Da qui i continui e contraddittori cambiamenti delle misure, in un via vai incredibile di proposte e controproposte in senso opposto da parte del governo e della sua maggioranza.
Una manovra infinita...
Il porcellum delle manovre
di Mario Deaglio - La Stampa - 30 Agosto 2011
Le notizie sul contenuto della manovra-bis sono state diffuse, per puro caso, quasi contemporaneamente al comunicato dell’Istat sulla fiducia dei consumatori, che si colloca a un livello bassissimo. Se si rifacesse l’indagine oggi, è facile immaginare che il livello sarebbe più basso ancora.
Nelle stesse ore, il Fondo monetario internazionale, senza conoscere il contenuto della manovrabis, aveva sostanzialmente dimezzato le già basse stime sulla crescita dell’Italia. Se dovesse rifare i calcoli oggi, ci collocherebbe ancora più in basso.
Negli anni d’oro della Prima Repubblica, c’erano almeno 50-70 parlamentari di tutti i partiti che sapevano «leggere» i conti pubblici.
Oggi, se va bene, i parlamentari non analfabeti in materia si contano sulle dita di una mano e i politici, per rimediare al proprio analfabetismo, si devono affidare a ministri che sono tecnici prima che politici.
Questa manovra-bis è il frutto della generale riduzione del livello di competenza e dell’aumento del livello di pressappochismo del mondo politico.
È uno sforzo da dilettanti, messo assieme in un paio di settimane, senza adeguati supporti tecnici, esclusivamente per rispondere a una pressante richiesta europea.
È una manovra messa a punto in riunioni private, il risultato di continui patteggiamenti senza riguardo per il quadro complessivo. È il «porcellum» delle manovre; così come la legge elettorale ha ingabbiato la vita politica italiana, i provvedimenti resi noti ieri sera rischiano di uccidere qualsiasi stimolo alla crescita.
Chi ha stilato il testo della manovra-bis non ha calcolato la dimensione giuridica: togliere dal calcolo delle pensioni gli anni di università riscattati significa appropriarsi di un versamento già effettuato dai lavoratori.
Proporre un percorso costituzionale per la riduzione del numero dei parlamentari e l’abolizione delle province (che, se va bene, richiederà un paio d’anni, ossia più della durata della legislatura) significa prendere in giro il cittadino, che, già al minimo della fiducia come consumatore lo è probabilmente anche come elettore.
La manovra-bis non sembra poggiare su alcuna previsione di crescita, su alcuna valutazione dei contraccolpi, in termini di riduzione della domanda, che le nuove misure certamente provocheranno.
Dall’esterno si ha la sensazione di assistere ad una sorta di «mercato delle vacche»: la Lega vuole a tutti i costi che non si tocchino le pensioni e in cambio di varie concessioni su altri punti. La politica più rozza prevale sull’economia. Gli italiani lavoratori, consumatori ed elettori - avevano la legittima aspettativa di meritarsi qualcosa di più.
Manovra, il terzo pasticcio
di Carlo Musilli - Altrenotizie - 29 Agosto 2011
Fin qui abbiamo scherzato. Dopo la manovra varata a luglio e il decretone di Ferragosto da 45,5 miliardi, ecco arrivare una bella pioggia di emendamenti. Al termine di un conclave durato più di sette ore, dal comignolo della reggia di Arcore è arrivata la fumata bianca.
Berlusconi e Bossi - ma soprattutto Tremonti - hanno raggiunto un accordo sulle modifiche da apportare alla manovra bis, quella che ci dovrebbe consentire di arrivare al pareggio di bilancio nel 2013, rispettando così gli ordini impartiti dalla Bce.
Tecnicamente, si tratta delle correzioni a un provvedimento a sua volta correttivo. Nei fatti, si tratta di una nuova proposta che non ha nulla a che fare né col testo di partenza, né con la babele di ipotesi alternative buttate lì a casaccio nelle ultime due settimane. Terza manovra, terzo pasticcio.
I punti più importanti hanno a che vedere con il contributo di solidarietà e con le pensioni. La supertassa scompare magicamente, portandosi dietro i 3,8 miliardi che avrebbe garantito alle casse dello Stato. Al suo posto è in arrivo una nuova stretta sull'evasione e un secco taglio alle agevolazioni per le cooperative. Basterà? Staremo a vedere.
