domenica 22 novembre 2009

Update italiota

Un altro aggiornamento sulla settimana italiota appena trascorsa.







I garantisti dalla doppia morale
di Massimo Fini - www.massimofini.it - 20 Novembre 2009

Sancire attraverso il frettoloso diktat di un disegno di legge che il processo penale non possa durare più di sei anni è pura follia.

Per centrare un simile obbiettivo occorre una riforma organica che comporta uno studio approfondito (per sostituire il vecchio Codice di procedura penale uno stuolo di giuristi, capitanati da Gian Domenico Pisapia, ci lavorò per due lustri), perché non si tratta semplicemente di dare maggiori risorse finanziarie all'ordine giudiziario, di organizzare meglio gli uffici, di informatizzarli, ma è essenziale snellire e smagrire drasticamente il processo che attualmente prevede possibilità pressoché infinite di ricorsi, di controricorsi, di impugnazioni, di eccezioni, di rinvii, di incompetenze (per territorio, materia, funzione), molto spesso di valore puramente formale, il tutto spalmato su tre gradi di giudizio dove anche l'ultimo, quello della Cassazione, che dovrebbe limitarsi a un mero controllo di legalità, è diventato anch'esso, attraverso il grimaldello della coerenza della motivazione col dispositivo, un giudizio di merito.
Tutti gli altri Paesi hanno un solo grado di merito. Noi, in pratica, ne abbiamo tre.

La presunzione di innocenza dovrebbe fermarsi al primo grado, o quantomeno al secondo, per diventare poi una più ragionevole presunzione di colpevolezza, altrimenti il sacrosanto principio della presunzione di innocenza "fino a condanna definitiva" si trasforma, come è avvenuto tante volte in questi anni attraverso la prescrizione, in una sostanziale impunità.

Senza questo repulisti preventivo non si avrà il "processo breve", si avrà un processo che non potrà mai arrivare a definizione, un processo nullo senza per questo essere inesistente perché comporterà un dispendio enorme e inutile di energie, economiche e personali.

Scardinare, in nome del "processo breve", un intero impianto penale, senza aver prima apprestato le misure necessarie a renderlo tale, per le esigenze di una sola persona che, in contrasto col principio di uguaglianza di tutti i cittadini davanti alla legge, pretende di sottrarsi ai processi che lo riguardano, raddoppia questa follia. Il disegno di legge è infatti tagliato su misura per i reati imputati a Berlusconi.

Così reati gravi e gravissimi come la corruzione, la frode fiscale, gli omicidi colposi dei medici, l'aggiottaggio, le truffe ai servizi sanitari e, naturalmente, la corruzione in atti giudiziari, (che è al centro del processo per cui è stato condannato Mills) cadranno sotto la mannaia dell'impossibilità pratica di esaurirli in sei anni. Mentre per il borseggio su un autobus, per una truffa di pochi euro sul "gratta e sosta", per il reato contravvenzionale di immigrazione clandestina, si potrà andare avanti a oltranza.

Ma in realtà il disegno di legge sul "processo breve" non fa che accentuare, e rendere per così dire ufficiale, una tendenza in atto da quindici anni, da quando, dopo la bufera di Mani Pulite, ebbe inizio la Restaurazione.

La tendenza cioè a instaurare in Italia un doppio diritto penale: uno per i reati da strada, che sono quelli commessi dai poveracci, e un altro per i reati finanziari, per la corruzione, per la concussione, che sono quelli commessi dai politici e dai "colletti bianchi".

Per questo secondo tipo di reati, il cui accertamento è già di per sé molto complesso, si è inzeppato il Codice di un tale numero di norme cosiddette "garantiste" da rendere il processo ancora più lungo di quanto lo sia normalmente in modo da essere pressoché certi di arrivare alla prescrizione i cui termini sono già stati dimezzati dalla legge detta "ex Cirielli".

In pratica si è garantita a "lorsignori" l'impunità. Per i reati da strada invece non solo le pene si sono fatte sempre più dure ma queste facce da culo del centrodestra, così "garantiste" con i "colletti bianchi", pretendono che gli autori vadano in galera subito, prima del processo, attraverso la carcerazione preventiva.

Dimenticando disinvoltamente, i "garantisti" dalla doppia morale, che la carcerazione preventiva, proprio in base al principio della presunzione di innocenza, non è un anticipo di pena, ma può essere disposta solo in presenza di precise esigenze: 1)Pericolo di fuga; 2) Pericolo di reiterazione del reato; 3) Pericolo di inquinamento delle prove.

Questa disparità di trattamento viene giustificata col fatto che i reati da strada creano un particolare "allarme sociale".
Ma qui bisogna intendersi sul concetto di "allarme sociale". Lo scippo a una vecchietta è certamente odioso e crea "allarme sociale". Ma una bancarotta può mettere sul lastrico cento vecchiette.

La vera differenza è che i reati da strada sono solo più evidenti, mentre quelli dei "colletti bianchi" sono più nascosti, più subdoli e anche più facili e più vili, ma non sono per questo meno gravi, anzi spesso lo sono di più anche perché, essendo sistematici, inquinano e corrodono la legalità di un intero Paese.

In realtà questa doppia legislazione che si sta affermando in Italia, che si è anzi già affermata anche se il progetto del "processo breve" non andasse in porto, non ha giustificazione né legittimazione alcuna. È solo la vecchia, cara, infame giustizia di classe.



Il vaso di Pandora
di Mariavittoria Orsolato - Altrenotizie - 22 Novembre 2009

Pesano sempre di più le rivelazioni che il pentito Gaspare Spatuzza comincia a fornire sulla famigerata trattativa tra mafia e Stato. In estate aveva rivelato nuovi particolari sulla strage di via D’Amelio e ora dice chiaro e tondo che Berlusconi e il suo amico Marcello Dell’Utri hanno avuto un ruolo chiave nella transizione politica dalla prima alla seconda Repubblica: “In un primo momento hanno fatto fare le stragi a Cosa nostra, e poi si volevano accreditare all’esterno come coloro che erano stati in grado di farle cessare”.

Parole che risalgono al 18 giugno scorso ma che arrivano ora come un fulmine a ciel sereno e per molti significano la conferma di diversi fatti incongrui e repentini, che hanno avuto luogo a cavallo degli anni 1992 e 1994. Alla fine del 1993 - è cosa nota - Berlusconi aveva debiti per circa 7.000 miliardi di lire e, sebbene continui a vaneggiare sul fatto di essersi fatto da solo, i soldi qualcuno glieli doveva aver pure prestati. Secondo “L’odore dei soldi”, il libro scandalo di Travaglio e Veltri del 2001, l’origine delle fortune finanziarie del biscione sta proprio in Sicilia e nei contatti che l’amico Marcello ha gelosamente cullato, in attesa degli inevitabili tempi bui che avrebbero coinvolto lui e l’indispensabile Silvio.

