Ma Gheddafi, attraverso il suo portavoce Ibrahim Moussa, ha già risposto picche sostenendo che un governo legittimo non può e non deve mai arrendersi a una banda di criminali.
Sette punti sulla guerra contro la Libia
di Domenico Losurdo - http://domenicolosurdo.blogspot.com - 27 Agosto 2011
Ormai persino i ciechi possono essere in grado di vedere e di capire quello che sta avvenendo in Libia:
1. E’ in atto una guerra promossa e scatenata dalla Nato. Tale verità finisce col filtrare sugli stessi organi di «informazione» borghesi. Su «La Stampa» del 25 agosto Lucia Annunziata scrive: è una guerra «tutta “esterna”, cioè fatta dalle forze Nato»; è il «sistema occidentale, che ha promosso la guerra contro Gheddafi».
Una vignetta dell’«International Herald Tribune» del 24 agosto ci fa vedere «ribelli» che esultano, ma stando comodamente a cavallo di un aereo che porta impresso lo stemma della Nato.
2. Si tratta di una guerra preparata da lungo tempo. Il «Sunday Mirror» del 20 marzo ha rivelato che già «tre settimane» prima della risoluzione dell’Onu erano all’opera in Libia «centinaia» di soldati britannici, inquadrati in uno dei corpi militari più sofisticati e più temuti del mondo (SAS).
Rivelazioni o ammissioni analoghe si possono leggere sull’«International Herald Tribune» del 31 marzo, a proposito della presenza di «piccoli gruppi della Cia» e di «un’ampia forza occidentale in azione nell’ombra», sempre «prima dello scoppio delle ostilità il 19 marzo».
3. Questa guerra non ha nulla a che fare con la protezione dei diritti umani. Nell’articolo già citato, Lucia Annunziata osserva angosciata: «La Nato che ha raggiunto la vittoria non è la stessa entità che ha avviato la guerra». Nel frattempo, l’Occidente è gravemente indebolito dalla crisi economica; riuscirà a mantenere il controllo su un continente che sempre più avverte il richiamo delle «nazioni non occidentali» e in particolare della Cina?
D’altro canto, lo stesso quotidiano che ospita l’articolo di Annunziata, «La Stampa», si apre il 26 agosto con un titolo a tutta pagina: «Nuova Libia, sfida Italia-Francia». Per chi ancora non avesse compreso di che tipo di sfida si tratta, l’editoriale di Paolo Baroni (Duello all’ultimo affare) chiarisce: dall’inizio delle operazioni belliche, caratterizzate dal frenetico attivismo di Sarkozy, «si è subito capito che la guerra contro il Colonnello si sarebbe trasformata in un conflitto di tutt’altro tipo: Guerra economica, con un nuovo avversario, l’Italia ovviamente».
4. Promossa per motivi abietti, la guerra viene condotta in modo criminale. Mi limito solo ad alcuni dettagli ripresi da un quotidiano insospettabile. L’«International Herald Tribune» del 26 agosto, con un articolo di K. Fahim e R. Gladstone riporta: «In un accampamento al centro di Tripoli sono stati ritrovati i corpi crivellati di proiettili di più 30 combattenti pro-Gheddafi.
Almeno due erano legati con manette di plastica, e ciò lascia pensare che abbiano subito un’esecuzione. Di questi morti cinque sono stati trovati in un ospedale da campo; uno era su un’ambulanza, steso su una barella e allacciato con una cinghia e con una flebo intravenosa ancora al suo braccio».
5. Barbara come tutte le guerre coloniali, l’attuale guerra contro la Libia dimostra l’ulteriore imbarbarimento dell’imperialismo. In passato innumerevoli sono stati i tentativi della Cia di assassinare Fidel Castro, ma questi tentativi erano condotti in segreto, con un senso se non di vergogna, comunque di timore per le possibili reazioni dell’opinione pubblica internazionale.
Oggi, invece, assassinare Gheddafi o altri capi di Stato sgraditi all’Occidente è un diritto proclamato apertamente. Il «Corriere della Sera» del 26 agosto 2011 titola trionfalmente: «Caccia a Gheddafi e ai figli casa per casa». Mentre scrivo, i Tornados britannici, avvalendosi anche della collaborazione e delle informazioni fornite dalla Francia, sono impegnati a bombardare Sirte e a sterminare un’intera famiglia.
6. Non meno barbara della guerra, è stata ed è la campagna di disinformazione. Senza alcun senso del pudore, la Nato ha martellato sistematicamente la menzogna secondo cui le sue operazioni belliche miravano solo alla protezione dei civili! E la stampa, la «libera» stampa occidentale?
A suo tempo essa ha pubblicato con evidenza la «notizia», secondo cui Gheddafi riempiva i suoi soldati di viagra in modo che più agevolmente potessero commettere stupri di massa. Questa «notizia» cadeva rapidamente nel ridicolo, ed ecco allora un’altra «notizia», secondo cui i soldati libici sparano sui bambini.
Non viene addotta alcuna prova, non c’è alcun riferimento a tempi e a luoghi determinati, alcun rinvio a questa o a quella fonte: l’importante è criminalizzare il nemico da annientare.
7. A suo tempo Mussolini presentò l’aggressione fascista contro l’Etiopia come una campagna per liberare quel paese dalla piaga della schiavitù; oggi la Nato presenta la sua aggressione contro la Libia come una campagna per la diffusione della democrazia.
A suo tempo Mussolini non si stancava di tuonare contro l’imperatore etiopico Hailè Selassié quale «Negus dei negrieri»; oggi la Nato esprime il suo disprezzo per Gheddafi «il dittatore». Come non cambia la natura guerrafondaia dell’imperialismo, così le sue tecniche di manipolazione rivelano significativi elementi di continuità.
Al fine di chiarire chi oggi realmente esercita la dittatura a livello planetario, piuttosto che Marx o Lenin, voglio citare Immanuel Kant. Nello scritto del 1798 (Il conflitto delle facoltà), egli scrive: «Cos'è un monarca assoluto? E' colui che quando comanda: “la guerra deve essere”, la guerra in effetti segue».
Argomentando in tal modo, Kant prendeva di mira in particolare l’Inghilterra del suo tempo, senza lasciarsi ingannare dalle forme «liberali» di quel paese. E’ una lezione di cui far tesoro: i «monarchi assoluti» del nostro tempo, i tiranni e dittatori planetari del nostro tempo siedono a Washington, a Bruxelles e nelle più importanti capitali occidentali.
Voglio trasmettere attraverso di voi un messaggio alle madri e alle mogli dei piloti francesi che ci bombardano. I vostri mariti non operano per proteggere i civili: uccidono il mio popolo e i nostri bambini, per soddisfare Sarko che crede che più uccide libici più guadagna voti alle elezioni (Aisha Gheddafi, giugno 2011 su France 24)Qualcuno lancia salsa di pomodoro al criminale Rasmussen Segretario Generale della NATO:
Nell’imposizione di una no fly zone con la balla mondiale che Gheddafi avrebbe bombardato la propria gente, è la NATO che si sta macchiando di enormi crimini contro l’umanità. In questa intervista ad ABC News, all’inizio dei bombardamenti NATO, il secondogenito dichiara che la NATO sostiene le milizie armate e i terroristi.
