La prima puntata del 2011 della telenovela "Il troiaio italiota".
P.S. In fase di editing si è deciso di tagliare lo sketch recitato da Casini sul "patto di pacificazione". Un po' troppo strappalacrime....
Feltri e Sallusti, c’eravamo tanto amati
di Davide Vecchi - Il Fatto Quotidiano - 9 Gennaio 2011
Tra i due amici volano stracci. A mezzo stampa: ciascuno accusa l'altro di scrivere falsità e di omettere la verità. Tutto è partito da un intervento pubblico a Cortina in cui Feltri dice: "Berlusconi al Quirinale? Roba da film De Sica e Boldi"
“Il Giornale scrive falsità”. Alessandro Sallusti “in questi giorni ha perso la testa, come tutti quelli che ne hanno poca”. Le cortesie per il direttore del quotidiano di via Negri non arrivano da Michele Santoro o Marco Travaglio ma dall’amico ed ex guida, Vittorio Feltri.
Sono giorni di calma apparente, con scambio di quotidiane aggressioni a mezzo stampa. Neanche troppo infiocchettate. Da quando, il 21 dicembre scorso, Feltri ha lasciato Il Giornale per tornare a Libero, raggiungendo l’amico Maurizio Belpietro, da via Negri sono partiti colpi vari all’ex direttore. Fino all’ultimo, sabato mattina, il più pesante: l’accusa di tradimento a Silvio Berlusconi.
L’attacco lo sferza Sallusti: “Napolitano (e Feltri) cambiano bandiera”. Scrive Sallusti: “Il giornalista, fino a ieri tra i più autorevoli sostenitori del premier, in un incontro pubblico a Cortina, ha detto che Silvio Berlusconi non ha i numeri per candidarsi a capo dello Stato e che sarebbe addirittura meglio che non si candidasse neppure a premier. Fini, Bocchino e Di Pietro possono contare su un nuovo alleato?”.
Accuse pesanti. Feltri, di fatto, a Cortina ha scherzato davvero sull’ascesa del premier al Quirinale. “Roba da cinepanettone natalizio – ha detto – ci farebbero un film De Sica e Boldi”, a immaginarsi poi i problemi con “le escort al Quirinale”.
Frasi accolte dalle risate, in quello che è un incontro pubblico natalizio. L’accusa di tradimento, dal suo giornale, proprio non se l’aspettava. “Fino a ieri pubblicavano paginate di lettere a mio favore e ora mi danno del traditore”.
Immediata la risposta. A mezzo stampa. Il (ri)fondatore di Libero si fa intervistare da Maurizio Belpietro e pubblica un video sul sito internet. Sallusti, dice, “ha scritto delle cose totalmente inventate, spiace che il Giornale si sia ridotto a creare dei falsi, in questo caso io ne sono vittima”.
E alle accuse di essere diventato antiberlusconiano, Feltri ribatte: “Io sono sempre stato berlusconiano ma c’è sempre qualcuno nella vita più berlusconiano di te, di solito chi recita questo ruolo è uno che è arrivato all’ultimo momento. E Sallusti è uno di questi. Io sono berlusconiano da oltre vent’anni, tuttavia non ho mai preso ordini da Berlusconi”.
Per chiarire ulteriormente il messaggio, l’intervista viene pubblicata con ampio spazio (due pagine oltre la prima) sul numero stamani in edicola.
Dice Feltri: “Il Giornale ha preso un granchio, mi ha attribuito frasi che non ho detto né pensato. Sarà stato l’effetto dello spumante o della disperazione. Non so. Non ho telefonato al mio amico Sallusti per chiedere spiegazioni. Da lui mi aspetto solo delle scuse”. E ancora: “A Sallusti ho fatto solo del bene, gli consiglio di calmarsi” perché “capisco che uno abbia ambizioni, l’importante però è esserne all’altezza”.