Spatuzza sembra individuare nei contatti del duo milanese i suoi capi, i fratelli Giuseppe e Filippo Graviano: “Ritengo di poter escludere categoricamente - spiega l’ex uomo d’onore - conoscendoli assai bene, che i Graviano si siano mossi nei confronti di Berlusconi e Dell’Utri attraverso altre persone. Non prendo in considerazione la possibilità che Graviano abbia stretto un patto politico con costoro senza averne personalmente parlato”.

Dell’Utri per i due boss era un “paesano” e la sua amicizia con il popolare imprenditore brianzolo avrebbe potuto portare quei risultati che i socialisti di compagine craxiana avevano promesso ma non mantenuto: i punti erano quelli citati nel famoso papello custodito (e forse anche redatto) dal sindaco palermitano Vito Ciancimino, ovvero abolizione del 41bis, revisione delle sentenze del maxi-processo, riforma della legge sui pentiti e chiusura delle super-carceri.

Che il patto sia andato in porto non ci è dato sapere, ma è un’evidenza storica che il partito della discesa in campo di Berlusconi ebbe una gestazione fulminea: in soli 4 mesi Dell’Utri costruì Forza Italia e la portò a governare il Paese. Secondo un altro collaboratore di giustizia ritenuto attendibile - quell’Antonino Giuffrè che già lo aveva inchiodato nel processo che lo ha poi visto condannato in primo grado a 9 anni per concorso esterno in associazione mafiosa - Marcello dell’Utri organizzò infatti il nuovo partito, in adempimento ad un patto stretto a distanza con Bernardo Provenzano.

Convinti che l’asse Milano-Palermo non fosse solo una serie di sfortunate coincidenze, i magistrati di Caltanisetta e Firenze hanno deciso di riaprire indagini già archiviate e di ripercorrere la pista - aperta fra gli altri proprio da Falcone e Borsellino - secondo cui Cosa Nostra ha cercato ed ha trovato una nuova forza politica in grado di accogliere e perpetrare le proprie istanze: nel caso in cui le accuse di Spatuzza venissero confermate, il Presidente del Consiglio verrebbe incriminato per concorso esterno in associazione mafiosa, mentre per l’amico Marcello l’accusa già confermata di connivenza con Cosa Nostra si trasformerebbe in concorso in strage aggravato da finalità mafiose e terrorismo.

Sulla credibilità del collaboratore di giustizia si è gia scatenata la polemica. Se per Dell’Utri le parole di Spatuzza sono “tutte grandi cazzate di cui, per fortuna, riesco ancora a ridere”, per Luigi Li Gotti - senatore dell'Italia dei Valori, componente della commissione antimafia nonché ex avvocato di alcuni pentiti di mafia - le affermazioni dell’ex uomo d’onore sono attendibili: “I siciliani definiscono chi inventa un tragediatore e non lo stimano. Chi racconta le cose giuste, anche se fanno male, é comunque un uomo da rispettare”, parlando in relazione al confronto che Spatuzza e il più giovane dei Graviano hanno avuto lo scorso 14 settembre, e che ha visto i due destreggiarsi a suon di buone maniere, circostanza decisamente insolita per un rendez-vous tra ex picciotti.

I tempi dei processi si attendono come al solito molto lunghi, perciò tirare le somme ora di quello che potrebbe essere il più grande vaso di Pandora mai scoperchiato nella penisola potrebbe essere (anzi è) sicuramente azzardato. Leggere però quelli che ormai sono fatti agli atti della magistratura non guasta: oggi sappiamo che già nel gennaio del 1994 Giuseppe Graviano esultava di fronte alla prospettiva di aver trovato un importante aggancio politico in Berlusconi, dicendo di essersi messo “il Paese nelle mani”. Il 18 gennaio 1994 nasce Forza Italia, le stragi finiscono e Cosa Nostra diventa stranamente silenziosa.

Sarebbe facile, alla luce delle ultime rivelazioni e ripercorrendo quanto avvenuto negli ultimi quindici anni, giungere a conclusioni che qualcuno, dalle colonne dei giornali, si affretterebbe a definire “complottosmi”, “dietrologie” o persino “fantapolitica”; ma il timore che la fantascienza superi di gran lunga la realtà si fa, ahinoi, sempre più concreto.


Nuove prove al processo Dell'Utri
di Monica Centofante - www.antimafiaduemila.com - 22 Novembre 2009

Spatuzza: Graviano parlava direttamente con Berlusconi e Dell’Utri

Negli anni bui delle bombe Silvio Berlusconi e Marcello Dell’Utri si sarebbero incontrati direttamente con il boss stragista di Brancaccio Giuseppe Graviano.

Gaspare Spatuzza, l’ultimo grande pentito di Cosa Nostra, non ha alcun dubbio: “Ritengo di poter escludere categoricamente, conoscendoli assai bene, che i Graviano si siano mossi nei confronti di Berlusconi e Dell’Utri attraverso altre persone. Non prendo in considerazione la possibilità che Graviano abbia stretto un patto politico con costoro senza averci personalmente parlato”.

E di fronte all’insistenza dei pm sulla possibilità che il rapporto potesse essere in qualche modo mediato Spatuzza è ancora più categorico: “No, no! Non esiste! Non trattano con le mezze carte. Hanno avuto sempre nella vita i contatti diretti”.

Le dichiarazioni rese dal collaboratore di giustizia ai magistrati di Firenze che indagano sulle stragi mafiose del ’93 aggiungono ulteriori tasselli al quadro che chiama in causa il Presidente del Consiglio e il senatore Dell’Utri. L’uomo che Graviano, prosegue Spatuzza, chiamava “un paesano”, quindi “qualcosa di più di Berlusconi… Paesano lo posso considerare come una persona vicinissima a noi”.

Sono scottanti i documenti della procura fiorentina che ieri hanno fatto capolino al processo d’appello per concorso esterno in associazione mafiosa contro il senatore del Pdl, a Palermo (condannato in primo grado a nove anni di reclusione). Quando il procuratore generale Antonino Gatto ha chiesto l’acquisizione di due corposi faldoni contenenti gli interrogatori di Spatuzza, ma anche di Cosimo Lo Nigro, Pietro Romeo, Ciaramitaro, Filippo e Giuseppe Graviano, nonché un confronto fra quest’ultimo e lo stesso Spatuzza. Oltre a diverse relazioni redatte dalla Dia di Roma e Firenze fra il 2008 e il 2009.

L’audizione di Spatuzza risale al 18 giugno scorso, quando il pentito racconta ai magistrati dell’incontro a due avvenuto nel gennaio del 1994 al bar Doney di via Veneto, a Roma, con un esultante Giuseppe Graviano. Che in quell’occasione avrebbe assicurato come grazie a Berlusconi e Dell’Utri “avevamo ottenuto quello che cercavamo”: “ci siamo messi il Paese nelle mani”. Graviano, insolitamente euforico, aveva inneggiato alla “serietà di queste persone”, altra cosa rispetto a questi “crasti dei socialisti”. E dal momento che “io non conoscevo Berlusconi – continua Spatuzza – chiesi se era quello di Canale 5 e Graviano mi disse sì”.

