Tutt'altro che lento...
Le banche centrali stanno comprando oro, scaricando il dollaro americano
di Michel Chossudovsky - www.globalresearch.ca - 6 Gennaio 2011
Traduzione a cura di Jjules per www.comedonchisciotte.org
Ci sono prove del fatto che le banche centrali in diverse regioni del Mondo stiano incrementando le proprie riserve di oro. Quelli pubblicati sono gli acquisti ufficiali.
Una buona parte degli acquisti di lingotti d’oro da parte delle Banche centrali non viene divulgata. Gli acquisti sono garantiti tramite società appaltatrici di terze parti, con la massima discrezione.
I possedimenti di dollari americani e gli strumenti di debito espressi in dollari americani sono in realtà scambiati con oro, che a sua volta mette pressione sul dollaro.
A turno, sia Cina che Russia hanno aumentato la produzione interna di oro, di cui una buona parte viene acquistatata dalle loro banche centrali:
In Russia, ad esempio, la Gokhran ha venduto circa 30 tonnellate di oro alla Banca Centrale in un esercizio contabile interno alla fine dello scorso anno. Al tempo fu sostenuto che venne effettuata in parte una vendita diretta anziché collocare il metallo sul mercato aperto, forse influenzando sfavorevolmente il prezzo dell’oro.
La Cina è attualmente il più grande produttore mondiale di oro e lo scorso anno ha confermato di aver aumentato, nel corso degli ultimi sei anni, i possedimenti di oro della sua Banca Centrale di oltre 450 tonnellate. Mineweb.com – Il Venezuale porta la propria produzione di oro nelle riserve della Banca Centrale
La cifra di 450 tonnellate corrisponde ad un aumento delle riserve di oro della Banca centrale dalle 600 tonnellate nel 2003 alle 1054 tonnellate nel 2009. Se ci basassimo sulle dichiarazioni ufficiali, le riserve di oro della Cina stanno aumentando di circa il 10 per cento all’anno:
Come mai un aumento così modesto, vi potreste chiedere? Pensiamo che le emissioni locali e nazionali abbiano offuscato la visuale della Banca centrale perché dal 2003 era il governo che acquistava l’oro e ora lo hanno messo sul bilancio della Banca centrale.
Quindi, dovremmo concludere che il governo ha garantito il proseguimento degli acquisti di oro della Banca centrale. “Come influenzeranno il prezzo dell’oro nel breve e nel lungo termine gli acquisti di oro della Banca centrale cinese?” di Julian Phillips, Editoriale FSO 05/07/2009
Russia
I possedimenti della banca centrale russa superano i 20 milioni di once troy [622 tonnellate, NdT] (gennaio 2010).
clicca per ingrandire
Le riserve della Banca centrale russa sono aumentate in modo considerevole negli ultimi anni. Nel maggio 2010 la RCB ha riferito di aver acquistato 34,2 tonnellate di oro in un solo mese. Gli acquisti di oro della Bance centrale russa aumentano in maggio – anche per la Cina? | The Daily Gold
Il grafico sotto mostra un aumento significativo degli acquisti mensili da parte della RCB dal giugno 2009.
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Le banche centrali del Medioriente stanno anch’esse aumentando le loro riserve di oro, riducendo nel contempo i loro titoli forex in dollari.
Le riserve di oro degli stati del GCC [Consiglio di Cooperazione del Golfo, NdT] sono inferiori al 5 per cento:
Nonostante un grande interesse nell’oro, gli stati del GCC detengono meno del 5 per cento delle loro riserve totali in oro. Confrontati con la BCE, che detiene il 25 per cento delle riserve in oro, questo lascia molto spazio di crescita (http:// www.businessinsider.com )
Gli stati del GCC dovrebbero aumentare i loro possedimenti di riserve straniere di oro per proteggere i loro miliardi di dollari di asset dalle turbolenze dei mercati monetari mondiali, dicono gli economisti della Dubai International Financial Centre Authority (DIFCA).
Una maggiore diversificazione delle loro riserve, dal dollaro americano al metallo giallo, potrebbe offrire alle banche centrali della regione rendimenti più elevati sugli investimenti, dicono il dottor Nasser Saidi, responsabile economico del DIFCA, e il dottor Fabio Scacciavillani, direttore di macroeconomia e statistica presso l’Authority.
“Quando c’è molta incertezza economica, spostarsi su asset cartacei, qualunque essi siano – azioni, obbligazioni, altri tipi di equity – non è bello”, dice il dottor Saidi. “Questo rende l’oro più interessante”.
Le diminuzioni del dollaro nel corso degli ultimi mesi ha intaccato il valore dei ricavi petroliferi del GCC, che sono valutati prevalentemente con il biglietto verde. Il GCC spinge per aumentare le riserve di oro .
Secondo un rapporto di People’s Daily:
La Russia è salita all’ottavo posto perché le sue riserve sono aumentate di 167,5 tonnellate dal dicembre 2009. La top ten del 2010 rimane la stessa se confrontata con la classifica dello stesso periodo dell’anno precedente. E l’Arabia Saudita si è infilata nella top 20.
I paesi e le regioni in via di sviluppo, tra cui Arabia Saudita e Sudafrica, sono diventati la principale forza trainante dell’aumento delle riserve di oro…
Il Fondo Monetario Internazionale (FMI) e la Banca Centrale Europea sono i principali venditori di oro, e le riserve del FMI sono diminuite di 158,6 tonnellate (Le riserve di oro della Cina si posizionano al sesto posto a livello mondiale – People’s Daily Online ).
Deve essere chiaro che gli attuali acquisti di oro fisico non sono l’unico fattore per spiegare le oscillazioni dei prezzi dell’oro. Il mercato dell’oro è contraddistinto da una speculazione organizzata su larga scala da parte degli istituti finanziari.
Il mercato dell’oro è caratterizzato da numerosi strumenti cartacei, fondi indicizzati all’oro, certificati di proprietà di oro, derivati OTC sull’oro (tra cui opzioni, swap e forward) che rivestono un ruolo importante, soprattutto nelle oscillazioni a breve termine dei prezzi dell’oro. Il recente aumento e la successiva diminuzione dei prezzi dell’oro sono il risultato della manipolazione da parte di potenti attori finanziari.
I cinesi grandi creditori d'Europa. Comprati bond per 630 miliardi
di Marco Del Corona e Giuseppe Sarcina - www.corriere.it - 9 Gennaio 2011
I prestiti di Pechino ad Atene, Dublino e Lisbona e gli investimenti strategici
Il sorpasso è vicino. Nel grande portafoglio cinese presto saranno custoditi più bond europei che titoli di Stato americani.
