mercoledì 5 gennaio 2011

Il secolo del Dragone

Mentre in Occidente si sta registrando la più grave crisi economica di sistema di sempre, in Asia invece le cose vanno diversamente.

A partire da Cina e India che continuano a crescere, anche se prima o poi saranno costrette pure loro a sostanziali modifiche di rotta.

Ma in Cina si stanno già preparando...


Burattinai di imperi e monete

di Marco Della Luna - http://marcodellaluna.info - 3 Gennaio 2011

L’oro schizza oltre i 140 USD/oncia. E’ oramai ovvio che USA, Europa e Giappone (come altri) non saranno in grado di rimborsare il debito pubblico e forse nemmeno di pagarne gli interessi. Si prepara dunque una crisi globale monetaria, che i mercati presentono, e si buttano sull’oro.

L’unica superpotenza con grande forza monetaria e finanziaria è la Cina, che quindi potrà fornire la nuova moneta di riserva e di scambio internazionale per dare credibilità-accettazione al sistema monetario globale dopo la consumazione di quella crisi.

Preparata con decenni di false teorie macroeconomiche e deleterie politiche finanziarie in Occidente e Giappone, e di conseguente declino reddituale comparato, la suddetta crisi sarà il principale e finale strumento di sostituzione pacifica (per via monetaria anziché militare) degli USA con la Cina nella funzione di piattaforma tecno-economica della dominance sul mondo.

Non nella funzione di garante della democrazia, che gli USA svolgevano nell’immaginario popolare. L’immaginario popolare oggi invoca sicurezza e stabilità, non democrazia e diritti politici.

L’Aquila imperiale sta così trasferendosi da Washington a Pechino dopo aver risieduto a Londra, a Vienna, a Madrid, a Roma, a Persepoli, con transiti francesi e germanici.

Questo rapporto di forza e debolezza in favore della Cina e in danno dell’Occidente è stato costruito lasciando l’Occidente e il Giappone all’automatico processo dell’indebitamento progressivo e irreversibile generato dall’uso di monete-debito, ossia di un money supply interamente generato con un corrispondente indebitamento, soggetto a interesse composto, verso il sistema bancario privato; e facendo per contro adottare alla Cina una moneta sovrana, emessa senza indebitamento.

Grazie a tale moneta, il regime cinese può finanziare senza indebitarsi, a costo zero, lo sviluppo interno e l’acquisto, anzi l’incetta, all’esterno, di materie prime, terreni, impianti, industrie – ultimamente, anche quello del Pireo, in cambio del sostegno finanziario alla Grecia decotta e messa alle strette da Berlino. Inoltre ha comperato larghe quote di debiti sovrani.

La moneta sovrana consente così al regime cinese il take-over dei centri di potere economico, quindi politico, su scala globale: fondazione di un nuovo impero. Comperando l’esorbitante debito pubblico USA e sterilizzandolo col metterlo a riserva, la Cina puntella, per ora, il Dollaro, quindi il sistema valutario internazionale.

La Cina è stata messa in condizione di far tutto ciò dalla decisione di dotare il suo governo della sovranità monetaria e di una moneta libera da debito, diversamente dal resto del mondo (con minime eccezioni) – una decisione del cartello bancario internazionale.

Il lato debole dell’economia cinese rimane lo scarso sviluppo della domanda interna – ma se i consumi interni cinesi (e/o indiani) salissero a livello occidentale, avremmo un tracollo ecologico planetario.

Anche gli USA, in passato, grazie a Bretton Woods che istituì il Dollaro come moneta di riserva mondiale, avevano comperato mezzo mondo stampando carta, e sostituendo al momento giusto (ossia quando il Dollaro divenne troppo inflazionato) la copertura in oro con quella in petrolio (divieto di vendere il petrolio contro valute diverse dal Dollaro, pena l’anatema di stato-canaglia e l’invasione militare con stragi di civili).

Qualcosa di analogo, su scala minore, lo aveva fatto anche la City con il Pound, quando era questo la moneta di riserva internazionale.

