venerdì 22 luglio 2011

Guerra in Libia - update

Torniamo sulla guerra in Libia con qualche aggiornamento, anche se resta assodato che Gheddafi non molla e, comunque vada a finire, resterà nel suo Paese.


Armi alla Libia, confermato lo scoop di "Globalist"
di Ennio Remondino - www.globalist.ch - 19 Luglio 2011

Il governo mette il segreto di Stato alla magistratura che indaga sulla scomparsa di un carico di armi dalla Sardegna.

L'inchiesta della magistratura sarda sul mistero dei missili e delle armi scomparse dalla Maddalena su cui il governo ha apposto il segreto di Stato, rappresenta la conferma dello scoop di Globalist sulle spedizioni di materiale bellico che il governo italiano ha fatto ai ribelli libici fin da inizio marzo. Infatti la scomparsa di quel materiale riguarda proprio la Libia e non altro.

Oggi siamo in grado di rivelare il retroscena politico che ha portato a questa operazione: nell'ultima parte del mese di febbraio, quando la posizione del governo Berlusconi (in questo appoggiato dalla Lega) di continuare ad appoggiare Gheddafi era diventata insostenibile, il ministro Frattini e il sottosegretario Gianni Letta, sono riusciti a organizzare una operazione congiunta con l'ambasciatore libico a Roma, il potentissimo Abdulhafed Gaddur, che nel frattempo aveva annunciato di aver abbandonato Gheddafi per schierarsi con gli insorti.

Gaddur si è fatto garante di un accordo con Mustafa Abdel Jalil, ex ministro della giustizia di Gheddafi diventato presidente del Consiglio Nazionale di Transizione libico.

Il "prezzo" da pagare per dimostrare il vero cambio di campo da parte del governo Berlusconi erano diversi aiuti. Tra cui una sostanziosa fornitura di armi di cui gli insorti avevano grandi necessità.
Nel "pacchetto" ci sarebbero state anche garanzie personali ed economiche a favore di alcuni alti papaveri degli insorti. Ma di questo, semmai, se ne parlerà un'altra volta.

Fatto sta che a inizio marzo un primo carico di armi è arivato a Bengasi con la nave Libra della Marina Militare. Ma le consegne sono state diverse. Su una di queste è stata aperta l'inchiesta della magistratura che ha consentito di confermare quello che già era stato scritto
.

Lo "Scoop" a scoppio ritardato. La solita scoperta che l'acqua calda brucia e l'effetto diventa titolo sui giornali dell'ovvio. Gli "aiuti" italiani ai ribelli libici di Bengasi, nuovi amici da conquistare agli interessi nazionali e petroliferi italiani, erano anche armi.

Soprattutto armi. Dovevamo mandare forse latte liofilizzato e pannolini per neonati? Neanche le imbarazzanti piroette politico-dialettiche del ministro degli esteri Franco Frattini erano arrivate a tanto.

Prima la difesa fuori tempo massimo di Gheddafi, poi la rincorsa a cancellare le tracce delle imbarazzanti ruffianate e mettere a frutto, con i probabili futuri nuovi padroni della Libia, il nostro capitale di rapporti interni, certamente privilegiato. Vuoi sul fronte diplomatico, vuoi imprenditoriale, vuoi di "intelligence", che poi traduci in spie. Per non lasciare campo a francesi ed inglesi, che la democrazia in Libia la pesano a barili di petrolio.

Quando il Segreto è legittimo? Né potevamo pretendere che lo stesso ex magistrato Frattini venisse a raccontarci che, per fornire quelle armi sottobanco a dei "ribelli", si doveva "forzare" qualche legge. Quelle che valgono per i comuni mortali. Salvo eccezioni, nell'interesse dello Stato, da tutelare appunto col "Segreto di Stato".