Su questo fronte, in ogni caso, è il Cavaliere a cantare vittoria. L'addizionale Irpef era indubbiamente una misura iniqua (perché colpiva praticamente solo i lavoratori dipendenti), ma soprattutto infliggeva una ferita mortale all'immagine che Berlusconi ha voluto costruire di sé negli ultimi 17 anni. Il paladino del liberismo proprio non poteva permettersela.
Per togliere di mezzo questo abominio, negli ultimi giorni era stata gettata in campo una girandola di idee piuttosto fantasiose. Alla fine sembrava certo che la supertassa sarebbe stata sostituita dall'aggiunta di un punto sull'aliquota Iva più alta (20%). Ma così non è stato, per la gioia dei commercianti e dell'oceano di partite Iva italiche.
A spuntarla è stato Tremonti, che si è tenuto l'asso dell'Iva nella manica, pronto ad usarlo quando arriverà il momento della delega fiscale. Per questo bisogna far attenzione a parlare di una Via XX Settembre commissariata dal premier e dal senatùr. Il superministro opera nell'ombra, ma opera.
Quanto alle pensioni, la soluzione raggiunta è un capolavoro del compromesso. La Lega - granitica oppositrice di qualsiasi nuovo intervento in fatto di previdenza - ha salvato la faccia. Ma da chi non lavora più i quattrini arriveranno, e nemmeno pochi. Il trucco sta nell'aver colpito le pensioni di anzianità per via indiretta.
In sostanza, i requisiti necessari ad ottenere l'assegno saranno calcolati senza più tener conto degli anni spesi all'università o per il servizio militare. Anni che comunque torneranno buoni per stabilire l'ammontare della pensione.
Altro capitolo spinoso è quello degli Enti locali. Oggi i Comuni hanno dato vita a una manifestazione da Star Trek, riuscendo a portare in piazza sindaci di qualsiasi partito. Ma sono stati accontentati solo in parte.
Se infatti si salveranno i micro-municipi (era previsto l'accorpamento di quelli sotto i 3 mila abitanti), nel complesso i tagli agli Enti locali (9,5 miliardi in due anni) sono stati ridotti di soli due miliardi.
Una decisione che sa tanto di contentino e che probabilmente non eviterà alle amministrazioni territoriali l'incubo di non poter più garantire ai cittadini neanche i servizi minimi, dagli asili nido ai trasporti pubblici.
Una strada ancora più tortuosa è quella imboccata dalle Province, che saranno abolite tramite una legge costituzionale che conterrà anche il dimezzamento dei parlamentari. Ora, per varare una modifica alla Carta - a voler immaginare che si vada avanti a spada tratta - ci vogliono come minimo nove mesi.
In questo caso il Parlamento dovrebbe per giunta esprimersi con una maggioranza di due terzi a favore di una misura che ha già bocciato (non più di un mese fa) e di un'altra che rischia di bruciargli la poltrona sotto le natiche. Sembra fantascienza, ma al momento è forse più corretto definirla demagogia.
Da questo terzo pasticcio sorgono almeno due problemi macroscopici. Il primo ha prosaicamente a che fare con la moneta sonante. Com'è facile notare, gli emendamenti trattano per lo più di provvedimenti da cancellare. Come si può parlare allora di saldi invariati? Dove li troviamo 45,5 miliardi in due anni?
Dalla maggioranza garantiscono che i conti tornano, ma non essendoci delle stime certe sui gettiti che i singoli interventi produrranno, non possono esserne poi così sicuri. Il guaio è che probabilmente anche a Bruxelles verranno dubbi di questo tipo. E non è scontato che il placet dato alla manovra del 12 agosto sia esteso anche alla sua nuova versione stravolta.
Il secondo problema riguarda il futuro del nostro Paese. Ieri il Fondo monetario internazionale ha tagliato le previsioni di crescita per l'economia italiana su 2011 e 2012. E noi abbiamo sprecato la terza occasione in due mesi per varare una qualsiasi misura a favore dell'occupazione e dello sviluppo delle imprese.
Le liberalizzazioni, ad esempio, potevano essere approvate a costo zero. Bastava volerlo, invece niente. E, purtroppo per noi, l'occhio dei mercati riesce a vedere più lontano della politica.
La manovra cambia ma
di Matteo Bartocci - Il Manifesto - 30 Agosto 2011
Pdl e Lega annullano le spinte contrapposte e si affidano a Tremonti. Approvate più tasse per le coop. Fiducia inevitabile anche al senato.
