Un'affermazione fatta al termine del vertice alla Casa Bianca convocato per decidere un eventuale cambio di strategia militare e se/come effettuare l'aumento delle truppe, richiesto dal comandante in capo delle truppe USA in Afghanistan, Stanley McChrystal.
Obama non ha però ancora deciso cosa fare, visto poi che anche l'ambasciatore USA a Kabul, Karl Eikenberry, qualche giorno fa ha scritto alla Casa Bianca per esprimere la sua "profonda preoccupazione" all'eventuale invio di altri migliaia di soldati in Afghanistan.
Secondo la stampa USA, Eikenberry ha inviato alla Casa Bianca almeno due rapporti riservati, nei quali si esprime contro l'ipotesi di un rinforzo delle truppe fino a quando Karzai non dimostrerà di essere in grado di far fronte alla corruzione nel suo governo, avanzando anche forti riserve sul comportamento del presidente afghano.
Va ricordato che Einkeberry è un generale in pensione che è stato comandante delle truppe in Afghanistan per 18 mesi tra il 2005 e il 2007. E ovviamente il generale McChrystal deve essere andato su tutte le furie per la sortita di Eikenberry.
Ma Obama deve fare i conti anche con i sondaggi che mostrano un crescente numero di americani contrario alla guerra.
Sondaggi che però al Pentagono e alla lobby dell'industria bellica non interessano minimamente. Per costoro infatti la guerra deve essere a tempo indeterminato.
Pakistan, l'esercito canta vittoria
di Enrico Piovesana - Peacereporter - 7 Novembre 2009
Più che un campo profughi sembra un campo di prigionia. Sotto le gradinate dello stadio di Dera Ismail Khan gli sfollati pashtun, appena fuggiti dalla guerra in Sud Waziristan, sono in coda per la distribuzione delle razioni di cibo. Chi esce dalla fila, sorvegliata da poliziotti con il mitra puntato, viene bastonato e picchiato senza pietà dagli agenti.
In coda per il cibo ci sono solo uomini, perché la rigida tradizione pashtun della tribù wazira dei Mehsud impone che le donne non possano mostrarsi in pubblico.
La testimonianza di una sfollata. Una di loro, appena scappata da Ladah, racconta la sua storia a una giornalista pachistana.
"Mio marito è morto e io sono venuta qui con i miei nove figli e i miei parenti maschi. La nostra città è stata bombardata dai jet e poi sono iniziati i combattimenti, violentissimi. Siamo scappati via in mezzo a quell'inferno. Faceva freddo e i miei bambini non avevano vestiti pesanti. Molte eprsone sono morte sotto le bombe o colpiti dai proiettili. Ho visto crollare tante case colpite dagli aerei, le gente sepolta viva sotto le macerie.
Cadono le roccaforti talebane. La città di Ladah è stata riconquistata dall'esercito giovedì, dopo una violenta battaglia al termine della quale le truppe governative sono riuscite a espugnare il Ladah Fort, la vecchia fortezza che fino al luglio 2008 ospitava una caserma ma che poi venne attaccata e occupata dai talebani.
Venerdì le truppe di Islamabad sono entrate anche nell'ultima e principale roccaforte dei talebani: il villaggio di Makeen, quello dove in agosto è stato ucciso in un raid aereo Usa il comandante talebano Baitullah Mehsud. I generali pachistani hanno dichiarato di aver incontrato una debolissima resistenza da parte dei talebani.
Versioni discordanti. La presa di Makeen, dopo quella di Ladah e di Sararogha, avvenuta martedì, segna in teoria la vittoriosa conclusione dell'operazione Rah-i-Nijat (la via della salvezza), lanciata lo scorso 17 ottobre per riportare sotto il controllo dell'esercito la regione tribale del Sud Waziristan.
Un successo che, secondo la Difesa, è costato lievi perdite militari - meno di cinquanta soldati uccisi - e ne ha inflitte di pesantissime ai guerriglieri, oltre 420.
I talebani, dal canto loro, rovesciano queste proporzioni dichiarando di aver perso una dozzina di uomini e di aver ucciso centinaia di soldati, e denunciano l'uccisione di centinaia di civili - un aspetto a cui il governo pachistano non fa mai cenno.
Una vittoria di Pirro. Impossibile sapere chi dei due dica la verità, visto che l'esercito ha vietato alla stampa l'accesso a tutta la zona delle operazioni. Anche se i racconti degli sfollati sembrano confermare quantomeno il fatto che l'offensiva ha causato molte vittime tra la popolazione civile.
Quel che è certo è che è ancora presto, per il governo pachistano, per cantare vittoria. I talebani comandati da Hakimullah Mehsud, infatti, non sono stati sconfitti: si sono loro ritirati sulle montagne del Nord Waziristan lasciando che l'esercito penetrasse nelle vallate del Sud Waziristan, da dove in seguito lanceranno il loro contrattacco.
Sotto il vulcano dell'AfPak
di Pepe Escobar - www.atimes.com - 11 Novembre 2009
Tradotto da Manuela Vittorelli, membro di Tlaxcala, la rete di traduttori per la diversità linguística.
I-Benvenuti nel Pashtunistan
PARIGI – Sta accadendo qualcosa nell'AfPak ma non sa cosa, vero, Signor Beltway?
Mentre Washington fa un bel pastone dei “taliban” – che siano neo-taliban afhgani o Tehreek-e-Taliban (TTP) pakistani – con la solita logica da Impero del Caos per giustificare la perenne permanenza delle truppe degli Stati Uniti e della NATO in AfPak, un numero sempre più alto di pashtun, di qua e di là del confine, ne ha approfittato per vedere nei taliban un utile modo per facilitare la creazione del Pashtunistan.
