lunedì 2 novembre 2009

Primarie: i gazebo del Pd e quelli di Muqtada al-Sadr

Qui di seguito un singolare parallelismo tra le elezioni primarie del Pd per eleggere il nuovo segretario e quelle organizzate in Iraq dal partito dell'imam Muqtada al-Sadr per scegliere i candidati da presentare alle prossime elezioni politiche di gennaio.

Sempre se si terranno...


Le primarie di Muqtada Sadr attraggono gli elettori

di
Liz Sly - Los Angeles Times - 17 Ottobre 2009
Traduzione di Ornella Sangiovanni per www.osservatorioiraq.it

Il partito del religioso anti-americano tiene le prime primarie del Paese per i candidati alle elezioni nazionali di gennaio. Il movimento vuole diventare il maggiore blocco parlamentare, e così poter nominare il Primo Ministro


Da Baghdad

Il movimento sciita fedele al religioso anti-americano Muqtada Sadr potrebbe sembrare un improbabile sostenitore della democrazia nel nuovo Iraq: professa lealtà a un leader la cui statura deriva dal suo lignaggio religioso; ha boicottato le prime elezioni democratiche del Paese. E la sua milizia, l'Esercito del Mahdi, è stata considerata responsabile di gran parte del caos che regnava alcuni anni fa.
Ieri tuttavia, i fedelissimi di Sadr hanno tenuto le prime elezioni primarie irachene per scegliere i candidati al decisivo voto nazionale di gennaio.

E ciò in risposta a una direttiva di Sadr, che dal 2007 vive praticamente recluso nella città iraniana di Qom. Si dice che stia studiando per diventare ayatollah, e abbia promesso solennemente di non tornare in Iraq finché l'ultimo degli "occupanti" americani non se ne sarà andato. Tuttavia, l'influenza che esercita sui suoi seguaci rimane intatta.

In un seggio di Sadr City, la roccaforte del movimento, folle di persone, molte delle quali scandivano rumorosamente il nome del religioso, si sono messe in fila per votare per uno dei 329 candidati ai posti destinati nella lista sadrista della provincia di Baghdad.

"Ho votato perché Sayed Muqtada Sadr mi ha ordinato di farlo", diceva Khadamiya Jawad, 34 anni, dopo aver scritto il nome del suo candidato su una scheda in una cabina protetta, e avere intinto il dito nell'inchiostro indelebile. "E anche perché voglio essere io a scegliere il mio rappresentante".

Appesi ai muri, accanto alle liste con i nomi dei candidati e ai ritratti di Sadr, cartelli che proclamavano "le elezioni primarie per il movimento di sadrista". Da un altoparlante uscivano slogan -- "Sì, sì alla dirittura morale. No, no alla disonestà" – per ricordare agli elettori che le primarie elevano il movimento al di sopra degli altri partiti politici, che scelgono i loro candidati a porte chiuse.

"Per altri movimenti politici, le primarie sono solo un'idea, non un principio, perché sono troppo preoccupati dei loro interessi", diceva lo sceicco Salman Faraji, il religioso che supervisionava il voto. "Ma il movimento sadrista non riguarda la politica, riguarda il popolo. La volontà del popolo è al di sopra di tutto".

Alle primarie hanno partecipato circa 400 seggi e oltre 800 candidati in tutto l'Iraq, e un comitato centrale esaminerà attentamente i risultati e deciderà su una lista finale di candidati. Ancora non si sa in quanti verranno scelti, perché i parlamentari iracheni non si sono ancora messi d'accordo sui dettagli delle elezioni di gennaio.

E' chiaro tuttavia che il movimento di Sadr ha intenzione di abbracciare le prossime elezioni nazionali, dopo aver adottato un atteggiamento decisamente ambivalente verso quelle del 2005 e del gennaio scorso.

L'obiettivo del movimento è quello di aumentare la sua quota attuale di 30 seggi sui 275 del Parlamento per diventare il blocco maggiore – cosa che gli darebbe il diritto di nominare il Primo Ministro, dice Hazem Araji,uno dei suoi dirigenti.

