscenità fasulle inventate dai loro padroni così come sono, senza minimamente verificarle, senza approfondire, senza riflettere.

Il loro lavoro è quello di disinformare, di assassinare preventivamente per via mediatica i popoli che poco dopo le forze anglo-franco-statunitensi si incaricheranno di sterminare fisicamente con le bombe. Questo è il lavoro da banditi che sono pagati per svolgere e – se posso fargli un piccolo complimento – lo svolgono benissimo.

Proprio durante la messinscena della “presa di Tripoli”, abbiamo saputo da Thierry Meyssan, Mahdi Nazemroaya, Lizzie Phelan, Franklin Lamb e altri reporter indipendenti che i “giornalisti” della CNN - dai cui servizi “Repubblica” e il resto della carta da cesso italiana trae gran parte delle proprie informazioni – sono in realtà agenti della CIA e dell’MI6 sotto copertura, che hanno esplicitamente minacciato di morte i giornalisti non allineati nel caso in cui avessero rivelato la messinscena.

E che li tengono sequestrati nel loro Hotel, dopo aver fatto appostare uno stuolo di cecchini nei palazzi circostanti, affinché non possano uscire a vedere cosa realmente sta accadendo fuori.

I cecchini sono la grande strategia segreta dell’impero americano. Sono loro che ammazzano i passanti, i poliziotti, i giornalisti, le persone innocenti la cui morte sarà poi attribuita alla crudeltà del “regime” da abbattere.

Guardate bene questa schermata di “Repubblica”.

Chissà se quegli anticomplottisti mentecatti, che iniziano a ragliare come somari in fregola ogni volta che scoprono nell’articolo di qualche blog una virgola fuori posto, hanno qualcosa da dire anche su questa valanga, su questo autentico tsunami di fandonie campate in aria.

Se un qualunque blogger, nell’arco di poche ore, avesse scritto sul proprio sito anche solo la decima parte di queste panzane, avrebbe dovuto cessare l’attività la mattina seguente e andare a nascondersi sul Kilimangiaro.

Chissà se gli attivissimi, i pieroangeli, i dieghicuoghi, i pirloni dell’anticomplottismo filoebraico coatto hanno qualche commento da fare sull’attendibilità dei media le cui versioni ufficiali e i cui viaggi nella Luna difendono con tanto fervore.

Guardatela bene.

In essa la notizia dell’arresto di Gheddafi e del figlio Seif (la cui unica fonte, lo ricordo, erano le chiacchiere a ruota libera di un bandito) viene confermata addirittura dal Tribunale Penale dell’Aia, altra banda di criminali internazionali che ha dimostrato platealmente in quest’occasione quale sia il suo livello di credibilità.

In questo senso è davvero stupenda la risposta data da Seif Gheddafi al drappello di allibiti giornalisti che se lo sono visto comparire davanti dopo averlo dato per due giorni nelle mani dei cosiddetti “ribelli”.

Uno dei suddetti leccapiedi anglo-americani lo ha inseguito col microfono, ricordandogli che contro di lui è stato spiccato un mandato di cattura da parte della Corte dei Criminali Internazionali per i consueti “crimini contro l’umanità”. Seif ha risposto semplicemente: “E chi se ne frega”.

Quale che sia il suo futuro destino, la mia invidia e la mia ammirazione per lui sono senza confini.



La favolosa guerra dei media

di Alessandro Dal Lago - www.ilmanifesto.it - 25 Agosto 2011

Il figlio di Gheddafi che viene catturato e poi ricompare baldanzoso nella notte. Tripoli che insorge, mentre invece la città è assalita da combattenti venuti da fuori. Festeggiamenti a Bengasi fatti passare per l'esultanza dei tripolini.

Un regime dato per finito che dopo tre giorni continua a bombardare il centro della città. Inviati in elmetto che mettono in posa i combattenti per riprenderli. Dirette dalla battaglia in cui si vedono solo tetti e il fumo in lontananza...

