L'assassinio di Younes, segno della debolezza dei ribelli
di Lorenzo Cremonesi - Il Corriere della Sera - 29 Luglio 2011
Vittima di un regolamento di conti interno o di sicari di Gheddafi. In ogni caso resta il problema politico
L’assassinio del generale Abdel Fattah Younes costituisce l’ennesimo, gravissimo segnale delle debolezze dei ribelli libici. Quasi certamente Younes è stato vittima di un regolamento di conti interno.
E se anche fosse stato ucciso da un sicario del regime ciò sarebbe il segno di quante carte Gheddafi ha ancora in mano.
Sospettato da tempo di continuare a collaborare segretamente con Gheddafi (la sua abitazione era stata vandalizzata e bruciata dalla folla durante le rivolte di febbraio a Bengasi), l’ex ministro della Difesa e degli Interni della dittatura era una figura estremamente controversa nel ruolo di responsabile delle forze militari tra i rivoltosi.
Una delle accuse più note era che la terza settimana di febbraio avesse lasciato fuggire a Tripoli i massimi dirigenti della repressione contro la rivoluzione prima di passare decisamente dalla parte dei ribelli.
Anche la sua evidente incapacità di coordinamento con la Nato, tanto da causare alcuni sanguinosi incidenti con vittime tra le sue truppe per «fuoco amico», era giudicata con crescente sospetto. Ma il problema ora diventa più politico che militare.I ribelli non sono palesemente in grado di defenestrare il regime di Gheddafi con le loro forze. Necessitano della Nato, che non è disposta a fare la rivoluzione al loro posto. In più i ribelli sono divisi, frazionati.
La tribù di Younes ora chiederà giustizia. Cresce la possibilità di sanguinose vendette interne. La loro economia è in ginocchio. Non riescono neppure ad avanzare da Ajdabya sulla raffineria di Brega, un centinaio di chilometri che permetterebbe loro di cominciare a pensare seriamente a produrre e vendere petrolio.
Tra pochi giorni inizierà il Ramadan e con esso un mese di rallentamento delle attività militari. Lo stallo diventerà status quo. Ma il tempo ora non gioca più dalla parte dei ribelli. Il loro rifiuto a trattare con Gheddafi è frutto dell’ombrello offerto dalla Nato, che non durerà all’infinito. Settembre è alle porte. In Libia i giochi restano del tutto aperti.
Libia, ucciso Younis, capo dei ribelli
di Barbara Antonelli - Il Manifesto - 29 Luglio 2011
E’ ancora giallo sull’uccisione di Abdel Fattah Younis, il capo dei ribelli libici; a dare la notizia della sua morte, dopo che diverse voci si erano diffuse a Bengasi, è stato il portavoce del Consiglio di Transizione Nazionale (CNT) Mustafa Abdel Jalil, che ha aggiunto che il responsabile dell’omicidio sarebbe già stato catturato.
Diverse versioni circolano sulla sua uccisione e su quella di due suoi ufficiali, i cui corpi non sono stati ancora ritrovati; c’è chi parla di un arresto da parte dei ribelli libici, perché sospettato di aver tradito gli insorti e contrabbandato armi al regime del Colonnello Gheddafi; ma c’è anche chi parla di convocazione da parte del fronte di Bengasi per un interrogatorio relativo a “questioni militari” e poi di un successivo agguato, da parte di un gruppo armato; un vero e proprio regolamento di conti che metterebbe in luce le divisioni interne che sussistono all’interno dei gruppi di ribelli e la coesistenza di diverse anime nel CNT. Secondo altre fonti infatti, lo stesso CNT lo avrebbe più volte criticato per i suoi mancati successi militari.
Il capo di stato maggiore Younis (nominato a marzo) era stato il numero due di Gheddafi e suo amico personale; lo aveva accompagnato nel colpo di Stato del 1969, agendo di fatto come il suo braccio destro in tutti questi anni: il 22 febbraio era passato dalla parte degli insorti di Bengasi, cosa che gli aveva fatto guadagnare una taglia di 4 milioni di dollari voluta dallo stesso Colonnello.