Erano gli anni delle stragi e a Roma i boss stavano pianificando l’ultimo grande attentato allo stadio Olimpico, fallito soltanto per un guasto al telecomando. L’obiettivo lo aveva scelto lo stesso Spatuzza, all’epoca braccio destro dei Graviano e per questo in grado di rivelare ai magistrati particolari fino ad ora sconosciuti. “Non posso sapere – spiega il pentito ai pm fiorentini – quale fosse il proposito che Berlusconi e Dell’Utri avessero in mente stringendo questo patto. La mia esperienza di queste vicende, ma è una mia deduzione, è che costoro che in un primo momento hanno fatto fare le stragi a Cosa Nostra, si volevano poi accreditare all’esterno come coloro che erano stati in grado di farle cessare. E quando poi li vedo scendere in politica, partecipando alle elezioni e vincendole, capisco che sono loro direttamente quelli su cui noi abbiamo puntato tutto”.

Accuse pesanti, che il pentito potrà approfondire il prossimo 4 dicembre, quando sarà interrogato, a Torino, nell’ambito del processo contro il senatore Dell’Utri. E che in parte sono state confermate dal collaboratore di giustizia Salvatore Grigoli, che lo scorso 5 novembre, risentito dalla procura di Palermo, avrebbe affermato, tra le altre cose, che “i Graviano avevano un canale diretto con Dell’Utri”. Motivo per cui il pg Gatto ha già chiesto alla Corte che il Grigoli possa essere chiamato a testimoniare.

Nel frattempo a destare grande interesse sono però i contenuti dei confronti già realizzati a Firenze tra lo Spatuzza e i fratelli Filippo e Giuseppe Graviano. Niente attacchi, niente accuse di infamità da parte dei capimafia nei confronti del pentito, ma solo parole di profonda amicizia e rispetto. Un atteggiamento inedito e ancora tutto da decifrare dei boss di Cosa Nostra.

E se a “Giuseppe”, Spatuzza avrebbe soltanto chiesto di passare dalla parte della Giustizia, sentendosi rispondere: “Non ho niente da dire”, con “Filippo” il dialogo sarebbe stato più articolato. Quest’ultimo, infatti, avrebbe ammesso di aver intrapreso negli ultimi dieci anni un non meglio specificato “cammino di legalità” e a Spatuzza avrebbe detto: “Io non ho nulla contro la tua scelta, è bene che tu lo sappia. Tu hai fatto una scelta, va bene anche per me. Ora, quello che io ti dico, il nostro discorso, almeno inizialmente, non era un discorso opportunistico per ottenere qualcosa dallo Stato. Ma era per migliorare noi stessi e per dare un futuro ai nostri figli”.

Il confronto era stato disposto dai pm di Firenze per cercare una conferma di quel colloquio avvenuto tra i due nel carcere di Tolmezzo, durante il quale Graviano a Spatuzza avrebbe detto: “E’ bene far sapere a mio fratello Giuseppe che, se non arriva niente da dove deve arrivare qualcosa, è bene che anche noi cominciamo a parlare con i magistrati”. Parole che Graviano oggi nega: dalla politica, dice, “io non mi aspetto nulla”.

Ammettendo però che in carcere di “dissociazione” e di un’ipotetica “vita di legalità” avevano effettivamente parlato. Poi, tra una serie di continui “mi dispiace dovermi trovare in contraddizione con te”, “ti auguro tutto il bene del mondo, non ho niente contro le tue scelte. Sono contento che tu abbia ritrovato la pace interiore”, e “non ho nulla contro di te, né contro la tua collaborazione”, il boss lancia un ulteriore messaggio: “Non ti dico che stai mentendo, ti dico che io le cose non le ho dette”. E già in molti si chiedono se il prossimo pentito eccellente potrebbe essere proprio lui.


Il silenzio di Brenda

di Rosa Ana De Santis - Altrenotizie - 21 Novembre 2009

Al numero 180 di Via Due Ponti, nel seminterrato dove viveva, é stato trovato il corpo carbonizzato di Brenda, il trans brasiliano coinvolto nel caso Marrazzo. A riconoscere quel corpo supino, con il volto girato a sinistra, è un’amica. Nella stanza invasa dal fumo, oltre alla bottiglia di whisky, ci sono le valigie pronte per l’imminente partenza. Brenda voleva andar via. Ritornare in Brasile, fuggire da una situazione di pericolo e d’insidie.

I suoi amici la descrivono, nell’ultimo mese, depressa e angosciata. Spaventata. Non era passato molto tempo dall’aggressione che agli inizi di novembre l’aveva portata in ospedale. Gli era stato sottratto il cellulare. Una persecuzione contro il trans che aveva qualcosa da raccontare. Qualcosa che non riguardava più soltanto Marrazzo, ormai sconfitto, umiliato e fuori di scena.

Lo scandalo del sesso che ha travolto l’ex Governatore della Regione Lazio non è chiuso ed è proprio la morte di Brenda a confermarlo. S’ipotizza l’omicidio volontario. Le valigie pronte e le aggressioni subite negli ultimi tempi sono più che il sospetto di una condanna a morte. Brenda era scomoda per quello che sapeva e che taceva.

Era stata sentita il 2 novembre scorso dal PM sul quel secondo video hard che la filmava insieme a Marrazzo. Quando scoppia il caso, Natalie e Brenda, le due trans del governatore, si rincorrono nelle reciproche accuse. E’ Natalie la vera protagonista, Brenda si tiene in disparte, ma è proprio Marrazzo a confessare di aver avuto almeno due incontri sessuali con lei.

Brenda, la mora, è una forte dell’ambiente. Affatto sentimentale, è una che gestisce bene gli affari e il suo giro. Natalie alla stampa la descrive così. Conosce bene, guarda caso, proprio Gianguarino Cafasso, il pregiudicato romano, architetto di tutto il ricatto dei video e delle foto che ha coinvolto i carabinieri, questa volta comode “mele marce” per qualcuno, morto a settembre anche lui in circostanze ancora da chiarire. Un’altra coincidenza davvero misteriosa. Il mondo dei viados brasiliani custodisce segreti. Bollenti e pericolosi. Liste “secretate” di nomi che scottano.

La Brenda terrorizzata degli ultimi giorni è una disperata inghiottita in un giro troppo grande, nell’industria del ricatto, in dossier comandati dall’alto. Ben altro e più in alto dei nomi lanciati al gossip dalla collega Natalie che aveva accennato a un esponente di primo piano della destra. A calciatori, a uomini e coppie di spettacolo.

Il caso Marrazzo, che davanti al Paese doveva risarcire la dignità ferita del premier dagli scandali delle giovani escort di Palazzo Grazioli, è diventato qualcosa di più. Una minaccia difficile da arginare e da archiviare per tanti nomi illustri. Politica e partiti. Potere intoccabile, potere sacro. Non bastava immergere il suo pc nell’acqua, non bastava spaventare con le aggressioni. A Brenda bisognava impedire di parlare.