Ma il Pentagono, statene certi, sa perfettamente come condurre il suo Nuovo Grande Gioco in Eurasia. La balcanizzazione dell'AfPak – la frammentazione di Afghanistan e Pakistan – creerà, tra gli altri Stati, anche un Pashtunistan e un Balochistan indipendenti. La logica dell'Impero del Caos è ancora il vecchio imperiale divide et impera britannico, in una nuova versione; e, almeno teoricamente, produce territori più facili da controllare.
Non provocate il nazionalismo pashtun
I pashtun (dall'Afghanistan orientale al Pakistan occidentale) non hanno mai rinunciato a ricongiungersi. Chiunque abbia una qualche familiarità con l'AfPak sa che la regione sta ancora pagando il prezzo del fatale divide et impera britannico messo in atto dalla decisione imperiale del 1897 di dividere i pashtun attraverso l'artificiale Linea Durand. La linea continua a essere il confine artificiale tra il Pakistan e l'Afghanistan. Chiunque l'abbia attraversata, per esempio a Torkham, ai piedi del passo Khyber, sa che è completamente priva di senso; quelli che sciamano sui due versanti del confine sono tutti cugini che non hanno mai smesso di sognare l'impero Durrani afghano pre-coloniale, che copriva buona parte del Pakistan attuale.
Pochi hanno notato che di recente i pashtun hanno cominciato a fare una richiesta molto semplice e specifica: che la Provincia della Frontiera di Nord Ovest (NWFP) nel Pakistan venga ribattezzata Pakhtunkhwa (“Terra dei pashtun”). Lo scorso settembre le autorità pakistane, a maggioranza punjabi, hanno respinto la richiesta. I nazionalisti pashtun hanno protestato in massa nella favolosa Peshawar, la capitale della NWFP. Il movimento di liberazione nazionale pashtun è giunto al culmine. I Guevara pashtun stanno già chiamando alle armi.
Benché Washington, ora con un piccolo aiuto del governo amico/cliente del Presidente Asif Ali Zardari a Islamabad, conduca una guerra essenzialmente contro i pashtun fin dal 2001, non si tratta di un movimento monolitico. Tutto può riassumersi nella massima, risalente agli inizi di questo secolo, secondo cui praticamente tutti i taliban sono pashtun, ma non tutti i pashtun sono taliban. Ci sono settori significativi di pashtun laici che respingono il TTP e il suo distopico dogma fondamentalista islamico, nonostante le masse pashtun possano vedere nel TTP il veicolo ideale per l'avvento del Pashtunistan.
Se seguiamo i soldi, vediamo che il TTP in Pakistan viene ora finanziato principalmente da ricchi e devoti affaristi del Golfo e non più da Islamabad. I finanziatori sono più interessati al jihad che al nazionalismo pashtun, e questo erode la legittimità dei taliban in quanto veicoli del nazionalismo pashtun. Nello stesso tempo, se il TTP e i suoi alleati pashtun riescono ad assumere il controllo totale di un corridoio strategico tra l'Afghanistan orientale e il Pakistan occidentale, con o senza il sostegno del jihad, e magari anche il controllo parziale di Peshawar, il successo in termini propagandistici non potrebbe essere più spettacolare: significherebbe un emirato islamico a tutti gli effetti costituito come Pashtunistan.
Oltre al TTP ci sono altri fattori che facilitano la spinta verso la creazione di un Pashtunistan. Gli aiuti economici dell'Occidente all'AfPak sono miserabili e non arrivano mai alla popolazione pashtun. La “rivelazione” negli Stati Uniti di ciò che non era mai stato un mistero in Afghanistan, e cioè che Ahmed Wali Karzai, fratello del “vincitore” delle pasticciate elezioni presidenziali afghane, è stato per anni sul libro paga della CIA, ha azzerato ogni possibilità che i pashtun possano fidarsi di tutto ciò che emana da Kabul.
I grandi media statunitensi si dilungano sul kabuki (con riso) delle elezioni presidenziali afghane continuando a ignorare che i servizi segreti degli Stati Uniti e della NATO stanno corrompendo i principali signori della guerra per assicurarsi la “sicurezza” sul territorio (affare lucrosissimo) e i taliban per salvarsi la vita e non finire ammazzati dai loro ordigni esplosivi. E non basta corrompere; i taliban, attraverso il loro ex ministro degli esteri, Mullah Muttawakkil, hanno appena respinto l'offerta americana di otto basi NATO permanenti in cambio di sei governatorati taliban. Esigono il loro bel riso Kabuli, e intendono mangiarselo.
L'establishment militare e della sicurezza di Islamabad, che è uno Stato dentro lo Stato, resta un'appendice di Washington; i pashtun vedono l'attuale offensiva nel Waziristan come uno svendersi di Zardari a Washington – come aveva fatto “Busharraf”, cioè il presidente Pervez Musharraf, prima di lui. Un governo pakistano fallito, che si tratti di questo o di un altro, ha zero possibilità di controllare quelli che sono di fatto territori afghani sul lato pakistano della Linea Durand. Solo nel 2009 più di due milioni di pashtun sono stati costretti alla fuga; si parla diffusamente di “genocidio dei pashtun”.
Dunque per Washington sarebbe tanto più facile, e infinitamente meno sanguinario, adottare la linea del Pentagono in tutto e per tutto: facciamo un'altra Jugoslavia; balcanizziamo; ripristiniamo l'impero Durrani afghano.