Nel corso della conferenza stampa del CNT, all’hotel Tibesti, Jalil ha dato la colpa a Gheddafi di “voler rompere l’unità delle forze ribelli”; ma secondo altri testimoni, alcuni uomini armati del clan tribale di Younis (quella Abdiyat di Tobruk), avrebbero fatto irruzione nell’albergo, accusando il CNT di aver ucciso il loro capo.
In qualità di Ministro degli Interni del governo Gheddafi, Younis era stato in Italia nel mese di dicembre 2010, per incontrare al Viminale il suo omologo Maroni, per la firma di un Protocollo tecnico-operativo per il contrasto dell’immigrazione clandestina via mare, nell’ambito delle concessioni economiche e politiche fatte a Gheddafi in cambio dell’impegno a fermare il flusso di immigrati in partenza dal nord del paese verso l’Italia.
Ieri in serata , due forti esplosioni sono state udite a Tripoli. Mentre secondo le maggiori agenzie stampa, i ribelli avrebbero conquistato due località vicine ai confini con la Tunisia, Al Ghazaya, usata come base dalle truppe di Gheddafi per lanciare razzi ai ribelli nella vicina Nalut, e Umm Al Fau.
Intervista a Seif el Islam Gheddafi, dal giornale algerino El-Khabar
El-Khabar - Iniziamo la nostra intervista con quello che più interessa l'opinione pubblica internazionale ... a che punto sono le trattative con l'opposizione a Bengasi?
Seif el-Islam - In realtà le vere e proprie trattative le abbiamo in corso con la Francia e non con i ribelli. Abbiamo ottenuto tramite un inviato speciale che si è incontrato con il Presidente francese, un messaggio chiaro da Parigi.
Il presidente francese ha detto con franchezza al nostro corrispondente: "Siamo stati noi a creare questo consiglio [il Consiglio dei Ribelli di Bengasi, NdT] e senza il sostegno, il denaro e le armi della Francia, esso non esisterebbe".
Questi gruppi ci hanno contattato attraverso canali egiziani, ci siamo incontrati con loro al Cairo, dove abbiamo tenuto un ciclo di negoziati, ma appena i francesi hanno saputo della riunione hanno detto al gruppo di Bengasi: noi vi sosteniamo, ma se altri contatti con Tripoli avranno luogo senza che noi ne veniamo messi a conoscenza o alle nostre spalle, allora smetteremo immediatamente di sostenervi... tutte le trattative devono passare attraverso la Francia, hanno detto: noi non facciamo questa guerra per beneficienza o senza tornaconto, abbiamo interessi commerciali in Libia, e il governo di transizione dovrà approvare diversi contratti. Si riferiscono ai contratti relativi agli aerei Rafale e ad altri contratti che interessano la Total.El-Khabar - Perché non avete resi noti al pubblico i documenti comprovanti il finanziamento da parte vostra della campagna elettorale di Sarkozy?
Seif el-Islam – Beh, noi non usiamo tutte le nostre armi in una sola volta, abbiamo più di una sorpresa e più di un'arma e le utilizzeremo al momento giusto ...
El-Khabar – Perciò mi sembra di capire che al momento state negoziando con Parigi e non con Bengasi?Seif el-Islam – Sì, stiamo negoziando con Parigi e abbiamo aperto canali di comunicazione con la Francia. I francesi ci hanno detto: il Consiglio fa quello che diciamo noi, perciò quando arriveremo ad un accordo con voi a Tripoli, inizieremo a parlare di un cessate il fuoco con il Consiglio. Il Consiglio è quindi un fantoccio dei francesi.