Ora ospitare l’Aquila imperiale tocca alla Cina: una plurimillenaria cultura impregnata di etnicismo e doppia morale (“chi non è Han è inferiore”), storicamente esente da ideali e sensibilità democratici, liberali, umanitari, cristiani, rinascimentali, illuministi, garantisti, ecologici, bioetici, animalisti (solo ultimamente il governo ha fatto togliere il gatto dal menu dei ristoranti), in cui l’ultima grande rivoluzione ideologica prima dell’attuale capitalismo sviluppista imperiale, è stato il comunismo maoista, che ha eliminato settanta milioni di persone.

Per un mondo in competizione neodarwinista globale, in forte esplosione demografica, dove si lotta per conquistare i mercati e accaparrarsi le risorse in via di esaurimento, e i meno forti soccombono, e i più forti inviano eserciti non solo convenzionali, ma anche di contractors privati, i burattinai delle monete e degli imperi, dovendo trovare un adeguato sostituto degli USA nel ruolo di superpotenza regolatrice, non potevano fare una scelta più efficiente.


China über alles
di Giulietto Chiesa - Megachip - 3 Gennaio 2011

Molta è, in Occidente, la retorica sull’ascesa della Cina nel consesso mondiale. Ce ne siamo accorti tardi, noi, in Italia. Fino a una quindicina di anni fa quasi nessun media italiano aveva un corrispondente a Pechino. Adesso ne parliamo di più, anche perché sarebbe impossibile non farlo.

Eppure continuiamo, tetragoni a ogni barlume di ragione, a privilegiare le relazioni e le valutazioni che passano sopra l’Atlantico, come se il baricentro del mondo fosse ancora in questo nostro emisfero.

Cioè non vediamo ancora quasi niente di ciò che sta in realtà accadendo. In questo, mi pare, europei, russi e americani fanno combriccola, discutendo dei destini del mondo tra di loro, come se dipendessero ancora, essenzialmente, da loro.

Intendiamoci, in parte è ancora così e così continuerà ad essere per un certo periodo di tempo. Solo che questo periodo si va accorciando velocemente. Leggo analisi di commentatori politici europei, americani e russi, che sognano di “alleanze strategiche” interatlantiche, da Vancouver a Vladivostok, e penso alla inesorabile limitatezza di queste ritardatarie (e perfino pericolose) speranze.

Penso che, se non si capisce la Cina nella sua realtà, tutti i calcoli risulteranno sbagliati e, alla fine, l’Occidente si troverà più debole di quanto ancora potrebbe essere.

Dunque occorre capire fino in fondo, in primo luogo , cosa significa il fatto che la Cina si delinea come il vero colosso mondiale del XXI secolo.

Che non è già più e non potrà essere, un nuovo “secolo americano”.

I dirigenti cinesi sono stati, e restano, prudenti in merito. Tendono a evitare frasi clamorose, proclami; evitano l’enfasi con studiata ritrosia. Ma sanno ormai di essere decisivi in quasi tutti i campi che influiscono sugli equilibri mondiali. E hanno già dimostrato di sapere prendere decisioni anche da soli, senza aspettare il consenso dell’ex impero americano. Sono gli unici a poterlo fare e già lo fanno.

Ci troviamo nel momento sottile e delicato di una transizione, in cui la Cina – che è avvinghiata al destino americano (e lo sa) – sta cambiando pelle e colore e sta mutando da partner subordinato a partner dominante.

La leadership cinese sa anche un’altra cosa, decisiva per il proprio (e il nostro) futuro: che sarà molto difficile, molto improbabile, che i gruppi dirigenti americani ed europei accettino un tale passaggio di consegne senza tentare d’impedirlo.

Tutto induce a pensare che non solo le élites occidentali sono mille miglia lontane da questo realismo, ma che lo sia anche il popolo americano nel suo insieme e tutto il “miliardo d’oro” di cui noi siamo parte.

Dunque non è azzardato attendersi scintille nei prossimi decenni (nei prossimi due decenni, che saranno decisivi). Nel famoso documento del PNAC (Project for the New American Century), che fu scritto alla fine degli anni ’90, i neo-con, che presero il potere negli Stati Uniti nell’anno 2000, avevano delineato uno scenario in cui, nel 2017, la Cina sarebbe divenuta “la principale minaccia per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti d’America”.

Se, per “minaccia” intendevano dire che la Cina avrebbe scelto la propria strada senza chiedere il permesso a nessuno, e, nel 2017, sarebbe stata nella condizione di fare rispettare le sue scelte, possiamo dire che i neo-con si sbagliarono per difetto: ci siamo già.