Il secondo avvento
Rozza bestia, giunto infine il suo tempo, il Pashtunistan è già nato.
Tanto per cominciare, quei “cugini” su entrambi i lati del confine sono tutti pashtun, per lo più rurali. Seguono gli stessi rituali religiosi conservatori, incarnati dall'ultrareazionaria scuola Deobandi dell'Islam sunnita e propagati da una vasta rete di madrasse (seminari) made in Pakistan. I loro affari stanno prosperando, come dimostra una visita a Spinbaldak, nell'Afghanistan meridionale, tra Kandahar e Quetta; i pesci grossi si arricchiscono con il contrabbando e il narcotraffico, e tutti gli altri con i trasporti o il commercio del legname. Le somme di denaro che entrano ed escono sono enormi, soprattutto grazie alle rimesse dei lavoratori pashtun che faticano nel Golfo e oltre.
Politicamente i pashtun sono rappresentati da partiti come il Jamaat-e-Ulema-e-Islami (JUI). Diplomaticamente hanno ottimi legami con il Golfo Persico e con la maggior parte dei paesi dell'Organizzazione della Conferenza Islamica. Militarmente sono rappresentati da una miriade di gruppi taliban, non esclusivamente dal TTP. E strategicamente incarnano una deliziosa ironia: un movimento rurale, ultrareligioso, nazionalista che combatte con le unghie e con i denti un corrotto governo a base urbana come se fossero una fantasia post-coloniale del nobile selvaggio tribale – alla Rousseau – in lotta contro l'Occidente colonialista..
Può non essere quello che avevano in mente gli intellettuali pashtun di sinistra, relativamente laici; dicono che gli organi di sicurezza infestati da punjabi controllano sia i taliban che l'esercito pakistano, e vorrebbero liberarsi di entrambi. Secondo un gruppo nazionalista come il Pashtun Awareness Movement sono gli stessi pashtun a doversi liberare dei taliban, non l'esercito pakistano schiavo del Pentagono. Per quanto riguarda il Partito Nazionale Awami, a maggioranza pashtun, che è al potere nella NWFP e deve in qualche modo fare i conti con Islamabad, il suo sogno di un Pashtunistan più equilibrato è ancora molto lontano dalla realizzazione.
Al Pashtunistan per diventare adulto potrebbe mancare solo una cosa: un passaporto. Non è difficile capire chi ne approfitterà.
“L'orrore... l'orrore.” Il Generale Stanley McChrystal, comandante supremo del Pentagono in Afghanistan, negli Stati Uniti viene fatto comunemente passare per un guerriero Zen – moderno esempio di coraggioso “best and brightest”. Ma potrebbe essere un intellettuale guerriero più simile al Colonnello Kurz che al Capitano Willard di Apocalypse Now di Francis Ford Coppola. Ha guidato una squadra della morte d'élite in Iraq e, nonostante le sue formule di ingegneria sociale in cui Confucio si mescola alla contro-insurrezione, sembra ancora non capire i pashtun.
McChrystal continua a chiedersi incuriosito perché in Afghanistan la maggior parte dei giovani pashtun decida di diventare taliban. Perché Kabul è immensamente corrotta; perché gli americani hanno bombardato le loro case o ucciso i loro amici e i loro familiari; perché possono migliorare la loro condizione sociale. Non intendono svendersi per un pugno di dollari (svalutati). Mirano solo a cacciare via gli occupanti – e a reinstaurare l'Emirato Islamico d'Afghanistan, governato dalla sharia. In questo senso i soldati di McChrystal sono i nuovi sovietici, in nulla diversi dall'Armata Rossa che invase l'Afghanistan negli anni Ottanta.
McChrystal – con tutti i suoi discorsi sul “mettere al sicuro la popolazione” – non può in alcun modo dire agli americani la verità sui taliban. Gli afghani sanno che se non provochi i taliban i taliban non provocheranno te. Se sei un coltivatore d'oppio i taliban ti chiederanno solo una minima tassa.
Conquistare cuori e menti in stile Westmoreland, scusate, McChrystal, è un proposito perso in partenza. Non c'è niente che i soldati di McChrystal, che non parlano la lingua pashto, possano dire o fare per controbilanciare la semplice frase che i taliban dicono agli abitanti: “stiamo facendo il jihad per cacciare via gli stranieri”.
Per quanto riguarda il legame taliban/al-Qaeda, i taliban oggi semplicemente non hanno bisogno di al-Qaeda, e viceversa. Al-Qaeda è strettamente legata a gruppi pakistani, non afghani, come il Lashkar-e-Taiba. Se McChrystal vuole scovare i jihadisti di al-Qaeda deve metter su bottega a Karachi, non nell'Hindu Kush.
Nell'estate del 2009, 20.000 soldati degli Stati Uniti e della NATO, mettendo in pratica il ferreo dogma “bonificare, stabilizzare e costruire”, sono riusciti a mettere in sicurezza solo un terzo della deserta provincia di Helmand. I taliban controllano almeno 11 province dell'Afghanistan. È facile calcolare quanto ci vorrebbe per “mettere in sicurezza” le altre 10 province, per non parlare dell'intero paese fino al, be', 2050, come ha ipotizzato l'alto comando britannico. Non stupisce che Washington stia annegando nei numeri: si specula che McChrystal voglia 500.000 soldati in Afghanistan entro il 2015. Se il confuciano McChrystal non li otterrà, addio contro-insurrezione; si torna all'inferno dal cielo della guerra dei droni.