Ieri il vicepremier cinese Li Keqiang era ancora sulla via del ritorno a Pechino con le borse gonfie di contratti tedeschi e spagnoli, che ecco arrivare una dichiarazione del vicepresidente della Banca Popolare cinese, Gang Yi.
«L’euro e i mercati finanziari europei sono una parte importante del sistema finanziario globale e sono stati, sono e saranno uno dei settori di investimento più importanti per le riserve cinesi in valuta estera» .
I bond del Dragone
Negli ultimi giorni sulla stampa internazionale e tra gli economisti sono girati parecchi numeri.
C’è chi ha tenuto una sorta di contabilità doppia, incrociando affari e politica. Esemplare, da questo punto di vista, l’accordo su due voci, siglato martedì 4 gennaio a Madrid da Li Keqiang e dal primo ministro José Luis Rodriguez Zapatero.
Da una parte intese commerciali per un controvalore di 7,3 miliardi di euro; dall’altra l’impegno di Pechino a sottoscrivere titoli di Stato spagnoli per circa 6 miliardi di euro (secondo quanto rivelato dal quotidiano «El País» ). Ma è solo l'ultimo passaggio.
Da settimane a Lisbona non si fa che parlare di un soccorso cinese a sostegno della traballante finanza pubblica portoghese. E nei mesi scorsi l’intervento di Pechino ha sicuramente dato una mano a tenere in piedi la Grecia. E subito dopo l’Irlanda.
Certo, le mosse degli investitori cinesi diventano visibili solo quando c’è burrasca sui mercati. Ma sarebbe fuorviante pensare che a Pechino interessino solo i titoli europei più scalcagnati (o se si preferisce i «junk bond» della finanza mondiale).
Qualche tempo fa, sulla stampa internazionale («Financial Times» , «La Tribune» ) sono circolate stime che, dopo aver visto all’opera Li Keqiang, assumono un significato più profondo.
Lo stock del debito pubblico europeo in mani cinesi oggi sarebbe pari a circa 630 miliardi di euro, vale a dire circa 819 miliardi di dollari.
Il dato sull’esposizione americana, invece, è ufficiale: nell’ottobre 2010 Pechino (riserve dirette più il patrimonio dei fondi sovrani controllati dal governo) possedeva titoli statunitensi per un valore di 910 miliardi di dollari.
Ora, i segnali che arrivano, ormai da mesi, dal grande Paese orientale sono inequivocabili. Vendere bond americani e comprare altro. Anche (non solo) titoli di Stato europei.
I numeri (oltre che la logica) dicono che nel portafoglio del Dragone cominciano a essere rappresentate tutte le emissioni disponibili, compresi quindi i buoni del Tesoro della Repubblica federale tedesca o della Repubblica francese.
Un euro per la Merkel
Attenzione, però, ai diversi angoli di osservazione. Visto da Pechino questo lavoro di «conversione» riguarda solo una parte della liquidità cinese, che rimane in parte prevalente parcheggiata in dollari.
Come spiega al «Corriere» l’economista Wang Yuanlong, già capo dell’Ufficio ricerche dalla Bank of China e oggi esperto del centro studi Tianda: «Non saranno mai cifre enormi. Quello di Pechino è un gesto che darà comunque fiducia all’economia europea.
Un’ipotetica scomparsa della moneta comune sarebbe contro gli interessi cinesi. Significherebbe tornare al dollaro come unica moneta di riferimento, mentre il presidente Hu Jintao ripete che Pechino punta a una riforma del sistema monetario globale. Dunque sostenere l’euro e l’Europa è nel triplice interesse della Cina, dell’Unione Europea e della comunità internazionale» .
Una rappresentazione plastica di questo «triplice interesse» si è vista venerdì scorso a Berlino, dove Li Keqiang è stato vezzeggiato dai leader delle più importanti multinazionali tedesche (e quindi europee): Volkswagen, Daimler Benz, Siemens, Basf, Bayer, Deutsche Bank (firmati protocolli commerciali per 8,7 miliardi di euro).
La Germania ha più bisogno dei mercati, che dei soldi cinesi. Ma per la cancelliera Angela Merkel la «spugna orientale» può diventare decisiva per prosciugare il debito di vari Paesi dell’Unione Europea che sta mettendo a rischio la stabilità dell’euro.
La mappa degli affari
Il dividendo economico incassato dal governo cinese sarà molto alto e probabilmente porterà ad avvicinare i flussi di capitali industriali in entrata e in uscita. Secondo le cifre fornite dal viceministro Xu Xianping gli investimenti diretti dell'Europa in Cina, alla fine del 2009, erano pari a 6,8 miliardi di euro.
Il flusso inverso (dalla Cina verso l’Europa), invece, si fermava a quota 6,8 miliardi di dollari, un decimo, con 1.400 imprese cinesi, precisa Xu Xianping, «che danno lavoro a circa 15 mila dipendenti locali» .
Uno studio dell’istituto britannico Chatham House segnala che il 50%delle risorse cinesi prende la strada di Gran Bretagna e Germania (l’Italia assorbe una quota pari al 4%). Ma da tempo Pechino sta allargando il compasso e ora è molto difficile tenere il conto delle ultime iniziative. La più clamorosa (forse): l'affare Volvo.
La casa automobilistica svedese è stata ceduta dalla Ford al prezzo di 1,8 miliardi di dollari alla cinese Geely, guidata dall'imprenditore Li Shufu.
In Svizzera c'è stata l'acquisizione della Addax Petroleum Corporation da parte del gruppo petrolifero Sinopec per 7,2 miliardi di dollari (nel 2009).
In Grecia la Cosco, il più grande gruppo di trasporto marittimo cinese e fra i più grandi al mondo, sta costruendo un terminal per navi transoceaniche al Pireo, il porto di Atene.
In Irlanda dovrebbe essere approvato il piano per insediare un distretto manifatturiero cinese nel centro del Paese (ad Athlone, investimento di 50 milioni di euro).
Simile il progetto di un parco industriale formato da piccole e medie imprese orientali a Chateauroux, cento chilometri a sud di Parigi. Mezza Bulgaria, dalla strade alle telecomunicazioni, dovrebbe essere sistemata dalle multinazionali di Pechino, come la Huawei.
In Italia, infine, Cina non significa solo il tessile «low cost» di Prato, i centri massaggi di Milano o le bancarelle dei mercati rionali. Società cinesi sono già leader nel solare, aumentano il loro peso specifico nella farmaceutica, nella cantieristica in altri settori con discreto contenuto tecnologico.
La Quianjiang ha comprato le moto di Benelli; la Haier i frigoriferi di Meneghetti (in provincia di Padova) e poi si è insediata nel distretto di Varese; la Zoomlion ha rilevato la Cifa (macchine utensili per l'edilizia).