Ed è ora assai scomodo, per gli Stati Uniti, sentirsi minacciati da qualche cosa che è, appunto, avvinghiato a loro, così come loro sono avvinghiati ad esso in un intrico inestricabile, che potrebbe diventare drammatico. Perché, come “fermare” la Cina visto che fermarla equivarrebbe a subire una violenta frenata e imprevedibili contraccolpi? E come “non fermarla”, visto che non fermarla equivale ad arrendersi?

Qui l’analisi razionale, politically correct, s’interrompe per forza di cose. Ricordate l’aneddoto dello scorpione che chiede alla rana di traghettarlo dall’altra parte del fiume in piena? La rana chiede garanzie: “Non mi pungerai?” Lo scorpione risponde: “Come potrei essere così sciocco? Pungendoti morirei anch’io”.

La rana accetta e mal gliene incoglie, perché nel mezzo della corrente lo scorpione la pungerà. Prima di morire troverà appena il tempo di gridare: “Ma perché lo hai fatto?”. E lo scorpione, affogando anche lui, le risponde:”Scusami, ma non ho saputo resistere”.

La rana cinese si aspetta il morso e non traghetterà lo scorpione. Tra il 2015 e il 2018, con gli attuali tassi di crescita, la Cina supererà percentualmente gli Stati Uniti come principale importatore mondiale di petrolio.

Un calcolo elementare dice che, un modo per “pungerla” (cioè , se non per fermarla, per costringerla almeno a rallentare, a venire a patti), sarà quello di rendere più difficili i già difficili per tutti approvvigionamenti energetici. Lo si può fare in molti modi. Il più semplice dei quali è di far scoppiare una o più guerre che s’incaricheranno di tagliare comunicazioni, oleodotti e gasdotti.

Da qui la decisione, davvero strategica, del Governo cinese di varare un piano energetico di lunga durata, fino al 2050, che non è eccessivo definire “autarchico”. Se la sicurezza dipende dall’autonomia assoluta in materia energetica (ed è proprio così), Pechino sceglie senza mezzi termini la sicurezza, consapevole che la partita – Brzezinski direbbe sulla scacchiera mondiale – è per la sopravvivenza.

La Cina varerà, al prossimo Congresso del Popolo, nel marzo 2011, o addirittura alla fine del 2010, affidando la decisione al Comitato Permanente di 175 membri, un piano energetico generale che punta sul carbone.

La diversificazione prevede tutti i tipi di energia, con quella nucleare ai primissimi posti, ma il carbone sarà la Muraglia Cinese, poiché la Cina dispone della terza più vasta riserva di quel combustibile dopo Russia e America, e ce l’ha sul proprio territorio, non deve né trasportarla, né comprarla.

E’ una decisione che equivale a un gigantesco tsunami, le cui onde arriveranno sulle coste di tutti i continenti. E’ una decisione globale, ma che riduce l’interdipendenza della Cina con il resto del mondo. Essa avrà ripercussioni profonde su tutti i mercati energetici mondiali, in direzioni diverse e per ora imprevedibili.

Equivale, del resto, a una intensificazione, appunto strategica, della linea già assunta di fatto, in cui i quattro quinti dell’energia elettrica cinese sono prodotti da centrali a carbone, il cui numero si accresce al ritmo di una nuova centrale ogni settimana.

Ma una tale decisione avrà effetti soprattutto sulle future sorti mondiali del clima. La Cina non è ancora il principale emettitore di gas a effetto serra, essendo per il momento sopravanzata dagli Stati Uniti, ma lo diventerà rapidamente. Quali che siano gli sforzi profusi dalle autorità cinesi, sarà difficile evitare un peggioramento della situazione climatica a livello planetario.

Dunque si possono trarre alcune conclusioni preliminari.

La prima, forse la più importante tra queste, è che il mondo non può più crescere nella quantità, nelle forme, nei ritmi dettati dai paesi dell’Ocse, a causa dei limiti dello sviluppo ormai evidenti, e dello stato di sovrapproduzione dell’economia mondiale nel suo complesso.

