venerdì 8 luglio 2011

Crisi economica update...

Una giornata campale quella di oggi in Borsa, con l'indice Ftse Mib che ha toccato - 3,47% e con il divario tra i titoli di Stato italiani e quelli tedeschi (Btp e Bund) che ha raggiunto il record storico di 247 punti base.

Materialmente ciò significa che in quel momento, per trovare acquirenti disposti ad assumersene il rischio, i Btp decennali già scambiati sul mercato dovevano offrire un rendimento di 2,47 punti percentuali superiore agli equivalenti tedeschi.

E di conseguenza il tasso di rendimento dei titoli di Stato italiani a 10 anni è subito schizzato al 5,36%.
In teoria, avendo tutti i 17 Paesi dell'area euro la stessa moneta, non dovrebbero esistere differenze di rendimento dei titoli di Stato di un Paese rispetto all'altro.

Comunque tutto ciò è anche conseguenza delle dichiarazioni di Moody's di martedì scorso che aveva declassato a livello di "spazzatura" i titoli di Stato portoghesi.

Ma questa impennata di 20 punti base dello spread Btp/Bund costa all'Italia circa 3,6 miliardi di euro. La metà di quanto lo Stato dovrebbe incassare dall'iniqua e autolesionista maggiorazione dell'imposta di bollo sui conti titoli, tanto per dire. Oppure un miliardo in più dei risparmi previsti con il taglio delle pensioni, la metà di quanto la stessa manovra prevede di tagliare al sistema sanitario nazionale.

Va tutto bene, madama la marchesa...


P.S. I cinesi hanno da poco creato la loro agenzia di rating, la Dagong, e anche la Russia ci sta pensando. L'Ue invece che cosa aspetta a costituirne una propria??



Le Agenzie di rating giocano sporco. Servono regole che le neutralizzino
di Mario Lettieri e Paolo Raimondi - Arianna Editrice - 8 Luglio 2011

Finalmente la grande stampa nazionale sembra capire i giochi sporchi delle agenzie di rating e ha cominciato a sfidare le loro sentenze sullo stato di salute dell'economia. L'ultima riguarda il Portogallo i cui titoli sono stati declassati a livello junk, spazzatura.

A risvegliare un senso di difesa dell'interesse nazionale sono state le valutazioni negative sulla manovra di finanza pubblica e sulla situazione delle 16 maggiori banche italiane. Finora i rating delle agenzie sono stati usati come clava da molti politici contro gli avversari.

Nel 2006 quando abbassarono il rating italiano, l'opposizione gridò al fallimento del governo di Romano Prodi, che pure riuscì a ridurre il debito pubblico di circa 3 punti senza una politica di lacrime e sangue.

Adesso gli annunci di abbassamento del rating da parte delle agenzie offrono il destro per asserire tout court che le politiche economiche non vanno bene. È legittimo opporsi alle varie scelte governative. Ma perché consegnare il governo dell'economia e la nostra sovranità nelle mani delle agenzie di rating?

In tempi non sospetti abbiamo sollevato seri dubbi sui comportamenti delle tre sorelle, Moody's, Standard & Poor's e Fitch, e sui loro conflitti di interessi. Nel 2006 in uno studio, citando i resoconti ufficiali, dimostrammo che i loro executive board, i direttori ed gli alti dirigenti provenivano dalle maggiori banche d'affari e dalle principali corporation americane.

Oggi non è cambiato niente. Moody's e S&P controllano oltre il 40% del mercato del rating. Moody's vanta direttori provenienti da Citigroup, Chase Manatthan Bank, American Express e altri big. S&P è una controllata della McGraw-Hill, un gigante privato dei servizi finanziari, dell'informazione e dei media.

È guidata anche da uomini provenienti dalle grandi banche a cominciare da Citigroup. Guarda caso proprio dalle banche che dominavano e dominano il mercato dei derivati Otc.

Tutto legittimo, ma le agenzie di rating non ci parlino di trasparenza, indipendenza e garanzie contro possibili conflitti di interessi!

Già in questa commistione appare lampante il conflitto di interessi, aggravato dal fatto che le agenzie sono pagate dalle banche per certificare i loro prodotti finanziari, come i Cdo e gli Abs.Titoli derivati su altri titoli di dubbio valore, quali ipoteche, mutui, carte di credito: debiti spesso difficilmente solvibili. Quasi tutti certificati con il bollino della tripla A.

