venerdì 10 settembre 2010

Update italiota

Qui di seguito una serie di articoli sui più recenti accadimenti in terra italiota.

L'estate è ormai agli sgoccioli, arriva l'autunno...


Il cinismo europeo prepara la grande regressione
di Franco Berardi Bifo - www.facebook.com - 6 Settembre 2010

Sulla Repubblica di sabato 4 settembre, Giulio Tremonti dimostra come, nonostante la nebbia fitta del delirio politico italiano, ci sia qualcuno che sa dove bisogna andare. Bisogna andare nella direzione che indica l’Europa, dice serafico il Ministro.

D’altronde i giochi sono fatti. Negli ultimi sei mesi, in seguito alla drammatizzazione della crisi greca, in Europa si è creata l’unanimità basata sul terrore finanziario.

Saltando con un balzo tutte le lentezze e le contraddizioni che si erano manifestate di fronte alle proposte di revisione della Carta costituzionale europea, con il no olandese e francese del 2005, il triumvirato franco tedesco Merkel Sarkozy Trichet ha imposto una innovazione costituzionale basata su una linea di rigore monetarista e di riduzione del costo del lavoro.

La politica economica che ha guidato le scelte della Banca centrale europea e ha condotto alla crisi finanziaria, viene così irrigidita, trasformata in vero e proprio pilastro costituzionale d’Europa, come spiega Tremonti, finalmente convertito a un europeismo integrale.
L’intervistatore Massimo Giannini balbetta domande banali e alla fine incita il Ministro ad andare avanti così, anzi a procedere più speditamente.

Con linguaggio da automa, Tremonti spiega quello che adesso è importante: “E’ suonato il gong sull’Europa: il passaggio rivoluzionario dal G7 al G20, drammaticamente evidenziato dalla crisi,m ha segnato la fine di un’epoca, la fine della rendita coloniale europea: prima potevamo piazzare le nostre merci e i nostri titoli dove e come volevamo, adesso non possiamo più farlo. Più che di politica industriale forse si deve parlare di competitività”.


Nell’intervista tremontiana la rissa italiana è totalmente assente, e si intravvede la consapevolezza del fatto che ciò che accadrà del governo italiano non ha molta importanza, perché tanto la politica, quella che conta, quella che determina la vita quotidiana, il salario il tempo di lavoro, i livelli di sfruttamento e di miseria, il rapporto tra salario e profitto non si fa più a Roma, ma in Europa.


Il Ministro spiega che finalmente l’Europa è entrata nell’era dell’unità politica. Infatti da quest’anno le politiche finanziarie ed economiche dei diversi paesi europei verranno giudicate, approvate o respinte da un vero e proprio direttorio le cui linee direttrici sono a tutti ben note: riduzione del costo del lavoro, riduzione della spesa pubblica, subordinazione della ricerca alla competizione economica.


“Fine delle politiche National oriented.” dice Tremonti “Ogni anno da gennaio a aprile tutto ruoterà per tutti gli stati intorno alla sessione di bilancio europea. Con la sessione di bilancio prenderà forma un nuovo luogo politico. Una fondamentale devoluzione di potere.”
Che resta da fare nei diversi stati nazionali, per esempio in Italia? “re-ingegnerizzare il paese in termini di competitività europea.” dice Tremonti.

Dietro la fascinosa re-ingegnerizzazione cosa c’è? Lo sappiamo. C’è la definitiva eliminazione di ogni possibile forma di resistenza del lavoro, la cancellazione dei diritti che la modernità ha sancito, e la totale libertà di azione dell’impresa, senza più vincoli di tipo etico, legislativo o sindacale.


L’intervistatore Giannini incalza il prode Tremonti a una revisione dell’articolo 41 della Costituzione.
E Tremonti non si tira indietro. “Lo faremo, risponde, ci stiamo lavorando a Palazzo Chigi.”

Ma naturale, se lo scopo supremo è essere competitivi con paesi in cui il salario medio è di duecento euro e l’orario di lavoro è illimitato, come possiamo difendere delle piccolezze come il diritto al riposo, alla pensione, alla libertà di organizzazione e di sciopero, insomma all’habeas corpus della società?

La civiltà è finita, mettiamola così.
Il salto politico europeo di quest’anno 2010 consiste nell’imposizione dell’omogeneità di politiche che cancellano ogni autonomia del corpo sociale in nome di una perfetta aderenza allo scopo comune: aumentare la competitività dell’industria europea, cioè rendere possibile un aumento dei profitti delle corporation europee che le renda competitive con i colossi dell’economia globalizzata.

Una partita persa fin da principio, questo lo sanno tutti. L’Europa nel suo complesso non riuscirà mai a imporre un immiserimento così drastico senza provocare reazioni sanguinose (razziste, dementi, aggressive in quali forme vedremo). Forse l’area tedesca depurata dell’Europa latina potrà presto provarci.

Ma nelle condizioni attuali non riusciremo a fermare il declino della potenza europea, ma perseguire questo scopo paranoico servirà per ridurre il salario reale, per deregolare completamente l’orario di lavoro, per distruggere la vita quotidiana di milioni di persone.
Lo dice del resto anche Chiamparino, in un’intervista che troviamo su La Repubblica di domenica.

Marchionne ha ragione, dice colui che si candida a riformare il partito democratico per portarlo all’altezza dei tempi. I tempi sono questi, dice Chiamparino, non è più tempo di illudersi. Lo schiavismo è la sola maniera per salvare l’Europa, dice il democratico riformatore.


In Italia tutti si appassionano alla faida che potrebbe far sdrucciolare Berlusconi. Il povero vecchio appare stanco, circondato da lupi che si ribellano contro il loro addomesticatore perché non riesce più a soddisfare tutti gli appetiti.

Sembra che dovremo scegliere tra la mafia, i nazi-nordisti in camicia verde, o un nuovo polo clerico-fascista.
Una nobile gara nella quale sarebbe meglio non immischiarsi (anche perché nel medio periodo potrebbe avere risvolti non proprio pacifici).

Poltiglia.

Le cose importanti sono quelle di cui parla Tremonti, perché l’attacco più distruttivo contro la società viene oggi dal gruppo dirigente europeo, dalle scelte criminali che la classe finanziaria sta imponendo a un ceto politico privo di qualsiasi autonomia. L’Europa ha smesso di sentirsi depositaria di una (sia pur sbiadita) civiltà sociale, o erede della civiltà umanistica.