Pappagalla: Obama ha dato un ultimatum molto chiaro a Gheddafi di effettuare un cessate il fuoco ma gli attacchi continuano e gli USA non possono avere un atteggiamento attendista mentre un leader dice che non avrà nessuna pietà.Queste milizie armate e terroristi di cui parla Saif, sono proprio quelle che la stampa mainstream o imbarcata chiama ‘ribelli’, e che aiutano la NATO - le forze speciali francesi e britanniche - a occupare il paese, mettendolo a sangue e a fuoco, sterminando la popolazione civile, bombardando le infrastrutture civili mentre dietro alle quinte i globalisti preparano la spartizione del bottino: privatizzazione della banca centrale libica dopo il bombardamento della Zecca, e revisione dei contratti di produzione con le multinazionali, in chiave post-Mattei.
Saif Al Gheddafi: Il nostro popolo è accorso a Bengasi per liberarlo dalle milizie armate e dai gangster. Se gli USA vogliono liberare il popolo che vadano a Benghasi per liberare il popolo dalle milizie e dai terroristi.
Pappagalla: Adesso ci sono attacchi contro la Libia dal cielo, Gheddafi si metterà in disparte?
Saif: In disparte dove? C’è un enorme equivoco, tutto il paese è riunito contro i terroristi e le milizie armate, Voi con l’attacco sostenete i terroristi e le milizie armate.
Pappagalla: Avete l’intenzione di attaccare voli commerciali intorno al Mediterraneo o altri bersagli?
Saif: No, non sono i nostri bersagli, l’unico nostro bersaglio è quello di aiutare il nostro popolo in Libia, a Bengasi che stanno vivendo un incubo, senza alcuna libertà, non hanno niente sotto il giogo delle milizie armate. Se gli USA vogliono aiutarci non hanno che andare lì a combatterli, oppure lasciare che il popolo libico vada a combatterli.
Non è la NATO che aiuterebbe i cosiddetti 'ribelli, sono i ribelli/terroristi che fanno il lavoro sporco sul terreno, mentre la NATO bombarda dal cielo per spianare la strada alla comparsa dei ribelli. Prendendo di mira i civili.
Thierry Meyssan del Reseau Voltaire nella sua intervista telefonica del 21 agosto scorso dall'hotel Rixos ci ha descritto il metodo, prima che i ribelli procedessero all'epurazione sul terreno di tutto un quartiere:
"Ogni volta sono le forze della NATO che arrivano con gli elicotteri Apaches e mitragliano tutti. Nessuno può resistere al suolo di fronte a degli elicotteri Apaches che bombardano; è impossibile. Quindi non sono i ribelli che fanno il lavoro militare, è una stronzata questa! E' la NATO che fa tutto. Dopo si ritirano, poi arrivano i 'ribelli' per fare delle comparse. Ed è quello che le radiotv diffondono a ripetizione".Ma le comparse si sono trasformate in stermini di civili non appena i ribelli si sono sentiti abbastanza protetti dai numeri per potere procedere imperterriti. Secondo l'inviato francese Matthieu Mabin, in un attacco di verità alla televisione France 24 il 26 agosto scorso, spiega come i ribelli hanno proceduto a degli stermini di massa di intere famiglie di piccoli funzionari del regime nel quartiere di Abou Slim:
« Non si tratta tanto di combattimenti quanto di un vero e proprio braccaggio degli ultimi fedeli del colonnello Gheddafi, o piuttosto degli artigiani del sistema Gheddafi, piccoli funzionari che servivano direttamento lo Stato, raggruppati in questo quartiere di Abou Slim, negli edifici e che non hanno avuto la risorsa per poter scappare, per scampare alla punizione dei ribelli. (...) I nostri colleghi giunti ora dall'ospedale principale di Tripoli, hanno visto tutta la notte e stamane arrivare numerosissimi feriti da armi di fuoco e tra di loro persone anziane, donne e persino bambini. Il CNT è rimasto del tutto muto su questi avvenimenti, non vi è stata alcuna richiesta di arrendersi."
Da varie fonti autorevoli, è stato appurato che molti di questi ribelli provengono da Derna, centro mondiale libico di addestramento di alqaedisti, rifocillati e addestrati dalla CIA - è oramai un segreto di Pulcinella che al qaeda significa in arabo 'banca dati' e che probabilmente è stata un'invenzione della CIA.
Pepe Escobar rivela il 27 agosto scorso a RT, televisione russa, parlando dal Brasile che il comandante militare in capo di Tripoli appena nominato è Abdul Hakim Ballaji, un elemento proveniente da Al Qaeda, che ha organizzato l'offensiva dei berberi di sabato scorso a Tripoli, lavorando in connessione con le persone di Misurata, la NATO, le forze speciali del Qatar, britanniche e francesi.
Nel 1999 lo troviamo addestrato in Afghanistan come parte di Al Qaeda, parte del gruppo dei salafiti jihadisti libici, amico di Zarkawi, arrestato in Malesia, torturato a Bangkok in una prigione speciale, inviato in Libia, liberato nel 2010 dopo avere firmato un impegno di abbandono delle armi.
E mentre le tv di mezzo mondo parlano di rischio di disastro umanitario a Tripoli per mancanza di acqua e di altri servizi di base, Pepe Escobar conferma che la la distruzione delle infrastrutture civili è opera della NATO, fatto logico visto che la NATO è al soldo di quelle multinazionali/banche che poi le ricostruiranno, come già messo in risalto in altro articolo in riferimento a notizie di Pravda.net (cfr. http://mercatoliberotestimonianze.blogspot.com/2011/08/la-nato-ha-colpito-lacquedotto-libico.html ).
Persino i media ufficiali come Il Sole 24 ore ne hanno parlato pubblicando un articolo a marzo su tali voci persistenti (cfr. http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2011-03-21/reportage-ribelli-islamici-tolleranti-231527_PRN.shtml) e descrivendo Abdul Hakim al Hasadi, capo della 'rivolta' proveniente da Derna, come ex prigioniero di Guantanamo secondo il regime di Gheddafi ma secondo le sue stesse dichiarazioni:
«Non sono mai stato a Guantanamo. Sono stato catturato nel 2002 a Peshawar in Pakistan, mentre tornavo dall'Afghanistan dove combattevo contro l'invasione straniera. Sono stato consegnato agli americani, detenuto qualche mese a Islamabad, consegnato in Libia, e scarcerato nel 2008».Anche il London Daily Telegraph, ha confermato quanto detto dai 'complottisti', il 25 marzo 2011:
Il Sole continua: Il più celebre detenuto libico di Guantanamo (a cui alludeva il regime ma che non sembra avere legami con Hasadi) è Sufiyan al-Koumi, accusato di essere stato l'autista di Bin Laden, e liberato nel settembre del 2010 grazie all'iniziativa "reform and repent" dal figlio di Gheddafi, Saif al-Islam. Allora centinaia di combattenti del Libyan Islamic Fighting Group (LIFG) furono liberati dopo aver rinunciato alla lotta armata contro il regime (nel 2000 si erano già rifiutati di unirsi alla jihad globale di al-Qaeda). Derna è sempre stata una città ribelle, una spina del fianco per il Rais, che ha cercato , invano, di sottometterla. Tra il 1995 e il 1996 inviò le sue forze speciali nella città. Nei combattimenti contro l'LIFG morirono quasi 100 persone.