Si ricordi che più del 90% dei Mbs con rating AAA emessi nel 2006-2007 è stato poi declassato al livello di junk. In Italia ed in Europa la stampa parla solo delle difficoltà della Grecia o del Portogallo.

Ma non dà il dovuto risalto alla decisione della Sec di avviare azioni legali nei confronti di alcune agenzie di rating, tra cui S&P, per il loro ruolo nella valutazione del merito creditizio di titoli legati ai mutui che hanno causato la crisi finanziaria.

Nel mondo la credibilità delle tre sorelle è in discussione. La Cina ha la sua Dagong, che ha tagliato da AA ad A+ il rating del debito americano e poi a quello del Regno Unito.

Sotto la spinta cinese in Malesia è stata costituita l'Associazione asiatica delle agenzie di rating con il compito di riformare il sistema e creare nuovi e condivisi standard internazionali di. Anche il premier russo Vladimir Putin ha annunciato che il suo governo era intenzionato a creare proprie agenzie.

L'Europa mostra di essere troppo succube dei vecchi poteri finanziari. Continuiamo a ritenere urgente l'intervento dei governi per dettare norme stringenti a mercati finanziari, sistema bancario e agenzie di rating. Queste ultime sfuggono a qualsiasi seria regolamentazione.


Agenzia cinese Dagong: “Il debito Usa è spazzatura”
di Attilio Folliero - http://attiliofolliero.blogspot.com - 7 Luglio 2011

Il 27 giugno del 2010, il presidente cinese Hu Jintao durante la riunione del G20 a Toronto, dichiarò che era necessario riformare il sistema di qualificazione del debito pubblico, sistema incentrato su tre agenzie di rating, tutte statunitensi.

Hu Jintao parlò della necessità di arrivare ad un nuovo sistema di qualificazione del debito pubblico più giusto e che riflettesse pienamente la situazione economica del paese. Oggi, praticamente ad un anno di distanza da quella dichiarazione, interviene Guan Jianzhong, presidente dell’unica agencia cinese di qualificazione del credito. la Dagong Global Credit Rating Co. Ltd. e ribadisce nuovamente che è necessario cambiare il sistema di qualificazione del credito; inoltre, avverte che il debito pubblico degli USA è di fatto spazzatura.

Guan Jianzhong in una nota pubblicata nel sito della sua agenzia analizza la situazione internazionale, che continua ad essere incentrata su tre agenzie di qualificazione statunitensi e pertanto non imparziali verso il debito del governo USA, che continua ad accumulare debiti. Il crescente debito pubblico degli USA e dei paesi occidentali rappresenta un serio ostacolo per los sviluppo economico mondiale. Infatti -continua la nota di Guan Jianzhong – i primi 15 paesi con i debiti pubblici più alti raccolgono oltre il 90% del credito mondiale e sono tutti occidentali.

Praticamente il credito mondiale serve a finanziare i deficit di bilancio dei principali paesi occidentali. Se non si cambia, questo sistema porterà al collasso dell’economia mondiale. Al fine di evitare un crisi generale della società umana è necesario riformare il sistema, continua la nota.

Gli USA si negano ovviamente a riformare l’attuale sistema incentrato su società di qualificazione unicamente statunitensi. I paesi europei pur avendo un grosso desiderio di cambiare, sono frenati dall’interferenza USA.

Ovviamente anche i paesi poveri sono bloccati essendo fortemente indebitati. La Cina è il principale paese che preme per la riforma. Il mondo ha bisogno della Cina, principale paese emergente e principale paese a fornire credito; però la Cina necessita di un sistema che misuri il rischio del credito in maniera più giusta, per cui sta facendo pressione per riformare il sistema attuale.


La Cina aiuta a mantenere in piedi l'economia dell'Europa

di Vladimir Nesterov - www.strategic-culture.org - 2 Luglio 2011

Il tour di cinque giorni del premier cinese Wen Jiabao in Ungheria, Gran Bretagna e Germania terminato il 28 giugno avrà un impatto durevole sull’economia europea e sul futuro dell’Euro in particolare.