Basta con queste fantasie, dice con chiarezza il cinismo europeo contemporaneo, preparando la grande regressione. L’umanesimo che per cinque secoli ha guidato la civiltà europea, almeno in linea di principio, è oggi riconosciuto come un ostacolo al pieno dispiegamento dell’ipercapitalismo globale competitivo.


Il mondo è quello che è. E il compito degli schiavisti è frustare gli schiavi.
Fin che subiscono.


Tremonti: 8 punti per amministrare il declino
di Pino Cabras - Megachip - 9 Settembre 2010

Che l’Italia debba passare anni terribili è ormai cosa certa. Vi basti l’intervista concessa dal ministro Giulio Tremonti a «la Repubblica» del 4 settembre 2010, che pure – bontà sua - si intitolava “L’emergenza è finita”.

In una sorta di manifesto per la politica dei prossimi anni, uno degli esponenti più in vista delle classi dirigenti italiote riesce ad esprimere propositi che quando non sono banali e perciò inutili, sono contradditori, impossibili e perfino molto pericolosi.

Tremonti è uno che conta molto nel governo attuale, è in pole position per il dopo-Berlusconi, ed esprime propositi che sembrano essere largamente predominanti anche nel campo devastato della complice opposizione istituzionale. Perciò leggere lui significa leggere il punto di equilibrio fra le schegge della Seconda Repubblica e i tasselli della Terza in fieri.

Tralascio altre considerazioni, senza alambiccarmi in complessi ragionamenti politici, ora che Gianfranco Fini spariglia il quadro delle alleanze di governo e non siamo perciò a bocce ferme.

Cerco invece di prestare la dovuta attenzione agli otto punti che Tremonti mette al centro dell’agenda politica per il Sistema Italia. Un sistema che vuole trasformare economicamente (anzi, lui dice «re-ingegnerizzare», io dico «dov’eri, nel frattempo in questi anni?», ma tant’è…).

Ecco gli otto punti dello statista di Sondrio: «1) la competizione con i giganti; 2) il costo delle regole; 3) il Sud; 4) il nucleare; 5) il rapporto capitale-lavoro; 6) il fisco; 7) il federalismo fiscale; 8) il capitale umano, cioè ricerca scientifica e istruzione tecnica». Vediamoli uno per uno.

1) la competizione con i giganti. Tremonti sostiene che l’Europa come blocco continentale sarà il luogo della vocazione e della decisione politica naturale in cui si giocherà il futuro dell’Italia. A prima vista una banalità che qualunque politico ripeterebbe, anche con fondate ragioni. In realtà c’è una questione più insidiosa. Tremonti rivela un’ulteriore recente trasformazione dell’Europa, avvenuta all’insaputa dei suoi cittadini.

C’è una mutazione della sovranità e dei meccanismi decisionali, con più potere sottratto ai parlamenti nazionali a favore di un nuovo costrutto comunitario nel quale gli Stati giocheranno tutte le loro carte e i loro “do ut des”. Svanirà l’usuale mercato delle vacche che si estenua sulle piccinerie, ma sarà sostituito da una negoziazione che prenderà decisioni più elitarie, più strategiche e dalle conseguenze durature e rigide. La scelta nucleare, come vedremo si inquadra in questa nuova situazione.

2) il costo delle regole. Ricordate il Tremonti di due anni fa, il Tremonti anti-“mercatista” (parola sua), quando agli esordi della Grande Crisi lasciava il cerino del liberismo in mano alle sinistre? Tremonti è come una carta moschicida che cattura i concetti del momento, anche i più contraddittori.

Ora riesce chissà come ad abbinare la sua fase antithatcheriana e quasi no global a un rinnovato entusiasmo per un laissez-faire vecchio come il cucco, che imbelletta con slogan: «stop regulation, less regulation, better regulation».

E così siamo a posto. Dietro al solito programma della deregolamentazione, Tremonti vellica gli appetiti del suo blocco sociale di riferimento, parassitario, speculativo, orientato a consumare il territorio. Tremonti ha in fondo catturato lo spirito del tempo.

Pochi giorni dopo l’intervista veniva ucciso Angelo Vassallo Angelo Vassallo, un sindaco simbolo del buon uso delle regole, mentre la Federmeccanica disdettava il contratto nazionale dei metalmeccanici, un’altra regolamentazione insopportabile per il blocco sociale leghista-tremontiano. Il liberismo si ripresenta con la faccia delle locuste e con i salari sotto tiro. Tremonti aspira a essere il garante di questo nuovo e precario equilibrio, senza reali opposizioni all’altezza.

3) Il Sud. Sulla necessità di superare il dualismo dell’Italia Tremonti inserisce il pilota automatico ed estrae un’impressionante sequela di frasi fatte, vuote come un appartamento sfitto. Idee non pervenute.

4) Il nucleare. Qui Tremonti supera se stesso. Riduce la complessa questione energetica italiana ed europea all’infima porzione di energia elettrica producibile - fra molti anni e dopo immani investimenti - con le tecnologie nucleari obsolete che ci sbologneranno i francesi.

Siccome non credo che Giulio Tremonti non abbia mai sentito parlare di energie rinnovabili, torno un attimo alla casella iniziale, quella del blocco europeo: è lì che l’Italia tremontiana può fare questo costosissimo favore a Parigi in cambio di chissà quale indulgenza di Sarkozy sui nostri vizi, qualora altri stati avessero qualcosa da dire.

Ha buoni maestri, Giulio: il Mussolini che voleva spendere «qualche migliaio di morti per sedermi al tavolo delle trattative», o il Berlusconi che per compensare altre infedeltà sgradite a Washington è subito pronto ad aggiungere soldati per le guerre della Casa Bianca. Il nucleare tremontiano produrrà pochi megawatt, molti lucrosi appalti per cricche, soldi facili per Parigi, e dividendi di potere senza buoni effetti sull’interesse nazionale. Non parlo del rischio ambientale.