Intesa nella maggioranza ma i conti non tornano. Niente super-tassa per i manager e i lavoratori privati. Il contributo di «solidarietà» resta su pensionati d'oro e dipendenti pubblici. In pensione più tardi chi studia o ha fatto il militare
Dopo sette ore di conclave a porte chiuse nella villa di Berlusconi ad Arcore, la maggioranza trova l'intesa sulle modifiche alla manovra. Un annuncio dato prudentemente in serata e a mercati chiusi.
Le spinte contrapposte di Pdl e Lega hanno di fatto annullato tutte le proposte di intervento più ambiziose circolate nei giorni scorsi.
L'aumento dell'Iva per ora non c'è. Si farà all'interno della delega fiscale (come voleva la Cisl). E sulle pensioni il governo cancella il riscatto di militare e laurea dal conteggio degli anni di lavoro necessari per l'uscita, resteranno utili solo ai fini dell'assegno. In sostanza, l'età effettiva della pensione per chi ha studiato o per gli attuali trentenni (ultimi a fare il servizio di leva) aumenterà da 1 a 5 anni.
Il lungo conclave tra Pdl, Lega e «responsabili» alla presenza di Berlusconi e Tremonti porta ad alcune modifiche importanti. Alcune rinviate alle calende greche e una di effetto immediato.
Sparisce definitivamente, infatti, il contributo di solidarietà sopra i 90mila euro per tutti i lavoratori privati (manager, calciatori, etc.). A questo punto, chissà perché, resta a carico solo dei parlamentari, dei pensionati d'oro e dei dipendenti pubblici (norme previste dalla manovra precedente). In sostanza, i redditi medio-alti pagano più tasse ma solo se lavorano per lo stato.
E' una cancellazione che placa la base sociale del centrodestra ma getta qualche ombra sui saldi della manovra. Il gettito atteso era di 3,8 miliardi nel triennio.
Una cifra che era già scritta sull'acqua perché calcolata sull'Irpef del 2008: ai tecnici del senato è bastato prendere le dichiarazioni del 2009 (primo anno della crisi) per ridurre gli introiti a 2,2 miliardi.
Il governo assicura che i soldi mancanti li prenderà da una maggiore tassazione delle coop e da una farraginosa e ancora sconosciuta proposta della Lega che tassa le società di comodo e l'elusione societaria.
La guerra tra Tremonti e le coop dura ormai da dieci anni. Se dovesse passare anche quest'ultima norma, di fatto le cooperative non avranno più nessuno sgravio fiscale. Le stime ufficiose parlano di 300 milioni di tasse in più, tante per questo tipo di società, poca cosa per lo stato.
Non va dimenticato, infatti, che le coop producono l'8% del Pil italiano e sono le uniche aziende ad aver aumentato l'occupazione in tempi di crisi (+5%).
Gli incentivi erano giustificati dalla loro struttura anomala (riconosciuta anche in Costituzione) che privilegia il finanziamento dei soci a quello del mercato e obbliga a reinvestire gli utili.
La maggior parte delle modifiche annunciate dal governo, invece, si vedrà alle calende greche. La prima e più importante: salta ancora una volta il taglio delle province. Si farà insieme al dimezzamento dei parlamentari con una legge costituzionale dall'iter lunghissimo e dall'esito parlamentare ancora più incerto.
Anche i piccoli comuni resteranno. Ma gratis, senza indennità né gettoni per assessori e consiglieri. Le loro «funzioni fondamentali» dovranno essere svolte in forma di unione a partire dal 2013, cioè da dopo le prossime elezioni.
Ancora misterioso, infine il presunto dimezzamento dei tagli agli enti locali. Calderoli annuncia minori tagli per 2 miliardi ma i conti non tornano. Nel decreto di agosto regioni, province e comuni contribuivano con 12,4 miliardi in meno in due anni (2012-2013) contro i 9,6 imposti a luglio.
I tagli dunque sembrano mitigati di poco e soprattutto restano immediati e prolungati su tre anni, fino al 2014. Dopo la bastonata, la maggioranza trova una «carotina»: il conferimento del 100% a comuni e regioni dell'evasione fiscale individuata (attualmente la compartecipazione era al 50%). Non è detto che basti e in ogni caso porta a meno gettito nelle casse dello stato.