In secondo luogo saranno proprio i paesi più industrializzati a dover affrontare il problema della contrazione della loro crescita, mentre, all’opposto, emergono nuovi giganti (non solo Cina, ma anche India e Brasile) che non possono non crescere e, soprattutto, ai quali non sarà possibile impedire di crescere (s’intende: non sarà possibile impedirglielo pacificamente).

Detto in altri termini, stiamo assistendo a un immenso trasferimento di risorse dal nord verso il sud e verso l’est. In assenza di una nuova architettura dei rapporti mondiali, i grandi giocatori giocheranno gli uni contro gli altri. La rotta di collisione tra Cina e Occidente è già nei fatti, sotto i nostri occhi. La decisione cinese non fa che sottolinearla e rivela il retropensiero dei dirigenti di Pechino. Il mainstream occidentale sta già disegnando l’immagine del nuovo “nemico”.

Ma è davvero il nemico? C’è di che dubitarne. Lo è, e lo sarà, solo per coloro che, in Occidente, non intendono rinunciare neppure ad una goccia del loro benessere e della supremazia della quale hanno goduto negli ultimi due secoli almeno.

Potrebbe non esserlo per alcuni miliardi di individui che hanno poco o nulla da perdere. La Cina, per fare solo un esempio, è già il primo produttore al mondo di turbine a vento e di pannelli solari.

La Cina ha avviato un programma di rimboschimento che non ha eguali sul pianeta. Ma non ce la farebbe, da sola, senza una cooperazione internazionale leale e tra eguali. Se non ce la facesse sarebbe un guaio per tutti.

La leadership cinese sembra essere perfino più consapevole di molti circoli occidentali dei problemi che gli uni e gli altri dovranno affrontare. Dipingerla come il futuro nemico non servirà a niente.


La crescita di Pechino è davvero sostenibile?
di Joseph Halevi - Il Manifesto - 5 Gennaio 2011

L'Australia rappresenta l'esempio più lampante di come la crescita cinese sostenga la bolla finanziaria sostenuta dall'erogazione, a costo zero, negli Usa, in Europa e in Giappone, di denaro pubblico al sistema bancario.

Quando la crisi precipitò nel 2008 sembrava che per l'Australia le cose dovessero andare malissimo. Con il crollo dei prezzi mondiali delle materie prime il dollaro australiano si svalutò fortemente toccando i 48 centesimi di euro. Oggi il dollaro australiano si situa sui 77 centesimi ed ha superato il dollaro statunitense.

Tutto grazie alla Cina, che ha generato un enorme boom minerario, superiore alla grande la corsa all'oro della seconda metà del diciannovesimo secolo che trasformò l'Australia nella regione col reddito pro capite più alto al mondo. I capitali stanno affluendo nel paese sia per investimenti nelle attività minerarie che per via la politica della banca centrale di alzare i tassi di interesse alfine di controllare l'inflazione.

Ciò ha rilanciato il credito ai mutui ipotecari con prestiti fondati su aspettative di un continuo rialzo dei valori immobiliari. La bolla cinese ha pienamente inglobato il paese: un modesto calo del tasso di crescita di Pechino creerebbe delle voragini nella posizione debitoria delle famiglie e nell'esposizione delle banche.

Se le aspettative di lucro del sistema finanziario mondiale si appuntano sulla Cina e i paesi al suo traino, la crescita di quest'ultima sta giungendo a un punto di svolta. Sul China Daily del 23 dicembre scorso è apparso un articolo di grande importanza a firma di Yu Yongding, già membro della commissione per la politica monetaria della Banca del Popolo (centrale). La sua analisi è severissima. Lo sviluppo cinese ha dei costi esorbitanti col 50% del reddito assorbito dagli investimenti, 1/4 dei quali è destinato all'edilizia.

Le autorità spingono a costruire per aumentare il Pil. Infatti l'esistenza di città nuovissime e disabitate è nota. In Cina, sottolinea Yongding, polveri e fumo stanno asfissiando le città, i maggiori fiumi sono gravemente inquinati e, malgrado i progressi realizzati, avanza la deforestazione e la desertificazione. Siccità, inondazioni e frane sono ormai fenomeni comuni, mentre l'incessante attività estrattiva esaurisce le risorse naturali.

Si impone, osserva l'articolo, un drastico mutamento di rotta, tuttavia l'industria cinese non riesce a superare il suo status di fabbrica di massa mondiale e trasformarsi in una forza di innovazione. Ne consegue che la dipendenza dalle esportazioni è strutturale: il cambiamento di rotta richiederebbe un aggiustamento molto doloroso.