5) il rapporto capitale-lavoro. Tremonti vuole la fine dei contratti nazionali. Vuole far giocare l’Italia non nel campionato dell’innovazione, ma in quello della competizione basata sui ribassi salariali. Quale territorio - sia esso una regione, o l’Italia tutta, o il blocco continentale europeo – potrebbe mai vincere su questo terreno?

Quale prospettiva c’è, se il salario medio mensile di un operaio tessile cinese è 60 dollari? Forse converrebbe un’altra strada. Ma Tremonti in realtà quella strada non la sa. Non gli basta scrivere i suoi libri apodittici e anticinesi per dare una prospettiva. Va detto che lui almeno li ha scritti. Veltroni, per dire, ha scritto una cianfrusaglia di 68 pagine: “Quando cade l'acrobata, entrano i clown”. Andiamo bene.

6) Il fisco. Lo stesso fabbricante degli “scudi” che hanno fatto felici i commercialisti delle mafie annuncia un «cantiere della riforma fiscale». Fa come quelli che risolvono i problemi istituendo una commissione. Lui apre “un cantiere”, fino ad essere così spudorato da proclamare il “favor” fiscale per famiglia, lavoro, ricerca, cioè esattamente le realtà più massacrate da Tremonti.

7) Il federalismo fiscale. Tremonti ne fa una questione di efficienza differenziata, in combinazione con la fine dei contratti nazionali. È un disegno in grado di spaccare definitivamente il paese, non senza aver prima moltiplicato i centri di costo delle burocrazie centralistiche regionali. Anche questa non è vera strategia. È moneta di scambio con un puntello del suo blocco sociale e di potere, la Lega Nord, una moneta maneggiata con agghiacciante disinvoltura.

8) Il capitale umano, cioè ricerca scientifica e istruzione tecnica. Anche qui, niente idee, niente di niente. Solo che nel frattempo i tagli fanno scempio di insegnanti, studenti, famiglie e ricercatori.

Giulio Tremonti è dunque questo. Esprime un coacervo di attrezzi concettuali contradditori usati allo scopo di sostenere il suo ruolo di curatore fallimentare della Seconda Repubblica, forse dell’Unità d’Italia. Dietro le sue parole altisonanti c’è in realtà un obiettivo più simile a quello che perseguiva un altro Giulio, il meno funambolico Andreotti: «tirare a campare».

Negli anni di Giulio Andreotti, un ventennio fa, in nome della sopravvivenza di un blocco si potere si dilapidarono in pochi anni risorse immense, confluite nel debito che abbiamo ancora in groppa. Gli anni di Giulio Tremonti sono l’amministrazione del declino dell’Italia, con l’obiettivo di sacrificare qualsiasi cosa, e con qualsiasi alleanza, purché sopravviva il blocco d’interessi – di censo e di territori - su cui fa perno.

L’opposizione presente nelle istituzioni non ha un pensiero alternativo. Rovesciare quegli otto punti, i loro vuoti, le loro illusioni e le loro ingiustizie, con un programma politico radicalmente alternativo: è il primo compito di chi voglia fare politica in modo sensato, oggi in Italia.


Svolta dirigista nella Ue. Ma tutti tacciono...
di Marcello Foa - http://blog.ilgiornale.it - 7 Settembre 2010

Lo scorso aprile segnalammo, in perfetta solitudine, i piani elaborati da Mario Monti, per conto dell’Unione europea, per spingere l’Europa sulla rotta dirigista. Poi scoppiò la crisi della Grecia e, sull’onda, i Ventisette annunciarono l’intenzione di inasprire i criteri di Maastricht.

Poi, come al solito scese il silenzio, ma mentre i cittadini andavano in vacanza, l’Europa dell’establisment ha continuato a lavorare, nell’ombra. E ha deciso tutto, senza dibattito pubblico. E’ quel che si evince dall’ intervista rilasciata sabato da Tremonti a Repubblica.

Come capita sovente, quell’intervista ha fatto rumore per i suoi riflessi di politica interna, ma non per i suoi contenuti, che invece sono esplosivi, come spiego in questo articolo (vedi più sotto, ndr).

Leggetelo, scoprirete che l’Italia si avvia a perdere un’ulteriore fetta di sovranità, in quanto le politiche finanziarie e, attenzione, anche quelle per lo sviluppo, saranno decise non più a Roma, ma a Bruxelles.

Ogni anno da gennaio ad aprile si svolgerà una sessione di bilancio europea. Ogni Stato presenterà i suoi progetti, destinati a essere discussi collettivamente da tutti gli altri Stati e coordinati dalla Commissione europea.

Tremonti sostiene che ci sarà una pianificazione decennale (che ricorda sinistramente quella quinquiennale che ha affossato l’economia sovietica) e che dovrà essere coerente con la struttura del blocco europeo e prevalente rispetto alle visioni nazionali.

Che Bruxelles debba tenere d’occhio i nostri conti è comprensibile, d’altronde lo fa già. Ma perchè deve decidere la nostra politica industriale? Per quale ragione portoghesi, olandesi, polacchi e persino rumeni devono valutare la nostra competitività?

In America la California non si sogna nemmeno di vagliare eventuali incentivi normativi e fiscali della Florida o del Wisconsin. Che senso ha imporre un orientamento comune a Stati che hanno vocazioni e identità industriali diverse?

Tremonti, che sembra aver rinnegato le idee del suo recente passato, esulta. Sostiene che è in corso «una fondamentale devoluzione di potere insieme “dal basso verso l’alto“ e “dal diviso all’unito“».

Dal basso? E chi l’ha deciso? Certo non il parlamento e l’opinione pubblica è stata volutamente tenuta all’oscuro.

La mia impressione è che l’establishment europeo abbia adottato la dottrina Monti e, secondo i tenebrosi meccanismi che regolano il vertice euroepo, stia tentando di imporre una rivoluzione eurocentrica, nominalmente liberale, in realtà dirigista e lobbistica. Una rivoluzione non con il popolo, ma, ancora una volta, sopra il popolo.

O sbaglio?


Monti ha fatto centro, Bruxelles deciderà per noi
di Marcello Foa - www.ilgiornale.it - 7 Settembre 2010

Le politiche economiche e quelle per lo sviluppo non nasceranno più a Roma

Ma perché le grandi riforme europee vengono fatte sempre all’insaputa del popolo? E poi: siamo certi che siano davvero grandi?