“Il comandante in capo dei ribelli ammette che i suoi soldati hanno dei nessi con al-Qaeda: Abdel-Hakim al-Hasidi, il leader libico ribelle, ha dichiarato che i jihadisti che hanno combattuto contro le truppe alleate in Iraq adesso sono sul fronte in prima linea nella battaglia contro il regime di Muammar Gheddafi”.(cfr. http://www.telegraph.co.uk/news/worldnews/africaandindianocean/libya/8407047/Libyan-rebel-commander-admits-his-fighters-have-al-Qaeda-links.html ). Oppure il Wall Street Journal, che titolava il 3 aprile scorso, “Ex-Mujahedeen aiutano i ribelli libici” http://online.wsj.com/article/SB10001424052748703712504576237042432212406.html In un articolo di Tarpley intitolato Uomini di Al Qaeda pedine dell'insurrezione CIA dalla Libia allo Yemen (cfr. http://tarpley.net/2011/04/03/al-qaeda-pawns-of-cia-insurrection-from-libya-to-yemen/) si descrivono i 4 componenti di detta 'insurrezione':
1. le tribu monarchiste e razziste Harabi e Obeidat del corridoio Benghazi-Derna-Tobruk dalla cultura dell'oscurantista ordine Senussi, messi in auge dai britannici in chiave anti italiana: sotto quella monarchia fantoccio la Libia era diventata uno dei paesi più poveri al mondo. Simili al KKC, tali tribù odiano la tribù pro gheddafi Fezzan del sudovest della Libia, dalla pelle scura e hanno già effettuato massacri di neri.
2. CIA, Alqaeda "fondata come la Legione araba della CIA contro l'URSS dal vide direttore CIA dell'epoca Robert Gates, l'attuale Ministro della Difesa in Afghanistan nel 1981-1982."
3. CIA: "il Fronte di salvezza nazionale libico, basato prima in Sudan e poi nella Virginia del Nord, che invia l'uomo Khalifa Hifter per condurre la rivolta militare, e per coprire la presenza dei tipi di Alqaeda"
4. Il quarto componente è fornito dai francesi che "hanno organizzato la defezione del socio di Gheddafi, Nouri Mesmari, a primavera, come riportato da Maghreb Confidential. Una cricca di generali attorno a Mesmari aiutò a fomentare gli ammutinamenti militari contro Gheddafi nel nordest della Libia."
Lo scopo quindi sarà quello di creare una sorta di emirato con un Re fantoccio il quale già sta salivando all'idea di riprendere il potere (cfr. http://libya360.wordpress.com/2011/08/27/exiled-libyan-monarchy-shamelessly-admit-their-role-in-fomenting-war-in-libya/):
La monarchia libica di Idris, con sede a Bengasi, fu messa al trono dagli USA e dai britannici negli anni '50 per controllare gli interessi economici e militari in Nord Africa. Nel 1952 la Libia sotto la guida di Re Idris registrava tra le condizioni di vita più misere del piante.
La monarchia Idris è stata rovesciata in una rivoluzione senza spargimento di sangue guidata da Gheddafi nel 1969, che portò allo smantellmento della basa aerea americana Wheelus, la massima base militare degli USA fuori dal paese in quell'epoca, e all'evacuazione delle forze armate britanniche di stanza in Libia. Le società petrolifere occidentali furono all'epoca nazionalizzate.
La rivolta libica, che è stata descritta da molti come un movimento occidentale per la democrazia, è stata simboleggiata da una bandiera tricolore che è in realtà la bandiera della monarchia Idris, repressiva e dittatoriale. All'inizio del conflitto elementi ribelli in Bengasi brandivano immagini del Re Idris.
Se da una parte non è vero che tutti i ribelli sono monarchici, è ciononostante importante evidenziare la storia della monarchia libica rovesciata, l'influenza di Bengasi e i rapporti con l'occidente. Non è soprendente che la monarchia in esilio Idris abbia svolto e svolga un ruolo dietro al conflitto.
In stretta collaborazione con i suoi vecchi alleati della NATO nel tentativo di riconquistare lo status perduto in Libia e 'ritornare alla democrazia' come lo dichiara il principe Idris senza vergogna alla CNN.
Queste le folle che inneggiavano a Gheddafi a giugno 2011:
Questi alcuni dei crimini contro l'umanità della NATO: Bombardato un quartiere a Zliten, l'8 agosto, presi di mira dalla NATO 2 edifici agricoli con l'uccisione di 85 civili di cui 33 bambini dove la NATO ha preso di mira per ben due volte le stesse case, la seconda volta quando erano accorsi gli aiuti per soccorrere i feriti, di cui numerosi bambini, del primo bombardamento.
Il colonnello Roland Lavoie, portavoce militare ufficiale della NATO ha confermato il bombardamento a Zliten l'8 agosto alle 11,45 e alle 2,34 del 9 agosto.
Un altro dei tanti crimini contro l'umanità della NATO sono i missili a un ospedale il 5 agosto sempre a Zliten uccidento 50 bambini: http://tv.globalresearch.ca/2011/08/nato-missiles-target-libyan-hospital-kill-50-children Aisha Gheddafi, figlia di Gheddafi e avvocatessa trentacinquenne in una intervista alla televisione francese recente, prima che la sua casa venisse saccheggiata dai ribelli dice con le lacrime agli occhi che non si sarebbe mai aspettata i bombardamenti dai francesi, dove ha perso un fratello e un figlio di 5 mesi.
"E' mio padre che ci rimonta il morale. La nostra famiglia è piu unita che mai. La cosa che non capirete mai è che mio padre è un simbolo per il suo popolo, una guida". Apertamente antiamericana con le lacrime agli occhi dice:
"La Francia, ci ho studiato l'ho amata per i suoi odori la sua luce il suo popolo generoso ma mai avrei immaginato che un giorno questo paese avrebbe ucciso mio fratello e la mia famiglia. Voglio trasmettere attraverso di voi un messaggio alle madri e alle mogli dei piloti francesi che ci bombardano. I vostri mariti non operano per proteggere i civili: uccidono il mio popolo e i nostri bambini, per soddisfare Sarko che crede che più uccide libici più guadagna voti alle elezioni".Afferma poi che suo padre vuole negoziare con i ribelli nonostante siano prossimi ad Alqaeda. Pur di fermare lo spargimento di sangue "siamo pronti a scendere a patti con il diavolo, i ribelli armati". Voleva attaccare la NATO in giustizia per crimini di guerra, questo prima che scomparisse nel nulla, nella fuga dai ribelli.