Al mistero della morte si unisce la responsabilità di chi non l’ha protetta, soprattutto a fronte degli ultimi episodi violenti che l’avevano riguardata. Una volta tolto di mezzo Marrazzo, Brenda diventava più un pericolo che un testimone da tutelare? Dietro i seni gonfi e pompati di estrogeni, dietro le voci maschili camuffate dai rossetti scarlatti non c’è solo il capriccio e il vezzo di un uomo che compra sesso trasgressivo. Dietro questi corpi plastificati, turgidi e in vendita si è mosso in blocco tutto il potere. In una escalation di mosse e reazioni.

Il governo con Berlusconi che prova a salvare Marrazzo vincolandolo alla sudditanza di un segreto ingombrante, le cliniche di Angelucci da preservare, la stampa dell’impero mediatico del premier che rimpalla le foto di scrivanie in scrivanie, l’Arma dei Carabinieri e le sue mele marce, i pappa e i ricattatori che conoscono clienti e prostitute. Ponti di contatto tra chi compra e chi vende. Servizi segreti e liste di nomi sotto lucchetto.

La scenografia di una morte plateale, che sembra strappata alla trama di un classico romanzo giallo, richiama alla memoria di questo Paese quasi un’uccisione in perfetto stile mafioso che poco sembra coerente con la tesi del gruppetto dei romeni violenti o di qualche spacciatore occasionale. Il mandante va cercato più in alto, lassù. Brenda non scompare, di lei non si perdono le tracce. La sua è stata un’esecuzione per dare un messaggio a tutte. Tacere.

La bionda Natalie dice di non avere idea di come sia morta e di cosa sia accaduto. Dice che a lei importa solo di sé. Insomma ha paura di pronunciare anche solo una parola. Le amiche di Brenda, quelle che battono nelle celle dove abitano, hanno paura. Qualche esponente dell’opposizione chiede che almeno Natalie sia protetta. Chissà cosa pensa Piero Marrazzo. Forse che qualcuno, ben più in alto e ben più protetto di lui, non finirà alla gogna mediatica e non pagherà. Tanto Brenda ormai non parla più.


Il trans-atlantico della trans-politica

di Nicoletta Forchieri - www.stampalibera.com - 20 Novembre 2009

Il corpo del transessuale Brenda, coinvolta nella vicenda di Piero Marrazzo, è stato trovato carbonizzato a Roma. La trans era all’interno di un appartamento in via Due Ponti. Sul posto gli agenti della polizia scientifica della questura di Roma (Ansa, 20 novembre 2009)

La trans politica, quella del comitato trans-versale di fratellanza trans-atlantica, ricatta i politici in modo sistemico; non importa il colore, per la trans-politica – categoria che ha cambiato genere – solo importano le transazioni finanziarie, su cui vigila. Laddove le pedine non oliano, la trans-politica sguinzaglia i suoi sbirri.

Marrazzo non era l’unico ad andare a trans eppure è lui che è stato ricattato. Le ipotesi sono due: potrebbe essere stato preso di mira personalmente per alcune sue politiche, oppure la vicenda potrebbe essere interpretata come uno dei tanti avvertimenti mafiobancari al governo trasversale compreso il governo “ombra” del partito di Marrazzo (PD), per questioni ben più macro.

Più di un dettaglio di tutta la faccenda – adesso che è stato fatto fuori il trans Brenda – dovrebbe aprirci gli occhi, come in un flash, su quanto sia incantato il disco del dopo guerra italiano, un incanto che se evidenziato dovrebbe sortire l’effetto di disincantarci. E magari cambiare disco.

Innanzitutto il luogo del blitz dei carabinieri: Via Gradoli 96 (1), è forse un caso se si tratta proprio del civico della via del covo delle BR al momento del rapimento Moro, ed è un caso se già da allora l’immobile ospita diversi appartamenti gestiti da società facenti capo ai servizi segreti – deviati?

Poi il modo: i carabinieri, è un caso se fanno irruzione in una casa privata di un trans avendo già l’informazione riservata dello scoop, per ricattare ed eventualmente defenestrare politicamente quel politico? E se, pur di ricattarlo, i carabinieri compiono un reato palese e sfrontato, quello della violazione dell’habeas corpus, come avessero le spalle coperte?

Se avessero voluto agire per rendiconto personale, non avrebbero avuto a disposizione tante altre occasioni senza dovere rischiare l’arresto?

Poi, guarda caso, c’era già stato un altro morto, la pedina più importante della partita, Gianguarino Cafasso, l’informatore dei carabinieri che secondo i militari avrebbe girato il filmino di Marrazzo con il trans, e che sarebbe morto di overdose ai primi di settembre, in tempo utile per iniziare un processo nella migliore tradizione italiana dei depistaggi dei nostri principali “misteri”.

E infatti la versione dei militari contraddice quella dell’avvocato di Cafasso che afferma il 29 ottobre scorso che il suo cliente gli disse che “quel video gli era stato dato dai carabinieri e che il suo compito era quello di commercializzarlo”. A chi? Al quotidiano degli Angelucci, deputato membro della commissione Finanza della Camera. Ed è davvero un infelice caso che adesso lui non sia più con noi per raccontarci esattamente come siano andate le cose, a chi avrebbe venduto il filmino, e chi altri avrebbe potuto esercitare pressioni politico-finanziarie

Ora, una coincidenza è una coincidenza, due coincidenze sono un indizio, tre coincidenze rassomigliano a una prova. Ma la prova di cosa, di quale motivazione e per chi?

Sicuramente, l’affaire ruota attorno ai soldi, non quelli del ricatto a Marrazzo, né quelli dati alle trans – sia pur scandalosamente soldi nostri – ma soldi grossi, rendite. Politiche attorno ai soldi-rendite. Come tutto il resto d’altronde.

Allora, ammettendo la prima ipotesi, Marrazzo preso di mira personalmente, spunta tra gli altri un articolo di Repubblica che parla delle grosse rendite della famiglia Angelucci, a capo del gruppo Tosinvest, proprietario de Il Riformista e di Libero, oltre a dodici cliniche private nel Lazio, cui il governatore Marrazzo avrebbe negato ben trenta milioni di euro di finanziamenti (su 85 milioni) in seguito agli arresti domiciliari (2) il 3 febbraio scorso, di Giampaolo Angelucci – il padre Antonio deputato Pdl era scampato all’arresto grazie all’immunità e alla votazione omertosa dei suoi colleghi onorevoli – con l’accusa di associazione a delinquere per truffe al servizio sanitario per 170 milioni di euro tra il 2005 e il 2007.

Su Giampaolo Angelucci, pende anche dal 12 ottobre scorso, la richiesta di processo per finanziamento illecito nel 2005 della lista di Fitto (500000 euro) “La Puglia prima di tutto” – poi diventato deputato di FI – in cambio di appalti sanitari in monopolio di 198 milioni di euro per la gestione di undici residenze sanitarie in Puglia.