Come sempre, quando si affrontano i temi europei, la cautela è d’obbligo. Ma a leggere le indiscrezioni uscite sulla stampa europea e annunciate in Italia da Giulio Tremonti in un’intervista a Repubblica, i Ventisette Paesi dell’Unione europea si apprestano a cambiare le regole economiche e finanziarie. In un contesto, però, di inquietante opacità.

Riepiloghiamo. Lo scorso maggio la Ue salvò in extremis la Grecia, varando il megafondo di garanzia e annunciando una rivisitazione restrittiva dei criteri di Maastricht fortissimamente voluta dalla Germania. Sull’onda il Consiglio europeo decise di riscrivere il Patto di Stabilità e di Crescita.

In una vera democrazia un passaggio così importante verrebbe intrapreso alla luce del sole, dando modo all’opinione pubblica e al Parlamento di dibattere le riforme. Ma l’Unione europea è un essere amorfo, né maschio né femmina, né Stato, né Confederazione, governato secondo meccanismi complessi e imperscrutabili. Nominalmente debole, in realtà potentissimo. Da metà maggio a oggi è calato il silenzio sul nuovo Patto, che però nel frattempo è stato riscritto. Con scelte rivoluzionarie.

L’Italia perde un’altra fetta di sovranità. Secondo lo schema illustrato da Tremonti le politiche finanziarie e, attenzione, anche quelle per lo sviluppo, saranno decise non più a Roma, ma a Bruxelles. Ogni anno da gennaio ad aprile si svolgerà una sessione di bilancio europea. Ogni Stato presenterà i suoi progetti, destinati a essere discussi collettivamente da tutti gli altri Stati e coordinati dalla Commissione europea.

Dunque sarà Bruxelles, e non più il Parlamento, a decidere come lo Stato italiano debba risanare i conti pubblici e rilanciare la propria competitività, seguendo una pianificazione decennale (Twenty-twenty l’hanno chiamata, ovvero 2010-2020) che dovrà essere coerente con la struttura del blocco europeo e prevalente rispetto alle visioni nazionali.

Che Bruxelles debba tenere d’occhio i nostri conti è comprensibile, d’altronde lo fa già. Ma perché deve decidere la nostra politica industriale? Per quale ragione portoghesi, olandesi, polacchi e persino rumeni devono valutare la nostra competitività? In America la California non si sogna nemmeno di vagliare eventuali incentivi normativi e fiscali della Florida o del Wisconsin. Che senso ha imporre un orientamento comune a Stati che hanno vocazioni e identità industriali diverse?

Tutti elogiano la Germania. Ma l’Italia non è la Germania. Berlino esporta tramite i grandi gruppi, noi per il 93% grazie ad aziende piccole e medio-piccole, come ha appena certificato la Simest. Che cosa accadrà se i Ventisette obbligheranno il nostro governo a favorire i colossi anziché i piccoli?

La sensazione, sgradevolissima, è che la Ue abbia recepito le proposte formulate in primavera da Mario Monti, il quale, in teoria, auspicava più competizione, ma di fatto un controllo sempre più eurocentrico e dirigista.

Tremonti l’ha definita «una fondamentale devoluzione di potere insieme “dal basso verso l’alto” e “dal diviso all’unito”». Sono concetti che un liberale non può non accogliere con disagio.

Dal basso? Chi ha deciso questa devoluzione? Non certo il popolo e nemmeno il Parlamento. Lo stesso Monti l’altro giorno si è lamentato del fatto che l’opinione pubblica non abbia parlato delle riforme.

Ma come facevano i giornali a darne conto se, né l’Unione europea, né i governi hanno aperto bocca?
Hanno deciso tutto loro. A nostra insaputa. E dovremmo persino sentirci in colpa.


Fini ovvero l'elogio dell'ossimoro
Paolo Farinella, prete - http://temi.repubblica.it - 9 Settembre 2010

Mi sono sorbito un’ora e tre quarti di discorso di Fini a Mirabello, da cui sembrava dovessero dipendere i destini del mondo. Mirabellum, umbilícus mundi! Oddio, anche questa! Il mondo si è spostato un poco più in là e Fini ha potuto delimitare i suoi confini, come in un branco, dove tra i due contendenti per la supremazia, il vincitore, orinando, delimita lo spazio di sua influenza.

Assente ma presente Cesare-Caligola, il pretoriano Fini si è svuotato e si è liberato l’intestino restituendo il servizio del Giornale/Libero con enorme soddisfazione: comunione e liberazione al tempo stesso. Nulla di più, nulla di meno. Ha vinto l’ossimoro, figura retorica che afferma nello stesso tempo due antitesi contrastanti e irriducibili (ghiaccio bollente; stanco riposo; riso dolente, ecc.).

Fini ha parlato, Berlusconi ora prepara le elezioni e Bossi passa alla cassa a riscuotere. Cosa è successo? Tutto e nulla (ancora ossimori). Fini si è tolto i sassi dalle scarpe e ha riconsegnato il cerino acceso a Berlusconi, il quale credendosi furbo aveva strafatto come al solito e dar suo: avrebbe premiato chi tradiva Fini, inserendoli nelle liste elettorali prossime in posti sicuri.

Se qualcuno cascasse nella trappola finirà senza Fini e senza Berlusconi perché costui è bugiardo e non mantiene mai le promesse bugiarde: tanto negherebbe di averle fatte. Stiano attenti i seguaci di Fini perché chi tradisce una volta, tradisce due, tre e finché può e di lui non ci si può fidare. Tanto meno ci si può fidare di Berlusconi che è la falsità fatta maschera pittata.

Fini ha elencato tutte, quasi tutte, le cose che non vanno in Berlusconi e gliele ha cantate e suonate, mettendolo di nuovo nell’angolo. Si è proposto come moderno liberale, ha chiamato nell’ammucchiata Rutelli e Casini, ha rotto la cristalleria, togliendo a Berlusconi il giochino ormai inutile del partito su misura o del predellino e lo obbliga a trattare con lui e il suo gruppo per ogni respiro.

La furbata di Fini è stata che non ha annunciato formalmente la nascita di un partito, anche se lo ha fatto di fatto, e di non uscire dalla maggioranza, ma dichiarando che avrebbe votato con gioia e affetto i cinque punti del programma, cioè quello che interessa Berlusconi e la Lega.