Tuttavia, i sostenitori di Sadr si presentano all'interno di una coalizione, assieme a un altro potente gruppo sciita, il Consiglio supremo islamico iracheno, che a sua volta probabilmente rivendicherà il posto di Primo Ministro. Questa coalizione si troverà ad affrontare una dura concorrenza da parte del Primo Ministro Nuri al Maliki, che ha rotto con il Consiglio supremo per guidare la sua lista.

Anche se Sadr ispira tuttora adulazione da parte dei suoi più stretti seguaci, non è chiaro fino a che punto questo sostegno si estenda alla popolazione sciita nel senso più ampio. Alle elezioni provinciali di gennaio, la sua lista ha ottenuto fra il 5% e il 15% del voto, dietro a Maliki in tutte le province sciite.

In un seggio all'interno di un luogo di culto a Karrada, un quartiere sciita di borghesia dove il sostegno a Sadr è debole, c'erano molti meno votanti, e scarsi segni dell'entusiasmo ostentato a Sadr City. Molti dei presenti dicevano che a incoraggiarli a votare era stata l'offerta di un pranzo gratis, composto da pollo, riso, e banane.

A detta di Hatem Bithani, un funzionario che supervisionava le operazioni di voto nella parte est di Baghdad, uno degli obiettivi principali delle primarie è quello di una maggiore sensibilizzazione verso le elezioni nazionali, e di scacciare in parte la disillusione verso il processo democratico che si è insinuata fra gli elettori iracheni negli ultimi quattro anni.

"Gli iracheni sono are esausti delle elezioni, e molti di loro non sono disposti a votare", diceva Bithani. "Così Sayed Muqtada Sadr ha avuto questa idea per spronare la gente, e cambiare il loro modo di pensare prima delle elezioni".

Un punto – questo – sottolineato in un messaggio scritto, attribuito al religioso, affisso al muro fuori dai seggi, che esortava i suoi seguaci a votare.

"Unite le vostre mani e alzate la voce, per dimostrare a tutti che l'Iraq è l'Iraq dei sadristi", diceva il messaggio.


Bersani conquista il Pd
di Fabrizio Casari - Altrenotizie - 27 Ottobre 2009

Tre milioni di persone accorse ai gazebo per eleggere il nuovo Segretario sono certamente una certificazione di un buono stato di salute del Partito Democratico. Molte di più di quelle che si attendevano, quasi un sussulto di partecipazione in un quadro desolante come quello della scena politica italiana. Si potrà obiettare sull’identico peso riservato a militanti ed elettori nella scelta della costruzione del gruppo dirigente ma, almeno sul piano della partecipazione popolare, la scommessa è stata vinta.

E il fatto che l’elettorato ha confermato il dato emerso dal voto delle assise militanti del partito, indica poi una sintonia tra il partito e la sua base elettorale. O, almeno, della comune opinione, tra militanti ed elettori, circa la terapia necessaria per far uscire la più importante formazione del centrosinistra dallo stato semi-catatonico nel quale pare versare.

E seppure il dato principale é ovviamente la vittoria (annunciata) di Bersani, appare significativa anche l’affermazione personale di Marino, che sembra indicare l’esigenza del popolo del Pd di uno schieramento più netto sul terreno dei diritti civili. L’affermazione di Marino, infatti, esprime una richiesta d’intervento sui temi “etici” per ampliare la sfera dei diritti civili e non di un’opportunistica “libertà di voto secondo coscienza” che i parlamentari cattolici utilizzano in funzione dei loro personali convincimenti. Il voto a Marino rappresenta un segnale politico e identitario di laicità che il nuovo gruppo dirigente dovrà tenere bene a mente.

Nella vittoria di Bersani e nell’affermazione di Marino sembrano dunque emergere due opzioni legate tra loro: un partito attento al radicamento sociale e ai temi delle libertà collettive, un PD finalmente capace di riaprire una comunicazione positiva con il mondo del lavoro e decisamente laico nei confronti dei temi “etici”. Un sostanziale cambio di passo rispetto a quanto proposto fino ad ora dalla gestione prima di Veltroni e poi di Franceschini.