Globalist aveva lanciato il sasso, volutamente ignorato da alcune agenzie di stampa nostrane su "consiglio" della Farnesina. Armi che ufficialmente non esistevano in Italia e che quindi potevano tranquillamente viaggiare e cambiare destinatario e utilizzo.

Noi sapevamo, con dettagli, del vecchio arsenale ex Gladio uscito da Capo Marrargiu e sbarcato a Bengasi. Oggi, grazie all'intervento di una Procura della Repubblica, veniamo a sapere di un'altra spedizione della stessa partita. Altro materiale non inventariato, quindi "inesistente" e spendibile.

Due spedizioni e il resto. Sempre dalla Sardegna, questa volta i sotterranei dell'ex base navale Usa della Maddalena. Merce militarmente più pregiata per i "consumatori finali", come direbbe Ghedini. Armamento ex URSS finito nelle guerre balcaniche e sequestrato dalla Nato nel 1994.

Un cargo fermato al largo di Otranto mentre navigava verso la Croazia. L'armamento, un bel po' di arnesi destinati alla "reconquista" delle krajne serbe, finisce in "custodia" dentro un magazzino delle forze armate italiane.

Non inventariato ufficialmente, esattamente come le armi più obsolete e di marca occidentale dei vecchi "Nasco" della Stay Behind italiana. Il meglio per i combattenti libici che il servizio militare lo hanno fatto usando gli AK-47, gli ormai inflazionati Kalashnikov, e non certo le bifilari Beretta ormai adottate come arma di ordinanza persino dagli ex Cow Boy della Colt.

Segreto buono, segreto sporco. Due spedizioni clandestine d'armi verso la Libia, quelle svelate sino ad oggi. Una non nega l'altra ma, anzi, la conferma. Con due dettagli da sottolineare. Il primo riguarda il modello informativo italiano: non quello di Aisi o Aise, ma quello dei giornali.

Certe notizie, se non obbligate da evidenze ufficiali, non trovano l'attenzione e l'impegno di verifica per la diffusione "alta". Salvo chiedere alla Farnesina se è vero che Frattini ha detto una bugia e gli "aiuti umanitari italiani" ai ribelli libici prevedevano qualcosa in più di alimenti e medicinali. Come chiedere a Riina se esiste la mafia.

Due: la stessa magistratura ordinaria insegue oggi le armi ex balcaniche per un eventuale trasporto occulto su navi "civili", con rischio per i passeggeri. Più o meno come valutare la punizione per guida senza patente all'autore di una strage.

"Deviato" sarà Lei! Per essere seri e realisti occorre innanzitutto prendere atto che esiste il "Segreto di Stato" garantito ad operazioni di intelligence legate alla sicurezza: attive, passive, preventive. Poi uno può porsi il problema se quelle operazioni erano realmente nell'interesse della Stato, se l'input era istituzionale, corretto, preveggente o sbagliato.

Responsabilità politiche, insomma. Sempre. Dove, a grattare sino in fondo, rischi di scoprire che una intera generazione di giornalismo pistaiolo, a caccia dei rami "deviati dei Servizi", ha sbagliato semplicemente albero.

Sempre e soltanto quello dell'indirizzo politico, salvo non lievi intromissioni di "suggeritori politici" ufficialmente non autorizzati. Ufficialmente, ripeto, e non certo per fare un favore ai "Fratelli" delle varie "P" diversamente numerate che lo Stato avevano infiltrato.

Semplice presa d'atto, analisi senza moralismi di una realtà planetaria diffusa. La politica, sempre, soltanto e soprattutto. Se poi la politica non è mirata all'interesse collettivo ma di una parte, non è colpa né del cronista né dello "spedizioniere" di armi verso la Libia.



Libia: Washington prepara la sua rivincita
di Thierry Meyssan - www.voltairenet.org - 21 Luglio 2011
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di Supervice

Si accelerano i negoziati tra Libia e Stati Uniti per arrivare a un “cessate il fuoco” che permetterebbe alla NATO di salvare la faccia. Ma lontana dall’abbandonare l’ambizione di rimodellare l'Africa settentrionale, l'amministrazione Obama prepara già una seconda fase, come riporta Thierry Meyssan da Tripoli.