Per farle un altro esempio delle interferenze francesi, a ovest della Libia, nelle zone montuose al confine con Algeria e Tunisia, sono arrivate forze speciali francesi con la missione di insegnare [ai ribelli] a pilotare l'aereo francese. Queste forze hanno anche lo scopo di reclutare e addestrare le milizie ribelli e hanno paracadutato armi sui monti della zona occidentale, sotto la supervisione di altre forze speciali a terra.
La stessa cosa è accaduta quando abbiamo catturato alcuni prigionieri a Misurata, i quali ci hanno detto che anche lì ci sono addestratori che insegnano a pilotare i velivoli francesi. Bengasi è diventata una provincia della Francia, controllata dai servizi d’intelligence francesi; quello che voglio dire è che la presenza francese a Bengasi è diventata evidente, non dimentichiamo che Parigi ha installato un sistema di monitoraggio e intercettazione delle comunicazioni mobili a Bengasi, controllato dagli stessi francesi. Non dimentichiamo neppure il famoso incidente di 40 giorni fa in cui un gruppo di contractors francesi è rimasto ucciso a Bengasi.
Le unità di sicurezza delle imprese francesi stanno combattendo insieme ai ribelli, e le dichiarazioni del gruppo che ha catturato i mercenari dimostrano che le aziende francesi sono responsabili per gli omicidi che stanno avvenendo a Bengasi. La guerra contro la Libia è di marca francese, è una crociata guidata dalla Francia.
El-Khabar – Sappiamo che nel parlamento francese si terrà lunedì prossimo un dibattito sulla guerra in Libia, cosa vorrebbe dire ai deputati del popolo francese?Seif el-Islam - Quello che abbiamo saputo dai ribelli che hanno deciso di tornare a Tripoli è che si voleva porre fine al conflitto in Libia prima del 14 luglio, cioè prima della festa nazionale francese, perché Sarkozy voleva celebrare l'anniversario di quest'anno con la vittoria e l’occupazione della Libia.
Sarkozy lo ha annunciato anche sui media, ha detto che Muammar Gheddafi deve andarsene all’estero, il che significa che si vuole tornare ai giorni del colonialismo francese in Africa e in Algeria, quando i leader nazionali vennero scacciati dai loro paesi.
Il loro progetto era quello di portare a termine l’occupazione della Libia giusto in tempo per le celebrazioni della festa nazionale francese. Questo è il loro programma, e in più abbiamo rapporti di intelligence secondo i quali i francesi vorrebbero far sbarcare truppe di terra sulle zone dei monti occidentali controllate dai ribelli e attaccare Tripoli.
E’ una delle opzioni che sono state studiate a Parigi. Per questo, se devo parlare ai francesi, dico loro che questa stupida guerra, questa guerra basata su informazioni false, in cui si credeva che la Libia potesse essere occupata e sconfitta nell’arco di pochi giorni o poche ore, è andata in modo esattamente opposto alle previsioni, esattamente come quando si diceva che l'Algeria apparteneva di diritto ai francesi, i quali però alla fine hanno dovuto andarsene.
Se Dio vuole, la Francia uscirà dalla Libia a mani vuote e non sarà in grado di raggiungere il suo obiettivo. Dico che se la Francia vuole vendere i suoi aerei Rafale, se vuole firmare contratti petroliferi, se vuole ritornare in Libia con le sue aziende, allora deve parlare con il legittimo governo della Libia e con il popolo libico; e deve farlo con mezzi pacifici e diplomatici, perché dalla guerra e dai bombardamenti non otterrà nulla. Questo è il mio messaggio alla Francia.
El-Khabar – A che punto è la mediazione internazionale e cosa sta accadendo in questo momento? In particolare dopo la visita del mediatore russo che ha preso conoscenza della situazione, dopo l’incontro tra il presidente russo Medvedev e il presidente della NATO e dopo l'incontro tra Medevedev e il presidente sudafricano Jacob Zuma, che rappresenta l'altra parte della mediazione?Seif el-Islam – In primo luogo vorrei chiarire alcune cose, e cioè che l’intero pianeta è stato preso in giro da articoli di giornale che hanno mentito al mondo, affermando che lo stato libico avrebbe ucciso migliaia di manifestanti e che noi avremmo bombardato la popolazione con gli aerei militari. Il mondo adesso sa che era tutta una menzogna, Human Rights Watch ha riconosciuto che le informazioni erano false, anche Amnesty International ha detto che erano false e lo stesso Pentagono ha condotto un'indagine interna concludendo che si trattava di false informazioni.