I titoli entusiastici con cui i principali organi d’informazione hanno riportato la presunta, imminente caduta dell’ultraquarantennale regime di Tripoli si inseriscono perfettamente nella tradizionale disomogeneità che ha caratterizzato la natura dei rapporti intrattenuti da Stati Uniti ed Europa con il colonnello Gheddafi.
Nell’arco degli ultimi vent’anni a Gheddafi è stata attribuita la responsabilità dell’azione terroristica del 5 aprile 1986 alla discoteca La Belle di Berlino, dell’attentato del 21 dicembre 1988 al Boeing 747 esploso sui cieli di Lockerbie di quello che il 19 settembre 1989 colpì il DC 10 francese mentre sorvolava il deserto del Téneré in Niger.
Tali azioni, pur rientranti in una lotta combattuta a suon di azioni poco ortodosse commesse da entrambi gli schieramenti (furono americani i missili che piovvero sul palazzo residenziale di Tripoli il 15 aprile del 1986), valsero a Gheddafi il titolo di mandante supremo del terrorismo internazionale oltre all’embargo commerciale alla Libia.
Su Gheddafi pesava l’appoggio alla causa palestinese, la nazionalizzazione dei campi della British Petroleum (1971) e degli impianti petroliferi della OXY (1972) e l’aver sfidato apertamente la lobby petrolifera.
La Libia subì l’isolamento internazionale fino al 2003, quando Gheddafi tornò nelle grazie dei governanti europei risarcendo i parenti delle vittime degli attentati degli anni ’80 e aprendo l’economia libica agli investitori stranieri.
Nel settembre 2003 il Capo del Governo spagnolo José Maria Aznar fu il primo a rompere gli indugi recandosi a Tripoli per farsi garante degli interessi degli investitori iberici che si accingevano a far affluire corpose iniezioni di denaro e capitali in Libia.
Il 25 settembre dell’anno seguente fu il turno di Tony Blair, che atterrò a Tripoli per sovraintendere a una concessione petrolifera del valore di 200 milioni di dollari che il regime di Gheddafi aveva accordato alla Royal Dutch Shell.
Nell’aprile del 2004 Gheddafi raggiunse Bruxelles dove incontrò il Presidente della Commissione Europea Romano Prodi, il quale considerò fieramente l’evento come “Il risultato di cinque anni di discussioni tra me e Gheddafi”.
Sei mesi dopo Silvio Berlusconi presenziò all’inaugurazione di un oleodotto italo – libico , nel corso della quale non esitò a descrivere Gheddafi come “Grande amico di tutta l’Italia”, riferendosi evidentemente agli affari che l’ENI aveva concluso in Libia in relazione allo sfruttamento del giacimento Western Desert e al potenziamento del gasdotto Greenstream che garantiva l’afflusso annuale di 8 miliardi di metri cubi di gas ai terminali siciliani.
Nell’ottobre dello stesso anno il Cancelliere tedesco Gerhard Schroeder raggiunse Gheddafi per partecipare alle trattative che si conclusero con l’assegnazione dei diritti di trivellazione di alcune aree del deserto libico alla compagnia Wintershall.
Gheddafi era conscio del fatto che concedendo qualche apertura alle pesanti pressioni internazionali si sarebbe visto riconosciuto quel ruolo di interlocutore credibile capace di attirare quegli investimenti di cui la Libia aveva urgente bisogno.
Gli fu sufficiente annunciare lo smantellamento dell’arsenale biologico di cui disponeva e rinunciare pubblicamente allo sviluppo dell’energia nucleare per favorire l’archiviazione generale delle colpe che gli erano state attribuite in passato.
L’Italia, i cui interessi in Libia risalgono al 1911, ha sempre mantenuto uno stretto legame con il regime di Muhammar Gheddafi.
Furono libici i fondi che nel 1976 furono versati nelle casse di una FIAT regolarmente bisognosa di liquidità per mantenersi attiva sul mercato italiano e internazionale.
I dati risalenti ai primi mesi del 2011 rivelavano invece che la Libia era il quinto tra i paesi fornitori dell’Italia coprendo oltre il 4% delle importazioni totali, mentre il mercato italiano costituiva circa il 17% delle importazioni libiche, con un interscambio complessivo stimato nel 2010 di circa 12 miliardi di euro.
La Libia era il primo fornitore di greggio e il terzo fornitore di gas per l’Italia, così come quest’ultima era il terzo Paese investitore tra quelli europei (petrolio escluso) e il quinto a livello mondiale.
L’importanza che il mercato libico rivestiva per il nostro Paese era dimostrata anche dalla presenza stabile in Libia di un numero esorbitante di aziende italiane.
Fin dai tempi di Enrico Mattei l’ENI fu una delle principali compagnie estrattive di petrolio e gas operanti in Libia e aveva ottenuto da Gheddafi i diritti di sfruttamento dei giacimenti fino al 2045.
La Libyan Investment Authority possedeva il 2% circa di Finmeccanica, con la quale era stata sviluppata una cooperazione paritetica altamente strategica inerente il settore dei trasporti, dell’aerospazio e dell’energia.
Ansaldo Sts, AgustaWestland e Selex, società controllate da Finmeccanica, si erano aggiudicate contratti per un giro di affari che superava il miliardo di euro nel potenziamento del sistema ferroviario e nell’elicotteristica.
Impregilo aveva vinto i bandi relativi alla costruzione di tre poli universitari e alla realizzazione di numerose opere infrastrutturali a Tripoli e Misurata.
La Libyan Investment Authority e la Central Bank of Libya avevano acquisito quote del colosso finanziario Unicredit sufficienti per collocarsi al primo posto tra gli azionisti.
Aziende come Alitalia, Telecom, Anas ed Edison avevano anch’esse ottenuto ricchi contratti in Libia.
Come è noto, non era solo il governo di Roma a mantenere cospicui rapporti diplomatici e commerciali con Tripoli, ma anche quelli di quasi tutti i principali paesi europei.
Gli stessi Stati Uniti si erano gettati alle spalle le vecchie tensioni favorendo una distensione dei rapporti culminata con una lettera in cui il Presidente George W. Bush auspicava una “Normalizzazione dei legami politici, economici, commerciali e culturali” con il regime di Gheddafi.
La Libia rimaneva, alla prova dei fatti, un paese non indebitato e detentore di vaste riserve valutarie che necessitava della modernizzazione delle infrastrutture.
Era in possesso insomma di tutte le credenziali per attirare gli interessi dei grandi paesi industrializzati.
Il punto nodale rimane però il petrolio.