Come ho spiegato in maniera alternativa nei miei articoli, la NATO il 1° luglio ha perso politicamente la guerra di Libia, nel momento in cui 1.700.000 libici sono scesi nelle vie di Tripoli per schernire l'alleanza e scherarsi in blocco con Mouammar Gheddafi [1].

Restano da trarre le conseguenze di questa disfatta. È quello che Washington ha fatto rapidamente, senza pensare che fosse necessario mettere al corrente i suoi alleati della velocità del suo cambio di direzione, e neppure della sua nuova strategia.

Rubare gli averi e prepararsi al saccheggio

Intanto, la Casa Bianca ha deciso di rubare quanto più possibile dei beni libici, per confermare di non avere profuso i propri capitali per niente. Hillary Clinton è stata informata di questa decisione mentre era a bordo del suo aereo diretto a Istanbul. Non ha avuto niente da dire, ma solo da ubbidire.

Da notare che i turchi e i francesi avevano inviato i colleghi della Segretaria di Stato. Erano arrivati con le loro proposte che sono state messe subito nel guardaroba, senza essere autorizzati neanche a esporle.

La riunione si è ridotta a una seduta di registrazione. I membri del Gruppo di contatto sono stati informati della decisione della Casa Bianca di fare un inventario dei beni libici e di farli intascare al Consiglio Nazionale di Transizione libico. Questo si applica sia ai beni finanziari che all'autorizzazione per trasmettere dal satellite Nilesat, o anche allo sfruttamento petrolifero nella zona controllata dalla NATO.

Per realizzare questo saccheggio, i membri del Gruppo di contatto, visto che non l'avevano ancora fatto, sono stati ancora pregati di riconoscere il CNT come unico rappresentante del popolo libico al posto della Jamahiriya Araba Libica [2].

Sono stati informati che l'operazione era supervisionata dal Libyan Information Exchange Mechanism (LIEM), di cui si era laconicamente annunciata "l'attivazione" nel corso della riunione precedente, tenuta il 9 giugno ad Abu Dhabi.

Tuttavia, nessuna notizia è trapelata a proposito dello stato giuridico del Consiglio Nazionale di Transizione o del LIEM. Tutto lascia pensare che la Casa Bianca stia costruendo un dispositivo simile a quello che aveva funzionato così bene in Iraq [3]. A Baghdad, Washington aveva subito aperto l'Ufficio per la Ricostruzione e l’Assistenza Umanitaria – l’Office of Reconstruction and Humanitarian Assistance (ORHA) -, diretto dal generale Jay Garner.

Si seppe in seguito che l'OHRA era stato istituito con una direttiva presidenziale segreta firmata prima ancora che al Consiglio di Sicurezza si parlasse di un conflitto. Contrariamente a quello che il nome potrebbe far pensare, questo organismo era collegato al Pentagono.

Per via delle somiglianze, lo stesso vale per il LIEM, anche se, ufficialmente, l’amministratore è un italiano.

A Baghdad, l'ORHA fu assorbito velocemente dall'autorità provvisoria della Coalizione, (Coalition Provisory Authority - CPA), diretta per L. Paul Bremer III che fu plenipotenziario per un anno. Ho già fatto notare che la CPA non era un ente di diritto internazionale, né di diritto statunitense, ma solo una società privata.

Tuttavia, si ignora ancor oggi dove sia registrata e chi fossero gli azionisti. La sola cosa certa è che la CPA si dedicò al saccheggio sistematico del paese e si ritirò solamente dopo aver costretto il futuro governo iracheno ad approvare una serie di leggi asimmetriche che garantivano alle multinazionali il diritto di sfruttare pesantemente il paese per 99 anni.