El-Khabar - Tornando alla questione delle mediazioni internazionali, a che punto sono?Seif el-Islam - Per quanto riguarda le iniziative, vi è una road map africana su cui tutti sono d'accordo; noi vogliamo organizzare le elezioni e arrivare ad un governo di unità nazionale, siamo pronti a tenere le elezioni sotto la supervisione delle organizzazioni internazionali e a varare una nuova costituzione, ma i ribelli si rifiutano, e si rifiutano perché non abbiamo ancora raggiunto un accordo con Parigi.
El-Khabar - Il colonnello Gheddafi, nel discorso tenuto venerdì davanti ai suoi sostenitori di Sebha, ha minacciato di vendicarsi e di inviare attentatori suicidi in Europa, non avete paura di essere trattati come terroristi?Seif el-Islam - In primo luogo, è nostro diritto attaccare gli Stati che ci attaccano e che uccidono i nostri bambini. Hanno ucciso il figlio di Muammar Gheddafi, distrutto la sua casa e ucciso i suoi parenti. Non esiste una sola famiglia in Libia che non sia stata vittima dell'attacco della NATO. E’ per questo che siamo in guerra, la NATO ha iniziato gli attacchi e ne affronterà le conseguenze.
El-Khabar - Seif el-Islam si candiderà alle elezioni della futura Libia?Seif el-Islam – Io sono ufficialmente fuori dalla politica della Libia fin dal 2008 e da quella data e fino all'inizio della crisi sono rimasto fuori dalla Libia, ero in Cambogia ... sono tornato in Libia all’inizio degli avvenimenti, mi sono tenuto fuori dai giochi politici, ma dopo quello che è successo in Libia tutti i punti di riferimento sono cambiati. Dopo aver visto i tradimenti, gli interessi in campo e la nuova colonizzazione, tutti i dati sono cambiati, non escludo la possibilità di candidarmi, tutte le opzioni sono possibili.
El-Khabar – Come cambierà il sistema della Libia a seguito delle riforme in corso?Seif el-Islam - Noi manterremo un sistema pubblico, ma esso avrà una nuova veste e un nuovo look. Ci sarà una seconda struttura amministrativa, che si aggiungerà alla prima; a Dio piacendo, stiamo gettando le basi di uno stato moderno. Abbiamo istituito una commissione costituzionale tre anni fa, cui partecipano i maggiori esperti locali ed internazionali e questo progetto dovrebbe essere sottoposto a tutte le tribù della Libia e discusso dal popolo. Se verrà approvato, lo attueremo.
El-Khabar - Alcuni pensano a una spartizione della Libia, il premier britannico David Cameron ha già dichiarato di avere intenzione di partizionare il Sahara libico, lei cosa ne pensa?Seif el-Islam - C'è un piano britannico per lo smembramento della Libia, l’ovest e il sud alla Francia, l’est alla Gran Bretagna, e una base militare per gli inglesi a Tobruk ... questo non è un segreto, ma si tratta solo di velleità coloniali che equivalgono ad abbaiare alla luna.
El-Khabar – Crede che l’Algeria possa giocare un ruolo nell’ unire nuovamente tra loro i cittadini libici?