La vittoria di Bersani è, da questo punto di vista, destinata a modificare in buona sostanza sia la fisionomia del partito che la sua identità programmatica; tanto in ordine agli schieramenti ed alle alleanze possibili, come alle ipotesi di riforme istituzionali previste nell’agenda politica del Paese.

Esce invece sconfitta, di contro, l’impostazione veltroniana dell’autosufficienza del progetto politico e dell’indissolubilità del credo maggioritario in veste bipolare, così come appare respinta l’idea di un partito americano, modello “comitato elettorale”. Fine insomma del partito liquido, rimessa in carreggiata del partito pesante, quello cioè presente sul territorio, nei posti di lavoro, ovunque le contraddizioni sociali richiedano idee nuove e gambe sulle quali farle marciare.

Bersani sa bene che la sconfitta della destra in Italia passa in primo luogo dal rafforzamento del centrosinistra. E sa che nessuno steccato ideologico, basato su una presunta autosufficienza del progetto, potrà raccogliere i voti dell’elettorato democratico e progressista che non può - e non potrebbe - ritrovarsi a votare sempre e solo turandosi il naso. Difficile sognare il meglio e votare sempre per il meno peggio.

Serve di nuovo, come già nel passato, riunire lo schieramento più ampio per raccogliere ogni voto ed ogni energia. Questo, insieme alla ridefinizione di un programma politico adeguato, è l’unico antitodo al veleno del berlusconismo ed alla sua vittoria di prospettiva. Non avere steccati a sinistra é l'unico modo per dialogare ed agire anche con i moderati.

Unità, solidità, partecipazione. Questo volevano riaffermare quei tre milioni di persone che hanno affollato i gazebo del Pd: non hanno voluto solo prendersi la libertà d’indicare il Segretario che volevano. Prima ancora che questo, quei tre milioni di persone hanno voluto approfittare della possibilità che gli era stata data di poter prendere la parola, di poter testimoniare la voglia di dire la loro e di ricordare che la passione civile e politica di questo paese, troppo in fretta data per morta sotto i colpi del gossip, ha ancora la forza per rimboccarsi le maniche e per profferire parola. Si tratta di vedere se ora, chi ha vinto, dimostrerà di saper ascoltare.


Primarie senza democrazia, ultimo atto del partito liquido
di Michele Prospero - www.ilmanifesto.it - 25 Ottobre 2009

«Non partecipazione ma delega. Ai media»

Davvero le primarie del Pd sono un'esperienza di democrazia diretta? Con una fraseologia ultrademocratica (la trita retorica del «decidi tu», il flebile mito della generazione internet come rivoluzionaria novità contro gli ammuffiti militanti) si sta in realtà celebrando il rito triste che annuncia il trionfo di partiti elettorali a spiccata dominanza mediatica.

Solo grazie alla completa corruzione semantica delle parole che da tempo deforma il dibattito pubblico, è possibile spacciare per democrazia diretta quella che a tutti gli effetti è solo una manifestazione di politica opaca che archivia il vetusto partito degli iscritti e impone una carnevalata a uso e consumo dei media.

Le primarie del Pd sono lo spirito di questo (brutto) tempo per cui non ha più senso essere «parte» e occorre diluire ogni appartenenza nel mare indistinto di una opinione pubblica che fa la coda nei gazebo e poi irretita sparisce per sempre dallo spazio pubblico.
Le primarie non sono affatto un rilancio della partecipazione politica che sollecita il ritorno di soggetti che discutono con passione e mutano opinioni dopo il confronto aspro.

Piuttosto esse sono un ulteriore momento del declino politico italiano che assegna a un elettore irrelato il compito di tifare nel gioco competitivo che restringe la grande funzione storica dei partiti a quella minimale di esprimere un capo. La logica che le ispira è più quella della delega assoluta che non quella della partecipazione consapevole di molti a definire un progetto di società.

Le primarie nascono infatti dall'idea che, per quanto riguardi i soggetti politici strutturati, la partecipazione non avvenga dentro i canali di partito, intesi quali durevoli luoghi di identità e di appartenenza (secondo lo spirito dell'articolo 49 della Costituzione), ma si insinui a intermittenza dal di fuori e dietro forti sollecitazioni mediatiche.

