La notte della Rete contro il bavaglio imposto dall’Agcom: appuntamento il 5 luglio
di Federico Mello - Il Fatto Quotidiano - 2 Luglio 2011
A Roma l'iniziativa promossa per protestare contro la delibera dell'Autorità garante per le Comunicazioni che, in presenza di violazioni del copyright, prevede l'oscuramento dei siti italiani e stranieri. L'evento sarà trasmesso in streaming da ilfattoquotidiano.it
Il popolo della Rete italiano non ci sta più ad accettare supinamente decisioni che passano sopra la sua testa. Il 5 luglio, a Roma, alla Domus Talenti, andrà in scena la “Notte della Rete”, una no-stop che coinvolgerà giornalisti, esperti, netizen, associazioni, esponenti politici contro quello che è stato definito “il bavaglio alla Rete”.
L’iniziativa vede come media-patner ilfattoquotidiano.it che manderà l’evento in streaming dalle 17:30 – il segnale sarà rimandato anche da un network di televisioni locali. Tra i presenti, Peter Gomez, Oliviero Beha, Pippo Civati, Antonio Di Pietro, Dario Fo, Alessandro Gilioli, Beppe Giulietti, Guilia Innocenzi, Gianfranco Mascia, Roberto Natale, Piotta, Franca Rame, Guido Scorza, Mario Staderini, Benedetto della Vedova. A questi molti altri artisti ed esponenti del mondo del giornalismo, della politica e del mondo di Internet, si stanno aggiungendo nelle ultime ore.
La mobilitazione è cominciata negli scorsi mesi quando Agorà Digitale e altre associazioni hanno denunciato, con l’iniziativa “sito non raggiungibile” i rischi di una delibera Agcom per la libertà della Rete.
Con la delibera, l’autorità, in presenza di violazioni al copyright, si arroga il diritto di rimuovere contenuti da siti italiani, o inibire l’accesso ai siti stranieri, in modo arbitrario e senza passare da un giudice.
Il provvedimento, pensato per “contrastare la pirateria”, rischia di portare alla “censura” di contenuti (per esempio video) che, pur violando il diritto d’autore, risultano ugualmente di pubblico interesse.
Un nuovo potere che si auto-assegna l’Agcom che ha chiaramente una valenza politica. Alla luce del fatto che il Parlamento non si è mai preannunciato sull’argomento e che l’Autorità per le comunicazioni è solo un organo amministrativo.
Dopo che la protesta è cresciuta on e off line – l’associazione Valigia Blu ha organizzato per lunedì un presidio davanti alla sede dell’autorità – anche vari esponenti politici hanno espresso le loro perplessità: per Paolo Gentiloni del Pd, “l’allarme sulle conclusioni del lavoro di Agcom sul diritto d’autore è giustificato” e i suoi colleghi Vincenzo Vita e Vidmer Mercatali hanno chiesto un’audizione urgente in Senato del presidente dell’Authority Corrado Calabrò. Per Antonio Di Pietro “La tutela del diritto d’autore non autorizza alcuna censura”.
Una posizione condivisa anche dal presidente della Camera Gianfranco Fini: “La protezione del diritto d’autore è fondamentale per una società sempre più basata sulla conoscenza e sulla proprietà intellettuale, ma altrettanto lo è la tutela della piena libertà della Rete”.
Il gruppo di Hacker Anonymus, che si batte per libertà d’informazione, ha rivendicato negli scorsi giorno un attacco informatico al sito Agcom. Ma anche il portale “sito non raggiungibile” ha subito un attacco che ha causato numerosi problemi e, a detta dell’avvocato Fulvio Sarzana, si è rivelato un tentativo di raccogliere i dati di coloro che avevano sottoscritto una petizione contro la delibera (la petizione non era l’unica: una seconda raccolta di firme di Avaaz.org ha raccolto oltre 100mila adesioni).
Dopo le proteste e il montare della mobilitazione contro il bavaglio, l’Autorità ha fatto un piccolo passo indietro, facendo sapere che il sei luglio, giorno in cui è prevista la discussione della delibera, “non ci sarà nessuna approvazione definitiva” e che il provvedimento “sarà sottoposto ad una discussione pubblica”.
“Agcom risponde a tutto fuorchè agli interessi dei cittadini, ed è abituata a prendere le sue decisioni nell’ombra e sicuramente non si aspettava una mobilitazione così veloce sul web”, attacca Giulia Innocenzi, tra le promotrici della Notte della Rete e coordinatrice italiana di Avaaz.org.