Se li dividi li controlli
Il Pentagono, come pure la NATO, non faranno mai il tifo per un Pakistan forte, stabile e davvero indipendente. Le pressioni di Washington su Islamabad non saranno mai meno che incessanti. E poi c'è il ritorno del rimosso: il terrore paralizzante del Pentagono che Islamabad possa un giorno diventare uno Stato cliente della Cina a tutti gli effetti.
I teorici dei think tank, seduti nelle loro comode poltrone di pelle, sognano effettivamente che lo Stato pakistano crolli per sempre, vittima di uno scontro all'interno dell'esercito tra punjabi e pashtun. Dunque cosa c'è in serbo per gli Stati Uniti in termini di balcanizzazione dell'AfPak? Alcune gustose prospettive, in primo luogo quella di neutralizzare l'altrettanto incessante spinta della Cina per ottenere l'accesso diretto via terra, dallo Xinjiang e attraverso il Pakistan, al Mar Arabico (passando per il porto di Gwadar, nella provincia del Balochistan).
La logica che sta alla base dell'occupazione dell'Afghanistan da parte degli Stati Uniti – mai espressa dietro la facciata della “lotta all'estremismo islamico” – è pura strategia di dominio ad ampio spettro del Pentagono: spiare meglio la Cina e la Russia da postazioni avanzate dell'impero delle basi; assestarsi nel Pipelinestan, attraverso il Trans-Afghan (TAPI) pipeline, se mai verrà costruito; e controllare il narcotraffico afghano attraverso un assortimento di signori della guerra. La Russia, l'Iran e l'Europa Orientale sono letteralmente inondate dalla cocaina a buon mercato. Non è un caso che per Mosca siano l'oppio e l'eroina il problema cruciale da sconfiggere in Afghanistan, non il fondamentalismo islamico.
Per tornare ai teorici dei think tank, loro restano incorreggibili. La scorsa settimana, in un ricevimento per l'Afghanistan sponsorizzato dalla Rand nel Russell Building di Washington, il consigliere per la sicurezza nazionale dell'ex presidente Jimmy Carter, Zbigniew Brzezinski, l'uomo che ha dato ai sovietici il loro Vietnam in Afghanistan, ha raccontato di aver consigliato l'amministrazione George W. Bush di invadere l'Afghanistan nel 2001; ma anche di aver detto all'allora capo del Pentagono, Donald Rumsfeld, che il Pentagono non doveva restare come una “forza estranea”. Proprio ciò che è ora.
Eppure Zbigniew ritiene che gli Stati Uniti non debbano lasciare l'Afghanistan; che debbano usare “tutta la [loro] influenza” per costringere la NATO a portare a termine la missione, qualunque essa sia. Non sorprende che Zbigniew non abbia potuto fare a meno di svelare la vera essenza della “missione”: il Pipelineistan, cioè costruire il TAPI con tutti i mezzi.
La Cina, l'India e la Russia possono concordare sul fatto che l'unica soluzione praticabile per l'Afghanistan debba avere carattere regionale e non venire dagli Stati Uniti, però non riescono ancora ad accordarsi su come formalizzare una proposta da presentare nell'ambito della Shanghai Cooperation Organization, l'Organizzazione di Shanghai per la Cooperazione. Li Qinggong, numero due del Consiglio cinese per la Politica di Sicurezza Nazionale, si è fatto portatore di questa proposta. Washington, e non sorprende, preferisce l'unilateralismo.
Tutto risale a una pubblicazione del 1997 della Brookings Institution scritta da Geoffrey Kemp e Robert Harkavy, Strategic Geography and the Changing Middle East, nella quale si identifica un'“ellissi energetica strategica”, con uno snodo chiave nel Caspio e un altro nel Golfo Persico, che concentra più del 70% delle riserve petrolifere globali e più del 40% delle riserve di gas naturale. Lo studio sottolineava che le risorse in queste zone di a “bassa pressione demografica” sarebbero “minacciate” dal premere dei miliardi di abitanti delle regioni povere dell'Asia Meridionale. Così il controllo degli “stan” musulmani centro-asiatici e dell'Afghanistan sarebbe un muro essenziale da opporre alla Cina e all'India.
E così lungo tutta la torre di guardia i principi della guerra stanno all'erta. Tutto ciò comporterà una balcanizzazione. È il dominio ad ampio spettro contro la griglia di sicurezza energetica asiatica. Il Pentagono sa bene che l'AfPak è un ponte strategico tra l'Iran a ovest e la Cina e l'India a est; e che l'Iran ha tutta l'energia di cui Cina e India hanno bisogno. L'ultima cosa che il dominio ad ampio spettro vuole è che il teatro AfPak subisca ulteriormente l'influenza della Russia, della Cina e dell'Iran.
Non esiste un'illustrazione più persuasiva della logica dell'Impero del Caos. Mentre lo spettacolo di McChrystal diverte il loggione, la preoccupazione di Washington è come orchestrare un progressivo accerchiamento della Russia, della Cina e dell'Iran. E il gioco non si chiama nemmeno AfPak, pur con la frammentazione e la balcanizzazione che può comportare. In ballo qui c'è il Nuovo Grande Gioco per il controllo dell'Eurasia.
La geopolitica dietro la guerra fasulla degli Stati Uniti in Afghanistan
di F. William Engdahl - http://www.voltairenet.org - 5 Novembre 2009
Traduzione di Alessandro Lattanzio per Eurasia
Uno degli aspetti più notevoli del programma presidenziale di Obama è che, in tutti gli Stati Uniti, poche persone, nei media o altrove, hanno rimesso in causa l’impegno del Pentagono nell’occupazione militare dell’Afghanistan. Ci sono due ragioni fondamentali, nessuno delle quali può essere apertamente divulgata al pubblico.