Per l’Ungheria, la visita di Wen Jiabao è stata la prima di un leader di una super-potenza in quasi un quarto di secolo.

Nella sua sosta a Budapest, il leader cinese ha promesso che il suo paese sarà tra i compratori di obbligazioni ungheresi, che rafforzerà l’economia ungherese con un prestito da un miliardo di euro e, per un progetto nel prossimo futuro, si muoverà per innalzare il volume di traffici cino-ungheresi fino al livello del 20 miliardi di euro nel 2015.

E' naturale che nelle condizioni economiche attuali i paesi europei stiano sempre più cercando di attrarre gli investimenti cinesi, a caccia di contratti con le loro azienda e coltivando legami commerciali con il gigante asiatico.

Le esportazioni britanniche in Cina sono rimbalzate del 20% dopo la visita di D. Cameron nel novembre del 2010 a Pechino. Avendo aggiunto al risultato altre 12 nuove trattative per un valore netto di 4,3 miliardi di dollari, tra cui il contratto da 2,46 miliardi di dollari per la costruzione di un impianto ecologico di processamento del carbone, Londra e Pechino si aspettano di vedere raddoppiato il volume del commercio bilaterale e raggiungere i 100 miliardi di dollari nel 2015.

A Budapest Wen Jiabao ha comunicato l’ambiziosa agenda cinese al forum economico e del commercio dei Paesi dell’Europa Centrale e Orientale. Il primo passo suggerito dal leader cinese era quello di incrementare visibilmente il volume dei commerci tra la Cina e la regione.

Al momento, i quindici Stati dell’Europa Centrale e Orientale account per il 4% delle interazioni economiche cinesi e Pechino ritiene che una grande apertura e barriere meno rigide siano i requisiti per raggiungere risultati più convincenti.

Altri punti presenti sulla sua agenda erano quelli di rafforzare la cooperazione nella sfera degli investimenti e nella costruzione di infrastrutture. Queste sono una priorità assoluta per i paesi dell’Europa Centrale e Orientale e alla Cina deve essere riconosciuta una lunga serie di progetti per le infrastrutture di successo.

Da notare che Wen Jiabao ha spinto per dare maggior risalto alle monete nazionali nel corso delle transazioni tra la Cina e gli Stati dell’Europa Centrale e Orientale. Quest’approccio riflette con chiarezza la politica cinese che ha come obbiettivo un graduale scollamento dal dollaro USA.

Il discorso in Germania – il paese che può vantare 76,5 miliardi di euro in esportazioni verso il paese asiatico e 53,6 miliardi di importazione dalla Cina, che assieme costituiscono un terzo degli scambi cinesi in Europa – doveva essere il momento di punta del giro di Wen Jiabao.

La Cina è il settimo acquirente delle esportazioni tedesche ma, davanti a Paesi Bassi e Francia, in cima alla lista dei fornitori delle importazioni della Germania. La Cina preleva i prodotti del settore machine-building tedesco e vende principalmente a questa nazione elettrodomestici, tessuti e vestiti.

A. Merkel ha descritto la cooperazione economica come il principale pilastro del ponte che unisce la Germania alla Cina. La costruzione di un ponte ancora più grande era all’ordine del giorno del primo turno di consultazioni intergovernative tedesco-cinesi che si sono svolte il 28 giugno e era abbinato alla firma di 22 accordi tra cui 14 accordi di vendita per un totale di 10,6 miliardi di euro.

Il tema principale in tutto il processo era la firma di un contratto da parte della Cina per acquistare 62 aerei Airbus A320.

La tedesca Volkswagen ha firmato un contratto con il partner cinese FAW per costruire un nuovo stabilimento automobilistico in Cina, con Daimler e Siemens che si sono assicurate notevoli contratti con le loro controparti cinesi. Al momento, il giro d’affari tra Cina e Germania è previsto che si alzi dagli attuali 142 miliardi di euro a 200 nel 2015.

Un accordo è stato raggiunto per aprire la strada a significativi scambi di investimento tra Germania e Cina. Ad oggi circa 4.500 compagnie tedesche sono operative in Cina.

Ad esempio, Volkswagen sta assemblando le auto dell’Audi nel paese da due decenni, e la maggior parte della produzione è assorbita dal mercato interno e la Daimler ha in progetto di riversare 3 miliardi di euro per impianti produttivi in Cina.