Quando il partito non ha più confini organizzativi solidi diventa così aleatorio da disperdersi nella leggerezza dell'opinione pubblica che cancella differenze, conflitti. Se in luogo degli iscritti decidono gli elettori, non cresce la democrazia diretta ma il populismo oggi trionfante.

Che dopo il militante e l'iscritto sia giunto ormai il tempo dell'elettore sembra essere nel senso delle (brutte) cose di oggi, ma i partiti non sono stati creati solo per seguire la corrente dominante.
Il maggior partito d'opposizione ha già svolto un congresso al quale ha partecipato circa mezzo milione di iscritti. Un evento politico di tutto rispetto nelle sue dimensioni (al traumatico congresso che portò allo scioglimento del Pci presero parte circa 300 mila iscritti).

Sul versante qualitativo uno scenario inquietante: ovunque le sale quasi deserte nel momento del dibattito e della presentazione delle mozioni si sono magicamente riempite all'atto del voto.

Sono gli inconvenienti dei partiti cartello, ossia di formazioni flaccide in cui declina l'iscritto che si mobilita per incentivi simbolico-identitari e si afferma il cacciatore di status e di benefici materiali elargiti dalle cariche elettive che controllano le risorse pubbliche.

Non saranno certo le primarie il correttivo di questo essiccamento valoriale e funzionale dei partiti, divenuti spettrali oligarchie attorniate da media e clientele.
Occorrerebbero un'ideologia attorno a fini non negoziabili, una cultura politica a ridosso di una idea di democrazia e un radicamento negli interessi sociali della postmodernità, non certo una estemporanea fioritura di gazebo.

Le primarie sono invece il ritrovato di un partito molto liquido che talvolta appare come un docile braccio collaterale di agenzie mediatiche in grado di dettare la linea, di indicare la leadership più gradita. Dopo che gli iscritti hanno mostrato di non apprezzare affatto il loro segretario in carica, la parola passa agli elettori che potrebbero imporre agli iscritti di conservare comunque un leader che non è di loro gradimento.

Non solo sono possibili infiltrazioni esterne (persino negli Usa la destra si è mobilitata nelle primarie aperte per sostenere la Clinton contro l'ascesa di Obama), ma il peso preponderante nella selezione della leadership è assunto dai media che sono più influenti degli stessi dirigenti nelle opzioni degli elettori estranei alle vicende organizzative.
Scagliare gli elettori contro gli iscritti rientra in un populismo pervasivo che odia la funzione parziale e identitaria dei partiti. In una democrazia rappresentativa il partito politico è appunto solo una parte, e non l'intero.

Proprio per questo il metodo democratico nella vita dei partiti riguarda gli iscritti, i militanti, quanti cioè si riconoscono in una appartenenza comune (fino ad accollarsene la responsabilità in termini di contributi finanziari e di azione quotidiana) e non certo gli elettori indifferenziati.

Affidare agli elettori in quanto tali (e in più senza leggi, procedure certe) il compito di nominare il segretario di un partito (che non svolge peraltro una funzione istituzionale ma un compito organizzativo di raccordo tra parti di società e potere) non è affatto una epifania della democrazia diretta.

Le primarie del 25 ottobre, al di là delle ansiogene aspettative di rivincita che le animano, non sono un buon segnale per la democrazia. Chi ha perso in maniera così trasparente la fiducia degli iscritti (dei suoi iscritti) potrebbe in teoria riacquistare i gradi di comando grazie al voto di elettori indistinti.

Ma davvero il popolo delle primarie può imporre agli iscritti di tenersi per forza un leader sconfitto in un regolare confronto congressuale? Anche se le primarie confermeranno le risultanze congressuali, il problema spinoso della loro funzione deviante resta. Partiti ridotti a mere macchine elettorali sono l'esatto contrario dell'affresco dell'articolo 49 della Costituzione, che disegna il ruolo dei soggetti della mediazione collocandoli con un piede nella società e con un altro nelle istituzioni della rappresentanza. Ma anche per la carta, come per i partiti, non corrono tempi buoni.