Più che di «nebbia della guerra» si dovrebbe parlare di una guerra televisiva che ha ben poco a che fare con quello che succede, ma rientra in una strategia mediale mirata a confondere le acque sia agli occhi dell'opinione pubblica occidentale, sia a quelli del regime di Tripoli.

D'altronde si sa che al Jazeera è la voce dei regimi arabi moderati, a partire dal Quatar, molto attivo sul campo nell'assistenza (anche militare) ai ribelli libici, e che i conservatori inglesi hanno strettissimi rapporti con Murdoch, il padrone di Sky.

Fatti i conti, è chiaro che gran parte dei media racconta una guerra immaginaria, mentre i loro sponsor, Cameron, Sarkozy e Obama incrociano le dita sperando che la guerra vera vada proprio come sperano.

Ma la guerra vera è tutt'altra cosa da quella raccontata in prima pagina.
Basta analizzare i servizi più meditati sulle pagine interne dei grandi quotidiani internazionali.

L'avanzata dei ribelli è stata resa possibile (al 70 per cento, dice il Corriere della sera) dalla Nato, con tanto di istruttori e forze speciali in prima linea (francesi, inglesi, americani, quatarioti: la conferma è venuta ieri da «fonti» dell'Alleanza atlantica citate dalla Cnn).

Quelli dell'ovest hanno ben poco a che fare con i bengasini, guidati da gente come Jalil e Jibril (e forse Jalloud), che se mai Gheddafi fosse processato, si troverebbero al suo fianco sul banco degli imputati (ed ecco spiegata la taglia sul Colonnello).

E poi, anche se i gheddafiani smettessero domani di combattere, nessuno ha un'idea di quelle che succederebbe dopodomani, con un paese diviso in fazioni armate, inferocito, pullulante d'armi, con una quantità di conti da regolare con i perdenti e tra i vincitori (l'eliminazione dell'ex-comandante Younes insegna).

Come tutto questo sia fatto passare, anche a sinistra, per una mera lotta di liberazione o un risultato della primavera araba si spiega solo, anche da noi, con la confusione che regna in un'Europa preoccupata da un'economia traballante e guidata da un paio di leader ossessionati dalla rielezione (Sarkozy) o che hanno le loro gatte da pelare (Cameron).

Saranno bastati i bombardamenti «mirati» o umanitari, come straparlano gli Henry-Levy o i giustizialisti da prima pagina di casa nostra, a gettare le premesse di una società civile o democratica in Libia? Non c'è da crederci molto.

Ci rallegriamo quando cade un dittatore, certamente. Qualsiasi cosa è meglio di Gheddafi, forse. Ma, come ha scritto ieri un commentatore sul Guardian, se i mezzi sono sbagliati, questo alla fine influisce sul risultato.

Inglesi e americani hanno creato un'instabilità senza fine in Iraq. La Nato si è impantanata in Afghanistan. In attesa che qualche anima bella proponga di intervenire in Siria, ecco che si suggerisce a mezza bocca la permanenza di forze Nato in Libia per «stabilizzare» il paese.

Tutto questo ha a che fare con la «rivoluzione»?

Ma non è solo una questione di parole. Quello che semmai stupisce è che, a parte qualche conservatore d'esperienza come Sergio Romano, ben pochi in Italia, e soprattutto a sinistra, si interroghi sulle prospettive di questa crisi libica. E cominci a interrogarsi sull'incredibile distonia tra una guerra magnificata dai media e quella vera, in cui gli uomini muoiono, anche se non ne sapremo mai il numero.


I piani di resistenza e fuga di Gheddafi

di Ennio Remondino - www.globalist.ch - 24 Agosto 2011

A Tripoli si combatte. Gheddafi ha ancora armi e uomini: ecco lo scenario sul campo. Quello vero, non le bugie messe in giro ad arte.

Il triangolo di resistenza e di fuga di Gheddafi. Dopo i titoli avventati sulla Tripoli Liberata, la complessità torna nelle sabbia mobili delle trattative incrociate tra kabile fedeli e ribelli. Tra Kabile incerte e kabile in vendita. Tra potenze liberatrici e potenze da liberare da lucrosi contratti petroliferi. Tra diplomatici spia e spie travestite da diplomatico.