Il ramo cinese del gigante dell’elettronica Siemens impiega 26.000 persone, anche se la gran parte della sua produzione è orientato verso i mercati tedesco e statunitense. BASF, altro colosso tedesco oltre a essere la compagnia chimica più grande al mondo, può vantare un giro di affari pari a 5,8 miliardi di euro sul mercato cinese.

Alla vigilia dell’arrivo di Wen Jiabao in Germania, circa un centinaio di aziende tedesche ha stilato la Dichiarazione di Berlino, che auspica una sospensione o l’espulsione dall’Eurozona delle nazioni in difficoltà finanziaria nell’UE e hanno manifestato la contrarietà della Germania nell'addossarsi il peso del debito della Grecia e di altri membri dell’UE in fase negativa.

Il documento afferma che “l’unione monetaria [dell’Europa] è stata sinora un’unione dei pagamenti” dove la Germania è stata costretta a fare la parte del leone. Da notare che, malgrado l’UE sia una zona turbolenta, Pechino continua a osservare il potenziale dell’Euro.

La promessa di Wen Jiabao - che la Cina contribuirà alla rivitalizzazione dell’economia europea acquistando le emissioni dei bond denominati in Euro delle nazioni europee – è stata interpretata in tutto il mondo come un’indicazione che Pechino stia virando sull’Europa come partner chiave dei propri investimenti e stia progettando di tendere una mano agli europei in questi momenti difficili.

La domanda da porsi è: data la precarietà dell’euro, Pechino ancora ha scelto di affidarsi alla divisa europea?

Il prof. Sun Lijan dell’Institute of World Economy dell’Università di Fudan dà risalto al fatto che la scelta disponibile per la moneta di riserva è ora limitato dal dollaro USA e all’Euro. Visto la vulnerabilità interminabile del dollaro, la Cina naturalmente attribuisce la priorità al mercato europeo.

Secondo il prof. Lijan, in questi giorni immagazzinare le obbligazioni denominate in Euro, estendere la durata dei prestiti contratti con l’Europa e sfornare a ruota contratti con le nazioni europee sono in fondo modi per sostenere implicitamente l’Europa.

Dato che le mosse cinesi per minare il monopolio del dollaro sono oramai una consuetudine, Pechino considera l’indebolimento dell’Euro come un fenomeno da evitare.

La ricerca cinese di una moneta su cui basare le transazioni nel commercio internazionale erode lo status del dollaro USA e serve anche per potenziare lo yuan che si sta avvicinando a poco a poco allo status di moneta globale.

Nel contesto, l’interesse della Cina in Europa può essere inteso come parte di un tutto, ma l’intera strategia cinese è indirizzata molto probabilmente sulla lunga distanza.

La Cina offrirà all’Europa afflussi di capitali se non un bailout de facto, ma il soccorso avrà il costo di un coinvolgimento più profondo e di un serio sostegno politico: con quest’accordo, l’Unione Europea dovrà riconoscere l’importanza di Pechino invece di volgersi sempre verso Washington in cerca di una guida.

In ogni caso, l’influenza sempre più forte esercitata dalla Cina sull’Europa è una tendenza che nessuno può mettere in discussione. È una coincidenza importante, a proposito, che Wen Jiabao abbia visitato Berlino, la capitale della potenza economica europea, due volte negli ultimi nove mesi, mentre il Presidente B. Obama non è riuscito a farsi vedere in città dal suo avvento alla Casa Bianca.


Le ceneri dell'Euro
di Mario Braconi - Altrenotizie - 7 Luglio 2011

Nel bel mezzo delle complicate trattative con le quali i politici si sforzano di far credere al mondo che l’euro non è morto, ecco che arriva l’ennesima pugnalata alle spalle da parte delle agenzie di rating: Moody’s ha declassato il merito di credito del Portogallo di ben quattro livelli, decretandone così il fatidico passaggio da “investment grade” a “junk” (immondizia).

Il risultato di questo simpatico regalo è che il Portogallo, pur riuscendo a finanziare circa un miliardo di fabbisogno con emissioni a 3 mesi, ha dovuto pagare un interesse di circa 6 centesimi più elevato rispetto all’ultima operazione di mercato (il 15 giugno).