Dal punto di vista politico, la manovra attenua gli scossoni di frondisti e malpancisti vari del Pdl senza scontentare la Lega. Una ricucitura politica che non prende in considerazione le proposte avanzate da Pd e «terzo polo» ed esclude allargamenti all'Udc. Il dialogo «bipartisan» sarà limitato alle riforme costituzionali.
Soprattutto, essendo scaduto il termine degli emendamenti, è chiaro che le modifiche saranno tutte presentate dal governo, che sicuramente chiederà la fiducia in entrambe le camere.
L'aleatorietà dell'intesa, infine, rende impossibile sapere se i saldi della manovra chiesti dall'Europa siano stati davvero rispettati. Le reazioni internazionali delle prossime ore saranno illuminanti.
Ma è solo un provvisorio compromesso
di Marcello Sorgi - La Stampa - 30 Agosto 2011
Sarà bene non lasciarsi impressionare dalla seconda riscrittura della manovra uscita ieri dal lungo vertice di Arcore tra Pdl e Lega: si tratta di un ennesimo provvisorio compromesso tra i due maggiori alleati di governo (e prima di tutto tra Berlusconi e Tremonti), destinato quasi certamente ad essere rimesso in discussione nel corso nell’iter parlamentare del decreto di Ferragosto.
Di qui al 13 ottobre, termine per la definitiva conversione in legge del testo, chissà quanti altri colpi di scena si preparano, mentre il centrodestra archivia lo scatto di reni decisionista di metà estate e torna all’eterno metodo italiano della trattativa infinita.
Nel merito, l’accordo sembra costruito per dare un contentino a tutti: esce l’odiato (da Berlusconi) contributo di solidarietà sui redditi oltre novantamila euro, si riducono, ma solo parzialmente, i discussi (da Lega e dissidenti Pdl) tagli agli enti locali, si rinviano, con la scusa di renderle più stringenti, le criticate (da tutti tranne Di Pietro) abolizioni delle Province, affidate a una norma costituzionale che non è detto vedrà la luce in questa legislatura.
Entrano un ritocco delle pensioni, che bisognerà vedere come Bossi riuscirà a digerire, dopo aver passato l’estate a spiegare ai suoi militanti che grazie a lui le pensioni erano salve, riduzioni di detrazioni fiscali miste a più stringenti controlli antielusione, che serviranno a far dire a Calderoli (anche se non è vero) che è passata la sua proposta di tassa antievasione.
Ma al di là dell’effetto annuncio, quando le nuove misure saranno dettagliate, di fronte a ulteriori reazioni di contribuenti che già pagano e verrebbero ulteriormente colpiti, da sommare alla protesta nazionale dei sindaci costretti dai tagli ad aumentare le tasse locali, non è affatto da escludere un’altra marcia indietro del governo.
O peggio, una volta creato allarme tra le più note categorie di evasori - sempre gli stessi, sempre perfettamente individuabili - dal miraggio della tassa antievasione potrebbe sortire, miracolosamente, nientemeno che un nuovo condono.
Infine, come voleva Tremonti, e al contrario di quel che chiedeva Berlusconi, che su questo punto non è stato accontentato, non si interviene sull’Iva. Non ci vorrà molto a capire - basterà qualche nuova sventola dei mercati - che anche questa nuova versione della manovra non basta. S’è fatto troppo poco e troppo tardi.
Politicamente, al di là delle solite uscite di propaganda per cui tutti si dichiarano contenti, è abbastanza chiaro che la Lega ha avuto sugli enti locali meno di quanto ha dovuto cedere sulle pensioni.
E che la lunga mediazione della scorsa settimana, ad opera del segretario Pdl Alfano, se è servita a qualcosa, ha portato a un risultato diverso da quello, abbastanza modesto, con cui si era conclusa.
Quanto a Berlusconi e Tremonti, dopo giorni in cui lo stato dei rapporti tra i due era tale che neppure si parlavano al telefono, in conclusione hanno dovuto abbozzare. E rendersi conto che in questa situazione, e con l’autunno che si prepara, come dicevano gli antichi, «simul stabunt, simul cadent».
Non rimane loro che puntellarsi a vicenda, per affrontare come possono i rovesci della crisi e le insidie di un comune declino. Non è detto che serva, ma non hanno alternative.
di Massimo Giannini - La Repubblica - 30 Agosto 2011
Una volta tanto il presidente del Consiglio è stato di parola. "Ho messo da parte le bottiglie per brindare all'accordo", ha detto durante il vertice di maggioranza ad Arcore. Dopo oltre sette ore l'intesa è arrivata.