Ancora settimane di guerra, prevedono gli esperti sul campo, e le possibili vie di fuga nel deserto del Rais. Le semplificazioni propagandistiche, nella guerra combattuta, procurano solo guai. Sul campo il caos di Tripoli appare piuttosto come una fase rumorosa di pausa per trattative inconfessabili.

Tripoli liberata dal giornalismo di emozione. Titoli che si inseguono e si smentiscono. Tripoli liberata. No, a Tripoli si combatte. Conquistato il palazzo di Gheddafi. Ma Gheddafi non c'era. Bufala bis della statua di Saddam abbattuta a Baghdad, immagini televisive in campo stretto, per non far vedere che il popolo plaudente era fatto solo da giornalisti e troupe televisive.

Oppure il pittoresco sacrificio volontario della barba di qualche poveraccio nella Kabul liberata, pagato da una troupe televisiva per farsi telebano pentito nell'Afghanistan liberato dagli studenti del corano, dai burka e dalle barbe integrali e integraliste.

I tre capisaldi di Gheddafi. Peccato che in Libia le cose siano molto più serie, e più pericolose. Restano fedeli al Rais i reparti beduini, i più mobili e meglio armati, e le postazioni avanzate nel deserto, basi militari della lontana guerra contro il Ciad.

Disegniamolo questo triangolo della morte, questa punta di lancia che dalla costa porterà il beduino Gheddafi verso il deserto profondo e la via di fuga.

Tripoli (dove ancora si combatte duramente) e Sirte (la città natale), tracciano la base. Poi una puntata a sud, verso il cuore della regione del Fezzan, città oasi di Sabha, la "fedelissima". Oltre soltanto il deserto, le tribù tuareg e l'immensità dell'Africa.

Sebha o Sabha e la storia militare. Era la capitale della storica regione del Fezzan. Data la sua posizione al centro del deserto libico, Sebha è stata fino al secolo scorso un importante centro di sosta e smistamento delle carovane che attraversavano il Sahara.

Ora è la rotta della disperazione per decine di migliaia di migranti sub-sahariani. L'Oasi di Sebha è stato un sito per testare i razzi Otrag.

Nel 1981 dalla base libica di Sebha fu lanciato un razzo Otrag con un'altezza massima raggiungibile di 50 km. Esistono ancora quei razzi? E con quali proiettili? Ufficialmente la società Otrag ha chiuso per pressioni politiche da parte degli Usa.

O la fuga o l'olocausto. C'è un segreto tra i segreti. L'incubo delle armi chimiche che fanno ancora parte dell'arsenale non colpito a disposizione del despota che non molla. Forse è anche per questo che ancora oggi si tratta.

I kalasnikov sparano per coreografia televisiva ad anticipare un vittoria che potrebbe costare prezzi ancora elevatissimi, e nel segreto, le trattative sotterranee tra governati ed insorti.

Tra insorti e insorti. Tra spie e spie. Geopolitica delle "kabile" che governano territori, popoli ed eserciti del caos Libia. Warfalla contro i Qadadhifa (tribù da cui prende il nome lo stesso Rais) e via spartendo. Nuclei che il dopo Gheddafi lo contrattano in potere e petrolio.

Le quattro componenti. Il fronte anti-gheddafiano è diviso al suo interno. Quattro le componenti principali. Prima è l'attuale dirigenza del Comitato nazionale di Transizione di Jalil e Jibril, che tenta di portare avanti una politica unitaria.

La seconda è quella filo-francese, minoritaria all'interno degli insorti, ma che vede al suo interno le kabile che controllano le principali fonti energetiche del paese.

Quella che potrebbe favorire Parigi nei nuovi contratti. Terza, quella che esprimeva l'assassinato generale Janous, composta dalla "lobby" militare che ha abbandonato il rais. Quarta, all'italiana, quella dei "pontieri" non ostili a Gheddafi pronti a mediare.