Si potrebbe continuare per ore, basterebbe riferire del pellegrinaggio all'Expo di Shanghai intrapreso da tutti i governi europei (dal Belgio alla Romania), in cerca di investimenti cinesi da riportare a casa.
L'esclusiva di Pechino
Ancora una volta, però, è utile guardare lo scenario con gli occhi di Pechino. Con la sua economia avanzata e fortemente integrata sull’intero continente, l'Europa è certo un teatro privilegiato dell’espansione cinese, ma in un contesto allargato a tutto il mondo, Mare Artico compreso.
Non è un caso se tra le dieci operazioni cinesi all’estero nel 2010 (acquisizioni o fusioni) solo due siano europee: la Volvo appunto (quarta in classifica per importanza), preceduta dalla conquista dell’australiana Arrow Energy a opera dell’alleanza tra PetroChina e l'olandese Shell, per 3,1 miliardi di dollari.
Al primo posto della lista, compilata dall’agenzia ufficiale «Xinhua» , figura l’acquisizione di un’unità brasiliana della madrilena Repsol da parte del colosso petrolifero pubblico Sinopec (7 miliardi di dollari), al secondo posto l'acquisto di quote dell'argentina Bridas (energia).
Come dire: attenzione adesso a non immaginare un asse preferenziale Unione Europea Cina. È un errore che hanno già fatto gli americani nel 2008. Pechino parla e, soprattutto, fa affari con tutti.
La crisi dell'euro balbetta
di Jean-Claude Paye - www.eurasia-rivista.org - 9 Gennaio 2011
Traduzione di Valentina Bonvini
L’albero della degradazione finanziaria della Grecia era bastato a dissimulare la foresta dei deficit statunitensi. Allo stesso modo, il debito irlandese viene ad oscurare l’annuncio del nuovo programma di riscatto massivo di buoni del tesoro da parte della FED.
Questa operazione di «quantitative easing» consiste nell’immettere liquidità ed innestare un abbassamento dei tassi d’interesse sulle obbligazioni di Stato. Ciò dovrebbe permettere un’iniezione di 600 miliardi di dollari nell’economia d’Oltreatlantico.
La FED aveva già introdotto una somma di 1700 miliardi di dollari nel circuito economico statunitense. Questo nuovo programma d’iniezione di liquidità ci mostra che questa politica monetaria ha largamente fallito, poiché si dimostra necessaria una nuova fase di riscatto.Soprattutto, ci indica che il «quantitative easing» non è più una politica straordinaria. Si inserisce nel tempo diventando così una procedura normale.
Contrariamente alle dichiarazioni del Tesoro, la creazione di moneta lanciata dagli USA non ha per obiettivo di permettere alle banche di concedere dei crediti ai privati e alle imprese. Vista la congiuntura economica, questa richiesta è attualmente debole e le istituzioni finanziarie dispongono di riserve importanti.
C’è già abbondanza di liquidità. Aggiungerne non risolverà il problema attuale, che è quello della diffidenza delle banche rispetto alla solvibilità degli eventuali richiedenti prestito.
A chi può quindi servire questa iniezione permanente di liquidità all’interno di un mercato già saturo? Per rispondere a questa domanda, è sufficiente osservare gli effetti di questa politica: creazione di bolle speculative e sparizione del valore degli attivi, afflusso di capitali nei paesi in grande crescita, come la Cina o l’India e attacchi speculativi, specialmente nella zona euro.
La politica statunitense della monetizzazione del proprio debito pubblico è attualmente poco inflazionistica poiché una grande parte dei capitali lascia gli Stati Uniti al fine di piazzarsi sui mercati emergenti e non alimenta la domanda interna degli USA.
Questa non provoca neanche un forte ribasso del dollaro, a causa degli acquisti addizionali di attivi: oro, materie prime e petrolio, indotti da quella politica, si effettuano nella valuta statunitense, sostenendo così il suo andamento.
Per quanto concerne l’Unione Europea, la BCE ha annunciato la prosecuzione della sua politica d’acquisizione di obbligazioni sovrane. Ha anche deciso di prolungare il suo dispositivo di rifinanziamento, illimitato e ad un tasso fisso, delle banche, per un nuovo periodo di almeno quattro mesi.
Anche qui, si registra un cambio d’attitudine: questa politica non è più presentata come eccezionale, ma duratura.
Abitualmente, la BCE compra dei titoli a scadenza molto breve: 3 settimane, un mese. Ma attualmente, compra dei titoli a scadenza di un anno.
Fino ad ora, la BCE ha comprato dei buoni di debito pubblico per un ammontare di 67 miliardi di euro, essenzialmente dei titoli di Stati in difficoltà, come la Grecia e l’Irlanda. Siamo quindi ben lontani dai 600 miliardi di dollari di riscatto effettuati dalla FED.
La politica della Banca Centrale Europea differisce non solo quantitativamente, ma anche qualitativamente, poiché, al fine di evitare un aumento della massa monetaria, ha scelto di sterilizzare la sua iniezione, ritirando le liquidità per un ammontare equivalente.
L’obiettivo della Banca Centrale Europea è di provare a ritardare al massimo una ristrutturazione del debito greco, irlandese, portoghese… Le grandi banche europee erano fortemente impegnate nei loro finanziamenti. Si tratta prima di tutto di salvare le istituzioni finanziarie private e di tentare di fare pagare la fattura ai lavoratori e ai risparmiatori.
Così, l’Unione Europea si è impegnata sulla strada della riduzione brutale dei deficit pubblici. La commissione ha lanciato delle procedure per deficit eccessivo contro gli stati membri.
A metà del 2010, praticamente tutti gli stati della zona vi si erano sottomessi. Si chiede loro di impegnarsi a tornare sotto la soglia del 3% prima del 2014 e questo a prescindere da quale sia l’evoluzione della situazione economica.
Le misure previste per realizzare questi obiettivi non consistono in una tassazione dei grandi redditi o delle transazioni finanziarie, bensì nella diminuzione del salario diretto e indiretto, che sappia mettere in moto delle politiche salariali restrittive e la rimessa in discussione dei sistemi pubblici, pensionistico e sanitario.
La politica monetaria fortemente espansiva degli USA, dando delle munizioni ai mercati finanziari, permette di lanciare, in modo economico, delle operazioni di speculazione contro la zona euro.
Questa è tuttavia in linea con gli obiettivi dell’UE, poiché le permette di mobilitare i mercati e di fare pressione sulle popolazioni europee, al fine di far loro accettare una diminuzione drastica del loro tenore di vita.
Le politiche di budget intraprese dagli stati membri avranno per effetto di impedire qualsiasi ripresa economica, indebolendo in compenso le finanze pubbliche e reclamando dei nuovi trasferimenti di reddito dai lavoratori verso le banche e le imprese. La crisi dell’euro non ha finito di balbettare.