Ma dall'estenuante braccio di ferro di Villa San Martino è uscito esattamente quello che Berlusconi auspicava: una "manovra-champagne". All'apparenza, spumeggiante e piena di bollicine. Nella sostanza, sempre più inconsistente e piena di buchi.
La partita politica dentro il centrodestra si chiude con un esito chiarissimo. Ora tutti alzano i calici, fingendo di aver portato a casa il risultato.
La verità è ben diversa. L'unico vincitore è il Cavaliere, che ha messo in riga Tremonti e Bossi. "Non metto le mani nelle tasche degli italiani", aveva tuonato il premier. In nome di questo slogan da propaganda permanente, ha preteso e ottenuto la cancellazione del contributo di solidarietà sui redditi superiori ai 90 mila euro.
Così, almeno in parte, ha evitato quel bagno di sangue perpetrato soprattutto ai danni del ceto medio, che avrebbe avuto un costo elettorale per lui insopportabile.
Era l'unico obiettivo che gli stava a cuore. L'unico vessillo, psicologico e quasi ideologico, che voleva issare di fronte ai cittadini-elettori.
C'è riuscito. Ma ai danni dei suoi alleati. E anche ai danni del Paese. La "manovra-champagne" è solo un'altra, clamorosa occasione mancata. È confusa né più né meno di quelle che l'hanno preceduta. È altrettanto povera di senso e di struttura.
Soprattutto, è altrettanto ininfluente sul piano del sostegno alla crescita, per la quale non c'è una sola misura di stimolo. E dunque è altrettanto depressiva sul piano dei redditi, dei consumi, degli investimenti, dell'occupazione.
D'altra parte, non poteva non essere così. Tre manovre radicalmente diverse, affastellate in un mese e mezzo, sono il segno inequivocabile del caos totale che regna dentro una maggioranza pronta a tutto, pur di galleggiare e di sopravvivere a se stessa.
Berlusconi ha ridicolizzato Tremonti. Il ministro dell'Economia aveva annunciato una prima manovrina all'acqua di rose a giugno, spiegando che l'Italia era a posto sul debito e sul deficit.
Travolto dalla crisi europea e dall'ondata speculativa dei mercati, ha presentato una manovra-monstre da 45 miliardi a luglio, spiegando che "in cinque giorni tutto è cambiato". Si è presentato ad Arcore chiedendo che quel pacchetto d'emergenza non fosse toccato, per evitare guai con la Ue e traumi sugli spread.
Ebbene, quel pacchetto, al vertice di Arcore, non è stato "toccato": è stato totalmente distrutto. Della manovra tremontiana di luglio non resta quasi più nulla. Salta il contributo di solidarietà, saltano i pur risibili tagli ai costi della politica, salta la cancellazione dei piccoli comuni.
Berlusconi ha umiliato Bossi. La Lega pretendeva la supertassa sugli evasori fiscali e la salvaguardia delle pensioni "padane". Non ha spuntato niente. La maxi-patrimoniale si è annacquata in un più tollerante giro di vite sulle società di comodo alle quali i lavoratori autonomi intestano spesso appartamenti, auto di lusso e barche.
Quanto alla previdenza, il Senatur non solo non salva le camice verdi, ma deve incassare un intervento a sorpresa sulle pensioni di anzianità dalle quali, ai fini del calcolo, verranno scomputati gli anni riscattati per la laurea e il servizio militare.
Peggio di così, per il Carroccio, non poteva andare. A dispetto dei trionfalismi di Calderoli, ormai ridotto a un Forlani qualsiasi.
La partita economica sul risanamento, viceversa, si chiude con un esito assai meno chiaro. La rinuncia al contributo di solidarietà (congegnato in modo iniquo perché non teneva in alcun conto i carichi familiari e il cumulo dei redditi) attenua solo in parte il grave squilibrio della manovra, che resta comunque fortemente sbilanciata sul fronte delle tasse.
L'aumento delle aliquote Iva è solo rinviato alla delega fiscale e assistenziale. La riduzione di 2 miliardi dei tagli a comuni e regioni non impedirà l'aumento delle addizionali Irpef e l'abbattimento dei servizi sul territorio e del Welfare locale.