Senza alcuna sorpresa, ci possiamo aspettare che, una volta raggiunto il “cessate il fuoco”, il LIEM sarà assorbito a Benghazi in una sorta di CPA.

Negoziare un'uscita militare

In secondo luogo, subito dopo la riunione, Washington ha avviato dei negoziati con Tripoli. Si dovranno svolgere a Tunisi. La delegazione statunitense è guidata dall'assistente alla Segreteria di Stato per il Vicino Oriente, Jeffrey Feltman.

Nel vocabolario imperiale, il Vicino Oriente (Near East) indica tutti gli Stati arabi dell’Africa settentrionale, del Levante e del Golfo, più Israele. E il titolo di assistente alla Segreteria di Stato indica un proconsole.

Così Jeffrey Feltman ha l'abitudine di ricevere i suoi visitatori a Washington mentre sposta la sua mano con gesti larghi su una mappa geografica del "Vicino Oriente", spiegando per presentarsi: "Questa è la mia giurisdizione".

Aprendo delle trattative dirette, Washington ha chiuso il canale permanente di negoziati curati da Parigi. Dall'inizio del conflitto armato, il colonnello Gheddafi ha discusso continuamente col presidente Nicolas Sarkozy e il suo ministro, Alain Juppé. Con loro ha già elaborato diversi piani per uscire dalla crisi, ognuno da promesse fatte di nascosto, ma sempre censurati dalla Casa Bianca.

All’inizio della riunione, Jeffrey Feltman si è espresso come se dovesse fissare un ultimatum e non come se fosse impegnato in un processo diplomatico. È il comportamento abituale di un proconsole, ma non ha bisogno di cambiare la sua natura per dimostrarsi arrogante e fragile, è il suo modo di essere da quando sua sposa, una brillante storica dell'arte, è riuscita a calmarlo.

Una volta terminato il suo numero da dominatore, il piccolo Jeffrey Feltman è diventato via via più conciliante. In definitiva, Washington ha ammesso di aver perso la partita e finge di rinunciare alle sue ambizioni locali.

La Casa Bianca si accontenterebbe di un “cessate il fuoco” dove la NATO non debba controllare la Cirenaica nel suo insieme, ma solo tre enclave tra cui Benghazi, ma probabilmente non Misurata. La NATO cederebbe il suo posto a una forza di pace delle Nazioni Unite.

In base al calendario, il Ramadan, che quest’anno va dal 1° al 29 agosto, darebbe un'opportunità per interrompere i bombardamenti e per effettuare questa transizione.

Le uniche condizioni di Washington: dimostrarsi generosi per le concessioni petrolifere e quelle del gas, e organizzare il ritiro anticipato della "Guida". Dal lato libico, la prima richiesta può anche essere discussa, ma la seconda è un affronto, visto che Mouammar Gheddafi è diventato nel corso del conflitto il simbolo dell'unità e della resistenza alla “aggressione delle Crociate". La delegazione considera questa richiesta un'umiliazione.

Come risposta, un libico, il cui il fratello è morto in combattimento, venerdì 21 luglio ha deciso di vendere la sua fattoria per finanziare l'esposizione sulla Piazza Verde di Tripoli di un gigantesco ritratto dell'eroe nazionale.

Preparare una seconda fase

In terzo luogo, questa nuova direzione della NATO non significa un abbandono definitivo delle ambizioni di Washington. Fin da subito ci si prepara a una nuova fase. Una volta che sarà entrato in vigore il “cessate il fuoco”, gli Stati Uniti metteranno in campo un'intensa attività segreta per sovvertire lo schieramento politico.