Crisi irlandese: il fiasco completo del neoliberalismo
di Eric Toussaint - www.rebelion.org - 5 Gennaio 2011
Traduzione per www.comedonchisciotte.org acira di Silvia Soccio
Da un decennio i più ferventi sostenitori del capitalismo hanno presentato l’Irlanda come il modello da seguire. La “Tigre Celtica” ostentava un tasso di crescita più alto della media europea.
Il tasso d’imposta sul reddito delle società si era ridotto al 12,5% (1) e il tasso effettivamente pagato dalle numerose multinazionali che avevano eletto domicilio nel paese oscillava fra il 3 e il 4%, un sogno! Deficit di bilancio uguale a zero nel 2007. Tasso di disoccupazione dello 0% nel 2008. Un’autentica meraviglia: a tutti tornavano i conti.
I lavoratori avevano un impiego (seppure molto spesso precario), le loro famiglie consumavano allegramente, godevano dell’effetto ricchezza e i capitalisti, sia nazionali che stranieri, ottenevano risultati favolosi.
A ottobre del 2008, due o tre giorni prima che il governo salvasse dalla bancarotta le grandi banche “belghe” (Fortix e Dexia), a spese dei cittadini, Bruno Colmant, direttore della borsa di Bruxelles e docente di Economia si è sfogato in una lettera aperta a Le Soir, il quotidiano belga francofono di riferimento, affermando che il Belgio doveva seguire totalmente l’esempio irlandese e deregolamentare ancora un po’ di più il proprio sistema finanziario.
Secondo Bruno Colmat, il Belgio doveva modificare il quadro istituzionale e legale al fine di convertirsi in una piattaforma del capitale internazionale come lo era l’Irlanda. Qualche settimana dopo la Tigre Celtica era a terra.
In Irlanda la deregolamentazione finanziaria ha dato impulso a un’esplosione di prestiti sulle case (l’indebitamento delle famiglie arrivava al 190% del PIL alla vigilia della crisi), soprattutto nel settore immobiliare, il motore dell’economia (industria della costruzione, attività finanziarie, etc.).
Il settore bancario si è gonfiato in maniera esponenziale con l’installazione di numerose imprese straniere (2) e la crescita degli attivi delle banche irlandesi. Si sono formate delle bolle borsistiche e immobiliari. Il totale delle capitalizzazioni borsistiche, delle emissioni di obbligazioni e degli attivi delle banche ha raggiunto quattordici volte il PIL del paese.
Allora, ciò che non poteva accadere in quel meraviglioso mondo, è accaduto: a settembre-ottobre del 2008 il castello di carte è crollato, le bolle finanziarie e immobiliari sono scoppiate.
Le imprese hanno chiuso o abbandonato il paese, la disoccupazione è salita alle stelle (dallo 0% del 2008 è saltata al 14% al principio del 2010). Il numero di famiglie incapaci di pagare i debiti è cresciuto rapidamente.
L’intero sistema bancario irlandese era sull’orlo del fallimento, e il governo completamente impazzito e cieco ha garantito l’insieme dei depositi bancari per 480 miliardi di euro (più del triplo del PIL irlandese, che si elevava a 168 miliardi di euro).
Il governo ha nazionalizzato la Allied Irish Bank, principale finanziatrice dell’immobiliare immettendo 48,5 miliardi di euro (circa il 30% del PIL).
Le esportazioni sono diminuite. Le entrate dello stato sono scese. Il deficit di bilancio è schizzato dal 14% del PIL del 2009 al 32% nel 2010 (di cui più della metà è attribuibile al massivo appoggio fatto alle banche: 46 miliardi per i conferimenti di capitale proprio e 31 miliardi per il riscatto degli attivi rischiosi).
Il piano di aiuti europeo della fine del 2010, al quale partecipa anche il FMI, si eleva a 85 miliardi di euro in prestiti (dei quali 22,5 forniti dal FMI) ed è già stato dimostrato che non sarà sufficiente.
In cambio, la pesante misura imposta alla Tigre Celtica è in realtà un piano di austerità drastico che ricade pesantemente sul potere d’acquisto delle famiglie, con la conseguente riduzione dei consumi, della spesa pubblica nell’ambito sociale, degli stipendi dei dipendenti pubblici e nelle infrastrutture (a beneficio del rimborso del debito) e delle entrate fiscali.
Le principali misure del piano di austerità sono terribili a livello sociale:
- Le nuove assunzioni saranno fatte con un 10% in meno di retribuzione.
- Riduzione dei trasferimenti sociali con diminuzione degli assegni per la disoccupazione e degli assegni familiari, importante calo del bilancio sanitario, congelamento delle pensioni.
- Aumento delle imposte, principalmente a carico della maggior parte della popolazione vittima della crisi, specialmente l’aumento dell’IVA dal 21 al 23% nel 2014; creazione di una tassa immobiliare (che ricade sulla metà delle abitazioni che fino a questo momento non erano tassabili).
- Diminuzione di 1 euro del salario minimo per ora (da 8,65 a 7,65, cioè l’11%).
L’Irlanda ha dei tassi d’interesse da pagare molto elevati sui prestiti contratti: 5,7% su quelli del FMI e 6,05% sui prestiti “europei”. Questi soldi serviranno a rimborsare le banche e altre società finanziarie che compreranno i titoli del debito irlandese con prestiti della Banca Centrale Europea, con un tasso d’interesse dell’1%.
Un altro grande affare per i finanzieri privati. Secondo la AFP, «il Direttore Generale del FMI, Dominique Strauss-Kahn, ha dichiarato: ‘Funzionerà, ma indubbiamente sarà difficile […] perché è dura per la gente che deve fare sacrifici in nome dell’austerità di bilancio’».
L’opposizione in piazza e in parlamento è stata molto forte. Il Dail, la camera bassa, ha approvato il piano di aiuto di 85 miliardi di euro per solo 81 voti contro 75. Lontano dall’abbandonare la sua politica neoliberale, il FMI ha segnalato che tra le priorità dell’Irlanda c’è l’adozione di riforme volte a sopprimere “gli ostacoli strutturali legati agli affari”, al fine di “sostenere la competitività negli anni a venire”.
Il socialista Dominique Strauss-Kahn si è detto convinto che l’arrivo di un nuovo governo dopo le elezioni previste per l’inizio del 2011 non cambierà la situazione: «Ciò di cui sono convinto, è che anche se i partiti dell’opposizione, il Fine Gael e il partito laburista, criticano il governo e il programma […], comprendono la necessità di metterlo in atto».
Riassumendo, la liberalizzazione economica e finanziaria che aveva la pretesa di attrarre ad ogni costo gli investimenti stranieri e le imprese finanziarie internazionali, è sfociata in un fiasco completo.