A ciò si aggiunge il fatto che lo sviluppo cinese è stato fortemente orientato in favore degli strati più ricchi, mentre il governo ha fallito nel provvedere beni di utilità pubblica. Per l'autore dell'articolo, sebbene la crescita attuale non sia sostenibile, il paese è dominato da una ferrea alleanza tra burocrazia pubblica e strati capitalisti che hanno addirittura tratto beneficio dai tentativi di riforma.

La Cina, scrive Yongdin, «è il paese del capitalismo dei ricchi e dei potenti», questi difendono con ogni mezzo i loro interessi. In tale contesto la possibilità di usare in maniera socialmente razionale il surplus estero del paese sta scemando. L'analisi dell'autore mi risulta corretta e senza maschere nazionalistiche. Essa implica che in Cina il mutamento avverrà con una profonda crisi che coinvolgerà ampiamente il capitalismo americano, nipponico e anche europeo.



La Cina frena sul mattone
di Gabriele Battaglia - Peacereporter - 17 Dicembre 2010

Stop dei prestiti immobiliari a Shanghai. Una misura limitata per un'economia che corre troppo

La Cina mette un freno al surriscaldamento dell'economia prendendo di mira gli investimenti nel settore immobiliare. In base a una decisione presa dalle autorità locali, le banche che operano a Shanghai dovranno infatti interrompere con effetto immediato l'elargizione di crediti immobiliari da qui a fine anno.

Sono pochi giorni, è chiaro, così pochi da fare escludere un reale effetto sull'economia. Ma la misura è comunque un segnale.

Mentre il resto del mondo annaspa ancora nel credit crunch, in Cina si è infatti già ripresentato da mesi il problema contrario. Troppa liquidità in circolazione, sovente veicolata verso il cemento, per un boom delle costruzioni a cui non corrisponde - ma qui il punto è controverso - altrettanta domanda. C'è comunque il rischio che l'inflazione acceleri.

Già da inizio 2010, le autorità hanno posto un freno al credito, forti del controllo politico dell'economia che permette alla Cina di agire just in time. Le misure sono state sostanzialmente due: decretare l'obbligo per le banche di aumentare le proprie riserve obbligatorie e deviare d'ufficio parte dei crediti a settori diversi da quello immobiliare.

Tuttavia il mondo finanziario ha abilmente aggirato l'ostacolo, aumentando ulteriormente i volumi di denaro in circolazione, rischiando cioè di far impazzire ancor più l'inflazione.

Di fatto, i nuovi prestiti concessi dalle banche di Shanghai a novembre hanno raggiunto i 36 miliardi di yuan (quasi cinque milioni di euro), per un volume complessivo in Cina che si avvicina pericolosamente a settemilacinquecento miliardi, il tetto per il 2010 che Pechino ha stabilito proprio per non surriscaldare troppo l'economia. Ed ecco che scatta la frenata imposta dall'alto.

In realtà la politica economica cinese deve tener conto di valutazioni molteplici, spesso contrastanti: non si vuole far andare la macchina fuori giri, ma al tempo stesso non si intende rallentare una crescita sostenuta, promessa di benessere per un maggior numero di persone. E se invece questo boom fosse drogato e favorisse chi è già ricco, acuendo le disparità sociali?

Così le misure restrittive diventano mirate: Shanghai - capitale finanziaria e regno del capitalismo "secondo caratteristiche cinesi" - e il settore immobiliare, sempre sul punto di partire per la tangente.

Al tempo stesso però non possono essere troppo incisive, ci sono troppi interessi e gruppi di pressione in ballo: e così si spiegano i dieci giorni da qui al 2011, giusto per non sforare il tetto prestabilito dei crediti.


Cina, il contadino è in rete
di Gloria Riva - Peacereporter - 22 Dicembre 2010

Grazie a un servizio di sms i contadini ricevono e inviano dal cellulare informazioni e consigli sull'attività agricola. L'obiettivo è migliorare le condizioni di vita nelle aree rurali

Sono ventimilioni i contadini cinesi che masticano la materia del web 2.0. Con una mano arano il campo, con l'altra leggono l'sms del cellulare che li informa del periodo migliore della semina e il prezzo del maiale in Borsa.