Basandosi su un'analisi britannica incompleta, Washington aveva creduto che le tribù ostili a Mouammar Gheddafi si sarebbero unite al Consiglio Nazionale di Transizione. Gli esperti del Consiglio di Sicurezza nazionale furono sorpresi di vedere al contrario una riconciliazione con la "Guida" e che le tribù si erano unite a lui per combattere l'ingerenza straniera. Converrà dunque, durante la tregua, stringere dei contatti diretti e convincerli di scegliere il campo occidentale se si dovesse presentare una nuova occasione.

D’altra parte, grazie alla copertura offerta ai membri della NATO che non hanno partecipato alle operazioni militari da parte delle operazioni umanitarie intraprese dalle false organizzazioni non governative", la CIA e il Pentagono vogliono schierare i propri agenti per la destabilizzazione. Fin d’ora, si discute di corridoi umanitari, aerei, squadre di assistenza, eccetera, che serviranno da copertura per le azioni segrete.

L'intenzione è quella di deviare il processo di riforma che Saif el-islam el-Kadhafi aveva già iniziato prima della guerra per poter fomentare una rivoluzione colorata. Questa potrebbe essere sufficiente per prendere il potere. E nel caso fallisse, fornirebbe il pretesto per la ripresa delle operazioni militari.

Comunque sia, Washington si rifiuta di rimanere nella situazione attuale e prepara la sua rivincita. Facendo blocco, il popolo libico l’ha tenuta in scacco. Per vincere, l'impero dovrà riuscire a dividerlo.


Note:

[1] «La Nato e l’ingratitudine dei libici», Réseau Voltaire, 11 luglio 2011.

[2] «Fourth Meeting of the Libya Contact Group Chair’s Statement », Voltaire Network, 15 luglio 2011.

[3] « Qui gouverne l’Irak?» di Thierry Meyssan, Conferenza di sostegno alla Resistenza irachena e Réseau Voltaire, 13 maggio 2004.


La guerra contro la Libia è un disastro economico per l’Europa e l’Africa
di Thierry Meyssan - www.voltairenet.org - 17 Luglio 2011

Uno dei motivi della guerra contro la Libia è quello di fermare lo sviluppo del continente, consentire l’installazione della base militare dell’US Africom in Cirenaica e l’avvio dello sfruttamento coloniale dell’Africa a beneficio degli Stati Uniti.

Per capire questi problemi nascosti, la Rete Voltaire ha intervistato Mohammed Siala, ministro della cooperazione e direttore del fondo sovrano libico.

INCONTRO CON IL MINISTRO LIBICO PER LA COOPERAZIONE

Rete Voltaire: Il suo paese è ricco di petrolio e gas. Avete capitalizzato 70 miliardi dollari nella Autorità per gli Investimenti Libica. Come usate questa manna?

Mohammed Siala: Abbiamo risorse significative, ma non sono rinnovabili. Così abbiamo creato la Autorità per gli Investimenti Libica per proteggere il patrimonio delle generazioni future, come hanno fatto i norvegesi, per esempio.

Tuttavia, dedichiamo una parte di questi fondi allo sviluppo dell’Africa. Questo vuol dire che abbiamo investito oltre 6 miliardi dollari in azioni di sviluppo del continente, in agricoltura, turismo, commercio, miniere, ecc.

Abbiamo messo i fondi rimanenti in settori diversi, paesi diversi, diverse valute. Ovunque, compresi gli Stati Uniti e Germania, che purtroppo hanno permesso di congelare alcuni dei nostri beni.

Rete Voltaire: Tecnicamente, come viene messo in atto questo congelamento?

Mohammed Siala: il blocco dei beni è regolato dalle leggi bancarie del paese in cui vengono collocati. La regola è che bloccano i nostri conti, ma a volte possiamo ottenere il rilascio se portiamo la controversia al Consiglio dei Reclami e se proviamo che sono destinati a determinati usi.

Per esempio, io ho appena ottenuto il disgelo dei fondi destinati alle borse di studio di 1.200 studenti che abbiamo mandato in Malesia. Cerchiamo di fare lo stesso per tutto ciò che riguarda i benefici sociali o le spese per il ricovero dei nostri cittadini all’estero.