Per aggiungere al danno la beffa subita dalla popolazione vittima di questa politica, il governo e il FMI non hanno trovato niente di meglio che approfondire l’orientamento neoliberale praticato da 20 anni e d’infliggere alla popolazione, sotto pressioni della finanza internazionale, un programma di aggiustamento strutturale ricalcato su quelli imposti da tre decenni nei paesi del terzo mondo.
Questi tre decenni devono invece servire da esempio su ciò che assolutamente non bisogna fare. Ecco perché c’è l’urgenza di imporre una logica radicalmente diversa, a favore delle popolazioni e non della finanza privata.
Note
(1) Il tasso d’imposta sul reddito delle società si alza al 39,5% in Giappone, al 39,2% in Gran Bretagna, al 34,4% in Francia, al 28% negli Stati Uniti.
(2) Le difficoltà della tedesca Hypo Reale Estate (salvata nel 2007 dal governo di Angela Merckel) e il fallimento della banca d’affari statunitense Bear Sterns (riscattata nel marzo 2008 da JP Morgan e con l’aiuto dell’amministrazione Bush) derivano soprattutto dai problemi dei suoi fondi speculativi, la cui sede è a Dublino.
Questo articolo è ampiamente ispirato a un diaporama realizzato da Pascal Franchet ( “Actualité de la dette publique au Nord”, http://www.cadtm.org/IMG/ppt/Actualite_de_la_dette_publique_dans_les_pays.ppt).
Pane e speculazione
di Enrico Piovesana - Peacereporter - 11 Gennaio 2011
L'aumento dei prezzi dei generi alimentari, che ha scatenato sanguinose rivolte popolari in Tunisia e Algeria, è un fenomeno provocato da cause naturali o, come dimostrato per la crisi dei prezzi del 2007/2008, da ciniche speculazioni finanziarie?
La nuova crisi dei prezzi alimentari, secondo la Fao ancor più grave di quella del 2007/2008, rischia di scatenare sommosse popolari e carestie come accadde tre anni fa.
In Tunisia e Algeria, l'impennata dei prezzi di farina, zucchero e altri generi alimentari - sommata alla crescente disoccupazione - ha innescato rivolte che hanno già causato decine di morti.
Oggi sappiamo che queste crisi non sono naturali, ma frutto di ciniche speculazioni finanziarie e manovre commerciali.
Gli incendi in Russia, le inondazioni in Australia e la siccità in Argentina vengono ufficialmente indicati come cause della crisi: raccolti distrutti, crollo dell'offerta, boom dei prezzi.
Ma le numerose indagini seguite alla crisi di tre anni fa hanno dimostrato che i fattori naturali sono solo pretesti usati per giustificare agli occhi dell'opinione pubblica fenomeni del tutto artificiali.
Nell'estate 2009 il 'Rapporto Levin-Coburn' della sottocommissione permanente d'indagine del Senato americano dimostrò, dopo un anno di studi, che il rialzo dei prezzi alimentari non aveva avuto nulla a che vedere con la scarsità delle scorte alimentari provocate da fattori naturali né con problemi nella catena dei rifornimenti: la causa andava ricercata in spregiudicate manovre finanziarie speculative.
Un anno dopo, nell'estate 2010, la prestigiosa rivista americana Harper's pubblicò un'approfondita inchiesta intitolata 'La bolla alimentare: come Wall Street ha affamato milioni di persone e l'ha fatta franca', nella quale venivano descritti nel dettaglio i fondi d'investimento speculativi messi appunto dai trader della Goldman Sachs assieme agli strateghi di multinazionali agroalimentari Usa come Cargill e ConAgra: miliardi di dollari di profitti al prezzo di carestie e rivolte.
Ulteriori inchieste, studi e documenti, hanno infatti rivelato che la crisi mondiale dei prezzi alimentari del 2007/2008 non fu solo frutto di speculazione finanziaria, ma anche di strategie commerciali volte a promuovere il business Usa degli Ogm nei paesi in via di sviluppo.
Dopo la crisi, le corporation americane del settore fecero enormi profitti vendendo le loro sementi geneticamente modificate come soluzione al problema della sicurezza alimentare.
Una strategia portata avanti con il sostegno del governo di Washington, grazie all'intermediazione delle potenti lobby dell'industria agroalimentare americana.
Un cablogramma di WikiLeaks rivela le pressioni del Dipartimento di Stato Usa sui governi africani affinché ''accettino l'importazione di cibo geneticamente modificato e la propagazione di coltivazioni geneticamente modificate''.
Le 'rivolte del pane' in Tunisia e Algeria sono ''l'effetto di una speculazione globale sui prezzi dei prodotti alimentari'', ha dichiarato lunedì alla stampa il ministro degli Esteri italiano, Franco Frattini.
In queste parole c'è sicuramente la volontà del governo Berlusconi di sollevare dalle loro responsabilità - innegabili - i regimi 'amici' di Tunisi e Algeri, ma - visti i precedenti degli anni passati - forse c'è anche qualcosa di vero.
Sciame sismico
di Paolo Barnard - www.paolobarnard.info - 10 Gennaio 2011
Aggiornamento Il Più Grande Crimine 7
Tre quarti catastrofico, nel finale un po’ di speranza. Lo dico con estrema serietà, non gioco a far sensazione con gli allarmi. Il motivo per cui scrivo ciò che segue è che se non si accetta di vedere le cose come esattamente stanno, non potremo mai agire per salvare il salvabile.
I media e i pubblici ufficiali mentono, non ci dicono neppure un terzo della verità. Temono il panico civile, ma così ci condannano.
Sappiamo per certo (gli abruzzesi più di tutti purtroppo) che prima di un devastante terremoto ci sono dei segnali precisi da cogliere. Per esempio il cosiddetto sciame sismico, oppure la fuga inspiegabile e in massa di animali dai boschi o dagli stagni, o i cambiamenti nella ionosfera e le emissioni anomale di gas radon dal terreno.
Poi arriva il cataclisma. Nell’economia della nostra vita di oggi, parlo di voi famiglie, sta accadendo la stessa identica cosa.
Ci sono i segnali peggiori, ci sono tutti, si stanno srotolando davanti ai nostri occhi in queste ore, mentre state leggendo queste righe e smaltendo le calorie di Natale, e poi arriverà il cataclisma, ma non uno qualsiasi, sarà Il Cataclisma. Sui tempi non è possibile sbilanciarsi, ma non saranno decenni, al massimo 2 o 4 anni, forse prima. Di seguito quei segnali:
1) Gli Stati Uniti stanno nascondendo al mondo la gravità della crisi che hanno scatenato, soprattutto i devastanti danni interni al Paese stesso.