La Libia, collocandosi al nono posto tra i paesi produttori, detiene riserve petrolifere stimate in 36 miliardi di barili.
Il fatto poi che gran parte dei giacimenti si situi a poco più di 1500 metri di profondità rende particolarmente economiche le operazioni estrattive.
Se l’ENI era riuscita ad attestarsi su posizioni di dominio, un ruolo comunque rilevante in Libia erano riuscite a ritagliarselo le aziende Total (Francia), Repsol (Spagna) e OMV (Austria).
Le compagnie europee avevano quindi guadagnato cospicue posizioni di vantaggio rispetto alle proprie concorrenti statunitensi, condizionate dall’embargo disposto a suo tempo dal Presidente Ronald Reagan nei riguardi della Libia.
Non è tuttavia unicamente il petrolio l’argomento che sta alla base della recente campagna di discredito ripristinata nei confronti di Gheddafi da quegli stessi paesi che fino a pochi mesi prima non avevano esitato a concludere affari più che redditizi con il regime di Tripoli.
Le ragioni dell’attacco della NATO alla Libia preliminarmente approvato in sede ONU e ammantato da false e ipocrite considerazioni di natura umanitaria vertono sul riassetto degli equilibri che reggono quella particolare regione scossa da consistenti tumulti popolari.
Agli storici dissidi tra la Tripolitania e la Cirenaica sono andati a sovrapporsi le tensioni interne al regime, spaccato in due fazioni che si contendevano il predominio.
Dalle frizioni interne alla Libia è scaturito un conflitto a bassa intensità che molti osservatori hanno istantaneamente accostato a quelli tunisino ed egiziano ignorando le enormi differenze che attestavano la particolarità specifica dell’affaire libico.
A differenza di Tunisia ed Egitto, la rivolta di Libia apparve fin dall’inizio scarsamente omogenea e rivelò il reale gradimento popolare di cui godeva il regime di Gheddafi.
I bombardamenti targati NATO giunsero sulla Libia per evitare che Gheddafi assestasse il colpo definitivo alle tribù che avevano animato la rivolta.
Tribù salutate entusiasticamente come forze democratiche dai principali organi informativi occidentali mentre si accingevano a sventolare antichi vessilli inneggianti alla monarchia filo britannica di Re Idris abbattuta proprio da Gheddafi.
Tribù che una volta decaduto il minimo comun denominatore che ha reso possibile la loro coesione costituito dalla condivisa ostilità nei confronti di Gheddafi riprenderanno a combattersi tra loro innescando una guerra civile affine a quelle che hanno martoriato per interi decenni le popolazioni dell’Africa nera.
Tribù che uno studio condotto dall’accademia militare di West Point nel dicembre del 2007 riguardante il segmento spaziale che da Bengasi, passando per Darna, si estende fino a Tobruk ha rivelato esser parzialmente composte da un numero esorbitante di terroristi che avevano combattuto in Afghanistan e in Iraq contro le medesime forze d’occupazione da cui hanno recentemente ricevuto forniture di armi ed equipaggiamenti.
Tribù gravitanti attorno al nucleo etnico Harabi, pesantemente legato alle frange integraliste direttamente coinvolte nella guerriglia sudanese, i cui principali esponenti sono l’attuale Segretario del Consiglio Nazionale Libico Mustafa Abdul Jalil e Comandante dell’Esercito Nazionale di Liberazione Libico Abdul Fatah Younis, ucciso alla fine di luglio.
Il fatto, inoltre, che l’addestramento delle milizie islamiche che hanno sconvolto il Sudan, provocato la dura repressione del governo di Khartoum che ha a sua volta funto da trampolino di lancio per l’emissione di un mandato di cattura nei confronti del Generale Omar Hassan Al Bashir e per la secessione del Sudan del Sud, sia stato svolto da Israele conferisce un fattore determinante nel minare la presunta spontaneità che numerosi osservatori hanno sostenuto essere alla base delle rivolte.
Tribù che contribuiranno a scatenare quella geopolitica del caos propugnata dagli Stati Uniti perché funzionale ai loro interessi strategici, che nel caso specifico coincidono con la destabilizzazione di un turbolento paese ricco di petrolio mantenuto sufficientemente saldo da Muhammar Gheddafi per quattro decenni consecutivi.
Il reale punto di svolta nell’economia della guerra civile libico è però coinciso con la richiesta avanzata dal Presidente venezuelano Hugo Chavez relativa al rimpatrio dell’oro depositato nei forzieri di Londra, per adempiere il quale la Gran Bretagna si è vista costretta ad intervenire molto più massicciamente di quanto non avesse fatto finora a sostegno dei ribelli.
Nell’arco del suo lungo mandato Gheddafi aveva accumulato corpose riserve auree (si tratta di quasi 150 tonnellate di metallo) di cui la Gran Bretagna ha attualmente urgente bisogno per far fronte alla mossa di Chavez che ha fatto lievitare cospicuamente il valore all’oncia del metallo giallo.
Il Primo Ministro David Cameron ha quindi deciso di sciogliere le ultime riserve relative e di insinuare la diretta presenza britannica nel conflitto, scelta obbligata dettata dalla necessità di ottenere l’oro necessario da restituire al Venezuela evitando di sospingere alle stelle il valore della materia prima in questione e di esporre il paese al reale rischio di fallimento.
Malgrado ciò, l’intraprendenza degli aggressori europei finirà inesorabilmente per urtare contro uno nuova Suez (crisi del 1956) predisposta ancora una volta dagli Stati Uniti al fine di mandare in frantumi i loro ultimi residui colonialisti.
L’installazione di nuove basi nel cuore del Maghreb atte a rafforzare il contingente Africom si congiungerà con il rafforzamento della guerriglia islamica addestrata da Israele dando vita a una sinergia capace di proiettare l’influenza statunitense verso sud, nelle zone interessate dalla penetrazione cinese.
Mentre il paese finirà per trasformarsi in una nuova Somalia affacciata sul Mediterraneo, il saccheggio delle ricchezze naturali libiche procederà senza intoppi.
Intanto la demonizzazione del “tiranno” Gheddafi procede senza soste, con scomuniche e anatemi pronunciati da quegli stessi soggetti che in altre non lontane fasi politiche non avevano scorto alcun problema nel trattare con Tripoli e nel ricevere Gheddafi con gli onori normalmente riservati ai grandi leader.
Dopo le menzogne sui bombardamenti sulla folla che secondo numerose fonti erano stati eseguiti dall’esercito libico su ordine del regime di Tripoli e prontamente smentite dai rilevamenti satellitari russi si era passati alle montature relative alle fantomatiche fosse comuni in cui le forze governative avrebbero sepolto i corpi dei “manifestanti” preliminarmente trucidati.
Come Niculae Ceausescu era stato additato come responsabile del falso carnaio di Timisoara per mezzo di cadaveri debitamente disseppelliti e agitati dai suoi oppositori come vittime del regime, Muhammar Gheddafi è stato condannato senza appello come responsabile delle stragi di Tripoli con l’ausilio di un’analoga metodologia mistificatoria.