L'intervento sulla previdenza è solo un'altra "tassa sul pensionato", ed è lontano anni-luce dalla riforma che servirebbe al Paese per stabilizzare definitivamente la spesa, cioè il passaggio al sistema contributivo pro-rata per tutti.
Così riformulata, questa terza manovra berlusconiana è piena di buchi. Come si arrivi ai 45 miliardi promessi resta un mistero, ancora più insondabile di quanto non lo fosse già la seconda manovra tremontiana.
Quanto valgono le misure anti-elusione contro le società di comodo? Quanto frutteranno i maggiori poteri attributi ai comuni nella lotta all'evasione? Nessuno lo sa.
Le uniche certezze riguardano quelli che sicuramente pagheranno fino all'ultimo euro il costo di questo ennesimo compromesso al ribasso firmato dalla coalizione forzaleghista. Gli enti locali, per i quali restano tagli nell'ordine dei 7 miliardi.
I dipendenti pubblici, per i quali restano lo stop degli straordinari, il differimento del Tfr e il contributo di solidarietà, oltre tutto non più deducibile. E adesso anche le cooperative, per le quali si profila una drastica riduzione della fiscalità di vantaggio.
Un blocco sociale ed economico vasto, ma con un denominatore comune: non appartiene alla constituency elettorale del centrodestra. È stato "selezionato" per questo. E per questo merita lacrime e sangue.
Certo, da consumato spacciatore di merchandising politico, nella "sua" manovra Berlusconi ha voluto anche le bollicine. Il contributo di solidarietà solo per i parlamentari. La soppressione di tutte le province e il dimezzamento del numero dei parlamentari.
Misure che fanno un certo effetto mediatico e simbolico. Sono rigorosamente affidate a disegno di legge costituzionali (dunque non si faranno in questa legislatura, e quindi probabilmente non si faranno mai). Ma a sentirle annunciare, sembrano colpire al cuore la "casta" che il Cavaliere (pur facendone parte) finge di disprezzare.
Resta un problema, drammatico per il Paese, che misureremo nelle prossime ore e nei prossimi giorni. La "manovra-champagne" la puoi far ingoiare a un po' di pubblico domestico, meno informato o male informato dai bollettini di Palazzo Grazioli.
Ma fuori dai confini della piccola Italia, purtroppo, è tutta un'altra storia. I finanzieri della business community, i tecnocrati della Bce e i partner dell'Unione Europea, sono la moderna "società degli apoti" di Prezzolini: loro non la bevono.
Montezemolo sull’asse Bologna-Cortina. La mappa dei poteri forti che lo appoggiano
di Emiliano Liuzzi - Il Fatto Quotidiano - 29 Agosto 2011
Dai parlamentari del Pdl in cerca di ricollocamento Mazzuca e Berselli, al re della sanità privata Sansavini e l'editore Andrea Riffeser: all'hotel Cristallo, nella capitale del Cadore, il presidente della Ferrari ha ricevuto la benedizione dei poteri forti. Purché resti a distanza dal Pd
Per un Montezemolo che ancora non ha deciso da che parte stare, c’è già chi ha deciso di stare dalla sua parte, soprattutto in quel grande ufficio di collocamento post-Berlusconi che è diventato il Pdl. Per le assunzioni prendere l’A27, uscire dopo Longarone e arrivare a Cortina d’Ampezzo.
È qui che ha trascorso le vacanze il fu cocco di Gianni Agnelli, tra passeggiate in bicicletta, feste private nelle ville di Rio Gere, e soprattutto sul palco di Cortina Incontra, sorta di Porta a Porta all’aperto, grande intuizione di Enrico Cisnetto, giornalista economico, già vicedirettore dell’Informazione e di Panorama, oggi editorialista, tra gli altri, di Messaggero, Foglio e del Gazzettino di Venezia.
Incontrare Montezemolo a Cortina non è stato difficile: se non Cisnetto o la passeggiata sul viale, è stata la festa l’altra sera dell’hotel Cristallo, 110 anni di attività interrotta da un lussuoso restyling. Qui c’erano tutti. Da Bologna, che sta a Cortina come Roma sta a Sabaudia, sono arrivati una lunga serie di aspiranti montezemoliani.