Il duro mestiere del contadino, alle prese con la raccolta e la cura del bestiame, lascia poco spazio all'informazione, che tuttavia potrebbe rappresentare un importante elemento per migliorare l'attività e far lievitare un poco gli striminziti redditi di coltivatori e allevatori delle aree rurali della Cina, che sono in tutto settecento mila.

Da qui la nascita di un sistema di "mobile farming", avvenuta 4 anni fa: Attraverso un cellulare gli agricoltori sono in diretto contatto con il servizio Nongxinton China Mobile che fornisce in tempo reale informazioni sull'agricoltura, sui costi e sull'allevamento.

Nongxinton è una piattaforma cellulare e web e i suoi abbonati ricevono messaggi di testo o anche audio che contengo consigli, avvertimenti, apportunità di lavoro, potenziali acquirenti, venditori e prezzi di mercato calcolati su misura delle esigenze del singolo contadino e della sua specifica attività.

Le informazioni vengono dal dipartimento dell'agricoltura del Governo Cinese, da un centro di ricerca della Nongxinton ma anche dagli stessi abbonati che possono a loro volta diffondere messaggi e informazioni agli altri contadini del Paese. Una rete che permette a tutti gli agricoltori del Paese di comunicare, nonostante le enormi distanze.
Venti milioni di persone nella Cina dei campi si sono già iscritte al mobile farming.

Attualmente la società si sta espandendo a Ovest e nelle regioni del Sud Ovest: "Costruendo la rete mobile per consentire la copertura del segnale ci siamo resi conto che esisteva un solo segnale di rete. E nelle zone rurali questo non basta - dice Liu Jing, responsabile locale per il servizio China Mobile - E' come avere una strada, ma priva di automobili". Infatti, mentre la maggior parte delle famiglie agricole in Cina ha un telefono cellulare, ben pochi hanno internet.

Ad oggi la principale fonte di informazione è la televisione, anche se spesso gli agricoltori, dopo un'intera giornata di lavoro, hanno poca voglia di mettersi a guardare programmi impegnati e consultare listini prezzi e informazioni sull'andamento della semina.

China Mobile Nongxinton è stato creato per fornire informazioni e notizie brevi ed essenziali al produttore e al coltivatore attraverso il loro cellulari. A chi non può ancora permettersi un telefonino cellulare, la società ne offre uno gratuitamente purché la bolletta superi i 2 dollari mensili.

Il costo del servizio di base è di circa 6 euro l'anno e l'obiettivo è ridurre l'enorme divario tra l'informazione della città e quello delle aree rurali, che servirà anche a colmare il divario reddituale fra città e cammpagna.

Il principale azionistia di China Mobile, pur essendo una società quotata in Borsa, è lo Stato e puù avvalersi di un'enorme rete di quadri rurali del supporto del Governo che tuttavia in cambio, sfrutta la rete per inviare ai contadini annunci politici.

Le inofrmazioni relative all'andamento dell'agricoltura vengono elaborate dai dipartimenti dell'agricoltura cinesi, ma anche da agricoltori e lavoratori del settore che intendono contribuire al diffondersi dell'informazione.

Parallelamente in due altre regioni cinesi si sta sviluppando un network sociale che permetta ai contadini cinesi di accedere a fonti di microcredito per espandere le piccole imprese rurali. La piattaforma si chiama Wokai e ha richieste di credito da parte di molte contee cinesi e della Mongolia, mentre i creditori provengono da 47 Paesi che selezionano on line i progetti da supportare.

Per molti versi potrebbe essere paragonato a un Facebook per contadini. Casey Wilson, il cofondatore di Wokai dice che: "I contadini cinesi rappresentano la seconda più alta domanda di microcredito nel mondo, ma non c'è alcuna offerta per loro. E questo perché i contadini non hanno alcun sistema per accedere al sistema del microcredito. Internet è uno dei pochi mezzi che possono essere sfruttati per invertire questo sistema".

In due anni Wokai ha raccolto 370 mila dollari e finanziato 500 progetti, dall'allevamento di suini a chioschi per la vendita di noodles.

Wokai non lucra sugli interessi o sui soldi raccolti, ma guadagna attraverso le donazioni e le sponsorizzazioni per coprire i costi di gestione.