“Fonti interne – spiega – ci hanno detto che il sei luglio si pensava di votare la delibera: il fatto che ora si parli di “iniziare una discussione” è sicuramente una prima vittoria del movimento, ma dobbiamo comunque tenere alta la guardia perché potrebbero solo prendere tempo e votarla questa estate mentre gli italiani sono a mare. Noi chiediamo che la delibera va accantonata e basta”.
Secondo gli attivisti non è un caso che questo ultimo tentativo di mettere il bavaglio alla Rete arrivi dopo le amministrative e il referendum dove Internet ha dimostrato tutta la sua capacità di coinvolgere le persone su questioni che li riguardano direttamente e informare i cittadini ormai stufi del “minzo-giornalismo”.
“Il potere ha paura di Internet – conclude Innocenzi – e in tutto il mondo stanno cercando di metterle un bavaglio come quello passato in Spagna o la proposta in discussione in Francia che è già stata apripista a riguardo.
Sta ai cittadini difendere questo strumento cruciale per il futuro della democrazia. E, su questo, in Italia stiamo dimostrando tutta la nostra forza e la nostra caparbietà. Di sicuro, non ci fermeremo né ci fermeranno”.
Le vere ragioni della fumata nera della trattativa Santoro-La7
da Il Fatto Quotidiano - 2 Luglio 2011
Nel giorno del gran rifiuto della "terza rete" all'ex conduttore di Annozero, scompare dalla manovra economica una norma sulla rete telefonica che avrebbe pesantemente penalizzato Telecom, proprietaria della rete
La metafora di Giovanni Stella, confezionata un mese fa per il Fatto, annunciava la discesa in campo (televisivo) di Telecom: io aspetto paziente sotto il banano-Rai che ne scendano i macachi-conduttori.
L’amministratore delegato di Telecom Italia Media rompeva il bipolarismo di Rai e Mediaset: ecco, diceva, La7 è disposta a prendersi il gruppo di giornalisti che il servizio pubblico e il Biscione, per motivi diversi ma di uguale matrice (il Cavaliere), non vogliono e non possono permettersi. Stava nascendo una televisione all’apparenza poco controllabile per il Silvio Berlusconi imprenditore e politico, ma estremamente influenzabile per la sua versione di capo del governo.
La trattativa con Michele Santoro era chiusa, mancava un tratto di penna: la firma (alle prime voci, il titolo di La7 crebbe in un giorno del 20%; l’altroieri, al niet, ha perso il 4 e ieri il 3).
Martedì scorso, l’ultimo incontro tra l’inventore di Annozero e il dirigente di La7 conosciuto con il soprannome di “canaro” per i suoi modi spicci ed efficaci fino al sadismo. E che succede martedì, proprio quel giorno?
Il governo scrive e riscrive e infine diffonde la bozza di manovra economica: tagli, pensioni, tasse e finte rivoluzioni liberali e liberiste. In un articolo del provvedimento, a sorpresa, si materializza il conflitto d’interessi che Santoro ha denunciato ieri nell’intervista al Fatto.
Il governo, se vuole, può fare male a Telecom, la multinazionale proprietaria di La7. E con una norma, infilata di soppiatto, Palazzo Chigi ha dimostrato come può farle male. La bozza prevedeva un progetto del ministero per lo Sviluppo economico di Paolo Romani: “Un piano di interesse nazionale per il diritto di accesso a Internet”. E come? “Mediante la razionalizzazione, la modernizzazione e l’ammodernamento delle strutture esistenti”.
Parole astruse e verbi incrociati per sottrarre a Telecom l’ultimo bene invidiato da tutti i concorrenti: la rete fisica, quella che porta il cavo telefonico in tutte le case e gli uffici, eredità del monopolio pubblico. Il governo pensava di aprire il mercato e le connessioni veloci imponendo “obblighi di servizio universale”.
Tradotto: Telecom investe per migliorare la sua struttura e poi deve metterla a disposizione dei concorrenti. Il governo di lievi e dure sforbiciate, che spinge all’infinito una correzione nel bilancio statale da 47 miliardi di euro, sentiva l’urgenza di ricorrere ai soldi della Cassa depositi e prestiti per “finanziare il piano nazionale su Internet”. Poche righe nascondevano un possibile esproprio del tesoro più sensibile per i vertici di Telecom.