Lo scambio di cortesie è reciproco. Perché nel frattempo Sallusti ribatte al video. In prima pagina, ovviamente. “Ieri, in pubblico e in privato, il mio ex direttore ne ha dette di tutte su di me. Non ho gradito che ieri Feltri (che al momento di uscire aveva detto che noi del Giornale, e quindi presumo anche i nostri lettori, gli stavamo sui coglioni) ci ha dato dei bugiardi. La prova? Sarebbe bastato leggere la trascrizione integrale del suo intervento pubblicata su Libero: non c’è traccia della nostra tesi. E’ vero. Solo che una manina accorta, non credo proprio la sua, a Libero aveva omesso guarda caso proprio quei passaggi sulle escort al Quirinale, sui timori di una ricandidatura, sulle legittime ambizioni di Tremonti a scalzare Berlusconi che risultano nella registrazione audio e video. Tutto qui, non siamo bugiardi, semmai sospettosi e irriverenti. Prendiamo atto che ieri Feltri ha detto di essere fermamente berlusconiano. Meglio per tutti, soprattutto per Berlusconi”.
Ricapitolando. Feltri accusa Il Giornale di scrivere falsità, Sallusti sostiene che Libero omette la verità. Ed entrambi si professano berlusconiani doc. Un rebus per i lettori del centrodestra: chi dei due mente? E, se entrambi scrivono il vero, di vero dunque non scrivono niente?
Guerra totale tra Il Giornale e Libero
di Luca Telese - Il Fatto Quotidiano - 9 Gennaio 2011
Il 'Giornale' contro l'ex direttore: traditore del Caimano. La stessa accusa che "Littorio" scagliò a Montanelli
Guerra totale tra Il Giornale e Libero, fra Vittorio Feltri e Alessandro Sallusti. È una guerra politica, ma anche una guerra personale. É una questione di feeling, ma anche una questione di marketing.
É una sfida a due ma anche un triangolo a tre che ha la base a via Negri e il vertice a palazzo Grazioli. Insomma, un bel pasticcio: anche lui, anche tu, tu quoque, Vittorio, un altro traditore.
Tutto accade in un sabato apparentemente tranquillo con un fulmine a ciel sereno, con un editoriale di Sallusti che apparentemente parla di Giorgio Napolitano e che nelle ultime righe, invece, contiene una rasoiata contro l’ex compagno di mille battaglie.
Un passaggio che consente al giornale questo titolo chock: “Napolitano e Feltri cambiano bandiera”. Occorre dunque rileggere riga per riga quel passaggio di Sallusti: “A cambiare bandiera – scrive il direttore de Il Giornale – è anche Vittorio Feltri.
Il giornalista, fino a ieri tra i più autorevoli sostenitori del premier, in un incontro pubblico a Cortina, ha detto che Silvio Berlusconi non ha i numeri per candidarsi a capo dello Stato e che sarebbe addirittura meglio che non si ricandidasse neppure a premier. “Fini, Bocchino e Di Pietro – conclude concedendosi l’ultimo sberleffo – possono contare su un nuovo alleato?”.
La beffa consiste nell’accostare il peggiore nemico di Vittorio Feltri al suo nome, e per di più nel ruolo di alleato. Ma dietro l’operazione di Sallusti, clamorosa nello stile e nei toni si celano due retroscena. Il primo è politico ed è la collera – nota anche ai sassi – che Silvio Berlusconi prova verso il suo ex direttore.
Il secondo è un calcolo più raffinato di Sallusti. Visto che la criticità di Feltri verso il Cavaliere era rimasta (per ora) confinata nei circuiti degli addetti ai lavori, l’editoriale costringe Libero ad uscire allo scoperto, nella speranza che il concorrente sia costretto ad appiattirai sul suo uomo-simbolo, perdendo i lettori piú berlusconiani, sconcertati per il voltafaccia.
La risposta arriva a stretto giro di posta e non é meno dura. Maurizio Belpietro, al telefono é furibondo: “È stata una carognata. Anzi, una vigliaccata. Anzi, una vera e propria infamia, perché commessa contro un uomo che non puó difendersi perché l’ordine gli ha imposto di non scrivere”.
E le differenze di linea? Belpietro le nega. Anzi, le riposiziona così: “Noi, che siamo berlusconiani da sempre non abbiamo bisogno di sdraiarci acriticamente sul Cavaliere, e possiamo onestamente dire quello che non ci piace della sua politica, come abbiamo fatto sul caso Tremonti, quando ne ravvisiamo gli estremi. Sallusti – aggiunge caustico Belpietro – forse perché si vuole far perdonare di quando trafficava con le procure per gli avvisi di garanzia a Berlusconi (era capo della redazione del Corriere della Sera che diede quella notizia, ndr) oggi resta ottusamente e acriticamente sdraiato sul Cavaliere”.