Gli Angelucci, acquirenti della Roma, la famiglia fidata cliente di Unicredit, che hanno citato il giornale Repubblica per l’articolo che ipotizzava la connessione Sanità…

Marrazzo, però, ha sicuramente dato fastidio soprattutto per avere iniziato un esperimento inedito in Italia, quello del reddito minimo garantito (3), cui aveva destinato un fondo di 135 milioni nel triennio 2009-2011. Probabilmente per reperire i fondi dovette tagliare alcune voci, come appunto quelle della sanità.

Il 4 marzo 2009, infatti, il Consiglio regionale del Lazio approvava la legge “L’istituzione del reddito minimo garantito. Sostegno al reddito per disoccupati, inoccupati e precari”, una misura inedita in Italia, sperimentale, che prevede l’erogazione di una somma fino a 7000 euro l’anno (pari a 580 euro mensili) ai disoccupati, i suboccupati e i precari, residenti nel Lazio.

Tale reddito può essere integrato dai comuni con prestazioni gratuite (mezzi pubblici locali, libri di testo scolastici, sport e attività culturali ecc) e agevolazioni per i canoni di locazione. I requisiti? Un reddito inferiore agli 8000 euro annui, una fascia di età compresa tra i 30 e i 40 anni e basta. La condizione dei 24 mesi di iscrizione nelle liste dei disoccupati, aumenta solo i punteggi ma non costituisce una condizione obbligatoria.

Il regolamento attuativo della legge è stato pubblicato il 27 giugno 2009 e lui Marrazzo, è stato “filmato” dal trans ai primi di luglio. Ma è solo un caso.

Marrazzo aveva anche varato un programma casa decennale (2009-2018) molto ambizioso, ad agosto, con 635 milioni di euro oltre a risorse per l’edilizia agevolata (+97 milioni di euro) e per l’emergenza abitativa a Roma (+62,5 milioni), agevolazioni per l’acquisto di case da 150000 euro, con un voucher da 15000 euro messo a disposizione dalla regione, e rate/canoni da 500-550 euro.

Nella relazione sul reddito minimo garantito, si evidenzia come l’Italia e la Grecia siano gli unici paesi senza un reddito minimo garantito, contrariamente al “revenu minimum d’insertion” francese, al “sozialhilfe” austriaco, al “minimex” belga o al “Beistand” olandese, fino ai modelli scandinavi e anglosassoni, e persino alla recente “renta basica” spagnola istituita in diverse regioni; aveva destinato 135 milioni nel triennio 2009-2011 (per il reddito minimo garantito) sicuramente togliendoli da altre voci, e soprattutto affermava frasi come: “Non venderemo i beni della Regione”. (4)

Sarà un caso ma anche Sarah Palin (5), governatrice dell’Alaska subì un avvertimento-ricatto con un video a sfondo sessuale girato da una sosia in allegra compagnia di un collega del marito, ricatto cui lei non cedette. Lei aveva tutelato un fondo sovrano dell’Alaska, che distribuisce un reddito di cittadinanza ricavato dagli introiti degli investimenti petroliferi del paese, e che nel 2005 è ammontato a un assegno di 845,76 dollari per ogni residente alaskese idoneo, compresi i bambini. In 24 anni di storia del fondo, sono stati erogati un totale di 24775,45 dollari a ogni residente. (6)

Ora questo ricatto sessuale, come non collegarlo anche a tutti i ricatti a sfondo sessuale tentati – e non riusciti – a Berlusconi e come non connetterli a quella mentalità predominante dei banchieri anglosassoniamericani, che se fossero visitati da psichiatri sani di mente verrebbero immediatamente rinchiusi per turbe psichiche gravi, come la credenza di agire su mandato divino (7) (cfr. Blankfein di Goldman Sachs: “facciamo il lavoro di Dio”) o tutte le altre perversioni sessuali provenienti da certa repressione puritana.

La vicenda Marrazzo è avvenuta contestualmente ai casi ripetuti di “deviazione” e di “sbandamento” delle forze dell’ordine nel giro di poco tempo. Tutti hanno anche in mente l’atroce fine di Stefano Cucchi, ucciso dai maltrattamenti delle forze dell’ordine, dopo essere stato detenuto per piccole quantità di canapa, non dopo avergli presumibilmente prelevato gli organi per l’espianto/trapianto, a pochi giorni di distanza. Ma tutti avranno anche pensato che la brigatista trovata morta suicida proprio a qualche giorno da una sua udienza dove doveva testimoniare, è anch’essa troppo coincidente.

Brenda testimone scomoda degli altarini dei ricatti della lobby finanziaria ai politici, fatta sparire, così come a sua volta sparì opportunatamente la trans al centro dello scandalo di Lapo Elkann: silenzio generale, nessuna o quasi notizia sul net (8). La solita manina invisibile che nasconde le tracce di un delitto degli Invisibili o che ci annega nei dettagli di apposite distrazioni di massa.

La manina invisibile del transatlantico della trans-politica. Quella che ha cambiato genere e che pecca ogni giorno contro natura.

Note:

  1. http://eftorsello.wordpress.com/2009/10/25/caso-marrazzo-via-gradoli-96-il-passato-che-ritorna/ http://date.it.sourcews.com/9-27-4

  2. http://video.google.it/videosearch?q=angelucci+arresti+domiciliari&oe=utf-8&rls=org.mozilla:it:official&client=firefox-a&um=1&ie=UTF-8&ei=oyvuStWPI5eQsAbMocDkCA&sa=X&oi=video_result_group&ct=title&resnum=4&ved=0CBYQqwQwAw#q=angelucci+arresti+domiciliari&oe=utf-8&rls=org.mozilla%3Ait%3Aofficial&client=firefox-a&um=1&ie=UTF-8&ei=oyvuStWPI5eQsAbMocDkCA&sa=X&oi=video_result_group&ct=title&resnum=4&ved=0CBYQqwQwAw&qvid=angelucci+arresti+domiciliari&vid=-5915554568773190772

  3. http://www.portalavoro.regione.lazio.it/portalavoro/sezione/?id=Le-procedure-per-il-2009_57

  4. http://www.portalavoro.regione.lazio.it/binary/prtl_assessoratolavoro/tbl_contenuti_sezione/relazione_legge_reddito_garantito.pdf

  5. http://www.starlettime.com/shock/sarah-palin-in-un-film-porno-ma-e-solo-la-sosia/