Ora questi non possono fare altro che trovare il pretesto per andare alle elezioni, perché Berlusconi da uomo politico senza politica e senza strategia che non sia salvarsi il bottom, non accetterà mai di essere dimezzato a comprimario.

Fini ha fatto l’elenco della spesa, è stato puntiglioso e sarcastico, efficace e rauco, sano e malaticcio, ha volato alto e basso, ma ha fatto solo ed esclusivamente il suo personale interesse, travestito da discorso nobile alla Nazione.

Non ha fatto un minimo di autocritica, se non una volta e senza troppa enfasi (per dire che gli rimorde la camicia nera per avere votato la legge elettorale, meglio conosciuta come «La Porcata»); non ha chiesto scusa agli Italiani di avere appoggiato tutte le nefandezze di cui accusa Berlusconi: «Basta con le leggi ad personam», dice Fini che ne ha votato almeno 39 (di padre certo) e si appresta a votare la 40a con il secondo lodo Alfano.

Si schiera contro il processo breve, ma vuole mettere in sicurezza il boss mafioso: che se lo metta in cassaforte o anche altrove, ma non venga a fare lo statista o il liberale perché non può appoggiare Berlusconi nel momento in cui lo inchioda. Se questa è legalità, stiamo freschi! Non mi fido di Fini perché è e resta fascista e il suo discorso lo dimostra in ogni parola, in ogni cucchiaio di olio di ricino che versava sull’ammucchiata dell’amore, dove sono soliti amarsi bastonandosi di santa ragione.

Fini è un furbetto senza quartierino: sta giocando una partita in solitario perché sa che quando Berlusconi cadrà, e cadrà, il partito di plastica si squaglierà e allora vi sarà la corsa al carro fascista. Costui, dopo 15 anni di sfricugliamento e prostituzione, ora si sveglia dal coma berlusconista e si mette al vento.

Quando cadrà Berlusconi, Fini sarà pronto a raccogliere i resti di ciò che resterà dal «paròn ghe pensi mi». Fini si è servito di Berlusconi perché senza di lui non sarebbe stato mai accreditato come governativo.

Berlusconi ha sdoganato i fascisti e i Savoia, ma ora che Fini è presidente della Camera e punta ancora più in alto, ha bisogno di ben altri appoggi che non quelli di un dittatore che bacia le mani oscenamente ad un altro dittatore libico. Tutto qui. Questa è la grande politica della destra.

Questa è il vuoto abissale della politica della sinistra che ormai è anche superfluo chiamare sinistra, visto che anche da quella parte si pensa di fare affari con Casini e con Fini. Da parte sua il Pd continua ad appaltare la sua funzione di opposizione alla destra stessa perché Fini sta facendo il partito di governo e di opposizione, togliendo alla sinistra la sua ragion d’essere.

Una cosa positiva nel discorso di Fini c’è stata quando ha definito Berlusconi «indecoroso» per essersi inginocchiato davanti a Gheddafi: «quello di Gheddafi a Roma, un personaggio che non ha nulla da insegnarci, è stato uno spettacolo indecoroso … non può portare a una sorta di genuflessione».

Il Pd aspettava il Verbum di Fini per andare all’attacco del cavaliere disonorato, e sperava che il fascista dicesse mezza parolina di apprezzamento dell’opposizione, invece li ha mandati a quel paese perché se lo avesse fatto avrebbe fatto anche il pieno di pomodori e ortaggi. L’unica concessione è sulla legge elettorale, ma sono divisi sul come e sul tipo e speriamo che dal «porcellum» non si passi al «suinum».

Il Pd si è squagliato e siccome sono degeneri e debosciati che nulla hanno imparato dalle passate batoste, continuano imperterriti a dividersi su tutto. Dice un proverbio che coloro che Dio vuole perdere, prima li fa impazzire. Ecco, il Pd è impazzito, ma se diventasse almeno panna montata si potrebbe usarlo per qualcosa, ma avendo perso il suo sapore, è meglio buttarlo via.

Non è possibile che una opposizione decente, almeno passabile, debba aspettare il discorso di Fini per continuare ad aspettare in aeternum che la pioggia cada dalla terra al cielo, che i mari risalgano i fiumi verso le montagne e il Pd declami romanticamente l’Infinito di Leopardi: «il naufragar m’è dolce in questo mar berlusconian»? Non è possibile! Non è lecito!

Hanno osato definire «squadristi» i democratici che chiedevano conto a Schifani del suo passato e del suo presente non come persona, ma come seconda carica dello Stato e, all’occorrenza, Presidente della Repubblica Supplente (lo sa questo Fassino?).

Invece di essere loro a fare alcune domande limpide a Schifanuzzu hanno manganellato i difensori della Costituzione dopo avere avuto il coraggio di invitarlo in pompa magna... veramente non c’è più religione e nemmeno le mezze stagioni. Schifani è quello che quando la piazza fischiava Prodi gongolava: «E questo è niente, il bello deve ancora venire».

Non accetteremo questo sopruso di democrazia e non rispetteremo nessun galateo, nessun protocollo, nessuna dabbenaggine da coloro che mangiavano mortadella in Parlamento durante la votazione della fiducia a Prodi. Il deputato Fassino che tiene anche la moglie in parlamento portandosi a casa doppio stipendio (40.000,00 al mese, così per dire, in coppia), si permette di parlare di deontologia? Che vada dal dentista prima di parlare e si faccia mettere una dentiera sicura.

Lavoriamo perché crolli tutto: non c’è nulla da salvare di questo parlamento, governo, maggioranza e opposizione. Nulla. Non si possono nemmeno riciclare perché sono rifiuti tossici. Bisogna solo smaltirli con attenzione per farsi inquinare.

Altro che educazione, è questo il tempo di gridare e di scendere in piazza, di scardinare e di fare la rivoluzione. E’ questo il tempo dei forti e degli onesti e non ci lasceremo mai incantare né dal pifferaio corrotto e corruttore di Arcore, né dalla finta sirena di Fini, né dal vuoto spinto di Bersani & C.