Dietro tutti gli ingannevoli dibattiti ufficiali sul numero di truppe necessarie per “vincere” la guerra in Afghanistan, se 30000 soldati sono più sufficienti o se la necessità è di almeno 200000, il vero scopo della presenza militare americana in quel paese pivot dell’Asia centrale viene oscurato.
Durante la sua campagna presidenziale del 2008, il candidato Obama ha anche detto che l’Afghanistan, non l’Iraq, è la regione dove gli Stati Uniti devono fare la guerra. La sua ragione? Perché crede che siccome è lì che Al Qaida si è radicata, lì vi è la “vera” minaccia alla sicurezza nazionale. Le ragioni del coinvolgimento degli americani in Afghanistan sono molto diverse.
L’esercito Usa occupa l’Afghanistan per due motivi: in primo luogo per ripristinare e controllare la più grande fornitura mondiale di oppio per il mercato internazionale dell’eroina; e usare la droga come arma contro i suoi avversari geopolitici, in particolare la Russia. Il controllo del mercato della droga afgano è capitale per la liquidità della mafia finanziaria, in bancarotta e depravata, di Wall Street.
La geopolitica dell’oppio afgano
Secondo un rapporto ufficiale delle Nazioni Unite, la produzione di oppio in Afghanistan è aumentata considerevolmente, dopo la caduta del regime dei taliban nel 2001. I dati dell’Ufficio sulla Droga e i Crimini delle Nazioni Unite mostrano che vi sono state più coltivazioni di papavero in ognuna delle ultime quattro stagioni di crescita (2004-2007), che in un solo anno sotto i taliban. Vi sono più terreni destinati all’oppio in Afghanistan ora, che per la coltivazione di coca in America latina. Nel 2007, il 93% del mercato globale degli oppiacei era di origine Afgana. Non è una coincidenza.
E’ stato dimostrato che Washington ha scelto con cura il controverso Hamid Karzai, un signore della guerra pashtun, della tribù Popalzai, a lungo al servizio della CIA, e appena tornato dal suo esilio negli Stati Uniti, costruito come un mito hollywoodiano, intorno alla sua “coraggiosa autorità sul suo popolo.”
Secondo fonti afgane, Hamid Karzai è oggi il “Padrino” dell’oppio afgano. Non è evidentemente un caso che egli sia stato, e sia ancora, l’uomo preferito di Washington a Kabul. Eppure, anche con l’acquisto massiccio di voti, le frodi e le intimidazioni, i giorni di Karzai come presidente potrebbe essere contati.
Molto tempo dopo che il mondo ha dimenticato il misterioso Usama bin Ladin e Al Qaida, la sua presunta organizzazione terroristica – o si chiede perfino se esistono – la seconda ragione per stabilire l’esercito americano in Afghanistan, apparirebbe come un pretesto per creare una forza di attacco militare permanente degli Stati Uniti, con una serie di basi fisse in Afghanistan.
Lo scopo di queste basi non è quello di rimuovere le cellule di Al Qaida che potrebbero essere sopravvissute nelle grotte di Tora Bora o eliminare i mitizzati “taliban” che, secondo i resoconti dei testimoni oculari, sono ora composta in gran parte da comuni cittadini afgani che lottano, ancora una volta, per liberare la loro terra degli eserciti di occupazione, come hanno fatto negli anni ‘80 contro i sovietici.
Per gli Stati Uniti, la ragione delle basi afgane è avere nel loro mirino, ed essere in grado di colpire, entrambe le nazioni che nel mondo, insieme, costituiscono oggi l’unica minaccia al loro potere supremo mondiale, la ‘America’s Full Spectrum Dominance’ (Dominio Totale degli Stati Uniti), come il Pentagono lo definisce.
La perdita del “mandato celeste”
Il problema per l’élite di Wall Street e Washington, è il fatto che ora sono impantanate nella più grave crisi finanziaria della loro storia. Questa crisi è fuor di dubbio per tutti, e tutti agiscono per la propria sopravvivenza. Le élite statunitensi hanno perso ciò che è conosciuto, nella storia imperiale cinese, come il mandato celeste.
Questo mandato era conferito a un sovrano o a una classe dirigente, a condizione che dirigessero il loro popolo con giustizia ed equità. Quando regnano tirannicamente e come despoti, opprimendo ed abusando i loro popoli, perdono il mandato celeste.
Se l’élite potente e ricca che controllava le politiche chiave, finanziarie ed estere, almeno per la maggior parte del secolo scorso, ha avuto un giorno il mandato celeste, è chiaro che l’ha perso. L’evoluzione interna verso la creazione di uno stato di polizia ingiusto, con i cittadini privati dei loro diritti costituzionali, l’esercizio arbitrario del potere da parte di non eletti, come il ministro delle Finanze Henry Paulson, e ora Tim Geithner, rubando miliardi di dollari dei contribuenti senza il loro consenso, per salvare dalla bancarotta le maggiori banche di Wall Street, banche considerate “troppo grandi per correre”, tutto ciò dimostra al mondo che hanno perso il mandato.