L’ipotesi dura due giorni, esattamente 48 ore, fin quando ieri accadono due fatti all’apparenza distanti ma forse strettamente legati: La7 annuncia la fine di qualsiasi negoziato con Santoro, azzoppando così l’ipotesi terzo polo televisivo; e, in contemporanea, il governo cambia la norma, stravolge il suo “piano di interesse nazionale per il diritto di accesso a Internet” e cancella dal testo della manovra quei passaggi – “la razionalizzazione, l’obbligo di diritto universale” – che minavano la stabilità patrimoniale di Telecom e preoccupavano i suoi azionisti (anche stranieri).
Anche se il numero uno di Telecom Italia Franco Bernabè giura che tra i due fatti non c’è alcun nesso, e ribalta su Santoro l’accusa di aver cercato pretesti per far saltare la trattativa con La7, i casi sono due: o le idee del ministro Romani e del governo sono talmente labili da evaporare nel breve volgere di 48 ore, oppure la rivoluzione telematica di Berlusconi era un atto di forza, un segnale per intimorire La7.
Per capire dov’è intrappolata la ragione è utile ricordare che la Rai di centrodestra, in trincea contro i giornalisti sgraditi dal Cavaliere, adesso comincia a riflettere: forse è meglio trattenere Santoro, forse Vieni via con me era davvero importante, forse Report è un prezioso settimanale d’inchiesta, forse Lucia Annunziata è una figura professionale irrinunciabile per il servizio pubblico.
Togliendo i forse, resta l’ordine di servizio di Berlusconi, il più recente: è più facile controllare il servizio pubblico, senza indebolirlo troppo, per giocare di sponda con Mediaset, che combattere un terzo polo televisivo. Nella peggiore delle ipotesi, un colossale ricatto. Nella migliore, l’ultima trasfigurazione del conflitto d’interessi.
Un futuro spaventoso
di Massimo Fini - Il Fatto Quotidiano - 2 Luglio 2011
Si avverte in giro, sotto le rutilanti bellurie che ogni giorno ci vengono ammannite per placare la nostra ansia, un desolante “sensus finis”. Non parlo qui dell’Italia che un tempo, molti secoli fa, fu un luogo importante e oggi è ridotta a uno sputo nell’universo mondo.
Parlo dell’Occidente inteso non però in senso tecnico (del resto che cosa sia realmente l’Occidente, termine inquietantemente orwelliano, nessuno è mai stato in grado di precisarlo), ma come modello di sviluppo economico e sociale che ormai coinvolge il mondo intero, da New York agli Urali alla muraglia cinese al Gange.
La grande Rivoluzione che ha cambiato la storia del mondo ha preso le mosse circa otto secoli fa proprio dall’Italia quando si afferma per la prima volta come forte classe sociale la figura del mercante (oggi detto imprenditore) fino ad allora collocata, in tutte le culture d’oriente e di occidente, all’ultimo gradino della gerarchia umana, inferiore, perlomeno eticamente, persino allo schiavo.
È la Rivoluzione della percezione del tempo. Si passa dal quieto e statico presente al dinamico e allettante futuro.
Lo storico Piero Camporesi esprime così, nel dualismo contadino/mercante, povero/ricco, questo diverso atteggiamento esistenziale: “L’affannoso tempo storico e lineare del mercante misurato sui ritmi della partita doppia, dei tassi di interesse e dell’investimento produttivo, non era il tempo dei contadini, serpentino, ciclico, ritmato dalle stagioni, dai soli e dalle lune… Il povero coniuga i verbi al presente, non conosce le lusinghe ingannevoli del futuro, contrariamente al ricco che costruisce strategie nel tempo tracciando precari piani e ipotetiche prospettive” (Cultura popolare e cultura d’élite fra Medioevo ed età moderna).
Per otto secoli abbiamo inseguito questo futuro orgiastico con accelerazioni sempre più parossistiche che passano per la Rivoluzione industriale e l’odierna globalizzazione che ha coinvolto, per amore o per forza, anche culture che non ne volevano sapere.
Ed ora questo futuro è finalmente arrivato. È qui. E si presenta sotto forme spaventose. Un modello che ha puntato tutto sull’economico, rendendo marginali tutte le altre e complesse componenti dell’essere umano, provocando stress, angoscia, nevrosi, depressione, anomia, dipendenza da ogni sorta di droga per avere la forza di tirare avanti, fallisce anche, e proprio, sull’economico. Le crisi si succedono alle crisi.
E, invece di rifletterci su, vengono tamponate al solito modo: immettendo nel sistema denaro inesistente, cioè un’ipoteca su un ulteriore futuro tanto sideralmente lontano da essere solo una Fata Morgana.