Occasionalmente, alcuni paesi ci permettono di utilizzare i fondi per comprare cibo o medicine. In linea di principio, è nostro diritto, ma molti si rifiutano di scongelare i fondi necessari o lo rimandano.

Per esempio, in Italia, lo stato nega qualsiasi uso dei nostri beni. In Germania, lo stato lo consente per scopi umanitari, ma alcune banche si rifiutano di sbloccare i fondi. Le interpretazioni della risoluzione sono completamente differenti da stato a stato. Chiediamo una regola chiara: ciò che è permesso è consentito e ciò che non lo è, è proibito. Per ora, l’interpretazione è politica e la forza prevale sul diritto.

Rete Voltaire: è l’unico problema che incontrate nei i vostri rifornimenti?

Mohammed Siala: Dobbiamo anche affrontare il blocco marittimo che la NATO ha istituito senza base legale. Impediscono il nostro approvvigionamento , o lo ritardano, anche i carichi di derrate alimentari. Si applicano in particolare a evitare le nostre consegne di benzina, anche se ciò non è coperto da pertinenti risoluzioni delle Nazioni Unite. Abbiamo una petroliera che pazienta da un mese a Malta. Per ogni nave, discutono dell’uso duale di quello che trasporta. La benzina è destinata ai veicoli civili.

Ma loro dicono che può anche essere usata per i veicoli dell’esercito. Noi rispondiamo che non possono vietarci di usarlo per le ambulanze, ecc. Tuttavia, dall’inizio del conflitto, impediscono qualsiasi consegna di gas. Tuttavia, siamo dipendenti da raffinerie estere per circa un terzo del nostro fabbisogno. Da qui la carenza attuale.

In teoria, hanno solo il diritto di ispezionare le navi per assicurarsi che non trasportano armi. Ma in pratica hanno installato illegalmente un blocco navale. Hanno ordinato alle navi russe e cinesi di tornare indietro. I loro stati devono quindi presentare una denuncia presso il comitato per le sanzioni delle Nazioni Unite, per discutere dell’interpretazione delle risoluzioni.

Si tratta di un processo senza fine e dissuasiva. Nessuna base giuridica gli consente di farlo, ma sono forti, sicuri della loro impunità.
Tuttavia noi siamo in grado di rifornirci via terra, ma questo è irrisorio: abbiamo bisogno di un mese per trasportare sui camion quello che possiamo scaricare, in un solo giorno, nei nostri porti.

Rete Voltaire: Il suo paese ha intensificato la costruzione delle infrastrutture, tra cui le gigantesche opere d’irrigazione del Man Made River. Quali sono i vostri progetti attuali?

Mohammed Siala: C’è una ferrovia che attraversa il Nord Africa, ad eccezione della Libia. Vogliamo portare a termine l’integrazione nell’economia regionale e sospingerla. I cinesi costruiscono il tratto Tunisia-Sirte. I russi hanno il compito della Sirte-Bengasi. Una trattativa era in corso con l’Italia per la sezione Bengasi-Egitto, così come per le locomotive.

Abbiamo anche iniziato la costruzione di una linea transcontinentale nord-sud, con il tratto Libia-N’Djamena. Si tratta di investimenti di interesse internazionale e abbiamo pensato che il G8 ci aiuterebbe. L’aveva promesso, ma non abbiamo visto arrivare nulla.

Siamo impegnati negli accordi, e abbiamo usato le offerte per costringere i nostri fornitori ad abbassare i prezzi. Durante la sua visita, Putin ha accettato di allineare i prezzi delle compagnie russe con quelli dei loro concorrenti cinesi. Siamo stati in grado di diversificare i nostri partner.

Rete Voltaire: Con la guerra, cosa accadrà a questi progetti?