Seif el-Islam - In tutta sincerità, se lei prende un cittadino libico qualunque, egli le dirà che gli algerini sono molto vicini ai libici. Purtroppo, come avete già visto, l'unico paese arabo a cui si guarda come un covo di criminali è l'Algeria. Abbiamo una cosa in comune con gli algerini. Voi avete combattuto in passato contro la Francia, noi stiamo facendo la stessa cosa oggi ... una mediazione dell'Algeria sarebbe la benvenuta. Essa ha sempre svolto un ruolo di unificazione. Tengo a precisare che le posizioni assunte dai paesi arabi sono indegne, l'Algeria è uno tra i pochi paesi arabi che abbia preso una posizione completamente diversa. Questo il popolo libico non lo dimenticherà mai ed è per questo che la mediazione dell'Algeria è la benvenuta per riavvicinare tra loro i fratelli libici.
El-Khabar - Ha qualcosa da aggiungere, una dichiarazione finale? Seif el-Islam - Voglio che la comunità internazionale faccia attenzione a ciò che sta accadendo in Libia, dove ha avuto luogo una delle più colossali campagne di disinformazione e falsificazione della verità.
Questo viene ormai riconosciuto dagli europei e dagli stessi americani. Infatti, i media si sono inventati una quantità di scandali che non sono mai accaduti. Ci rivolgiamo alla comunità internazionale per avvertirla che le immagini che essa vede sui canali satellitari e su Internet sono truccate. La verità verrà fuori, un giorno!
Perdere in Libia di Craig Murray* - www.uruknet.info - 27 Luglio 2011 Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di SUPERVICE
Gheddafi ora controlla il 20% del territorio in più di quanto facesse prima che fosse iniziata questa campagna odiosa di bombardamenti. È stato capace di fare manifestazioni più numerose e partecipate di genuini sostenitori negli ultimi giorni rispetto a quanto non avesse fatto prima dell’inizio dei bombardamenti.
Proprio come avevo previsto, l’effetto di questa distruzione della NATO è stato quello di coalizzare un sostegno nazionalista intorno a Gheddafi, che abbiamo messo in una posizione ancora più forte rispetto a quando doveva affrontare solamente la ribellione interna.
I francesi e i britannici sono arretrati e entrambi sono d’accordo che Gheddafi rimanga in Libia come controparte nella trattativa. Ciò comporterà accettare che egli rimanga al potere dietro le quinte.
Il problema è, naturalmente, che Gheddafi sta diventando più forte e la NATO più debole, con una volontà politica di demolire per quanto possibile l’economia e le monete della NATO.
Hague e Cameron si sono mossi da una posizione debolissima a una che permetta a Gheddafi di rimanere in Libia, cosa che avevano chiaramente rigettato tre mesi fa.
Allora, c’era la speranza che Gheddafi avrebbe potuto accettare una cosa del genere. Adesso, non ha alcun bisogno di sottostare a una trattativa per salvare la faccia alla NATO. Si può mettere al tavolo e osservarli mentre si incamminano verso la rovina.
Inoltre, si tratta di una proposta per salvare la propria faccia, che si fa beffe della Corte Penale Internazionale, rivelando alla perfezione come questa non sia altro che uno strumento da pilotare e utilizzare contro i nemici dell’alleanza occidentale, ma che viene semplicemente messa in un angolo nel caso si cambiasse idea.
Obama ha fatto un’astuta mossa per distrarre il pubblico dal fallimento totale nell’occupazione afghana, riuscendo a raggiungere uno dei suoi obbiettivi dichiarati, l’assassinio di Osama Bin Laden.
Aspettiamoci ora una simile cospirazione in Libia con il tentativo di uccidere Gheddafi con i bombardamenti o con altri mezzi, che verrà radicalmente intensificata per cercare di salvarsi dall’umiliazione con una qualche "vittoria".
* Craig Murray, ex ambasciatore britannico in Uzbekistan, licenziato nel 2004 per aver accusato la dirigenza Uzbeka di violazioni dei diritti umani.Libia, la retromarcia Nato
di Michele Paris - Altrenotizie - 28 Luglio 2011
Nelle ultime settimane, un diverso atteggiamento sembra caratterizzare i governi che partecipano all’aggressione militare contro la Libia. Alla luce dell’impossibilità di rovesciare il regime di Tripoli tramite bombardamenti e aiuti di dubbia legalità agli insorti di Bengasi, le maggiori potenze della NATO sono cioè alla ricerca di una nuova exit strategy che pare non prevedere più necessariamente l’allontanamento dal paese di Gheddafi.