Ma un giorno, vicino, questo trucchetto da magliari non reggerà più. La gente, sia pur confusamente, lo avverte. Un modello basato sulle crescite infinite, che esistono solo in matematica, cioè nell’astrazione, quando non potrà più espandersi imploderà su se stesso provocando una catastrofe planetaria.
Probabilmente questo era il destino, ineludibile, di quell’arrogante specie animale che è quella umana.
Elisabetta Pozzi conclude la pièce Cassandra che, col mio contributo, porterà in tournèe nei prossimi mesi, nel circuito teatrale estivo, con queste profetiche e agghiaccianti parole di Nietzsche: “In un angolo remoto dell’universo scintillante e diffuso attraverso infiniti sistemi solari c’era una volta un astro, su cui animali intelligenti scoprirono la conoscenza. Fu il minuto più tracotante e più menzognero della storia del mondo: ma tutto durò soltanto un minuto. Dopo pochi respiri della natura, la stella si irrigidì e gli animali intelligenti dovettero morire. Quando tutto sarà finito, non sarà avvenuto nulla di notevole”.
Tutto finto
di Antonio Padellaro - Il Fatto Quotidiano - 2 Luglio 2011
La finta manovra economica per evitarci la fine della Grecia che rimanda tutto al 2014 e dunque saranno cavoli di un altro governo. I finti tagli alla casta e ai Suv. La finta soddisfazione di Tremonti che risponde alle finte domande dei telegiornalisti.
Il finto decreto per salvare Napoli, così finto che Napolitano nel firmarlo ne pretende uno vero. La finta elezione del finto segretario del Pdl che ispira a Bersani una battuta finalmente riuscita su Alfano “segretario di Berlusconi”.
La finta trattativa di La7 con Michele Santoro la cui finzione dura fino al termine dei lunghi conciliaboli, quando il giornalista pone il vero interrogativo. “Ma voi lo volete fare questo programma o no?”.
Lo ha insegnato Machiavelli che finzione e politica camminano a braccetto. Che il Principe deve fingere di stare ai patti, pronto però a romperli quando più non convenga rispettarli. Il raggiro, la frode, la morte, tutto sarà lecito purché sia salvo il potere. Quello è il dramma alto del comando che persegue il fine con qualunque mezzo.
Ma quando sulla scena del governo si agitano mezze figure balbettanti mezze verità, allora siamo nella farsa più insopportabile.
Passi per la nomina di Alfano, poiché in un finto partito si può essere obbligati a guadagnarsi la paghetta spellandosi le mani negli evviva, e peggio per loro.
Ma giocare con i conti pubblici mentre le agenzie di rating suonano l’allarme, o abbandonare per turpi motivi una grande metropoli nel più completo disastro ambientale non ha giustificazioni. Prendono in giro il Paese, ma quando li cacceranno via sarà tutto vero.
E che sarà mai
di Massimo Gramellini - La Stampa - 30 Giugno 2011
«Stavo passando di lì, ho dato solo du’ pugni e me ne sono andato via. E che sarà mai...». Un balordo che pesta a sangue uno sconosciuto per la strada ovviamente non fa testo. Però il mantra difensivo risuonato sulle sue labbra, quel «e che sarà mai...» che giustamente indigna tanti lettori, è la spia di una mentalità diffusa, di un abbassamento collettivo della guardia.
Ricostruiamo i fatti. La vittima è un musicista di Roma che, dopo aver suonato in un locale fino a tardi, si ferma a chiacchierare con gli amici fra i vicoli del centro storico.
E’ notte fonda e nelle case che incombono sulle loro teste la gente dorme. I conversatori dovrebbero mettersi nei panni dei residenti, aver rispetto del loro riposo: in fondo li hanno già martellati per ore con la musica.
Ma qualcuno è ancora così ingenuo da pensare alle esigenze degli altri? «Avevamo voglia di fare un po’ di casino, e che sarà mai...». Poi la scena precipita: un vecchio bizzoso si affaccia dalla finestra agitando il bastone, irrompe una banda di attaccabrighe e la tragedia prende forma: «Solo du’ pugni, e che sarà mai...».
Pensate a quanti, fra coloro che dovrebbero darci l’esempio, pronunciano questa frase ogni giorno. L’ex magistrato che tratta col contrabbandiere l’acquisto di un orologio rubato, e che sarà mai... Il deputato condannato per mafia, e che sarà mai... L’evasore fiscale che ruba allo Stato, cioè ai pensionati e ai malati, e che sarà mai... L’elenco continuatelo voi. Servirebbero corsi accelerati di educazione civica. Il problema è trovare gli insegnanti.