Noi siamo già oltre e oltre resteremo, ancorati alla Costituzione finché questi assassini non lasceranno il campo perché una cosa è certa: Fini o non Fini, Tizio o Caio, D’Alema o Fassino, Letta (nipote) o Rosy, noi non faremo passare né il lodo né il brodo Alfano o altra simile brodaglia. Passate parola.

Non posso non finire in bellezza. Sentite questa: nella riunione del partito dell’amore-a-pesci-in-faccia Berlusconi e i suoi scherano fanno appello alla dignità della Camera che non sarebbe più governata da un «presidente imparziale», anzi dicono proprio «super partes».

Chi ha fatto scempio di tutte le garanzie e di tutte le istituzioni, chi ha defecato in pubblico sull’onore e la dignità degli organi di controllo, chi ha ricattato i parlamentari cercando di comprarli ieri come oggi, chi fa eleggere prostitute compiacenti, ora vuole uno che sia «super partes». Peccato che sono pudico e moderato, altrimenti me ne sarebbero scappate alcune e non le avrei frenate.

PS. La situazione precipita, la Lega vuole le elezioni, Berlusconi non le vuole: i due gaglioffi si sono assegnate le parti e stanno recitando secondo la logica: «muoia Sansone con tutti i Filistei», tanto sia l’uno che l’altro hanno sistemato le creature per le prossime mille generazioni: uno con le leggi a favore della Mondadori e delle Tv e l’altro con prebende e incarichi politici. Alla faccia di Roma ladrona!


Caso Vassallo: perchè si ammazza un nuovo tipo di politico
di Debora Billi - http://petrolio.blogosfere.it - 6 e 7 Settembre 2010

Parte prima.

Segnatevi questa data sul calendario: per la prima volta, in Italia, la criminalità organizzata ammazza un politico ambientalista e proprio per il suo impegno sull'ambiente, la sostenibilità, la riqualificazione, l'energia. Mi auguro sia anche l'ultimo, ma qualcosa mi dice che probabilmente non sarà così.

Finora, gli amministratori locali che sono finiti crivellati dalle "menti raffinatissime" si erano messi per traverso sui soliti traffici di cemento e calcestruzzo, appalti, opere pubbliche. Stavolta no.

Mi dicono amici vicini ad Acciaroli che, da quando Vassallo era sindaco, sembrava di stare in una città del Trentino. E non solo per quanto riguarda gli spazi pubblici: anche i negozi, le aree private, erano rinate ad una nuova vita.

Le idee del sindaco erano penetrate profondamente nella mentalità della popolazione, che lo appoggiava e aveva imparato a valorizzare il proprio territorio. Vassallo sosteneva che non si devono buttare soldi per opere inutili che portano voti, bensì investire per sistemare i fiumi, gli acquedotti, il territorio. La sua cittadina vanta il 70% di raccolta differenziata, in Campania.

Viene subito in mente il caso di Camigliano, il comune virtuoso sciolto perché disobbediente: faceva la differenziata invece di conferire in discarica come la legge di quella provincia comanda. Ma qui si è finiti molto diversamente, si è finiti con un morto sull'asfalto, e le mafie non ammazzano se possono farti smettere in altri modi.

Così, si cercano motivazioni più sostanziali. E ricordo Saviano, quando racconta che finché fai l'anticamorra nel tuo paesino nessuno dice nulla, ma se trovi risonanza al di fuori, se diventi insomma un simbolo, allora hai firmato la tua condanna. E proprio tra pochi giorni, Acciaroli avrebbe dovuto ospitare per la prima volta nella sua storia un importante convegno su tematiche ambientali, l'energia e la decrescita.

Promosso dal Comune, organizzato da un'associazione di Parma, sponsorizzato da Slow Food, sostenuto dai MeetUp di Grillo, vedeva tra i relatori anche Maurizio Pallante del Movimento della Decrescita e, in un primo momento, anche l'economista italo-britannica Loretta Napoleoni.

Oltre a sindaci di mezzo Cilento, professori universitari e artisti di fama nazionale. Saviano ci ha insegnato che non si può salire alla ribalta nazionale, perché i simboli diventano poi intoccabili: e la camorra non avrebbe mai consentito che il Cilento diventasse la Val di Susa della sostenibilità al Sud.

Ma c'è di più. Alcune fonti dirette mi hanno raccontato anche di un finanziamento regionale di ben 70 milioni di euro, destinato al Cilento, per lo sviluppo di del Parco e dell'autonomia energetica locale. Un finanziamento già assegnato a 46 Comuni della zona e a Legambiente, ed era in corso lo studio del progetto per poter poi accedere al fondo. Riportava Il Giornale del Cilento nel gennaio scorso:

L’idea progettuale, pensata dal presidente della comunità del Parco del Cilento, Angelo Vassallo, è riuscita a coinvolgere, per la prima volta, tutto un territorio che, per questo, ha smesso di pensare “per campanile”, riunendo tecnici, amministratori, privati e politici, realizzando così, l’idea del grande Parco. La Regione Campania ha messo a disposizione per l’intero sistema 70 milioni di euro, che andranno ad essere completati da interventi del privato sociale ed economico, che ammonteranno complessivamente a 128 milioni di euro, di cui 5 milioni destinati alle PMI per gli aiuti sulle riconversioni, per finanziare l’energia alternativa, con un ulteriore possibilità di accesso al microcredito attraverso il Fondo Verde.

Si ammazzano i simboli. Ma soprattutto, si ammazzano i simboli che si avviano a gestire decine di milioni in modo non gradito.


Parte seconda.