  6. Il Fondo permanente dell’Alaska è stato istituito per Costituzione ed è gestito da una società dell’Alaska dal 1976, grazie all’iniziativa dell’allora Governatore Jay Hammond. Quando il petrolio di North Slope, Alaska, cominciò a essere commercializzato attraverso il sistema di oleodotti TransAlaska, venne creato il Fondo permanente per emendamento alla Costituzione del paese per essere destinato a investimenti di minimo il 25% degli introiti delle royalties di petrolio e gas. Il Fondo non include tasse sugli immobili delle compagnie petrolifere né tasse sul reddito delle stesse, cosicché il deposito del 25% è più vicino all’11%. Il Fondo permanente accantona una certa quota di redditi petroliferi per poterle distribuire alle generazioni presenti e future di Alaskesi. Molti Alaskesi pensano che sia un fondo permanente di dividendi, in contrasto con gli intenti degli inizi. Il sostegno al programma di distribuzione dividendi è talmente unanime e forte da garantire una continuità e la tutela del capitale principale del Fondo poiché qulasiasi misura che influisca negativamente sulle distribuzioni dei dividendi è una perdita per tutta la popolazione. I legislatori che desiderino appropriarsi dei redditi annui del Fondo sono vincolati dalla natura politicamente suicida di qualsiasi riduzione dei dividendi pubblici. Lo Stato di Alaska distribuisce quindi una forma di dividendo cittadino dal Fondo che impiega investimenti inizialmente alimentati dal reddito di stato proveniente dale risorse mierariae in particolare il petrolio. Nel 2005 ogni residente alaskese idonei (compresi i bambini) ha ricevuto un assegno di $845.76. Nella storia di 24 anni del fondo ha pagato in totale $24,775.45 ad ogni residente. “

7. http://www.huffingtonpost.com/jeff-danziger/blankfein-gods-work_b_355035.html http://blogs.wsj.com/marketbeat/2009/11/09/goldman-sachs-blankfein-on-banking-doing-gods-work/

8. http://magazine.excite.it/ricerche/patrizia-morta-trans-patrizia-lapo-elkann



Acqua privatizzata: "Maledetti voi...!"
di Alex Zanotelli - peacelink.it - 22 Novembre 2009

Non posso usare altra espressione per coloro che hanno votato per la privatizzazione dell'acqua, che quella usata da Gesù nel Vangelo di Luca, nei confronti dei ricchi : "Maledetti voi ricchi....!"

Maledetti coloro che hanno votato per la mercificazione dell'acqua.

Noi continueremo a gridare che l'acqua è vita, l'acqua è sacra, l'acqua è diritto fondamentale umano.

E' la più clamorosa sconfitta della politica. E' la stravittoria dei potentati economico-finanziari, delle lobby internazionali. E' la vittoria della politica delle privatizzazioni, degli affari, del business.

A farne le spese è ‘sorella acqua', oggi il bene più prezioso dell'umanità, che andrà sempre più scarseggiando, sia per i cambiamenti climatici, sia per l'aumento demografico. Quella della privatizzazione dell'acqua è una scelta che sarà pagata a caro prezzo dalle classi deboli di questo paese (bollette del 30-40% in più, come minimo), ma soprattutto dagli impoveriti del mondo.

Se oggi 50 milioni all'anno muoiono per fame e malattie connesse, domani 100 milioni moriranno di sete. Chi dei tre miliardi che vivono oggi con meno di due dollari al giorno, potrà pagarsi l'acqua?"

Noi siamo per la vita, per l'acqua che è vita, fonte di vita. E siamo sicuri che la loro è solo una vittoria di Pirro. Per questo chiediamo a tutti di trasformare questa ‘sconfitta' in un rinnovato impegno per l'acqua, per la vita, per la democrazia. Siamo sicuri che questo voto parlamentare sarà un "boomerang" per chi l'ha votato.

Il nostro è un appello prima di tutto ai cittadini, a ogni uomo e donna di buona volontà. Dobbiamo ripartire dal basso, dalla gente comune, dai Comuni.

Per questo chiediamo:

AI CITTADINI di

* protestare contro il decreto Ronchi, inviando e-mail ai propri parlamentari;
* creare gruppi in difesa dell'acqua localmente come a livello regionale;
* costituirsi in cooperative per la gestione della propria acqua.

AI COMUNI di

* indire consigli comunali monotematici in difesa dell'acqua;
* dichiarare l'acqua bene comune, 'privo di rilevanza economica';
* fare la scelta dell'AZIENDA PUBBLICA SPECIALE.

LA NUOVA LEGGE NON IMPEDISCE CHE I COMUNI SCELGANO LA VIA DEL TOTALMENTE PUBBLICO, DELL'AZIENDA SPECIALE, DELLE COSIDETTE MUNICIPALIZZATE.

AGLI ATO

* ai 64 ATO (Ambiti territoriali ottimali), oggi affidati a Spa a totale capitale pubblico, di trasformarsi in Aziende Speciali, gestite con la partecipazione dei cittadini.

ALLE REGIONI di

* impugnare la costituzionalità della nuova legge come ha fatto la Regione Puglia;
* varare leggi regionali sulla gestione pubblica dell'acqua.

AI SINDACATI di

* pronunciarsi sulla privatizzazione dell'acqua;
* mobilitarsi e mobilitare i cittadini contro la mercificazione dell'acqua.

AI VESCOVI ITALIANI di

* proclamare l'acqua un diritto fondamentale umano sulla scia della recente enciclica di Benedetto XVI, dove si parla dell'"accesso all'acqua come diritto universale di tutti gli esseri umani, senza distinzioni o discriminazioni" (27);
* protestare come CEI (Conferenza Episcopale Italiana) contro il decreto Ronchi.

ALLE COMUNITA' CRISTIANE di

* informare i propri fedeli sulla questione acqua;
* organizzarsi in difesa dell'acqua.

AI Partiti di

* esprimere a chiare lettere la propria posizione sulla gestione dell'acqua;
* farsi promotori di una discussione parlamentare sulla Legge di iniziativa popolare contro la privatizzazione dell'acqua, firmata da oltre 400.000 cittadini.

L'acqua è l'oro blu del XXI secolo. Insieme all'aria, l'acqua è il bene più prezioso dell'umanità. Vogliamo gridare oggi più che mai quello che abbiamo urlato in tante piazze e teatri di questo paese: "L'aria e l'acqua sono in assoluto i beni fondamentali ed indispensabili per la vita di tutti gli esseri viventi e ne diventano fin dalla nascita diritti naturali intoccabili - sono parole dell'arcivescovo emerito di Messina, G. Marra. L'acqua appartiene a tutti e a nessuno può essere concesso di appropriarsene per trarne illecito profitto, e pertanto si chiede che rimanga gestita esclusivamente dai Comuni organizzati in società pubbliche, che hanno da sempre il dovere di garantirne la distribuzione al costo più basso possibile."

Note:

Chi vuole aderire alla Lettera di Zanotelli scriva un'email all'indirizzo:
beni_comuni@libero.it

Cucchi, qualcosa si muove

di Rosa Ana De Santis - Altrenotizie - 20 Novembre 2009

E’ passato quasi un mese dalla morte del giovane Stefano. Proseguono le indagini e le notizie sul caso sembrano non uscire dalle prime pagine. Tutto grazie alla pressione dell’opinione pubblica e soprattutto allo sforzo di una famiglia che non molla e mostra una volontà di collaborazione che in cambio non accetta sconti sulle responsabilità.