Milano, muore dopo controllo di polizia. Il legale: “Un filmato documenta pestaggio”
da Il Fatto Quotidiano - 1 Luglio 2011
Un nuovo caso Aldrovandi? Se lo chiedono in tanti in via Varsavia, periferia sud-est di Milano, zona mercato ortofrutticolo, dopo che ieri un uomo di 51 anni, Michele Ferrulli, è morto dopo un controllo di polizia. Il pm di Milano Gaetano Ruta ha aperto un’inchiesta a carico di ignoti per omicidio preterintenzionale.
Il referto dell’ospedale San Donato, dove la vittima è stata portata dal 118 dopo aver accusato il malore, parla di decesso a causa di un arresto cardiaco. Restano però da chiarire le cause dell’attacco di cuore. E le versioni sono più d’una.
Come hanno ricostruito le forze dell’ordine, gli agenti di una volante sono intervenuti in via Varsavia 4 verso le 23.00 dopo essere stati chiamati da alcuni condomini che si lamentavano degli schiamazzi di un gruppo di alcune persone che, riuniti attorno a un furgone, ascoltavano musica ad alto volume e urlavano in probabile stato di ubriachezza.
Una volta sul posto, i poliziotti riferiscono che Ferrulli ha reagito dando in escandescenze, dopo essere stato immobilizzato a fatica (l’uomo era di corporatura robusta), ha accusato il malore. Trasportato in ospedale, è morto poco dopo il ricovero
Una ricostruzione che però non convince il legale della famiglia Ferrulli, Fabia Lovati, che sostiene che la vittima sia stata pestata dagli agenti. A sostegno della sua tesi, l’avvocato cita alcune testimonianze di persone presenti ai fatti, ma soprattutto un video.
Girato con un telefonino e trasmesso dal Tg1, il filmato mostra un uomo per terra e due agenti chini su di lui, uno dei quali sembra colpirlo alcune volte.
“Questo video ci è stato dato da alcuni testimoni, che erano a una certa distanza da quello che stava accadendo – afferma Lovati – Secondo questi testimoni ci sarebbero state brutali percosse ai danni di Ferrulli che era sdraiato supino”. “Nel video si vede che la vittima è ammanettata – spiega – e viene colpita alla testa a mani nude”.
Una versione che però non combacia con il referto del medico legale, secondo il quale sul corpo della vittima non ci sarebbero segni tali da far pensare a un pestaggio. “Il tronco anteriore non evidenzia lesioni, così come il volto risulta indenne”, è scritto nel rapporto del medico legale.
Gli unici segni presenti sul corpo sono sui polsi, giustificabili con il tentativo difficoltoso di mettergli le manette e sulle ginocchia che l’uomo si sarebbe procurato accasciandosi su se stesso quando è stato colto dal malore.
Quali siano le cause dell’attacco di cuore lo potrà chiarire solo l’autopsia disposta dal Pm Gaetano Ruta che dovrà anche indagare sulle modalità dell’intervento delle forze dell”ordine.
Assassinio in Val Susa
di Miguel Martinez - http://kelebeklerblog.com - 30 Giugno 2011
In questo blog, non siamo antimilitaristi, nel senso di coloro che se la prendono con la truppa e assolvono i generali. Gli assassini non sono giovani carabinieri confusi, alla guida di mezzi di guerra ingestibili.
Gli assassini sono tutti, tutti coloro che hanno voluto l’attacco armato alla Val Susa. Sapendo che negli attacchi armati, è normale che si uccidano non solo i paesaggi e i luoghi, ma anche le persone.
La donna assassinata si chiamava Anna Recchia, aveva 65 anni. E nessuna pagina su Facebook, credo.
Dal sito NOTav:
PRIMO MORTO DELL’OPERAZIONE “TALPA” BLINDATO DEI CC INVESTE PENSIONATA
Submitted by admin on 30 giugno 2011 – 09:05 No Comment
Ieri pomeriggio 29 giugno un mezzo blindato antisommossa dei Carabinieri diretto a Chiomonte ha investito e ucciso una pensionata a Venaria. Ci sentiamo di sottolineare da queste pagine quanto accaduto.
E’ un’operazione militare a tutti gli effetti per la quantità di numeri e mazzi impiegata e nelle operazioni militari si sa ci stanno anche i morti.