In questa situazione, le élites dominanti sono sempre più disperate dal mantenere il loro controllo sull’impero mondiale parassitario, erroneamente chiamato “globalizzazione” dalla loro macchina mediatica. Per mantenere il loro dominio, è essenziale che gli Stati Uniti siano in grado di interrompere ogni cooperazione economica, energetica e militare, tra le due emergenti grandi potenze dell’Eurasia, che, in teoria, potrebbero costituire una minaccia al controllo futuro dell’unica superpotenza: la Cina alleata alla Russia.
Ogni potenza eurasiatica completa il quadro dei fattori di produzione essenziali. La Cina è l’economia più forte del mondo, ha una enorme forza lavoro giovane e dinamica, e una classe media istruita. La Russia, la cui economia non s’è ripresa dalla dissoluzione catastrofica dell’era sovietica e dai saccheggi durante il cupo periodo Eltsin, ha ancora risorse importanti per l’alleanza.
Il deterrente nucleare della Russia e il suo esercito sono l’unica minaccia, nel mondo di oggi, per il dominio militare degli Stati Uniti, anche se questi sono, in gran parte, residui della Guerra Fredda. L’elite dell’esercito russo non ha mai abbandonato questo potenziale.
La Russia detiene anche i più grandi giacimenti al mondo di gas naturale ed enormi riserve di petrolio, di cui la Cina ha urgente bisogno. Queste due potenze stanno convergendo sempre più, attraverso una nuova organizzazione da esse creata nel 2001, nota come l’Organizzazione di Cooperazione di Shanghai (SCO). Oltre a Cina e Russia, la SCO comprende i più grandi paesi dell’Asia centrale, Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan e Uzbekistan.
Lo scopo presunto della guerra degli Stati Uniti, sia contro i taliban che contro Al Qaida, consiste, in realtà, nel creare un loro potere militare direttamente in Asia centrale, al centro della zona geografica dell’emergente SCO. L’Iran è una diversione. L’obiettivo principale sono la Russia e la Cina.
Ufficialmente, Washington certo dice di aver stabilito la sua presenza militare in Afghanistan dal 2002, per proteggere la “fragile” democrazia afgana. Si tratta di un argomento strano, quando si vede la realtà della sua presenza militare.
Nel dicembre del 2004, durante una visita a Kabul, il ministro della difesa Donald Rumsfeld, ha finalizzato i piani di costruzione di nove nuove basi in Afghanistan, a Helmand, Herat, Nimruz, Balkh, Khost e Paktia. Le nove si aggiungono alle tre grandi basi militari già installate dopo l’occupazione dell’Afghanistan, durante l’inverno del 2001-2002, presumibilmente per isolare ed eliminare la minaccia terroristica di Osama bin Ladin.
Il Pentagono ha costruito le sue prime tre basi negli aeroporti di Bagram, a nord di Kabul, il principale centro logistico militare; di Kandahar nel sud dell’Afghanistan e di Shindand, nella provincia occidentale di Herat. Shindand, la loro base più grande in Afghanistan, è stata costruita a soli 100 chilometri dal confine con l’Iran, ed è a distanza di tiro della Russia e della Cina.
L’Afghanistan è storicamente il cuore del Grande Gioco anglo-russo, la lotta per il controllo dell’Asia centrale, nel 19° secolo e agli inizi del 20°. La strategia britannica era quello di impedire a tutti i costi il controllo russo dell’Afghanistan, cosa che sarebbe stata una minaccia per il gioiello della corona imperiale britannica, l’India.
L’Afghanistan è ancora considerato dai pianificatori del Pentagono come altamente strategico. Costituisce una piattaforma da cui la potenza militare statunitense potrebbe minacciare direttamente la Russia, la Cina, l’Iran e gli altri paesi petroliferi del Medio Oriente. Poco è cambiato nella geopolitica, in oltre un secolo di guerre.
L’Afghanistan è in una posizione estremamente vitale, a cavallo tra l’Asia meridionale, l’Asia centrale e il Medio Oriente. L’Afghanistan si trova anche lungo il percorso proposto per l’oleodotto che va dai giacimenti petroliferi del Mar Caspio verso l’Oceano Indiano, dove le compagnie petrolifere statunitensi, Unocal, Enron e l’Halliburton di Cheney, erano in fase di negoziazione dei diritti esclusivi per il trasporto, via gasdotto, di gas naturale, dal Turkmenistan attraverso l’Afghanistan e il Pakistan, verso l’enorme centrale elettrica a gas naturale della Enron, a Dabhol, presso Mumbai (Bombay). Prima di diventare il presidente fantoccio degli Stati Uniti, Karzai era stato un lobbista per la Unocal.
Al Qaida non è una minaccia
La verità di tutto questo inganno, circa il vero scopo in Afghanistan, diventa chiaro se si esamina più da vicino la supposta minaccia di “Al Qaida”. Secondo l’autore Erik Margolis, prima degli attentati dell’11 settembre 2001, l’intelligence statunitense ha dato assistenza e sostegno sia ai taliban che ad Al Qaida. Margolis afferma che “La CIA ha previsto di utilizzare al Qaida di Usama bin Ladin, per incitare alla ribellione i musulmani Uiguri contro la dominazione cinese, e i taleban contro gli alleati della Russia in Asia centrale.”
Gli Stati Uniti hanno chiaramente trovato altri modi per spingere i musulmani Uighur contro Pechino, lo scorso luglio, grazie al loro sostegno al Congresso mondiale Uighur. Ma la “minaccia” di Al Qaida resta la spina dorsale di Obama, nel giustificare l’intensificazione della guerra in Afghanistan.