A guidare la lista un signore che fu nelle grazie di re Silvio, anche e soprattutto grazie all’amicizia comune con Bruno Vespa: si chiama Giancarlo Mazzuca, è giornalista, scrive sui giornali del gruppo Riffeser, è stato direttore del Resto del Carlino prima di diventare parlamentare del Pdl. Credenziali che non gli sono valse la candidatura a sindaco di Bologna.
Lo stesso Mazzuca non nasconde ancora oggi l’amarezza per la solenne bastonatura: sembrava il candidato ideale, si è visto sorpassare senza neanche accorgersene dal leghista Manes Bernardini. Oggi che il Pdl gli va stretto, Mazzuca si è buttato tra le braccia di Montezemolo.
E ha trascinato all’hotel Cristallo anche lo stato maggiore del gruppo di proprietà di Andrea Riffeser, un altro che in Emilia Romagna e in Toscana ha una grande fetta di potere e non è mai stato ostile nei confronti di Montezemolo.
Mazzuca non era il solo nella valle ampezzana. Con la sua Topolino nera, è arrivato da Bologna anche il coordinatore regionale Filippo Berselli. Senatore, già berlusconiano, anche lui in cerca di nuove esperienze di lavoro, Berselli non se la passa troppo bene dentro al Pdl. Avere un candidato della Lega nella sua Bologna imposto da Roma non gli è andato giù. Una candidato che poi ha riversato il peso della sconfitta su Berselli stesso.
A poco è servito bussare alla porta di Berlusconi: “Devo accontentare l’Umberto”, si è sentito rispondere Berselli. Che così si è goduto la sconfitta e oggi pensa all’ennesimo sbarco altrove (Berselli viene dal Movimento Sociale prima e da Alleanza Nazionale dopo) per tornare a riprendersi quel potere che con il tempo ha smarrito.
Grandi abbracci, sorrisi e sussurri. Così è scivolata via la serata. Alla quale ha fatto capolino Ettore Sansavini, un nome che in pochi conoscono, ma che è a capo del più grande gruppo sanitario privato, sede centrale a Cotignola, Ravenna, affari che spaziano in tutta Europa e nei Paesi emergenti. Una potenza economica e di potere, quella che ha costruito Sansavini, ragioniere nato a Lugo e capace di dialogare con tutti, dai comunisti ai ciellini.
La lista del potere si è chiusa con Diego Gianaroli membro del Cda della Sismer, società bolognese specializzata negli studi medici sulla riproduzione, Paolo Borgomanero,manager che si divide tra la casa di Bologna e quella di Miami, da sempre vicino a Montezemolo,
Giancarlo De Martis, ex presidente di Nomisma, Silvia Evangelisti, direttore di Arte Fiera, e infine l’ingegner Claudio Comani, ex membro del Cda di Atc e oggi indagato per corruzione nell’affare Civis (secondo l’accusa, avrebbe ricevuto 315mila euro da Piero Collina, presidente del Consorzio Cooperative Costruzioni).
Non dovessero bastare c’è il pianeta Fiat che, attraverso le parole scandite dall’amministratore delegato Sergio Marchionne, si è già espresso: lo appoggeremo senza se e senza ma.
Il dilemma di tutti non è se stare con Montezemolo, ma capire da che parte Montezemolo vorrà stare. Negli ultimi giorni il presidente della Ferrari continua a lanciarsi sfide con Pier Luigi Bersani, e questo a quelli che cercano un ricollocamento al centro e a destra, non può che far piacere.
Il segretario del Pd accusa Montezemolo di “farsi largo bombardando a destra e a sinistra” e dunque di non essere “utile al Paese”, tuonando contro il “terzismo” senza “spiegare da che parte sta”. E il presidente Ferrari che replica, piccato: “Tanti cittadini aspettano di sapere dove sta il Pd”.
Del resto, rincara Montezemolo, “molte voci si sono levate per migliorare in senso liberale la manovra, nel Pd tutto tace”. Parole mal accolte nel partito. Tanto che Dario Franceschini ha fatto ricorso a una sprezzante ironia: “Forse Montezemolo era distratto su qualche yacht”. E Bersani: “Sono i partiti con un padrone ad andare nel caos”.
Anche Piero Fassino, torinese e sindaco di Torino, che Montezemolo lo conosce da vicino almeno da trent’anni, la scorsa settimana al Meeting, quando un cronista gli ha chiesto cosa ne pensasse dell’ex presidente della Fiat in politica si è limitato a fare le spallucce.