Dalle prime notizie l’autista dichiara di essersi fermato a fare rifornimento e poi essere ripartito per fermarsi dopo decine di metri al semaforo. Solo lì dice di essersi accorto di un corpo accasciato a terra dagli specchi retrovisori. Questi mezzi corazzati usati a Chiomonte sono mezzi da guerra dati in mano a dei criminali.
Come a Genova ancora una volta l’arroganza e la guerra uccidono sotto gli pneumatici dei mezzi dei carabinieri. Fino a quando ancora? Questa morte è responsabilità della lobby si tav.
Il media mainstream dirà che questa è una forzatura strumentale dei notav. Non è così! In questi giorni decine e decine di mezzi incolonnati fanno su e giù per la valle.
La realizzazione dell’opera prevede centinaia di tir – oltre ai mezzi delle forze dell’ordine – che fanno su e giù per decenni… Perché i giornali non scrivono che il mezzo che ha investito l’anziana signora era diretto al cantiere della Maddalena?
Quando diciamo che il Tav è un’opera dannosa, nociva, necrogena intendiamo proprio questo: un costo sociale, umano e ambientale senza misura con i presunti “vantaggi”. Alla famiglia il nostro pensiero…
Siamo con il Movimento No-Tav
di Maurizio Pallante e Andrea Bertaglio - Il Fatto Quotidiano - 1 Luglio 2011
Continua la protesta contro la costruzione della linea ferroviaria Torino-Lione. Questa mega-infrastruttura, oltre che una inutile devastazione ambientale, è un evidente spreco di soldi pubblici. Per questo, anche per questo, il popolo valsusino merita tutto il nostro supporto.
È difficile accettare passivamente la possibilità di sprecare enormi quantità di tempo e risorse, ed ingenti somme di denaro dei contribuenti italiani, mentre proprio in questi giorni si parla di tagli ai servizi pubblici per miliardi di euro.
Il Movimento per la Decrescita Felice è sempre stato contrario alla costruzione di questa infrastruttura e, in questi momenti nei quali prevalgono il “gossip”, il conteggio dei feriti e le polemiche politiche, è importante sottolinearli nuovamente.La costruzione di una simile opera non è altro che lo specchio di una politica che ritiene che si possa giungere al benessere cementificando, con la realizzazione di “grandi opere” che porteranno a una “crescita”, in quanto aumenteranno gli scambi commerciali e le merci trasportate.
Purtroppo la realtà è ben diversa: le nostre case non mancano certo di oggetti (spesso inutili); gli scaffali dei supermercati sono ben lontani dall’essere vuoti, anzi, da lì vengono riversati direttamente nei cassonetti dell’immondizia il 30% dei loro prodotti.
Il mondo d’oggi, sempre più sovrappopolato e inquinato, dove le risorse sono in continuo calo, deve pensare a come ripartire dal proprio territorio, a incentivare la produzione locale, a ridurre i tragitti delle merci e a promuovere il riutilizzo prima ancora del riciclo.
Non solo: un’opera come la Torino-Lione avrebbe dei costi ambientali enormi se si considerano l’utilizzo di energia e di materie prime per avviare le decine di cantieri che si protrarranno per decenni.
La motivazione dell’incentivo al trasporto su rotaia invece che su gomma, in un contesto dove la linea attuale è utilizzata appena al 30% della sua portata, appare ridicola. Così come assurda (e in ogni caso da noi non auspicata) un’impennata degli scambi commerciali sulla tratta, essendo stabili se non in calo da oltre 20 anni.
E pensare che quei 17 miliardi di euro in un paese in crisi come l’Italia farebbero molto comodo, anche per investimenti strutturali che creerebbero ugualmente occupazione, però utili al paese e in una prospettiva di riduzione dei consumi: ristrutturazione energetica a partire dagli edifici pubblici, trasporto locale, piste ciclabili, rinnovamento della rete idrica…
Per questi motivi il Movimento per la Decrescita Felice rinnova il suo NO alla costruzione dalla Torino-Lione e non farà mancare il suo sostegno alla protesta, consapevole del fatto che il nostro non è un “NO” di principio e distruttivo: è un NO che si incastra in una precisa e coerente visione che portiamo avanti da tempo e che continueremo a sostenere in futuro!
Domenica 3 luglio saremo presenti alla manifestazione nazionale in valle.
L’organizzazione logistica non è ancora del tutto definita, potete tenervi informati qui.
Stefano Zummo, Movimento per la Decrescita Felice, circolo di Torino