Una vera bazzecola rispetto alla corsa folle che hanno comprensibilmente registrato i rendimenti sui titoli di stato decennali, schizzati, come riferisce l’agenzia AFP, oltre il 12% (erano sotto il 10,8% la sera prima del downgrade).

In questi casi non si sa se faccia più danni la speculazione o il panico: gli avvoltoi che svolazzano attorno al cadavere del Portogallo, infatti, non staccano gli occhi dall’Italia; tanto è vero che il differenziale di rendimento tra titoli di stato decennali tedeschi ed italiani, sull’onda emotiva provocata dall’improvvido rigore di Moody’s, si allarga all’istante di 10 centesimi, toccando, e forse anche superando, i 210 punti base (ovvero 2,1%).


La decisione di Moody’s, entrata nella cristalleria della finanza pubblica europea con la leggiadria di un elefante obeso e irrita policymaker e banchieri, che si danno ad una vera a propria orgia di dichiarazioni a mezzo stampa.

Si distingue, per stile e contenuto, l’ineccepibile commento del presidente dell’Unione: “Sono molto infastidito [dalla condotta di Moody’s], ha detto, in particolar modo per la scelta dei tempi e per l’entità del downgrade. I commenti dell’agenzia di rating non aggiungono niente in termini di chiarezza; in compenso contribuiscono a rafforzare gli elementi speculativi in una situazione già difficile”.

Suona patetico e frustrato, invece, il commento del ministro delle finanze tedesco, che vagheggia un futuro in cui il monopolio di Moody’s, Fitch e Standards & Poor’s verrà spezzato da un’ipotetica agenzia di rating europea.

Una nuova entità che, almeno nei sogni Wolfgang Schaeuble, dovrebbe funzionare da strumento di propaganda più che da arbitro imparziale al servizio degli operatori di mercato.

Anziché abbandonarsi ai suoi sogni ad occhi aperti, Schaeuble sarebbe stato molto più incisivo se avesse messo alla berlina le agenzie di rating con alcune semplici domande: dove erano le Trimurti della finanza mondiale quando il Portogallo continuava a sbronzarsi con i tassi reali prossimi allo zero?

Secondo il modello adottato da Credit Suisse, il debito dei privati in Portogallo potrebbe aver raggiunto il 230% del PIL: possibile che simili dati non abbiano fatto suonare qualche campanello d’allarme nelle stanze dove si pretende di voler dare i voti al mondo intero? Sarebbe stato bene ricordare anche che chi oggi dà la sua possente spallata ad un sistema agonizzante, ieri attribuiva il massimo dei voti ai derivati-immondizia che hanno polverizzato Lehman e messo in ginocchio il mondo.

L’analisi che del downgrade portoghese fa Andrew Garthwaite di Credit Suisse sulla celebre colonna “Alphaville” del Financial Times, è allo stesso tempo scanzonata ed agghiacciante. E poi tanto grave questo declassamento?

Secondo l’economista no. Innanzitutto, c’è la questione dei creditori della Grecia: le banche francesi e quelle tedesche hanno le esposizioni più pesanti verso quel Paese (rispettivamente 50 e 30 miliardi di euro) e tutto desiderano tranne un bagno di sangue al momento in cui una bella fetta degli asset accumulati nei loro attivi dovessero vaporizzarsi perché la Grecia è di fatto fallita.

Una proposta francese per uscire dall’impasse prevede la possibilità per lo stato greco creditore di rinnovare (“roll-over”) il debito a determinate condizioni (rimborsare senza indugio il 30% del debito, sostituendo il 70% residuo con emissioni trentennali): una forma di “atterraggio morbido”, che consentirebbe alla Grecia di tirare un sospiro di sollievo, riducendo ad un terzo la perdita di conto economico per le banche europee esposte verso quel Paese.

La si può raccontare come si vuole, ma questo è a tutti gli effetti un default, anche se Standards & Poors ha inventato un termine più digeribile, “selective default”, con gran dispetto di Trichet, che questa brutta parola a casa Europa proprio non lo vuol sentir pronunciare.

In ogni caso, l’atteggiamento conciliante di S&P sul default greco finisce per minimizzare l’effetto reale del downgrade del Portogallo da parte di Moody’s: insomma, situazione disperata, ma non seria.