Non trovo parole migliori per darvi l’idea di quanto appena affermato di quelle scritte il 13 dicembre scorso sull’acuto Huffington Post di Washington: “Se vi siete goduti i primi 3 round della crisi finanziaria, adorerete i prossimi 6, quando i mercati pesteranno a sangue le banche di Wall Street, con il governo che le rianimerà coi sali per un altro round di botte (mentre i manager incasseranno miliardi). Ma alla fine non funzionerà, Wall Street andrà al tappeto trascinandosi dietro i cittadini in una Grande Depressione che i vostri pronipoti studieranno sui libri di scuola, ridendo dei goffi tentativi di Obama di raddrizzare i conti mentre l’America si sta beccando in faccia la peggior tempesta di tutta la sua storia”.
Gli USA andranno al tappeto, per la semplice ragione che 35 anni di economia neoliberista li hanno letteralmente distrutti: le loro banche sono in pratica tutte fallite e si reggono solo grazie a esborsi immensi di denaro pubblico, ma non ce lo dicono; i debiti dei cittadini sono stellari e in aumento senza speranza di essere ripagati; i debiti delle municipalità ancora peggio, e stanno fallendo interi Stati dell’unione; e le dimensioni piene della truffa finanziaria che hanno sparso nel mondo neppure si sono manifestate ancora (i dettagli nei miei aggiornamenti precedenti).
Il gigante a stelle e strisce non ha speranze, questa volta va al tappeto e tutto il mondo rimarrà di pietra. Basterebbe la grippatura del primo motore economico mondiale (non contate sulla decantata Cina, è ancora un nano rispetto agli USA) per garantire all’Europa il tracollo.
Ma diciamola tutta, ma proprio tutta: noi europei siamo stati da 40 anni assoggettati alla nostra particolare cura all’arsenico chiamata Neomercantilismo franco-tedesco, più Unione Europea e Unione Monetaria (tutto spiegato nell’aggiornamento 6), per cui noi avremo il dubbio privilegio di vederci arrivare lo Tsunami americano mentre stiamo agonizzando sotto le macerie di un terremoto.
E sarà ancora peggio per voi miei affezionati lettori, perché mentre sguazzeremo fra i relitti del Titanic europeo che cola a picco nel gelo delle speranze, chi avrà letto Il Più Grande Crimine saprà che tutto questo fu precisamente voluto a tavolino da un nugolo di uomini che non erano né il Pdl, né la Mafia, né la Camorra, né la Casta.
2) Negli ultimi giorni i Credit Default Swaps (CDS) per chi investe nell’Eurozona sono andati alle stelle. Che significa? I CDS sono una sorta di assicurazione che un investitore fa per difendersi dal pericolo che i suoi investimenti finiscano al macero se i debitori fanno bancarotta.
I mercati dei CDS sono un perfetto termometro della salute di quei debitori. Se si ritiene che essi siano affidabili, ok, ma se li si ritiene in punto di morte ovviamente il prezzo delle polizze CDS schizza alle stelle.
Per esempio il CDS iTraxx Europe five-year index, che dice quanto affidabili siamo noi europei per chi ci vuole prestare denaro, è al livello record di 105.
Ma ecco la chicca: vi ricordate che noi Stati dell’Eurozona siamo stati ridotti alla condizione di non avere più moneta sovrana (lire, marchi…) e di dover PRENDERE IN PRESTITO DAI PRIVATI OGNI SINGOLO EURO che spendiamo per la vita pubblica?
Ecco, immaginate cosa ci costerà da adesso prendere in prestito tutti quei soldi con dei CDS a quel livello, cioè con gli investitori (coloro che ce li prestano) coi sudori ghiacci e quindi con tassi d’interesse - che gli dobbiamo pagare per compensare i loro rischi - altissimi.
Ma non saranno nei guai solo i Tremonti della situazione, lo saranno anche le aziende (dove lavori tu), i negozi (dove lavori tu), i ristoranti e bar (idem), cioè chiunque dovrà lavorare con le banche dell’Eurozona per chiedere prestiti, perché la catena della sfiducia non si ferma, e infatti “il credito in Europa continuerà ad agonizzare… i problemi non se ne andranno nel 2011” dice Teo Lasarte, european credit strategist di Bank of America Merrill Lynch (loro se ne intendono)s.
3) Il 15 dicembre del 2010, l’agenzia di rating Moody’s ha lasciato intendere che declasserà i titoli di Stato spagnoli. Ovvero: i pescecani stanno girando in circoli sempre più stretti attorno alla Spagna.
Al primo morso, affondiamo tutti fra le loro fauci. Che significa? Primo, se stiamo con la metafora degli squali, cioè coloro che ho descritto ne Il Più Grande Crimine e che profitteranno della nostra rovina, le agenzie di rating sono come chi ti spintona fuori bordo proprio mentre attorno alla barca si affollano i pescecani.
Esse (Moody’s, Standard and Poor’s o Fitch), senza averne alcun diritto sancito da concordati internazionali, hanno il potere di bocciare l’affidabilità economica di interi Stati, cioè dicono: “La Spagna ha le pezze al sedere (troppo debito), e quindi da ora se essa vuole vendere i suoi titoli di Stato dovrà promettere tassi d’interesse molto più alti (per compensare il rischio di chi glieli compra)”.
Immediatamente i mercati dicono alla Spagna “non ti diamo più un soldo se non fai quello che dice Moody’s”, e la Spagna non ha scelta, deve obbedire, perché ricordate che non ha più moneta sovrana, ha invece l’euro che deve sempre prendere in prestito appunto vendendo titoli di Stato.
Ma questo innesca immediatamente un circolo vizioso micidiale, dove la bocciatura di Moody’s allarma i mercati, che pretendono più interessi dal governo, ma se il governo paga interessi più alti si indebita ancora di più e questo porta ad un’altra bocciatura di Moody’s che porta a costi sempre più alti per la Spagna, che portano ad altre bocciature… fino all’inferno. Cioè Irlanda e Grecia.
Ma attenzione qui, perché ci sono due conseguenze, una sanguinosa, l’altra mortale. La prima è che uno Stato come la Spagna, con una disoccupazione al 20,6% (nei giovani 43,6%), dovrà disperatamente tagliare la spesa pubblica senza pietà al fine di compiacere ai mercati di cui sopra, il che innesca un altro circolo vizioso di licenziamenti, povertà, quindi meno consumi, quindi aziende che vanno sotto, quindi ancora licenziamenti ecc.
Come è noto i tagli alla spesa pubblica sono oggi il comando perentorio in tutti gli Stati dell’euro, e il Financial Times scrive “questi correttivi di spesa smorzeranno i mercati del lavoro fino alla fine del 2011”… auguri, mie care famiglie.