Gheddafi, in sostanza, non è più il credibile interlocutore di qualche anno fa ma è tornato ad essere il vecchio terrorista della discoteca La Belle, del Boeing di Lockerbie e del DC 10 sul deserto del Téneré che in procinto di cadere – malgrado siano mesi che la sua fine è reiteratamente stata data come imminente – avrebbe ordinato alle forze rimastegli fedeli di aprire il fuoco sui bambini.
Questa la versione dei ribelli, ripresa e riportata da tutti i principali quotidiani e telegiornali europei e statunitensi che ogni giorno di più dimostrano di aver ereditato il testimone di propugnatori della retorica di guerra che fin dai tempi delle Guerre Puniche ha regolarmente distorto la realtà con le più colossali menzogne e mistificazioni.
* Giacomo Gabellini è collaboratore di Conflitti & Strategie
Gli Usa e Gheddafi
di Michele Paris - Altrenotizie - 29 Agosto 2011
Mentre i “ribelli” libici settimana scorsa facevano il loro ingresso a Tripoli grazie ai massicci bombardamenti NATO contro le forze fedeli a Muammar Gheddafi, una nuova serie di documenti riservati veniva pubblicata da Wikileaks, molti dei quali riguardanti proprio i rapporti tra gli Stati Uniti e il regime del rais.
Un rapporto quello tra Washington e Tripoli fondato fino a pochi mesi fa su una stretta collaborazione tra i rispettivi governi, nonostante i dubbi di fondo mai completamente dissipati circa l’affidabilità del colonnello.
Tra i più accesi sostenitori dell’aggressione contro la Libia negli Stati Uniti spicca il senatore dell’Arizona John McCain, già sfidante repubblicano di Barack Obama durante le presidenziali del 2008.
Il veterano della guerra in Vietnam, nel corso di varie interviste ai media d’oltreoceano in questi mesi, ha descritto Gheddafi come “uno dei più sanguinari dittatori sulla terra”, mentre ha più volte criticato l’amministrazione Obama per non essere intervenuta in maniera ancora più aggressiva, così da rovesciare rapidamente il regime libico.
Lo stesso McCain, in realtà, poco più di due anni fa sedeva in una tenda a Tripoli discutendo della partnership tra USA e Libia con lo stesso Gheddafi e il figlio Muatassim, promettendo di adoperarsi per far giungere all’allora alleato nordafricano gli armamenti desiderati.
Il suddetto incontro ad alto livello nella capitale libica - andato in scena il 14 agosto 2009 - è descritto in un cablo confidenziale redatto dall’ambasciata americana a Tripoli cinque giorni più tardi.
Oltre a John McCain, facevano parte della trasferta in Libia, tra gli altri, anche i senatori repubblicani Lindsey Graham (Sud Carolina) e Susan Collins (Maine) e l’indipendente ex democratico Joe Lieberman (Connecticut).
In un’atmosfera estremamente cordiale, McCain ribadiva l’eccellente stato delle relazioni tra i due paesi, sottolineando il “drastico cambiamento nei rapporti avvenuto negli ultimi cinque anni”.
Da parte sua, il senatore Lieberman elogiava il mantenimento della promessa fatta da Gheddafi di abbandonare il programma per la produzione di armi di distruzione di massa e di rinunciare all’appoggio al terrorismo internazionale.
Lo stesso candidato alla vice-presidenza USA nel 2000 descriveva la Libia come un importante alleato nella lotta al terrore, affermando che i “nemici comuni rendono un’amicizia più solida”.
I “nemici comuni” di cui parlava Lieberman altro non sono che i gruppi integralisti islamici tenuti a bada dal regime di Gheddafi e i cui affiliati fanno parte oggi delle forze “ribelli” sostenute dall’Occidente.
La presenza nel governo di transizione di militanti libici è testimoniata dalla riluttanza di alcuni paesi a riconoscerlo come rappresentante legittimo della Libia, come ad esempio l’Algeria.
In una recente intervista alla Reuters, una fonte interna al governo algerino ha infatti rivelato che alcuni militanti islamici consegnati da Algeri a Gheddafi sarebbero fuggiti per unirsi ai “ribelli”. A detta dello stesso anonimo funzionario algerino, uno di questi islamici sarebbe addirittura apparso su Al Jazeera mentre “parlava in nome del governo di transizione” di Bengasi.
Sempre nel corso dello stesso meeting, Muatassim Gheddafi, allora consigliere del padre per la sicurezza nazionale, esprimeva a sua volta soddisfazione per la visita degli autorevoli politici americani, pur lamentando la mancanza di “garanzie relative alla sicurezza” del suo paese da parte degli Stati Uniti.
La richiesta, già fatta il precedente mese di aprile al Segretario di Stato, Hillary Clinton, riguardava principalmente la fornitura di armamenti americani “letali e non letali”, per i quali McCain affermava di volersi impegnare in prima persona per accelerare i tempi di consegna, sia presso il Congresso che con il numero uno del Pentagono, Robert Gates.
La collaborazione tra i due paesi comprendeva anche l’addestramento di personale libico nelle accademie militari americane. La formazione garantita da Washington agli ufficiali di Gheddafi s’inseriva nella partnership costruita con la Libia in funzione anti-terroristica dopo lo sdoganamento del regime da parte dell’amministrazione Bush.
Il ruolo di Tripoli in nord Africa, senza scrupolo alcuno per i metodi repressivi del rais, era appunto quello di soffocare le cellule legate ad Al-Qaeda, come conferma un altro cablo del febbraio 2009, nel quale l’ambasciata americana elogiava Gheddafi per aver “smantellato una rete in Libia orientale che inviava volontari a combattere in Algeria e in Iraq” e stava progettando attacchi terroristici in Libia.
In un cablo dell’aprile 2009 si parla poi dei preparativi per una imminente visita a Washington di Muatassim Gheddafi che sarebbe stata l’occasione per “incontrare il potenziale futuro leader della Libia”.
Il ruolo del quinto figlio del rais all’interno dell’apparato della sicurezza del regime risultava di importanza cruciale e il suo appoggio veniva perciò valutato indispensabile dal governo americano per promuovere a Tripoli i propri interessi.
L’apprezzamento del governo americano per il regime di Gheddafi riguardava anche le aperture fatte negli ultimi anni al capitale straniero. Un documento del 10 febbraio 2009 ricorda come la “Libia ha approvato numerose leggi e regolamentazioni tese a migliorare l’ambiente degli affari e per attrarre investimenti esteri”.
Gli sforzi, tuttavia, sembravano avere solo un “modesto successo”, anche se le compagnie internazionali stavano tornando a fare affari in Libia, soprattutto dopo la soppressione delle sanzioni ONU nel 2003.