Le prime indicazioni di una possibile trattativa in corso per una soluzione diplomatica erano giunte lo scorso 11 luglio quando, in un’intervista rilasciata al quotidiano algerino El Khabar, Seif al-Islam Gheddafi, aveva rivelato che il suo governo stava negoziando con la Francia e non con i ribelli.
Il figlio del rais aveva aggiunto che il presidente Sarkozy era stato molto chiaro circa le capacità di Parigi di imporre il proprio volere agli insorti. L’inquilino dell’Eliseo aveva infatti riferito all’inviato di Tripoli che erano stati i francesi a creare il Consiglio dei ribelli, il quale “senza il nostro appoggio, il nostro denaro e le nostre armi, non sarebbe mai esistito”.
Nonostante il governo francese si fosse affrettato a sostenere che con Tripoli vi erano solo contatti e non vere e proprie discussioni, il Ministero della Difesa di Parigi aveva esortato pubblicamente il Consiglio dei ribelli a trattare con Gheddafi.
A conferma che una qualche trattativa era in corso da tempo, il 12 luglio Le Monde aveva rivelato che, circa un mese prima, Sarkozy aveva incontrato il capo di gabinetto di Gheddafi, Bachir Saleh.
Sul ruolo di Gheddafi in un’eventuale trattativa, il Ministro della Difesa francese, Gerard Longuet, aveva poi affermato che i colloqui potevano avvenire a patto che “[Gheddafi] fosse in una diversa stanza del suo palazzo con una diversa carica”.
In quell’occasione era giunto un immediato messaggio di disappunto da parte del Dipartimento di Stato americano, chiaramente poco disposto ad un simile compromesso.
Anche da parte del governo di Tripoli erano state mostrate simili aperture. Il primo ministro Baghdadi al-Mahmudi aveva infatti confermato a Le Figaro che “la Guida [Gheddafi] non avrebbe preso parte ai colloqui” con i ribelli.
Ancora più chiaramente, il 20 luglio il Ministro degli Esteri francese, Alain Juppé, nel corso di un’intervista ad un canale televisivo aveva ribadito che le potenze occidentali erano pronte ad acconsentire alla permanenza in Libia di Gheddafi, a condizione del suo ritiro dalla guida del governo.
Sulla posizione francese sembrano essere ora confluiti finalmente anche Gran Bretagna e Stati Uniti, i cui governi hanno evidentemente preso atto dell’impossibilità di raggiungere i propri obiettivi in Libia con i soli bombardamenti.
Lunedì scorso, così, il Ministro degli Esteri britannico, William Hague, proprio nel corso di un meeting a Londra con il suo omologo transalpino, ha spiegato che il destino di Gheddafi dipenderà dalla volontà del popolo libico.
Solo poche ore più tardi gli ha fatto eco da Washington il portavoce della Casa Bianca, Jay Carney, secondo il quale la permanenza in Libia di Gheddafi deve essere decisa dai libici.
L’inversione di rotta appare notevole, alla luce delle critiche inizialmente rivolte da entrambi i paesi alla Francia per aver mostrato eccessiva flessibilità nei confronti di Tripoli.
Sia per la Gran Bretagna che per gli USA, la rinuncia al potere di Gheddafi e il suo allontanamento dalla Libia fino a poche settimane fa apparivano infatti come condizioni necessarie per la fine delle operazioni militari e l’avvio di negoziati di pace.
Ad influire sul cambiato atteggiamento di Washington e Londra - e, ancor prima, di Parigi - è dunque la realtà sul campo.