Il tutto senza contare che, se vuole salvare il sistema, la Banca Centrale Europea non potrà permettersi di fare la schizzinosa e dovrà continuare a comprare titoli di Stato, siano essi considerati preziosi come diamanti o disgustosi come un sacco di “monnezza”.

L’analisi di Garthwaite è impietosa: l’enorme indebitamento privato portoghese diventerà presto un problema del governo lusitano, il rapporto debito/PIL passerà dal 90% a oltre il 130% nel 2014; la competitività è molto bassa e, secondo Credit Suisse, l’aggiustamento dovrebbe passare attraverso riduzioni dei salari comprese tra il 5 e il 10%, cosa che oltretutto produrrebbe un ulteriore peggioramento delle finanze pubbliche per minor gettito fiscale.

Insomma, i portoghesi, le cui finanze sono sull’orlo della bancarotta, tra qualche anno si troveranno sempre più poveri ed indebitati. A molti, che non hanno goduto degli anni della allegra irresponsabilità, verrà chiesto, cortesemente, di raccogliere i cocci e senza troppe lamentele, bitte. Se questo non è un fallimento politico e morale, oltre che economico, ci si avvicina molto.



L'assalto degli Usa a Italia (e Ue)
di Mauro Bottarelli - Il Sussidiario.net - 8 Luglio 2011

L’attacco di cui parlavamo nell’articolo di ieri è partito in grande stile e il fatto che ieri Silvio Berlusconi abbia parlato di «fango e poteri forti» contro di lui, non deve apparire una difesa d’ufficio o, peggio, uno scaricabarile rispetto a quanto non fatto dalla maggioranza: in parte, al netto degli errori commessi (tanti), è la verità.

Siamo alla vigilia di un nuovo 1992, che questo piaccia o meno. Ieri il differenziale di rendimento tra Btp decennali e Bund tedeschi è volato al nuovo massimo storico a 224 punti base, spingendo il rendimento del Btp a 10 anni al 5,185.

Già mercoledì il tasso aveva superato la soglia psicologica del 5% per la prima volta dal 2008, subendo la pressione del rischio contagio della crisi del debito sovrano, amplificata dal downgrade del Portogallo deciso da Moody’s tre giorni fa.

In tensione anche i titoli di Stato della Spagna per l’asta da 2-3 miliardi di euro in programma ieri: il tasso del decennale è salito di 6 punti base al 5,66% e lo spread con il bund si è ampliato a 271,6 punti.

E tanto per non farci mancare nulla, nuovi massimi anche per il rischio debito di Portogallo e Irlanda: i credit default swaps su Lisbona sono balzati per la prima volta oltre quota 1000 punti base, praticamente l’insolvenza e la bancarotta, mentre quelli su Dublino sono aumentati di 5 punti al picco di 848 punti. Stabili, invece, quelli su Atene a 2.150 punti base, praticamente fantascienza.

Non contenta di aver tagliato il rating sovrano del Portogallo, poi, Moody’s è intervenuta su quattro banche locali che si sono viste declassare il proprio debito garantito dal governo: si tratta della Caixa Geral de Depositos, del Banco Espirito Santo, del Banco Comercial Portugues e del Banco Internacional do Funchal.

Il debito garantito dal governo per la Caixa Geral des Depositos e il Banco Espirito Santo è stato declassato di tre livelli a Ba1 da Baa1 e rimane in attesa di un ulteriore taglio, mentre il debito di Banco Comercial Portugeus e Banif è declassato di quattro notches a Ba2 da Baa1, con outlook negativo.

Come dire, in quelle banche sono depositati solo debiti. E dopo l’attacco di Commissione europea e José Manuel Barroso in persona, ieri anche l’Ocse si è unita al coro generale, sollevando la questione dell’ambivalenza delle decisioni prese dalle agenzie di rating.

In un’intervista al quotidiano La Stampa, il capo-economista dell’Ocse, Pier Carlo Padoan, sottolineava la natura pro-ciclica delle decisioni, che molto spesso non fanno altro che aggravare la crisi in corso: «Non è vero che trasmettono informazioni: esprimono valutazioni imprimendo un’accelerazione a tendenze che sono già in atto. È come dare una spinta a chi è già sull’orlo del burrone. Aggravano la crisi».