Le opportunità a disposizione delle compagnie energetiche e di costruzioni in Libia sono al centro di molti altri cablogrammi trasmessi al Dipartimento di Stato dall’ambasciata USA a Tripoli. In alcuni di essi emerge però anche una certa persistente diffidenza nei confronti di Gheddafi, mai visto fino in fondo come un serio partner per l’Occidente.
A suscitare preoccupazioni non sono mai state in ogni caso le violazioni dei diritti umani o il soffocamento del dissenso, bensì la minaccia di estrarre condizioni meno favorevoli alle compagnie occidentali operanti nel paese nordafricano - come quelle, descritte in un cablo del 26 ottobre 2007, imposte all’ENI in occasione dell’estensione delle concessioni per l’estrazione di gas e petrolio che stavano per scadere - o i rapporti sempre più stretti che Gheddafi stava coltivando con Russia e Cina.
Questi ed altri documenti già pubblicati nei mesi scorsi da Wikileaks contribuiscono dunque a smascherare le pretese dei governi coinvolti nel rovesciamento del regime di Tripoli di agire per la promozione della democrazia e per proteggere i civili.
Da Washington a Londra, da Parigi a Roma, fino a pochi mesi fa si faceva a gara per corteggiare il dittatore Gheddafi e il suo entourage, nel tentativo di garantire alle proprie corporation lucrosi affari e l’accesso a quelle ingenti risorse petrolifere libiche che queste ultime si apprestano ora a spartirsi sotto la supervisione di un regime più docile verso gli interessi occidentali.
Libia, futuro incerto
di Christian Elia - Peacereporter - 30 Agosto 2011
Intervista al generale Fabio Mini, ex comandante delle forze Nato in Kosovo
Fabio Mini è generale dell'esercito in ausiliaria. Tra i vari incarichi della sua carriera militare, è stato Capo di Stato Maggiore del Comando Nato del Sud Europa e Comandante della Missione internazionale in Kosovo.
Ha scritto e curato numerosi libri, collabora con Università e Centri di studi italiani e stranieri, scrive su alcune delle più importanti testate italiane.
PeaceReporter lo ha intervistato per capire meglio, in queste drammatiche ore in Libia, la situazione attuale dell'intervento della Nato, che continua anche mentre tutti parlano solo dei ribelli e dei fedelissimi di Gheddafi.
Il mandato della Nato, all'inizio delle operazioni, pareva chiaro: impedire massacri di civili, interponendosi tra i ribelli e i lealisti. In questo momento pare che il mandato sia andato molto oltre. Che ne pensa?
Il mandato, effettivamente, era quello di proteggere i civili. Solo che era talmente ambiguo e sibillino che restava aperto a tutte le interpretazioni possibili. Se ci si fosse attenuti alla lettera del mandato, sarebbe stato impossibile sviluppare un'azione militare. Era chiaro dal principio che il mandato vero, chiesto soprattutto dalla Francia, era quello di proteggere gli insorti, non tutti i civili.
Tra le file di Gheddafi ce n'erano tanti, che lavoravano per lui o che lo sostenevano, che si aspettavano protezione della Nato. Era impossibile. La Nato, all'inizio, ha giocato molto a ridurre al minimo il proprio coinvolgimento.
E' convenuto, nelle prime settimane, interpretare in modo restrittivo il mandato, quindi proteggendo esclusivamente i civili non combattenti. Ed è un'ipocrisia, perché in queste situazioni non si possono distinguere per davvero quelli che combattono da quelli che sono da proteggere.
Una serie di scrupoli che la Nato non ha mai mostrato nei Balcani o in Afghanistan, dove conduce un'operazione che se ne frega altamente dei civili. In Libia tutti speravano che grazie agli affari Gheddafi fosse ancora l'interlocutore, anche perché l'impreparazione degli insorti poteva far immaginare un tracollo imminente dei rivoltosi.
Non è andata così e questo gioco al ribasso della Nato ha causato la degenerazione, giorno dopo giorno, della situazione sul terreno. In ritardo il mandato è stato interpretato come doveva essere: aiutare la Libia e gli insorti a liberarsi di Gheddafi.
Questa tipologia d'intervento, attendista e senza un coinvolgimento diretto sul terreno nei combattimenti, potrà diventare un modello per la Nato? Mettendo i governi al riparo, più o meno, dalle opinioni pubbliche interne degli Stati membri?
Questo modello d'intervento si è già ripetuto. In Kosovo, nel 1999. La differenza è che all'epoca l'appoggio alle milizie albanesi dell'Uck era stato pianificato prima, con il supporto degli sponsor internazionali come la Gran Bretagna , gli Usa e la Germania. Avevano organizzato le fanterie ben prima dell'avvio delle operazioni militari della Nato. In Libia, invece, ci si è mossi in senso contrario.
Prima si è puntato a risolvere tutto con i bombardamenti aerei, senza avere mai la reale intenzione d'intervenire via terra, lasciando questo aspetto ai ribelli. Elemento già complesso in una situazione normale, figuriamoci in tempi di crisi. Oggi inorridiamo di fronte ai massacri, commessi da entrambe le parti, ma sono frutto di questo mancato coordinamento tra le azioni aeree e quelle terrestri.
Questo è stato un grosso limite dell'operazione Nato in Libia. Sia a livello strategico che operativo. Hanno aspettato che si delineasse la situazione sul terreno, aspettando che al fronte in Cirenaica si aprisse anche il fronte dall'altra parte, verso il confine con la Tunisia e dalle montagne.
In un sistema tribale, complesso, come quello libico, sarebbe servita una mediazione diplomatica sul terreno che è mancata lasciando la situazione nel caos. Se qualcosa non va, la colpa è di questa deficienza operativa.
Si aspetta, nelle prossime settimane, un attacco alla Siria sulla stessa falsariga di quello libico?
Un eventuale intervento in Siria è una situazione completamente differente. Anche in Siria c'è un'insurrezione, ma che sconvolgerebbe equilibri regionali e internazionali molto più complessi di quelli libici.
Se l'appoggio non è stato chiaro e veloce in Libia, dove poteva essere circoscritto, figurarsi in Siria. Intervenire in Siria, adesso, significherebbe non cogliere fino in fondo le implicazioni della situazione. Si aprirebbe una crisi ben più drammatica di quella libica.
Il punto adesso non è quello di valutare un intervento militare aereo o di terra, ma quello di convincere il governo di Damasco a rinunciare all'uso della forza nei confronti dei propri cittadini.
Un cambio di regime, al buio, ma è un rischio che bisogna correre. Altrimenti si ottiene uno stallo, pronto a esplodere in poco tempo. Conto sulla volontà, in particolare della Lega Araba, di influire diplomaticamente in questa situazione. Senza Assad, magari, per evitare discorsi surreali come quello di un Gheddafi che ancora si offre come mediatore della situazione libica.
Che idea si è fatto dei tre italiani ritrovati in Libia? Mercenari, spie o cos'altro?