In questa pagina si trovano tutte le informazioni relative all'Accordo di Reciprocità, quello che prevede un finanziamento di 70 milioni di euro di fondi europei via Regione Campania. Il cuore del progetto, che vedeva il convolgimento di 73 Comuni dell'area, è l'autonomia energetica:

I tre pilastri su cui poggia l’AdR e che, complessivamente, potranno portare obiettivi di risparmio significativo per il territorio e di rilancio delle fonti energetiche alternative e di una economia leggera che si armonizza con gli indirizzi di sviluppo di un’area protetta di particolare pregio storico, culturale e naturalistico, sono:
1. risparmio energetico e riduzione dell’uso delle fonti fossili;
2. uso razionale dell’energia (URE) ed efficienza energetica (EE);
3. uso delle fonti energetiche rinnovabili (FER).
Tra le altre cose, si parla di "economia leggera" per lo sviluppo dei territori e di rispetto dei limiti dell'ecosistema. Così se ne parlava sul Giornale di Eboli:
Ad Acciaroli sarà costruita una centrale fotovoltaica di 20 Kw con la quale si illuminerà tutto il comprensorio della variante, le discese a mare e l’impianto sportivo. Un impianto minieolico sorgerà a Bellosguardo e vecchie centrali idroelettriche saranno rimesse in funzione per produrre energia azionate da potenti turbine. Questo a Sant’Angelo a Fasanella, Felitto, Omignano e Torre Orsaia. “È una sfida rivoluzionaria – conclude Vassallo – se la vinceremo il futuro del Cilento sarà garantito”.
Quello che è importante capire è che questi fondi sono già stati stanziati. Si attendeva solo il completamento del progetto per erogarli. Ciò significa che arriveranno comunque nel Cilento... ma non li gestirà più Angelo Vassallo e qualcun altro deciderà per il loro utilizzo.

La cosa che trovo strana è come di tutto ciò sui giornali non si parli. Si preferisce menzionare qualche vago "ha detto no alla camorra", insistere sulle cementificazioni, ma che questo sindaco fosse a capo di un accordo tra sindaci che prevedeva l'uso di 70 milioni di euro per le energie alternative non lo dice nessuno.

Update: molto interessanti le segnalazioni nei commenti. Il fatto è che c'è un altro Angelo Vassallo, di 57 anni, amministratore locale, che si è occupato di appalti relativi ad un porto ed è stato denunciato per estorsione qualche mese fa... ma il porto è quello di Palermo, e tutta la vicenda si svolge in Sicilia. Omonimia, e colpa di frettolose ricerche su Google della prima ora?

Note: La prima parte è tratta dal post intitolato Omicidio Vassallo. Ucciso per i milioni dell'energia verde?, la seconda parte è tratta dal post Omicidio Vassallo. Ecco il progetto.


Con la fine della legislatura alle porte niente "Parlamento pulito"
di Ferruccio Sansa e Gianpiero Calapà - www.ilfattoquotidiano.it - 9 Settembre 2010

Se le camere verranno sciolte le 350 firme raccolte dal movimento di Grillo finiranno nell'archivio storico del Senato

Le 350 mila firme (e ne bastavano 50 mila) nel dimenticatoio. Raccolte dal Movimento 5 Stelle di Beppe Grillo per il “Parlamento pulito” adesso sono a rischio. Archiviate nell’ufficio atti legislativi del Senato, con la morte della legislatura finirebbero in soffitta e la proposta di legge d’iniziativa popolare dovrebbe essere ripresentata.

Portate in Senato mentre a Palazzo Chigi l’inquilino era Prodi (le firme rimangono “in vita” per due legislature) adesso con una crisi di governo che appare imminente rischiano di finire in un archivio storico del Senato, mentre “la materia verrà trattata – spiega il senatore Carlo Vizzini (Pdl), presidente della commissione Affari costituzionali – se il Parlamento deciderà di affrontare il tema di una riforma della legge elettorale”.

Intanto tutto è fermo, “come anche tutte le proposte di legge, pure di iniziativa parlamentare, che trattano di riforme costituzionali, perché anche su quel versante non c’è stato un consenso tale tra le forze politiche che abbia consentito di trattare il tema in aula”, spiega il senatore Stefano Ceccanti (Pd).

Quindi, se il Quirinale, invece di sciogliere le Camere, imboccasse la strada di un nuovo governo, tra i cui compiti la legge elettorale dovrebbe essere prioritaria, i parlamentari sarebbero obbligati, dalla deliberazione della commissione, a tenere conto e discutere delle richieste di quelle 350 mila firme: un Parlamento senza condannati (in via definitiva, o anche in primo grado se si tratta di mafia), un limite di due mandati per onorevoli e senatori e la reintroduzione delle preferenze.

Beppe Grillo in un’intervista al Fatto Quotidiano ieri si è rivolto al presidente del Senato Renato Schifani: “Deve dirci dove sono finite le 350 mila firme che avevamo raccolto per la legge sul Parlamento pulito. Se non ce lo dirà, andremo a prendercele noi”.

Sempre ieri sul Corriere della Sera Gian Antonio Stella ha chiesto: “È passato troppo tempo da quando quelle firme sono state portate a Palazzo Madama: non andavano bene? C’era qualcosa che non quadrava?”.

E ancora: “O Grillo mente quando accusa il Parlamento di non aver più fornito alcuna risposta (e in questo caso può essere facilmente sbugiardato) o il Parlamento si sta comportando in modo inaccettabile”.

La risposta, quindi, la fornisce lo stesso presidente della commissione senatoriale che ha preso in carico l’esame della proposta di legge in data 22 dicembre 2008: “Sono io che presi a cuore la cosa – afferma Vizzini – tanto che convocai Grillo in audizione”.

Un’altra strada sarebbe quella di approvare in commissione la proposta di legge, portandola poi alla discussione in aula, ma “per far questo dovrebbe decidere di discuterne la maggioranza in commissione e se devo essere sincero la vedo dura – dice ancora Vizzini – perché vedo le forze politiche molto distanti sulla possibile riforma della legge elettorale, mi parrebbe strano trattare solo quei tre aspetti e non un disegno complessivo”.

Quindi per ora, l’unica risposta che rimane ai 350 mila firmatari e a Beppe Grillo, è quella fornita dalla vicepresidente della commissione Maria Fortuna incostante il 10 giugno 2009: “Il disegno di legge di iniziativa popolare sarà esaminato congiuntamente agli altri disegni di legge in materia elettorale in base al programma di lavori che sarà definito”.

Non è mai stato fatto e oggi il rischio che si vada al voto anticipato appare concreto: con la fine della XVI legislatura la proposta di legge “Parlamento pulito”, presentata nella XV, sarà azzerata. Tutto da rifare.