Anche Feltri, non potendo scrivere, attacca sia in video che sul suo nuovo quotidiano (oggi) intervistato da Belpietro: “Il direttore Sallusti scrive il falso. Forse è dovuto al fatto che Libero con me ha già guadagnato 10mila copie? Se le ho prese, significa che Il Giornale le ha perse e questo”, sottolinea il direttore, “dà fastidio”.
Ma Feltri rincara la dose, bollando il comportamento di Sallusti come “non da gentiluomo” poiché sta sparando “su un uomo disarmato, visto che lo sono perché non posso scrivere”.
Il direttore di Libero si mostra poi sorpreso per la retromarcia operata dal suo ex quotidiano. “Sono stupito, non capisco il senso. Fino a ieri sul Giornale per me si raccoglievano migliaia di firme di solidarietà, e ora viene tutto cancellato”.
Feltri entra poi nel merito delle accuse mosse dal direttore del Giornale. “Basta leggere l’intervista pubblicata oggi su Libero su quanto ho detto a Cortina”, ovvero “esattamente il contrario di quanto Sallusti afferma: io voto ancora Berlusconi, non perché lo considero il migliore ma perché è il meno peggio. Ho detto e ribadisco”, ha continuato Feltri, “che non lo vedo al Quirinale ma più come presidente del Consiglio”.
Il fatto è che “non lo si può ingabbiare” al Colle, “anche perché poi”, prosegue il direttore con una battuta, “lì Silvio come fa con le escort?”. Feltri conclude infine con un parallelismo da storia del giornalismo. “Ma sì, Sallusti tenta di ripetere quanto accaduto a suo tempo con Montanelli, quando lasciò Il Giornale e venne messo sotto protezione dalla sinistra. Pensano di ripetere questa operazione così i lettori rimangono. Ma Sallusti si sbaglia, perché io resto con Berlusconi”.
Peró anche Feltri ha la sua nemesi per il paragone che lui stesso ha evocato: nel febbraio 1994, quando Feltri prende il posto di Montanelli messo alla porta da Berlusconi, il suo nuovo Giornale comincia a tambureggiare sulla conversione senile del “compagno Montanelli” al comunismo.
Il ritornello feltriano contro il “compagno Indro” riecheggia nel 2001, in campagna elettorale, dopo che Montanelli, in un’intervista a Biagi e in una telefonata a Santoro, ha messo in guardia gli italiani dal pericolo B. Stavolta Feltri spara al grande giornalista dalle colonne del neonato Libero.
Come il 25 marzo 2001. Titolone di prima pagina: “La commedia di Montanelli. Il giornalista e il Cavaliere: ecco chi davvero ha voltato gabbana” (risposta implicita: Montanelli). Svolgimento: “Ecco come sono andate davvero le cose e chi è stato il voltagabbana” (idem come sopra).
Feltri tratta Montanelli come un vecchio rimbambito: “Non è elegante né gradevole”, scrive, “polemizzare con un anziano signore che ammiri e stimi. Se necessario, lo fai ma solo un po’. Ti trattieni. E io mi sono rispettosamente trattenuto venerdì sera chez Santoro”. Montanelli è colpevole, ai suoi occhi, di essersi trasformato in uno dei tanti avversari dell’inerme Cavaliere “disposti a qualsiasi abiezione pur di massacrarlo”.
Insomma, un traditore ingrato. La stessa accusa che ora Sallusti rinfaccia a Feltri. Come passano i tempi… Oggi dal compagno Montanelli siamo passati al compagno Feltri.
Nano contro resto del mondo
di Marco Travaglio - Il Fatto Quotidiano - 9 Gennaio 2011
Mentre il nano bollito passa il suo tempo a guardarsi dai complotti di Fini e Casini, dei terribili “comunisti” del Pd, delle immancabili toghe rosse e dei terribili tupamaros della Corte costituzionale, e ora persino di Tremonti e di Feltri, gli sfugge qualcosa di terribilmente più grande e pericoloso che congiura contro di lui: il resto del mondo.
Non passa giorno senza che le cronache dall’estero raccontino come funzionano i paesi normali, col rischio che i giudici della Consulta ne siano influenzati in vista della sentenza sul legittimo impedimento.
L’altro giorno la condanna per stupro e molestie sessuali dell’ex presidente israeliano Moshe Katzav: “Ex” perché si era dimesso tre anni fa alle prime notizie sull’indagine. Rischia fino a 16 anni, cioè finirà certamente in galera.