Di questa vicenda so poco, ma sembra una storia davvero poco chiara. Le categorie alle quali possono appartenere sono tante. Mettiamola così: non mi stupirei affatto se in Libia ci fossero degli agenti dei nostri servizi di sicurezza e di intelligence. E' il loro mestiere, c'è poco da essere ingenui. Sono interessi nazionali legittimi.
Se invece fossero interessi di qualcuno privato, non sarebbe la stessa cosa. Un'azienda, per esempio. In quel caso sarebbe una stortura. In questi momenti, in situazioni come la Libia, ci sono agenti doppi e tripli. E' la realtà.
In Egitto e in Tunisia le rivoluzioni si sono appoggiate, come elemento di garanzia, all'esercito. Situazione totalmente differente in Libia. Che succederà in un Paese così strategico?
Un esercito classico, in Libia, non è mai esistito. Esisteva un embrione di esercito, che serviva a qualcuno per fare il servizio militare, per dare una parvenza di esercito da parata. Le armi venivano comprate per bande e brigate, assoldate dal regime e da Gheddafi, per i suoi interessi privati. Lui credeva che coincidessero con quelli del Paese, ma erano solo i suoi di interessi. Infatti si è dissolto di fronte agli insorti.
E' rimasto vivo l'assemblaggio delle bande e degli accoliti, addestrati per la guerra del Ciad, tenute in vita per i disegni politici panafricani. Guardie personali, come dimostrano i figli di Gheddafi, che li trattano come dipendenti personali. Non esisteva un esercito come istituzione del Paese. Per Gheddafi lo Stato era lui.
L'attuale situazione con gli insorti non presenta alcuna prospettiva positiva. Non sono forze armate oggi e non lo saranno in futuro. Continueranno a ragionare per interessi tribali e di fazioni. Rispondono a capi diversi con interessi diversi. Anche con risorse differenti: alcuni controllano il petrolio, altri i porti.
Il caos è evitabile solo con una leadership collettiva consolidata. Prospettiva lontana, sono pessimista. E il pessimista è l'ottimista con l'esperienza. Questa situazione non finisce con Gheddafi, ma con i figli di Gheddafi. E quando finirà, cominceranno le lotte intestine per il potere.
Considero questo periodo di crisi molto lungo, servirà un forte sostegno internazionale. Se sarò smentito sarò il più felice degli uomini, ma mi aspetto il peggio. Chi vorrà aiutare la Libia dovrà saperlo fare senza pensare solo agli interessi di bottega.
Libia: petrolio di sangue - Intervista a Massimo Fini
da www.beppegrillo.it - 31 Agosto 2011
"Mi pare con tutta evidenza che alcune democrazie occidentali abbiano voluto eliminare Gheddafi per poter mettere mano e sul petrolio della Libia e sul fatto che adesso c’è questo nuovo sport delle democrazie occidentali, cioè quello di distruggere i paesi per poi partecipare al business della ricostruzione.
È quello che è avvenuto in Serbia, in Iraq e anche in Afganistan, anche se lì hanno più difficoltà, perché i talebani gli distruggono ciò che cercano di ricostruire." Massimo Fini
Guerra, cosa si sarebbe dovuto fare e non si è fatto
di Marinella Correggia - www.radiocittaperta.it - 30 Agosto 2011
Mentre gli alleati locali della Nato (i cosiddetti ribelli) qualificano di "atto di aggressione" l'accoglienza che l'Algeria avrebbe dato a moglie e alcuni figli e nipoti di Gheddafi, e mentre tutte le foto della famiglia sterminata dalla Nato in luglio a Sorman e diventata un simbolo dei crimini di guerra sono sparite dagli hotel e sono state sostituite dalla bandiera monarchica, e mentre a Tripoli NON si contano i morti degli ultimi giorni (sotto i bombardamenti che hanno spianato la strada agli alleati locali, e per l'eliminazione fisica di lavoratori africani con il pretesto che erano "mercenari", e con l'epurazione di libici vicini all'ex regime e di quelli in precedenza fuggiti dall'Est), e mentre nessuno conterà mai i morti civili di 20.000 raid aerei condotti da piloti mercenari occidentali (mercenari, visto che appoggiavano una fazione libica) sulla base di un mandato Onu per proteggere i civili stessi, e meno che mai nessuno conterà i morti fra i soldati, nel tiro al piccione dai cieli, e mentre l'Italia NON accoglierà e mentre prosegue una medioevale caccia all'uomo degna del miglior far west (di nuovo il "wanted" sulla porta del saloon, ha ricordato il presidente del Venezuela) adesso mi rendo conto che l'unica cosa utile da fare in tutti i modi sarebbe stata una campagna A MARZO per appoggiare la proposta di Chavez e dei paesi dell'Alba, accettata dalla Libia: MEDIAZIONE FRA LE PARTI E INVIO DI OSSERVATORI ONU i quali avrebbero visto che non c'erano affatto i diecimila morti fra i manifestanti (mesi dopo, Amnesty International parlava di 209 morti accertati, su entrambi i fronti visto che molti poliziotti e custodi erano stati uccisi dai manifestanti) togliendo la scusa per l'intervento. Invece non si è fatto.
Dopo che un giorno il Manifesto forse solo casualmente non mi aveva pubblicato un pezzo su appunto questa iniziativa venezuelana (e anzi aveva pubblicato un pezzo di Wallerstein in cui praticamente qualificava di idiota il povero Chavez), agli inizi di marzo, sdegnata mi sono allontanata da loro non scrivendo quasi più in merito. Idiota. Occorreva insistere.
Se il Manifesto - l'unico quotidiano che dal 1991 è sempre stato contro le guerre - avesse fatto una simile campagna, dicendo qualcosa ogni giorno in merito, appoggiato da altri media alternativi e trascinando per esempio gli antiguerra superstiti che non sapevano che fare, l'iniziativa di Chavez avrebbe avuto qualche chance, come chiedeva Fidel ai paesi e ai popoli del mondo.
Un'altra guerra, e niente di efficace da parte dei pacifisti. Che comunque non esistono più. Non parlerei più di pacifisti; meglio usare il termine "oppositori alla guerra". Arci, Acli, Cgil e componenti (mai un minuto di sciopero contro nessuna guerra dal 1991 in avanti), Tavola della Pace, per non dire di Attac Francia, dei vari aderenti di di punta al Forum Sociale Mondiale, dei vari Sullo, delle Ong varie e di chi aveva sempre altre urgenze umanitarie da seguire. Urgenze più urgenti dei massacri della Nato e dei loro alleati libici.
All'ipocrita Marcia Perugia Assisi che si svolgerà il 25 settembre avrei voglia di andare con un cartello: "Libia. Il silenzio dei pacifisti ha ucciso". Molti del "movimento" e della "società civile" adesso arriveranno, a fare il business umanitario laggiù, parallelamente al business della ricostruzione e del petrolio.
Vincono sempre gli scrocconi di guerra che sono tanti e su tutti i fronti. Ce n'è di che voler stracciare il passaporto e non rifarlo.