Beppe Grillo:"Terremoteremo il Parlamento"
di Ferruccio Sansa - www.ilfattoquotidiano.it - 8 Settembre 2010

E annuncia la "Woodstock della politica italiana" a Cesena. Invitato anche Schifani: "Il presidente del Senato deve dirci dove sono le nostre 350mila firme per le Camere Pulite

“Le contestazioni a Schifani? Noi lo invitiamo a Cesena. Però se viene deve rispondere su tutto. Deve dirci dove sono finite le 350 mila firme che avevamo raccolto per la legge sul Parlamento pulito. Se non ce lo dirà, andremo a prendercele noi”. Beppe Grillo sta preparando l’appuntamento del 25 e 26 settembre a Cesena. È un torrente in piena, fai fatica a infilarti tra i suoi pensieri.

Grillo, ha sentito il discorso di Fini?
No, non mi faccia parlare di quella gente. Parlano soltanto di strategie, alleanze, percentuali… vivono in un mondo virtuale. Se ti cacci in queste cose non ne esci più, come una mosca in una ragnatela. Poi mi chiedono di Vendola, Bersani e Berlusconi e sono fregato. Non c’entro con questa gente. Però…

Uno spiraglio si apre, però…
Il discorso di Fini mi ha ricordato quello di 15 anni fa di Berlusconi. Entrambi scendono in campo per il bene del Paese e rinnegano il loro protettore. Berlusconi rinnegò temporaneamente Craxi, oggi Fini rinnega Berlusconi che lo sdoganò dall’innominabile area post fascista proponendolo a sindaco di Roma (era il 1993).

Entrambi, sembra incredibile, parlano di legalità… il primo Berlusconi era ammiratore di Mani Pulite e propose un ministero ad Antonio Di Pietro, Fini era nella ‘cabina di regia’ durante il G8 di Genova.

E le contestazioni a Schifani a Torino?
Guardate chi sono i ragazzi di Torino che vengono definiti mezzi terroristi. C’era Davide Bono, consigliere regionale eletto con il MoVimento 5 Stelle. In aula ha combattuto termovalorizzatori, colate di cemento, espropriazione della nostra acqua.

Che cosa avrebbero di così speciale?
Confrontate i loro sguardi trasparenti con gli occhi di Schifani. Bono è uno che passa le notti a studiarsi le delibere, ma non ha smesso di fare il medico.

Ma non è un po’ troppo facile dire di essere “diversi”?
Macché dire, qui sono i fatti, i nostri programmi a parlare

Se voi foste in Parlamento che cosa fareste?
Non usi il condizionale. Alle prossime politiche candideremo i nostri ragazzi per il Parlamento. Sarà un terremoto in quel cimitero di elefanti.

Che cosa proporrete?
Più informazione e partecipazione: tre mesi prima di entrare in vigore le leggi dovrebbero essere pubblicate su Internet e sottoposte ai cittadini. Poi vogliamo referendum propositivi anche senza quorum. Vado avanti?

Perché no?
Noi siamo per il federalismo, quello vero, altro che la Padania. Sogniamo gli Stati Uniti d’Italia, che riuniscano le regioni con anime diverse. Poi addio alle province, basta doppi incarichi e doppie indennità.

In economia via le stock option, sì a un tetto massimo e minimo per i salari di manager e operai. E poi l’industria. Napolitano parla di industria, ma in che Paese vive? Ha visto quante nostre industrie stanno in piedi solo con i soldi dello Stato? Se un’impresa va in malora deve fallire. Basta finanziamenti pubblici, cioè nostri. I soldi vanno dati agli operai e alle forze fresche.

Ci sono anche partiti, magari all’estero, con proposte simili.
Ancora con i partiti. Per capire chi siamo, lasciate i giornali e Minzolini… venite a Cesena, ci sono migliaia di persone che si stanno preparando con autobus e treni. Hanno perfino rinviato la partita con il Napoli.

Che cosa succederà davvero?
Sarà la Woodstock della politica italiana. I partiti si vedono in quei vecchi alberghi che sanno di rosolio davanti a quattro pensionati. Noi ci incontreremo all’aperto, di fronte a tutti. Ognuno varrà uno, io, gli ospiti e ciascun partecipante.

Tutti potranno farsi sentire. Noi siamo l’Amuchina della politica, disinfettiamo dai microbi. E poi c’è il Web, che fa da poliziotto: massima trasparenza su tutto, chi sbaglia, anche noi, si prende le sue responsabilità.

Ma perché i giovani dovrebbero venire a Cesena e non alla festa del Pd, per dire…
Cesena è un urlo di liberazione dal sudario delle parole vuote. I giornali parlano di politici, di alleanze, dell’uomo nuovo… A Cesena si discuterà di politica, non di politici, di idee non di ideologie. I cittadini devono riprendersi il Paese che hanno delegato ad affaristi e gente che senza la politica sarebbe disoccupata, come Fassino o Gasparri.

Bastano due giorni per cambiare un Paese?
È il segno, noi lavoriamo da anni e andremo avanti. Ma il Mo-Vimento 5 Stelle è diverso in tutto: chiede ai giovani di occuparsi di politica, del loro futuro, di entrare nei consigli comunali, regionali e in Parlamento.

Questi ragazzi saranno sempre collegati con gli elettori attraverso la Rete, scriveranno assieme a loro le proposte di legge, renderanno trasparenti le istituzioni. Il MoVimento 5 Stelle vuole trasformare la politica in servizio civile, cancellare il politico di mestiere, il governatore a vita come Formigoni.

Due mandati e poi si torna a lavorare. Basta la truffa del finanziamento pubblico trasformato in “rimborso elettorale”, i partiti vivono spartendosi quasi un miliardo… e se si scioglie il Parlamento cumuleranno i rimborsi della presente legislatura con quelli futuri. Ai partiti e ai parlamentari – che hanno raggiunto l’anzianità per la pensione – la crisi conviene. Senza i finanziamenti elettorali, bocciati da un referendum, i partiti non esisterebbero.

Facile a dirsi, ma voi come fate?
Non abbiamo preso contributi, abbiamo rifiutato 1,7 milioni di “rimborsi” per le regionali. In cinque regioni abbiamo avuto mezzo milione di consensi. Ogni voto ci è costato 0,8 centesimi, pagati da contributi volontari. I nostri consiglieri regionali si sono ridotti lo stipendio a 1.500 euro al mese. Il MoVimento 5 Stelle è il ritorno dei cittadini alla politica, in prima persona, con l’elmetto.