Padoan, tuttavia, appare fiducioso sulla capacità dell’euro di reggere all’onda d’urto e dell’Unione europea di rafforzare le sue istituzioni e il coordinamento, anche grazie agli eurobond.

Di parere decisamente opposto Dennis Gartman, guru dell’investimento Usa, che intervistato da Cnbc ha espresso i seguenti concetti, mettendo Spagna e Italia nel medesimo calderone di Grecia, Irlanda e Portogallo (e i balzi dei cds, in effetti, tutti i torti non glieli danno): «Probabilmente i problemi saranno contenuti nel breve termine, ma nel lungo periodo la situazione è definitivamente impostata verso un epilogo non positivo. Mi aspetto che tutti i Piigs andranno in bancarotta e non parlo di un arco temporale di 10 o 20 anni da oggi, ma che qualcosa accada nel prossimo anno e mezzo. Il loro destino è segnato».

Giudizi netti, forse ammantati di un pessimismo autoavverante, ma condivisi anche dal trader Jon Najarian, sempre intervistato da Cnbc, il quale allunga l’arco temporale prima del disastro a «3-5 anni, ma per il resto condivido appieno l’analisi di Gartman. Il debito di quegli Stati è insostenibile e la cosa peggiore da fare in questo contesto è alzare le tasse, cosa che quei governi stanno facendo».

Conferma Gartman: «Come si può pensare che un aumento delle tasse possa aiutare paesi con un tasso di disoccupazione del 20%?».

Talmente è convinto delle sue idee che Gartman prefigura anche un pattern sull’euro/dollaro: «Il fatto che l’euro abbia rotto sotto 1,43 è tecnicamente importante, scommetto che viaggeremo in area 1,40 in un futuro non troppo distante. I guai, quelli veri, sono in arrivo». E per Jon Najarian, «i grandi players stanno già piazzando scommesse su questi livelli».

Insomma, siamo sotto attacco e il motivo è chiaro: negli Usa c’è la percezione che la situazione dell’euro sia più catastrofica di quanto noi non pensiamo, quindi si opera su grandi volumi in tal senso.

E l’Europa, purtroppo, non sa difendersi, avendo istituzioni che si muovono in ordine sparso, non avendo una sua società di rating che faccia da contraltare alle “tre sorelle” Usa, istituzioni che in questi giorni stanno gestendo la politica economica del Paese nella speranza che affondando l’euro e l’Europa, gli investitori si gettino sul mercato dei Treasuries dopo la fine del programma di acquisto della Fed.

Insomma, nelle dark pools della banche d’affari si scommette contro di noi e l’Italia è la prima sulla linea del fuoco: tutte le nostre principali aziende sono nei portafogli short dei fondi speculativi e dei grandi investitori e instabilità politica e debiti monstre creano dei supporti di fondamentale per queste teorie e pratiche di investimento, tutte basate su scommesse allo scoperto che all’interno di entità opache come le dark pools sono la norma.

C’è un però, dietro tutto questo: ci rendiamo conto di chi ci sta attaccando?

Un Paese sull’orlo del default tecnico sul tetto di debito, un Paese che solo i vergognosi conflitti d’interesse in seno alla società di rating mantengono ancora a livello AAA, visto che un downgrade - più che giustificato dalle cifre - ucciderebbe ogni speranze di far ritrovare ai T-Bills il loro status di bene rifugio più sicuro dopo l’oro.

Specula su di noi e sulle nostre debolezze un Paese dove il Tesoro, invece di mettere un singolo penny nei fondi pensione federali come G e CSRD, ha deciso di defraudare dei loro accantonamenti i pensionati, utilizzando in maniera sistematica le cosiddette intragovernamental holdings come bancomat per pagare il debito sul mercato.

Così, mentre il debito Usa detenuto dai cittadini è cresciuto di altri 21 miliardi di dollari in base alle aste della scorsa settimana (l’ultima di QE2 e monetizzazione del debito), per restare sotto la soglia di debito di 14.294 miliardi di euro, il buon Tim Geithner ha disinvestito altri 20 miliardi di dollari dai fondi pensione, un dato che porta il livello di disinvestimento per i vari fondi finiti sotto questo ombrello emergenziale a oltre 120 miliardi di dollari.