Da un lato tribunali e giudici, gli avvisi di garanzia agli agenti della polizia penitenziaria e l’imminenza dell’incidente probatorio sull’unico testimone. Dall’altro il concorso di responsabilità dei sanitari coinvolti.

Ignazio Marino, a capo della commissione d’inchiesta sull'efficacia e l'efficienza del Servizio sanitario nazionale, si è nuovamente recato all’Ospedale Sandro Pertini. Quello che emerge dai giorni di ricovero di Cucchi viene definito dallo stesso Marino “inquietante”. Terminata l’audizione secretata dell’infermiera Olivares Gricelda, infermiera del carcere di 'Regina Coeli, che ha assistito Cucchi, si aprono nuovi scenari e si acquisiscono nuovi elementi per portare avanti l’indagine.

Ma facciamo un passo indietro per ripercorrere i momenti più importanti di questo mese. Potremmo iniziare dalle parole violente e infondate di Giovanardi. Lui fa morire Stefano di anoressia, poi di droga, anche un pò di sieropositività. Tutto pur di non parlare dei fatti e delle foto che internet e tv ci hanno mostrato.

Le immagini del corpo e l’entrata in scena del supertestimone costringono il sottosegretario a scusarsi con la famiglia.
Il testimone, che sarà nuovamente ascoltato in corso d’incidente probatorio sabato prossimo dal Gip Fiasconaro, è S.Y., un irregolare africano, arrestato anche lui per detenzione di stupefacenti.

Incontra Stefano nelle celle di sicurezza di Piazzale Clodio, dove sono stati portati entrambi per la convalida dei loro fermi. E’ dalle sue dichiarazioni che partono i tre avvisi di garanzia per omicidio preterintenzionale ai tre agenti di polizia penitenziaria che hanno preso in custodia Cucchi in quei momenti. Il testimone racconta di aver sentito urla, di aver visto Stefano a terra piegato dai ripetuti calci e di aver poi raccolto le sue parole “Mi hanno menato questi stronzi”.

Il pestaggio quindi avviene sotto le aule di giustizia per poi forse proseguire anche dopo. Magari nel tragitto verso Regina Coeli, dove Cucchi arriva non più in grado di stare in piedi e con fortissimi dolori, tali da dover esser trasferito per i vari esami diagnostici in ospedale fino al ricovero definitivo.

Il testimone è stato trasferito dal carcere, per non correre rischi, per non essere intimidito o magari per evitare un’altra delle solite cadute dalle scale, simile a quella che ha rotto le ossa del giovane Stefano, ad esempio. L’onorevole Pedica, dell’Italia dei valori, sorveglia e vigila sulle sorti del giovane coraggioso.

La battaglia per la verità non si annuncia facile soprattutto se passa sulla pelle nera di un clandestino, spacciatore abituale. Nel frattempo gli agenti, che avrebbero “dato la lezione” a Stefano, sono stati trasferiti in via temporanea, mentre attraverso i loro legali respingono tutte le accuse. Del resto quanto può valere la parola di un detenuto straniero? Non sono valse quelle di famiglie perbene e di esemplari cittadini italiani nei processi alla Polizia.

Uno dei tre indagati dichiara che a Stefano hanno addirittura offerto un caffè e una sigaretta, prima di chiamare il medico quando ha iniziato a star male. Tutto questo prima di affidarlo alla scorta che lo avrebbe portato in carcere. Ma perché Stefano Cucchi inizia a star male, se nessuno gli fa del male? Il cadavere e le diverse foto scattate spiegano tutto quello che viene taciuto. Il legale della famiglia Cucchi, pur non essendo un medico legale, oltre a notare le fratture e i segni di percosse che abbiamo visto tutti, parla di almeno cinque lesioni tipiche da bruciature di sigarette.

Il corpo di Stefano sarà riesumato per gli ulteriori rilievi autoptici ritenuti necessari. Nel frattempo verrà analizzata la macchia di sangue riscontrata sui jeans indossati al momento dell’arresto. La famiglia ha consegnato agli inquirenti la droga ritrovata nell’appartamento di Via Morena (Roma), dove ogni tanto Stefano andava quando non era in famiglia. A dimostrazione che si cerca soltanto la verità sulla morte di Stefano e nessuno slittamento o omertà sulla considerazione di una vita fragile.

Un capitolo a parte è quello delle cure. Le cartelle cliniche che hanno fatto il giro del web riportano dei NO piuttosto controversi, anche sul piano calligrafico, sulle volontà di Stefano. Rimangono le anomalie di quanto è stato negato al paziente. La visita dell’avvocato e dell’operatore di fiducia della comunità CEIS in cui Cucchi combatteva la sua personale sfida alla tossicodipendenza.

Rimane il perché di una famiglia tenuta all’oscuro e lasciata a sostare senza notizie fuori le mura del nosocomio. Un trattamento che ha trasformato Stefano in un detenuto senza diritti, e in un malato senza diritto di cura. Rimangono misteriose le terapie somministrate, negate o inefficaci andrà chiarito, spiegate finora dai medici coinvolti con la tesi ridicola del paziente “poco collaborativo.”

Lo strazio di Stefano e della sua famiglia non è ancora concluso. Le indagini incalzano e l’attenzione della gente comune e della politica è forse lo strumento più efficace a disposizione per evitare che Cucchi sia un’altra vittima senza carnefice. Perché non pagare per le proprie colpe equivale a non averne davanti alla legge e alla collettività. Non che questo interessi molto all’Italia del processo breve. Stefano, volendo usare perifrasi verbali, è morto d’ingiustizia, di violenza e di omissioni e questo è accaduto mentre era nelle mani dello Stato.


Italia, detenuti lasciati a se stessi
di Benedetta Guerriero - Peacereporter - 18 Novembre 2009

In aumenti suicidi e casi di malasanità

Circa un terzo dei detenuti che ogni anno muoiono nelle carceri italiane si toglie la vita. La percentuale dei suicidi dei prigionieri è da sempre molto più elevata rispetto a quella delle persone libere, ma il dato merita un'analisi. Nel 2009, al quindici novembre, i suicidi sono già 63, mentre nel 2008 erano stati in totale 46 e 45 nel 2007.

La cifra è in aumento e viene spontaneo chiedersi la motivazione. Secondo l'elaborazione del Centro Studi di Ristretti Orizzonti sui dati del Ministero dell'Economia e delle Finanze la spesa per ogni singolo detenuto al primo gennaio 2007 era pari a 13.170 euro, per una popolazione penitenziaria di 39.005 detenuti.