Mohammed Siala: Tutti questi siti sono interrotti per il congelamento dei beni. Ma noi continuiamo la gara d’appalto sui tronconi da realizzare, perché siamo convinti che la guerra è temporanea e che i lavori riprenderanno. Ci stiamo preparando a continuare i contratti temporaneamente sospesi per motivi di “forza maggiore”.

La guerra ha esasperato i nostri partner. I cinesi hanno qui 20 miliardi di dollari in contratti, i turchi 12 miliardi. Poi ci sono gli italiani, russi e francesi. Non era loro interesse avviare questa aggressione, e tanto meno parteciparvi. Probabilmente alcune persone hanno ricevuto delle compensazioni sottobanco, ma non abbiamo informazioni precise su ciò. Altri sperando di poter più conquistare questo paese, sostengono da sé i contratti di ricostruzione.

Rete Voltaire: Quali sono le conseguenze del congelamento del vostro patrimonio per l’Africa?

Mohammed Siala: Bloccando le nostre risorse, hanno anche bloccato i nostri sforzi per sviluppare l’Africa. Il continente non è in grado di esportare materie prime. Noi investiamo in modo che siano trasformati e commercializzati in Africa, dagli africani. Si tratta di creare posti di lavoro e mantenere il plusvalore in Africa. Da un lato gli europei ci incoraggiano, perché si prosciuga il flusso migratorio, dall’altro, si oppongono perché dvrebbero abbandonare lo sfruttamento coloniale.

Gli occidentali vogliono mantenere l’Africa in una situazione in cui esporta solo materie prime, dei beni primari.

Per esempio, quando il caffè prodotto in Uganda è esportato in Germania, dove viene venduto, il profitto resta in Germania. Abbiamo finanziato impianti per la torrefazione, macinatura, confezionamento e così via, ecc. La percentuale di remunerazione per gli ugandesi è passata dal 20% all’80%. Ovviamente, la nostra politica è in conflitto con gli europei. Si tratta di un eufemismo.

Finanziamo risaie in Mozambico e in Liberia, per la somma di 32 milioni di dollari a progetto e creare 100000 posti di lavoro ciascuno. Cerchiamo prima l’autosufficienza di ogni stato africano, e solo dopo i mercati di esportazione. Senza dubbio, entriamo in conflitto con coloro che producono ed esportano riso, soprattutto se vi speculano.

Costruiamo anche strade. Per esempio dalla Libia al Niger. Abbiamo già collegato Sudan e Eritrea, sconvolgendo l’economia regionale e aprendo prospettive di sviluppo. Ora è possibile spostare merci su strada e mare

Rete Voltaire: Si può dire che la Libia ha poche alleanze diplomatiche, ma ha sviluppato alleanze economiche che vi proteggeranno. Possiamo parlare di diplomazia degli investimenti?

Mohammed Siala: sì. Per esempio, abbiamo 50 milioni dollari di fondi per la costruzione, da parte delle imprese cinesi, di un canale di 32 km in Mali, per l’irrigazione delle aree agricole. Il congelamento dei nostri beni interrompe gli importanti progetti per l’agricoltura in questo paese.

Se continua ciò, sorgerà presto un problema alimentare e i popoli riprenderanno ed accelereranno la migrazione verso l’Europa. In definitiva, gli europei non possono permettersi di fermare i nostri sforzi per lo sviluppo del continente. Non hanno alcuna alternativa alla nostra politica.

Rete Voltaire: Avete un dispositivo che permette di pagare i vostri ordinativi sul mercato internazionale, nonostante il congelamento dei vostri beni. Il vostro paese viene attaccato, penso, naturalmente, all’acquisto di armi e munizioni.

Mohammed Siala: Resistiamo da quattro mesi e mezzo. Abbiamo imparato dall’embargo ed eravamo pronti fin dal primo giorno. Molti stati stanno guardando e vogliono adottare misure simili per proteggere se stessi dall’imperialismo.