La seconda è che tutti gli economisti concordano che se la Spagna fa lo stesso botto di Irlanda e Grecia, questa volta esplode anche l’Europa, semplicemente perché un salvataggio della Spagna è troppo costoso.
Cioè sbancherebbe tutta l’Eurozona. Moody’s ha entrambe i palmi delle mani appoggiati alla schiena di Madrid, che sta in bilico sul bordo della nave, e sotto ci sono fauci micidiali.
Lo spintone non è una questione di forse, ma solo di quando, perché come ho già scritto in passato le cause del crollo europeo sono tutte ancora presenti (l’euro per primo) e nessun politico le ha mai volute veramente affrontare. La Spagna va sotto e noi tutti con lei. Fine dell’Eurozona e dell’Unione Europea.
4) La Swiss National Bank è stata la prima banca centrale europea a rifiutare ufficialmente i titoli di Stato portoghesi e irlandesi. Perché importa? Il segnale sia alle banche colleghe che ai mercati è drammatico, in particolare per i governi di Lisbona e Dublino che vengono così etichettati come infetti. Nel presente arrangiamento, dove la dipendenza degli Stati sovrani dai mercati è del 100%, ciò equivale a una ghettizzazione che non lascia speranza.
Si noti come tutti questi segnali innescano sempre una spirale verso il basso da cui le nazioni colpite non possono salvarsi. Ciò non accade a caso, e lo spiego più sotto (parte del Più Grande Crimine).
L’estensione di questa ‘unzione’ da parte della Swiss National Bank a Spagna e Italia è del tutto fuori dal controllo dei relativi governi, e la SNB si è rifiutata di chiarire se ciò può accadere a breve, commentando glacialmente “Quello che conta è il mercato”.
5) George Soros ha detto che la UE è a rischio di distruzione. Perché questo tizio conta? Soros è il più autorevole e micidiale investitore privato del mondo, è l’uomo che nel 1992 ha spaccato la schiena alla Gran Bretagna facendone collassare la sterlina, e la GB non è il Burkina Faso, è uno dei Paesi più potenti del mondo. Poi ha tagliato le gambe all’Italia, alla Korea ecc.
Una parola allarmante del sopraccitato ha sui mercati (sempre quelli da cui noi Stati dell’Eurozona dipendiamo per avere ogni singolo euro da spendere) lo stesso effetto che un ammalato di peste bubbonica avrebbe sulla folla in piazza se si mettesse a urlare “ho la peste!”.
Esattamente 24 ore prima del sopraccitato annuncio di Moody’s, Soros aveva rilasciato al Financial Times di Londra la seguente dichiarazione: “I tassi d’interesse imposti ai titoli di Stato dei governi europei più deboli soggetti al salvataggio della UE sono troppo alti. Essi rendono impossibile per quei governi il riscatto a fronte degli Stati più forti. Il circolo vizioso renderà i governi deboli sempre più deboli, lo scontro fra debitori e creditori sarà più aspro, e c’è il pericolo concreto che l’euro finisca per distruggere la coesione politica e sociale dell’Unione Europea”.
Capito mercati? l’Europa si sta suicidando, ha detto Soros. Così funzionano i ‘pizzini’ del Vero Potere, si parlano fra di loro in questo modo, e bisognerebbe che una Wikileaks veramente dedicata a spulciare nelle cose che contano (e non nel semi-nulla finora rivelato) divulgasse la lista delle scommesse con i derivati che il Soros Fund Management LLC del buon George ha piazzato in questi mesi, assieme alla ridda di altri scommettitori (chiamati Hedge Funds) internazionali.
La domanda è: quante di queste scommesse sono state piazzate contro l’euro e l’Eurozona? L’uso dei derivati per scommettere contro interi Paesi destinati artificiosamente alla rovina non è una novità; nel mese di settembre del 2010 gli Hedge Funds (come quello di Soros) avevano già piazzato centinaia di milioni di dollari di scommesse contro la Grecia. Cioè: letteralmente sono come chi scommette 100 denari che il mercato della carne crollerà, e poi sparge la voce che c’è la mucca pazza nelle bistecche.
6) Dal vertice della Banca Centrale Europea, a quello della Banca d’Italia, per passare per i comunicati dei tecnocrati di Parigi e Berlino, il coro è unanime: il Patto di Stabilità va imposto con maggior rigore. Cioè: se il paziente sta soffocando, tappategli anche le narici.
Questo significa che vogliono dare il colpo di grazie all’Europa e ammazzarla una volta per tutte. Spiego: quando l’Unione Monetaria (l’euro) fu creata, i suoi padri pensarono di dotarla di una camicia di forza, proprio così, infatti in gergo finanziario si parla di straightjacket.
Si tratta cioè di regole per immobilizzare gli Stati aderenti in certe condizioni economiche, che sono: inflazione bassa e armonizzata, deficit di bilancio non oltre il 3% del Prodotto Interno Lordo (PIL) e debito pubblico non oltre il 60% del PIL. Questa camicia di forza è stata chiamata Patto di Stabilità.
Ci dissero che avrebbe innescato un processo virtuoso per l’Europa dove gli Stati avrebbero ripulito i conti di casa e tutti saremmo stati più ricchi e felici. Balle, proprio una menzogna totale.
Non voglio parlare difficile, ma guardate che oggi tutti, ma proprio tutti quelli che contano in economia e finanza hanno già detto che il Patto di Stabilità è un suicidio, è una corda saponata bella e buona, che ci, vi, sta ammazzando.
Tutti meno i criminali che l’hanno voluta e/o sostenuta, cioè i soliti Mario Draghi, Jean Claude Trichet, Jaques Attali, Jaques Delors, Theo Waigel, Giuliano Amato, Angela Merkel ecc. Alcuni di costoro infatti sono ancora oggi come cani rabbiosi a latrare in giro per l’Europa che non solo questa sciagura è valida, ma che va addirittura rafforzata.
A una convention dei democristiani tedeschi in Baviera a inizio 2011, proprio il governatore della Banca Centrale Europea Jean Claude Trichet ha tuonato: “I governi europei non hanno scelta, devono cambiare politiche, devono rinforzare assai il Patto di Stabilità, e le politiche di spesa vanno riportate sul sentiero della virtù”. Tenete a mente queste ultime 4 parole, perché sono grottesche “il sentiero della virtù”.