Ovviamente, se non si creerà un evento di default entro il 2 agosto prossimo, deadline per innalzare il tetto di indebitamento, questi fondi disinvestiti saranno i primi a essere reintegrati nelle casse.

Ma se non si arriverà a un accordo sull’innalzamento, la situazione si farà molto pesante per i pensionati Usa, visto che il cosiddetto marketable debt, ovvero cedole e interessi da pagare sulle obbligazioni governative, hanno la priorità sul debito intragovernativo, ovvero i fondi pensione federali.

Capito chi ci sta facendo la guerra dal buio delle dark pools, dicendosi convinto del disastro che ci attende dietro l’angolo?

Il bue che dà del cornuto all’asino, peccato che quel bue abbia la leva finanziaria, le agenzie di rating e qualche kapò fiancheggiatore in seno all’Europa che lavora per suo conto: molti analisti vedono un trend in crescita per lo spread Btp/Bund nel breve termine nell’ordine di 300-325 punti base, con prezzi delle nostre obbligazioni in discesa. Siamo sotto attacco, l’ultima cosa da fare è dividersi. Questa volta non si sta scherzando.


P.S. A conferma dei tempi duri che abbiamo di fronte e dell’allucinante politica Usa, degna di una valutazione portoghese se esistessero veramente agenzie di rating credibili e indipendenti, guardiamo al prezzo dell’oro in prospettiva: al termine del bull market garantito dal secondo ciclo di quantitative easing conclusosi il 30 giugno scorso, potrebbe arrivare a 2300 dollari l’oncia. Ne sono convinti all’Erste Group, dopo la pubblicazione dell’ottimo report “In gold we trust” che analizza i trend auriferi.

Quali i fattori di forza? Le valute sempre più deprezzate e destinate a perdere ancora valore a fronte delle crisi dei debiti sovrani, la ratio stock-to-flow (la quantità di oro prodotto in totale diviso la produzione annuale) che in base ai dati del 2010 parla di una ratio di 65 anni (ovvero scarsità solo percepita), il fatto che le altre commodities si consumino mentre l’oro si stocca e si conserva, ma soprattutto le proiezioni riguardo il cosiddetto Shadow Gold Price (ottenuto dividendo la base monetaria Usa per le detenzioni aurifere Usa): se si fosse mantenuta la piena convertibilità dollaro/oro, continuando a stampare biglietti verdi come si è fatto finora, oggi l’oro varrebbe quasi 9mila dollari l’oncia.

Nel 2008, il prezzo dello Shadow Gold era circa 3mila dollari l’oncia, poi Ben Bernanke ha fatto il resto facendone triplicare il prezzo in due anni e mezzo (con queste credenziali, chi potrà strappargli il premio Nobel per l’economia una volta abbandonata la guida della Fed?). Vi rendete conto di chi ci fa la morale e ci specula contro?

P.S. A sorpresa, ieri Jean-Claude Trichet ha annunciato la sospensione dei requisiti di rating per il collaterale emesso dal governo portoghese e utilizzato per prendere a prestito denaro dalla Banca centrale, decisione che in base al comunicato stampa della Bce «resterà in vigore fino a comunicazione contraria».

In parole povere, pur di evitare un default, Francoforte è pronta a inglobare nei propri bilanci ulteriori quintalate di obbligazioni definite “spazzatura” dalle agenzie di rating e quindi non utilizzabili come fonte di finanziamento sul libero mercato.

L’ultimo atto di Trichet potrebbe quindi essere una silenziosa e mascherata versione europea del quantitative easing messo in campo in due tranche dalla Fed americana, ovvero monetizzare il debito accettando come collaterale dei prestiti qualsiasi tipo di bond, anche insolvente, senza fare affidamento al mark-to-market.

Per quanto la Bce possa proseguire in questa politica senza rischiare essa stessa l’insolvenza, a fronte di sempre più possibili tagli draconiani dei rendimenti delle obbligazioni periferiche, non è dato a sapere, ma l’azzardo appare alto, sintomo di come il rischio di bancarotta stia crescendo a dismisura giorno dopo giorno. Esattamente come gli spread dei Btp decennali sul Bund.