Dopo aver tentato di assassinare Gheddafi in più occasioni, incoraggiato defezioni da parte di esponenti di spicco del suo governo e fomentato senza successo un colpo di stato interno al regime, le potenze NATO sembrano aver deciso di percorrere la via diplomatica.
Sulla decisione pesa anche l’impopolarità in Occidente della guerra contro la Libia, alimentata dal continuo stallo delle operazioni. Secondo un resoconto pubblicato mercoledì dal quotidiano inglese The Independent, infatti, il regime di Tripoli controlla oggi il 20 per cento in più di territorio libico rispetto ai giorni immediatamente successivi all’esplosione della rivolte a metà febbraio.
L’ammorbidimento della posizione di Hague, inoltre, riflette forse anche i malumori dello stato maggiore britannico per un conflitto che viene visto come una distrazione dal fronte afgano e uno spreco di risorse proprio mentre il governo sta adottando misure di austerity senza precedenti sul fronte domestico.
Da Tripoli, intanto, arrivano invece segnali di un qualche irrigidimento, conseguenza probabilmente di una maggiore confidenza da parte del regime di poter sopravvivere all’offensiva NATO.
Mentre un mese fa il governo libico aveva offerto un cessate il fuoco senza condizioni, facendo intendere che Gheddafi era pronto a lasciare, oggi viene richiesta la fine dei bombardamenti come condizione preliminare per iniziare un qualsiasi dialogo.
L’offerta a Gheddafi di abbandonare il ruolo di guida del paese sembra essere stata fatta dai diplomatici americani agli emissari del governo libico nel corso di un incontro avvenuto a Tunisi il 16 luglio scorso.
La proposta è vincolata all’accettazione di essa da parte dei ribelli di Bengasi, dai quali giungono però segnali contraddittori. Mercoledì, ad esempio, la Reuters ha citato una dichiarazione del leader del Consiglio Nazionale di Transizione, Mustafa Abdel-Jalil, nella quale si afferma che l’offerta americana è ormai da ritenersi superata.
I nuovi sviluppi della crisi in Libia sono giunti in concomitanza con la visita a Tripoli dell’inviato ONU, Abdul Elah al-Khatib, che ha incontrato i rappresentati di Gheddafi per trovare una soluzione pacifica. In precedenza, gli USA - seguiti dalla Gran Bretagna e da numerosi altri paesi - avevano proceduto a riconoscere ufficialmente il consiglio dei ribelli come rappresentanti legittimi della Libia, gettando le basi per lo sblocco di decine di miliardi di dollari appartenenti al regime e attualmente congelati su svariati conti bancari in America.
La ricerca di una via d’uscita diplomatica da parte dei governi che hanno orchestrato l’aggressione alla Libia e l’ipotesi di un compromesso con il regime di Tripoli testimoniano la falsità della pretesa di condurre una guerra in nome dei diritti democratici del popolo libico.
Un accordo con Gheddafi - anche nel caso dovesse includere la rinuncia di quest’ultimo ad un ruolo ufficiale, che peraltro ha già formalmente abbandonato già nel 1972 - manterrebbe uomini della sua cerchia in posizioni di potere, così come resterebbe intatta la struttura repressiva dello stato e dell’apparato di sicurezza.
Dopo cinque mesi, la NATO ha in definitiva dovuto fare i conti con l’incapacità degli insorti di conquistare terreno in maniera significativa e di provocare la caduta del regime, nonostante il massiccio appoggio militare occidentale. Sintomo questo della mancanza di un ampio seguito nel paese per il governo provvisorio di stanza a Bengasi.
Dove non sono riuscite le bombe, allora, potrebbe riuscire ora la diplomazia, purché si raggiunga sempre l’obiettivo di rimpiazzare un regime che si stava facendo troppo ostile verso gli interessi occidentali.
Che la soluzione includa un Gheddafi ancora in Libia e il mantenimento di un ruolo di primo piano per una parte del suo entourage non sembra ora preoccupare più di tanto Parigi, Washington e Londra, con buona pace delle aspirazioni cirenaiche.