Nello stesso periodo del 2008 per ogni carcerato venivano spesi 10.732 euro, per un totale di 48.693 prigionieri. Al primo gennaio del 2009 la spesa pro capite si abbassa ulteriormente e raggiunge le 6.393 euro, 58.127 i detenuti rinchiusi nel carcere. Nel giro di soli tre anni, quindi, la cifra erogata dallo Stato per ogni singolo detenuto è andata dimezzandosi e nel 2010 toccherà le 6.257 euro.

Il Centro Studi di Ristretti Orizzonti ha preso in considerazione le risorse economiche impiegate sui capitoli di spesa n.1761, relativi alle spese di ogni genere riguardanti il mantenimento, l'assistenza, la rieducazione ed il trasporto dei detenuti, e n. 1671 che comprendono quelle per acquisto di beni e servizi.

Scendendo nel dettaglio, si scopre che i tagli principali sono stati propri effettuati alle spese mediche. L'organizzazione e il funzionamento del servizio sanitario e farmaceutico dal 2007 al 2010 hanno subito una riduzione del 79 per cento, le spese di cura, comprese quelle di trasporto, di ricovero in ospedale o in luogo di cura e per protesi, esami specialistici, un taglio del 31,8 per cento. Ma il dato più allarmante è che per l'assistenza e il mantenimento di detenuti tossicodipendenti presso Comunità terapeutiche la riduzione è stata del 100 per cento.

I detenuti sieropositivi non hanno praticamente possibilità di curarsi. A scendere sono stati anche i finanziamenti per l'assistenza e le attività di servizio sociale agli affidati al servizio sociale per adulti (-14,7 per cento) e quelli per lo svolgimento negli istituti di prevenzione e di pena delle attività scolastiche, culturali e sportive (-9,9 per cento). La rieducazione dei detenuti passa in secondo piano, nonostante da anni si cerchi di dimostrare che è proprio quello l'obiettivo dell'istituzione penitenziaria.

Analizzando in maniera ancora più specifica la situazione carceraria si scopre che se nel 2007 il costo medio giornaliero di ogni detenuto era di 182 euro, la spesa media sanitaria giornaliera di 7,02 euro, la diaria per il vitto pari a 2.95 euro, nel 2009 i parametri di abbassano bruscamente: il costo medio giornaliero di ogni detenuto è di 148 euro e di 3,15 quello della diaria. La spesa media sanitaria giornaliera deve ancora essere calcolata. Costi eccessivamente esigui per una situazione dignitosa.

Nonostante l'aumento dei detenuti, i tagli al sistema carcerario testimoniano il progressivo deteriorarsi della situazione penitenziaria. Non c'è dunque da stupirsi se nelle carceri la violenza e i suicidi continuano a crescere, a scapito della rieducazione e di un possibile reinserimento dei detenuti nella società.

Ipotizzare una crescita dell'edilizia carceraria, così come fa il ministro della Giustizia Alfano, non dovrebbe far dimenticare che lo stanziamento dei fondi dovrebbe riguardare prima di tutto la salute fisica e psichica dei detenuti.

Non è solo un problema di affollamento: i numeri pubblicati da Ristretti orizzonti denunciano la mancanza di una cultura, quella del garantismo più elementare di cui ci si riempe la bocca dietro i banchi del governo.


Italia, 30 casi di morte sospette in carcere

di Benedetta Guerriero - Peacereporter - 21 Novembre 2009

Spesso i suicidi dei detenuti nascondono episodi di violenza

Dal 2000 ad oggi sono morti in carcere 1.537 carcerati, di questi ben 547 si sarebbero tolti la vita. Secondo gli ultimi dati nel 2009 sono venuti a mancare 154 prigionieri, di cui 63 per suicidio. Questo significa che il tasso di suicidi ogni dieci mila detenuti è di 12,20. A fornire i dati è il dossier “Morire di carcere”, redatto da Ristretti Orizzonti, il giornale dalla Casa di Reclusione di Padova e dall'Istituto di Pena Femminile della Giudecca che dal 1998 cerca di dare voce ai detenuti e ai loro problemi.

Non tutti i suicidi, però, sono stati catalogati come tali. Sempre secondo Ristretti Orizzonti, che ha raccolto le denunce e le testimonianze di molti familiari, dal 2002 fino ad oggi ci sono almeno trenta casi di morti sospette sulle quali sarebbe necessario indagare in maniera più approfondita. Si tratta, ad esempio, di Stefano Guidotti, 32 anni, che si sarebbe ucciso nel carcere di Rebibbia, a Roma, il primo marzo del 2002.

Detenuto per associazione mafiosa ed estorsione, Guidotti è stato trovato impiccato alle sbarre del bagno, ma le escoriazioni presenti sul viso, le macchie di sangue rinvenute sul pavimento e il materiale utilizzato per realizzare il cappio hanno insospettito i familiari e i carabinieri che si sono occupati delle indagini. Sempre nel 2002 nel carcere di Bari ad “uccidersi” è Gianluca Frani, 31 anni, paraplegico. “Come può una persona su una carrozzina - si chiedono i parenti – riuscire ad impiccarsi al tubo dello scarico del water senza che nessuno si accorga di nulla?”. Domanda alla quale ancora oggi non è stata data alcuna risposta.

Così come alla morte di Marcello Lonzi avvenuta il primo ottobre del 2003 nel penitenziario di Livorno. Il giovane, di soli 29 anni, sarebbe deceduto a causa di un infarto, dopo aver battuto la testa. Ricostruzione che non convince in alcun modo la famiglia di Lonzi che da subito ha parlato di omicidio, visto che il corpo del ragazzo era coperto di lividi. Ma in carcere c'è anche chi si lascia andare, perché incapace di resistere e sopportare la violenza che quotidianamente si respira nei penitenziari.

E' il caso dell'albanese Sotaj Satoj, 40 anni, morto nel reparto di Rianimazione dell'Ospedale di Lecce. Gli agenti hanno piantonato il cadavere per ore, senza nemmeno accorgersi della morte dell'uomo, pensavano si trattasse di un estremo escamotage per fuggire. Satoj era arrivato in Italia su un gommone al bordo del quale era stata trovata della droga. Accusato di associazione a delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti, l'albanese aveva sempre dichiarato la propria innocenza e aveva scelto di mettere in atto lo sciopero della fame come estrema prova di non colpevolezza.

Dopo tre mesi di mancata alimentazione, Satoj è morto senza che sul suo caso sia stata fatta chiarezza. E nel 2007 nel carcere di Monza a perdere la vita è stato Gianluca Concetti, 40 anni. In preda ad una crisi psicotica, il detenuto ha allegato la sua cella ed è scivolato sbattendo la testa. Secondo i medici, a causa della sua fragilità psichica, Concetti non poteva neppure essere rinchiuso in una prigione.

E anche sul versante femminile la situazione non sembra migliore. Almeno quattro donne, Maria Laurence Savy, Francesca Caponetto, Emanuela Fozzi e Katiuscia Favero, sono morte per cause da accertare. Ennesime vittime di un'organizzazione che necessita quanto prima di una riforma che ripensi il sistema carcerario nel suo insieme.