La criminosità del Patto, e cerco di essere semplice, si snoda in diversi aspetti molto complessi, ma di fondo ciò che esso fa – che è stato programmato per fare – è di costringere i Paesi meno ricchi d’Europa a limitare drasticamente la spesa pubblica; ma va compreso che per nazioni come la Grecia, la spesa pubblica è l’unica speranza di sopravvivenza per il grande pubblico, visto che il settore privato non è ancora in grado di generare abbastanza ricchezza da solo; in tal modo Grecia, Portogallo, Irlanda, ma anche l’Italia fra un po’, sono condannate a non poter mai raggiungere un livello di ricchezza apprezzabile; questo innesca il solito effetto a spirale negativa di svalutazione del loro mercato nazionale, che significa meno investimenti, che significa più disoccupazione e sottoccupazione, che significa più spese statali per gli ammortizzatori sociali, che significa però sgarrare il Patto di Stabilità, che significa attirarsi la bocciatura delle agenzie di rating, che significa perdere sempre più investimenti e pagare salatissimi i soldi che quei governi devono prendere in prestito, che significa ancora più disoccupazione che significa sempre più esborsi statali, altre bocciature, altri collassi economici… all’infinito.
Non c’è salvezza da sta trappola, e non ci deve essere, perché lo scopo finale di essa, cioè del Patto di Stabilità, è proprio di collassare interi Paesi europei per rendere in semi schiavitù sia lo loro forza lavoro che i loro governi.
Cioè: creare “sacche di lavoro alla cinese in Europa”, per gli scopi descritti nel mio saggio il Più Grande Crimine e aggiornamenti. Ovvero creare quella che Marx chiamò “l’armata di riserva dei disoccupati”, da cui la grande industria attinge a piene mani per ricattare con arroganza sia i governi che i sindacati. Leggi Mirafiori… ma è un’altra storia.
E non è finita, per le vittime c’è ancora agonia: quando esse si trovano nelle pietose condizioni in cui sono state cacciate dal Patto di Stabilità, la UE dei tecnocrati criminali le costringe ad accettare i famosi ‘salvataggi’ del Fondo Monetario Internazionale e della UE stessa.
Significa che Grecia, Irlanda e Portogallo, e chiunque verrà poi, si trovano a farsi prestare somme enormi in euro, che è una moneta che non possono emettere, per cui l’unica scelta che hanno per ripagare quell’immenso debito è di succhiare il sangue ai propri cittadini con tagli alla spesa sociale, al pubblico impiego, e ai salari. E giù di nuovo in una spirale infernale da cui è impossibile risorgere.
Questo orrore criminoso è stato persino denunciato dai Nobel dell’economia Stiglitz e Krugman, ma viene liberamente ammesso anche dai giornalisti finanziari stranieri a viso scoperto se non li si cita per nome. Sto parlando non di noiosi numeri scritti sul Sole 24 Ore, ma di sofferenze di milioni di persone come me e voi famiglie per anni a venire.
Quindi la determinazione dei Padroni dell’Europa di confermare e rafforzare il Patto di Stabilità ci spedisce come continente dritti all’inferno, ora, mentre scrivo.
Questi i segnali, inequivocabili, assolutamente chiari. E non si dimentichi il lettore/lettrice che alla UE sono stati sottratti gli strumenti principe per salvarsi dallo schianto. Come dire che il circo dell’Unione Europea ha lanciato 17 Stati in acrobazie impossibili e non gli ha messo sotto la rete, che era l’uso delle propria moneta sovrana (lire, marchi, franchi, dracme…) per compensare il crollo di occupazione e salari, per rassicurare i mercati del ripagamento dei debiti e per sostenere le aziende con iniezioni di spesa a deficit mirata alla produttività (i dettagli ne Il Più Grande Crimine).
Segnale 1, segnale 2, 3, 4, 5, 6… e poi la terra trema e tutto crolla. Crolleranno gli USA (che si salveranno, ma solo dopo averci travolti), e crollerà l’Unione Europea, e le conseguenze saranno storiche, epiche nelle proporzioni, cioè “una Grande Depressione che i vostri pronipoti studieranno sui libri di scuola”. Ok, questo sta per accadere qui, non in un film. Ora cosa fare.
Stiamo trattando una materia di estrema serietà, che io tento di semplificare da mesi per la comprensione dei cittadini non esperti, e dunque sarei uno sciocco se non dicessi che le soluzioni sono complessissime e tecnicistiche, che richiedono sforzi ad alto livello e organizzazioni che noi cittadini non possiamo neppure iniziare a contemplare. Ma ciò che noi possiamo fare è importantissimo e fattibile.
Come sempre ho detto, prima cosa è divulgare queste realtà a chiunque, e non demordere di fronte a sguardi allucinati o risposte come “ma va là, è fantascienza… Barnard è un pazzoide… è colpa di Berlusconi… governo ladro ecc.” (mi scrivono gli operai da tutt’Italia e sono quelle le risposte che i loro colleghi sbottano a fronte di questi temi. A proposito di chi si dà la zappa sui piedi…).
Poi organizzarsi per innanzi tutto chiedere l’apertura di un dibattito pubblico sull’uscita dall’Euro e il ritorno ordinato (cioè con tutele intragovernative contro gli attacchi speculativi) alle monete sovrane.
Infine che l’Italia, con propria moneta, sposi un programma di spesa a deficit per creare ricchezza al netto per i cittadini, e che deve andare nella doppia direzione di essere investita in aumenti di produttività nell’economia reale (quella che produce cose vere e non giochi finanziari) e di creare un programma governativo di piena occupazione e pieno Stato sociale.
Nel capitolo LA PIENA OCCUPAZIONE ERA POSSIBILE de Il Più Grande Crimine è spiegato che tutto ciò è non solo economicamente possibile, ma vi sono anche i nomi di economisti di statura mondiale che da decenni sostengono la tesi della spesa a deficit e piena occupazione. Infatti vi ricordo che:
1) uno Stato con moneta sovrana può onorare qualsiasi debito pubblico senza problemi e nessuna agenzia di rating lo può strangolare. Il Giappone con Yen sovrano ha un debito doppio rispetto alla Grecia, doppio!, e non solo non è in croce, ma gli investitori sono corsi in massa a rifugiarsi nello Yen in questi mesi. 2) la spesa a deficit dello Stato a moneta sovrana che crei occupazione, investimenti dal pubblico al privato e produttività, non crea inflazione e si auto-cura grazie all’aumento del PIL nazionale, e infine non ha limiti di spesa, essendo denaro che lo Stato NON DEVE PREDERE IN PRESTITO DA ALCUNO, e che crea dal nulla. 3) il debito dello Stato a moneta sovrana NON E’ il debito dei cittadini, ma al contrario è la loro ricchezza. 4) Non c’è alcun potere privato al mondo in grado di sconfiggere uno Stato a moneta sovrana che decida di fare quanto sopra.
Per spezzare il piano di storica criminosità del Vero Potere di distruggere l’Europa e creare sacche di lavoro alla cinese qui da noi, non v’è altra strada.