Un paio di mesi fa, le dimissioni del deputato ed ex ministro laburista inglese Phil Woolas, raggiunto da una gravissima accusa: avere mentito in campagna elettorale, additando un avversario politico come simpatizzante dell’estremismo islamico (più o meno quel che ha detto Gasparri di Obama il giorno della sua elezione).
Per quella bugia la sua elezione è stata invalidata: Woolas ha dovuto lasciare la Camera, è stato scaricato dal suo partito e rischia pure l’arresto.
L’altroieri – i particolari a pag. 19 – un altro ex deputato laburista inglese, David Chaytor, è finito in carcere dopo la condanna a 18 mesi in primo grado (ma lì le sentenze di tribunale sono immediatamente esecutive) per essersi fatto rimborsare dallo Stato la bellezza di 22 mila euro per l’affitto di un appartamento: il che sarebbe stato suo diritto, se non si fosse scoperto che la padrona di casa era sua figlia.
“Ex” anche lui perché s’è dimesso dalla Camera, ha confessato tutto, è stato cacciato dai laburisti, si è ritirato dalla vita politica, ha restituito il maltolto con gli interessi e alla fine il giudice l’ha condannato senza sospensione condizionale della pena perché “lo scandalo dei rimborsi spese ha fatto vacillare la fiducia nel legislatore e, quando un pubblico ufficiale è colpevole di offese del genere, devono seguire sanzioni penali, così che le persone capiscano quant’è importante essere onesti per maneggiare fondi pubblici”.
Ecco perché, all’estero, i processi ai politici non condizionano la politica e le istituzioni: perché i politici, appena raggiunti dal benché minimo sospetto, si dimettono o sono costretti a farlo dai loro stessi partiti; così poi i giudici processano degli “ex”, dei pensionati, lontani dalla politica e dalle istituzioni.
Per preservare le quali non si aboliscono inchieste e processi: si cacciano inquisiti e imputati. Se poi questi vengono assolti, tornano a fare politica. Se vengono condannati, spariscono dalla circolazione. In ogni caso, i partiti e le istituzioni escono non screditati, ma rafforzati perché dimostrano di saper fare pulizia al proprio interno.
Così nessuno si sogna di ipotizzare “scontri” fra giustizia e politica. O di caricare i giudici di responsabilità politiche, avvertendoli minacciosamente – come fanno gli onorevoli avvocati di B. ogni volta che un tribunale o la Consulta deve giudicare B. o una legge pro B. – che la loro decisione influenzerà la stabilità del governo e i destini del Paese.
O di invocare l’esigenza di “mettere al riparo” o “in sicurezza” premier, ministri e parlamentari da inchieste e processi per “tutelarne l’attività” (così delirava ancora ieri il Corriere della Sera).
Tornando in Italia, gli ultimi boatos dalla Corte, tra un rinvio e l’altro, scommettono su un pateracchio che salva di fatto l’impunità del premier fingendo di bocciarla: un inciucio all’italiana che, per giunta, impedirebbe ai cittadini di esprimersi nel referendum. Gli azzeccagarbugli la chiamano soavemente “sentenza additiva di illegittimità”.
Facciano pure come credono. Ma non ci raccontino la favola delle “altre democrazie”, perché non attacca. Nelle democrazie l’unico impedimento è quello che impedisce agli inquisiti e agli imputati di sedere nelle istituzioni. Non in tribunale o in galera.
Legittimo impedimento, ultimi giorni di pressione sulla Consulta
di Antonella Mascali - Il Fatto Quotidiano - 9 Gennaio 2011
Tentativi di condizionamento di ogni tipo sui giudici della Corte Costituzionale. Il verdetto è atteso per giovedì
Non è servito a niente, come era prevedibile, aspettare che passasse il fatidico 14 dicembre, giorno della controversa fiducia a Berlusconi. “Il clima politico surriscaldato”, per usare le parole del presidente della Consulta, Ugo De Siervo, è sempre rovente.
Ora, come a dicembre, alla Corte viene dato un peso politico che non dovrebbe e non vorrebbe avere. Ma Bossi e la Lega si attaccano all’attuazione del federalismo e alla sentenza (prevista giovedì) per rinunciare o invece trascinare al voto anticipato Berlusconi.