Ma ora, James Jones, il consigliere della Sicurezza Nazionale del Presidente Obama, un ex generale dei marines, ha fatto una dichiarazione convenientemente sepolta dagli amabili media statunitensi, sull’importanza di valutare il pericolo attuale rappresentato da Al Qaida in Afghanistan. Jones ha detto al Congresso, “La presenza di Al Qaida è molto ridotta. La valutazione massima è inferiore ai 100 militanti nel paese, privi di basi, senza nessuna possibilità di lanciare attacchi contro di noi o i nostri alleati”.
Ai fini pratici, questo significa che Al Qaida non esiste in Afghanistan. Diavolo…
Anche nel vicino Pakistan, i resti di Al Qaida sono difficilmente rilevabili. Il Wall Street Journal indica: “Perseguitata dai droni statunitensi, afflitta da problemi di soldi, e trovando sempre più difficile attirare i giovani arabi nelle montagne brulle del Pakistan, Al Qaida vede ridursi il proprio ruolo, lì e in Afghanistan, secondo i rapporti dell’intelligence e dei funzionari pakistani e statunitensi. Per i giovani arabi, che sono state le principali reclute di Al Qaida, “Non è romantico avere freddo, fame e nascondersi”, ha dichiarato uno degli alti funzionari degli Stati Uniti in Asia meridionale.”
Se riusciamo a capire le logiche conseguenze di questa affermazione, si deve concludere che la ragione per cui i giovani soldati tedeschi, e di altri paesi della NATO, muoiono nelle montagne dell’Afghanistan, non ha niente a che fare con “vincere una guerra contro il terrorismo”. Opportunamente, la maggior parte dei media ha scelto di ignorare il fatto che Al Qaida, nella misura in cui questa organizzazione esiste, è una creazione della CIA degli anni ‘80.
Ha reclutato e addestrato alla guerra contro le truppe russe in Afghanistan, musulmani radicali di tutto il mondo islamico, come parte della strategia sviluppata da Bill Casey, capo della CIA sotto Reagan, e di altri, per creare un “nuovo Vietnam” per l’Unione Sovietica, portando a una umiliante sconfitta dell’Armata Rossa e al crollo finale della Unione Sovietica.
James Jones, capo del Consiglio di Sicurezza Nazionale, riconosce ora che Al Qaida non ha quasi nessuno in Afghanistan.
Forse è giunto il momento per una spiegazione onesta, da parte dei nostri leader politici, circa la vera ragione dell’invio di altri giovani in Afghanistan, a morire per proteggere i raccolti di oppio.
F. William Engdahl, giornalista americano, ha pubblicato numerosi libri dedicati alle questioni energetiche e alla geopolitica. Libri recentemente pubblicati in francese: Petrolio, la guerra di un secolo: l’ordine mondiale Anglo-Americano (Jean-Cyrille Godefroy ed., 2007) e GM: i Semi della Distruzione, l’arma della fame (Jean-Cyrille Godefroy ed., 2008)..Iran, Pachistan e Baluchistan
di Gilles Bonafi - www.mondialisation.ca - 19 Ottobre 2009
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di Marina Gerenzani
Questa nostra società dello spettacolo si basa su un pilastro fondamentale: i media. Internet però ci mostra ogni giorno che quello che ci viene propinato con l'etichetta di “informazione”, non ha niente a che vedere con la realtà. È arrivato il momento di interessarsi a un caso particolare, quello dell'Iran.
Qualche giorno fa ho affermato che la guerra scoppierà tra non molto ed è importante condurre un'analisi precisa (e dalle fonti serie) degli annessi e connessi della futura terza guerra mondiale.
Innanzitutto, dovete sapere che la realtà assomiglia molto alle scatole cinesi. Infatti, dietro un “segreto”, spesso se ne nasconde un altro, molto più importante. Ecco perché capire il problema dell'Iran deve svolgersi su due assi: quello più evidente, il problema del petrolio, ma anche quello, più segreto, del nuovo ordine mondiale.
Tanto per cominciare, è importante precisare che l'Iran detiene il 10% delle riserve petrolifere mondiali attestate (si trova così al terzo posto dei fornitori), ma anche il 15% delle riserve di gas (secondo posto). Per meglio individuare il problema, vi consiglio di guardare sul mio blog il video “Réfléchir sur le 11 septembre” [Riflettere sull'11 settembre, NdT]: una conferenza di Daniele Ganser, (rinomato) storico specialista delle questioni del terrorismo e del petrolio.
Democrazia o meno, l'Iran è così condannato a passare sotto il giogo dell'impero statunitense. Per capire meglio la politica statunitense nel mondo, vi consiglio di guardare anche l'eccellente video di Omar Aktouf (sempre sul mio blog). Per individuare il problema, bisogna guardare le cartine: ho infatti messo online la mappa dell'Armed Forces Journal del giugno 2006, che non viene dalla fantasia di un illuminato (anche se...), ma bensì da una realtà che voglio qui dimostrare.
Innanzitutto bisogna sottolinearlo (sul mio blog: “Iran, l'heure est arrivée” [Iran,l'ora è giunta!, NdT]. Qui di seguito) e voi stessi lo constaterete, l'Iraq è diviso in tre regioni diverse:
- Kurdistan libero
- Iraq sunnita
- Iraq sciita
La cosa più interessante riguarda quest’ultimo, che, come potete constatare, occupa la parte occidentale dell’odierno Iran. Per capire, basta guardare la collocazione delle riserve petrolifere iraniane (cfr. la cartina qui sotto): la maggior parte di esse si trovano in questa zona. La cartina dell’Iraq sciita si sovrappone in modo incredibile a quella delle collocazioni di petrolio e gas iraniani. In questo modo, privando l’Iran delle sue ricchezze naturali, si riduce a nulla la sua volontà di potenza. Insomma, derubato e distrutto alla stesso tempo!
Ma esiste anche un altro segreto e quando ve lo svelerò capirete anche ciò che facciamo in Afghanistan. Esiste infatti il progetto di un gasdotto (oleodotto) chiamato Tap [gasdotto Trans-Adriatico, NdT] che passando per l’Afghanistan collega il Turkmenistan al Pakistan, per far passare il petrolio e il gas dal Mar Caspio all’Oceano Indiano. C’è anche il progetto di un gasdotto (oleodotto) Iran-Pakistan che passi per Gwadar. Troverete la prova di ciò che dico (una cartina) sul sito dell’Assemblé Nationale (http://www.debats-parlementaires.fr/12/rap-dian/dian99-2006.asp) o qui sotto: Progetto TAP e Baluchistan. Ecco una rinfrescata per tutti quelli che ancora pensano che parli al vento.
Come potete vedere voi stessi, questo progetto passa per il Pakistan, zona molto instabile, che ben presto diventerà completamente esplosiva. Anche in questo caso, la cartina dell’Armed Forces Journal del 2006 ci è utile. Infatti, si nota la creazione di un nuovo stato: il Baluchistan libero (Free Baluchistan). E, come “per caso”, ci sono stati numerosi attentati in questa provincia (più precisamente nella provincia iraniana del Sistan e Baluchistan).
Questi attentati, perpetrati dagli Jundollah (gruppo armato beluco sunnita), sono cominciati cinque anni fa con l’assassinio di un ufficiale dei Guardiani della Rivoluzione, ma soprattutto con il tentato omicidio di Mahmoud Ahmadinejad il 14 dicembre 2005. Il 2 febbraio 2007 hanno attaccato un autobus dei Guardiani della Rivoluzione causando 11 morti, a cui seguì l’attentato suicida contro il quartier generale dell’esercito a Zaravan il 28 maggio 2009. (“Le Point: Les Jundollah, des sunnites qui combattent Téhéran depuis 2005” ; [“Gli Jundollah, sunniti che dal 2005 combattono Teheran” NdT]).
Un articolo importante sull'argomento è inoltre consultabile a questo indirizzo: http://contreinfo.info/article.php3?id_article=569.
C'è anche l'eccellente articolo di Jean-Michel Vernochet, uno specialista delle relazioni internazionali, che dà davvero delle informazioni (cosa rara!), dal titolo “Attentato al Sistan e Baluchistan... un atto di guerra decisivo...” disponibile su http://www.geostrategie.com/.
I Beluci sono dei musulmani sunniti dal carattere anti-persiano e anti-sciita esacerbato e rappresentano i tre quarti della popolazione del Sistan e Baluchistan. La dottrina di Sun Tzu (L'arte della guerra) viene quindi qui applicata alla lettera e la divisione si fa sempre su due assi: l'asse religioso e quello etnico.
L'agenzia Stratfor, un think-tank americano specializzato negli studi strategici, ha studiato a fondo il problema, così come la società Hicks and Associates, incaricata dall'esercito americano di effettuare delle ricerche sul problema etnico della regione per poter organizzare l'indipendenza del Baluchistan. Ecco come vanno le cose!
Il Sistan e Baluchistan è la più grande regione dell'Iran (11% del paese), ma soprattutto, è la via d'accesso all'oceano Indiano con il porto di Gwadar (in Pakistan). Non bisogna dimenticare che Gwadar ha anche un aeroporto internazionale, un porto in acque profonde e un terminal petrolifero. Questa città diventerà quindi la più importante del nuovo stato e il terminal petrolifero del progetto TAP dovrà essere ribattezzato TAB (Turkmenistan, Afghanistan, Baluchistan).
Ma questi obiettivi di controllo sul petrolio del Medio Oriente nascondono un altro fine: la “regionalizzazione del mondo”. Infatti, come ho già dimostrato nell'articolo “Crisi sistematica – Le soluzioni (n°4: regioni e monete complementari)”, la costruzione del Nuovo Ordine Mondiale passa per la tappa fondamentale della distruzione delle nazioni e, quindi, il glocale (cfr. “régions et monnaies complémentaires” sul mio blog). Il mondo arabo non farà eccezione e il “ritaglio” dell'Iraq, e ben presto del Pakistan e dell'Iran, rientrano in questa strategia.
Flagrante è il divario tra l'informazione su Internet e quella dei media ufficiali. Alain Finkielkraut [opinionista molto noto in Francia. N.d.r.] può continuare a dire che internet è spazzatura, io suggerisco un'altra teoria: i media ufficiali non sono un'enorme macchina di omologazione degli spiriti?
Tutti questi uomini che si dicono liberi, non sono altro che i servi di un sistema di cui non capiscono tutte le dinamiche, sono di una vigliaccheria banale, ordinaria, del tipo che tanto divertiva de Gaulle: “In generale, le persone intelligenti non sono coraggiose e le persone coraggiose non sono intelligenti”.
Zola aveva riassunto tutto questo nel “Sua eccellenza Eugène Rougon” pubblicato nel 1876: “La stampa è il ricettacolo di tutti i fermenti nauseabondi. Fomenta le rivoluzioni, resta il focolare sempre ardente da cui partono gli incendi. Diventerà utile solo il giorno in cui si sarà riusciti a domarla e a usarne la forza come strumento del governo!”
La stampa è ormai “domata”, la Rete resiste, ma per quanto ancora?