Martedì mattina ci sarà l’udienza pubblica sul legittimo impedimento “ad premier e ministri”, nel pomeriggio i giudici faranno (a porte chiuse), quello che si chiama un giro di tavolo, un confronto in vista della decisione, dopo settimane caratterizzate da pressioni e messaggi sulla “ delicatezza della decisione per le sorti della legislatura e del Paese”.
I membri della Corte hanno anche ricevuto una lettera da parte di un collega, che è musica per le orecchie del Cavaliere. La missiva, che caldeggia la costituzionalità dell’ultima norma ad personam, approvata per bloccare i processi di Berlusconi, è a firma di Luigi Mazzella.
Quel Mazzella che a pochi mesi dalla decisione sul lodo Alfano, nel maggio 2009, invitò a cena nel suo appartamento romano, il presidente del Consiglio-imputato, il ministro Angelino Alfano, il sottosegretario Gianni Letta, il presidente della commissione affari costituzionali, Carlo Vizzini e il giudice Paolo Maria Napolitano, anche lui componente della Consulta e promotore di una causa civile contro Di Pietro.
La posizione di Mazzella non è isolata, anche se minoritaria. Qualcun altro della Corte vorrebbe la conferma del legittimo impedimento, facendo leva sulla temporalità di una norma che scade a ottobre 2011.
Altrettanto minoritaria è la posizione di quei giudici che vorrebbero bocciare la legge perché viola il principio di uguaglianza e perché già il codice di procedura penale offre a tutti gli imputati (compreso Berlusconi) di avvalersi del legittimo impedimento per far rinviare un’udienza, se riconosciuto legittimo dal giudice.
La maggioranza della Corte, però, a quanto ci risulta, è per quella che possiamo definire una mediazione giuridica, anche se non vuole sentir parlare di compromesso, ma di “legge costituzionale solo se interpretata in un determinato modo”.
Lontano comunque, aggiungiamo noi, da quello degli avvocati del premier, Ghedini e Longo o dell’avvocatura dello Stato che oggi renderanno pubbliche le loro memorie a favore del legittimo impedimento ad hoc.
Se alla Consulta dovesse prevalere, come sembra, l’ipotesi di una sentenza interpretativa, vorrebbe dire che respingerebbe i ricorsi dei giudici milanesi dei processi Mediaset, Mills e Mediatrade, secondo i quali la legge è incostituzionale, ma allo stesso tempo fisserebbe i paletti: nessun automatismo del legittimo impedimento dietro un certificato del segretario generale di Palazzo Chigi, fino a 6 mesi consecutivi.
Deve invece esserci la discrezionalità del giudice, tenendo presente anche un pronunciamento già espresso dalla Consulta ai tempi dei processi a carico di Cesare Previti. Nel “sindacare” sul legittimo impedimento di un esponente politico, il giudice deve conciliare l’agenda degli impegni istituzionali con le esigenze del processo.
In queste ultime ore, però, si rafforza l’indiscrezione secondo la quale i giudici possano proclamare una illegittimità parziale della norma nella parte in cui riconosce come legittimo impedimento le “attività preparatorie e conseguenti nonché le attività comunque coessenziali alle funzioni di governo”.
Il verdetto della Consulta dovrebbe essere emesso giovedì. Mercoledì, invece, è fissata la discussione sull’ammissibilità di sei referendum tra cui quello sull’abolizione del legittimo impedimento speciale, promosso dall’Idv.
Un referendum che non si terrebbe certamente soltanto nel caso in cui la Corte dovesse bocciare la legge, come ha fatto con i “ lodi” Schifani e Alfano. Ma se i giudici dovessero bocciarla parzialmente, allora dovrà essere l’ufficio centrale della Cassazione a decidere sulla possibilità di andare al voto.
Se, invece, dovesse esserci la sentenza che a oggi viene data per favorita, ovvero quella interpretativa di rigetto, allora il referendum per abrogare il legittimo impedimento ci sarà.
E potrebbe svolgersi mentre sono comunque ripresi i processi milanesi, con la difesa Ghedini-Longo che ogni volta cercherà di bloccare il processo presentando gli impegni del premier. Ma se la legge ridarà una certa discrezionalità ai giudici, potranno anche respingere alcuni impedimenti.
Insomma o per via della Consulta, o per via referendaria, Berlusconi potrebbe tornare ad essere un imputato come gli altri, o quasi. Ma non si sa in quale veste, oltre che di imputato. Presidente del Consiglio o candidato?