mercoledì 19 gennaio 2011

Il troiaio italiota: "Il bancomat ambulante"

Un altro episodio della telenovela "Il troiaio italiota", con il sottotitolo "Il bancomat ambulante" in cui il protagonista è sfruttato come una stupida macchina dispensatrice di cash e regalie varie.

Non solo le troie si approfittano di lui ma anche i suoi cosiddetti "amici" glielo mettono in quel posto, alle sue spalle...e lui ride, si diverte...l'idiota.

Un povero coglione, solo come un cane ma circondato da avide sanguisughe che lo disprezzano mentre se lo spremono come un limone....


La corte degli avidi al bancomat di Arcore
di Pierluigi Battista - Il Corriere della Sera - 19 Gennaio 2011

Tra assegni e regali, la corte degli avidi usò l’«amico Silvio» come un bancomat

Nessuno che fosse disinteressato. Tutti attorno al Grande Ricco generoso. Come cavallette assetate. Compresi quelli di cui il Grande Ricco si fidava. Un milione 200 mila euro in «prestito». Ottocentomila a Lele Mora, che ne aveva bisogno. Quattrocento a Emilio Fede, come beneficio.

Fede a Mora dice che chiederà al Capo Bancomat: «Uno e due, di cui 100 li dà a me in due rate che ho prestato 50 e 50, capito?». Mora capisce perfettamente: «Certo». Fede a Mora: «Vuol dire che possono diventare uno e mezzo: io ne prendo quattro e tu otto, va bene? ». Mora a Fede: «Benissimo, meraviglia, meraviglia, bravo direttore, bravo».

Hanno trovato l’isola del tesoro. La cornucopia. La cassaforte sempre disponibile. Lo sportello da cui attingere senza remore. Una cresta collettiva. Un vortice di pagamenti, regali, doni, con un giro di persone che ha intravisto la «meraviglia» di cui ripetutamente, come incantato da una visione da Paese dei Balocchi, parla Lele Mora. Anche bonifici. Dicitura: «Bonifico o/c Silvio Berlusconi in favore di Alessandra Sorcinelli - prestito infruttifero ».

O assegni circolari. Come nei colloqui intercettati: «Se facessimo dei circolari le andrebbero bene oppure...? ». «Benissimo anche quelli». Allora «busta chiusa a ritirare», «Mi fai un regalo, un regalissimo ». Il denaro come, secondo Marx, «equivalente universale». Un modo dotto di dire che, nella modernità, tutto ha un prezzo. Secondo Georg Simmel il denaro è il simbolo della riduzione dei valori qualitativi in valori quantitativi.

Ma Simmel non deprecava. Descriveva. Avrebbe ricavato un supplemento di dettagli se avesse letto le intercettazioni in cui il «quantitativo », nei rapporti con il detentore di grandi ricchezze, soppianta il «qualitativo ». «Papi qua è la nostra fonte di lucro». «Mi devi dare una certa stabilità economica». «Amore per favore aiutami a trovare un lavoro per chiedere un mutuo che è uno dei miei sogni più grandi».

Fino al terrificante: «Gli ho detto che ne voglio uscire almeno con qualcosa... cioè mi dà... però... 5 milioni a confronto del macchiamento del mio nome». Ecco l’equivalente universale: 5 milioni di euro («a confronto») per un congruo e sicuro «smacchiamento». Come un bancomat, o un biglietto della lotteria.

O la cornucopia universale da spremere prima che sia troppo tardi, fino all’ultima stilla. «Va bene, non ti chiedo tanto, mille». «No, mille sono tanti». «Mille, ma sono 500 euro a testa, caro». Caro, in tutti i sensi. E ancora: «Torniamo a casa almeno con 4 mila euro e perciò domani ci devi essere per forza». «Cash! Eh, un cristiano normale lavora sette mesi per prendere quello che ho preso io». «Sono stata un po’ cogliona perché non ho beccato nulla».

La nottata «è valsa nove scarpe». «Un braccialetto e 2.000 euro». «Dice alla madre di aver ricevuto 7». Un sms dice che la rivale «ha avuto 6,5, ok?». «Ho diviso in due una busta da 5». Un esercito di gente che acchiappa, arraffa, incassa, agguanta.

Senza nemmeno un trasporto d’affetto per la fonte di tanta fortuna. Che anzi viene insolentito, sfruttato senza limiti, indicato come la risoluzione di ogni problema. «Cavolo Francesca, un diamantino piccino!

C’è scritto F di Francesca piccolino d’oro, preferivo i soldi». «Questi sono gli inizi dai». «Comunque c’è soltanto il trilocale, eh, libero ». «Gli aveva fregato la casa». Due cd di Apicella. Delusione? Aperti, ecco «quattro banconote da 500 euro». «Tutta la notte a 300 euro», altre cose, sempre «a 300 euro». «Lui ha regalato un anello e un bracciale a tutte, compresa Maria». «Basta che non siano 50 euro».

E poi, se non arriva l’equivalente universale, se il flusso di denaro, appartamenti, creste, bonifici, assegni circolari, bracciali, collane, diamantini, buste, banconote si dissecca o appare sulla via dell’esaurimento, l’esercito vorace di chi si stringe al Grande Ricco trasformato in bancomat diventa crudelmente avido, sempre più esigente, sempre più disposto a lasciare solo chi è all’origine di tanti variegati benefici.

Da «l’importante mi sta riempiendo di soldi» fino a «vado io a tirargli la statua in faccia», se il bancomat annuncia di non funzionare più secondo i ritmi di chi vuole approfittare e mettere le mani nel tesoro dei miracoli.

Basta solo un annuncio e il Grande Ricco si ritrova solo, come il Rag. incaricato di saldare i conti e mettere ordine tra postulanti, finti amici e affamati di denaro. «Prestito infruttifero».


Meglio porco che impotente?
di Luca Telese - Il Fatto Quotidiano - 19 Gennaio 2011

A pensarci bene, il vero disastro, per Silvio Berlusconi, non è nel diluvio di intercettazioni, suggestioni, figurazioni da porno b-movie, non sono gli squarci di lap dance, il racconto delle finte poliziotte con le tette siliconate al vento, dell’igienista dentale che si fa alternativamente maitresse o additivo erotico.

A pensarci bene, ciò che sta corrodendo come un acido muriatico l’immagine di Silvio Berlusconi, non è lo stereotipo antico del satiro, e nemmeno quello un po’ più pecoreccio del “vecchio porco” che tocca e sbava, ma il colore crepuscolare della scena, la figura dell’allupato inconsapevole, dell’amico raggirato dai Fede-lissimi, della gallina dalle uova d’oro, spennata e abbindolata.

Come un nonno “rimba” chiuso nell’ospizio del sesso, mentre chi gli sta intorno si disputa i suoi beni.

A pensarci bene più dell’ormai leggendario “Noemi è la pupilla, io sono il suo culo”, più delle raccomandazioni di Lele Mora che dice: “Portatevi lo stetoscopio” (Risposta: “Perché?”. E lui: “Perché gli piace giocare al dottore”), insomma, molto peggio di questo sono i dialoghi di ordinario squallore, quelli senza sesso: Emilio che vuole intascarsi il trenta per cento, la ragazza Iris parla con un amico dicendo “Devo comprare il televisore per mia mamma”, “i pannoloni….”, “Il vestitino per la cugina”, “I biscotti per il cane”.

C’è in questo diluvio di furbizia feroce il senso vero del crepuscolo, la malinconia della decadenza, il senso drammatico di solitudine di un uomo raggirato, ingannato, utilizzato al punto da suscitare nel più feroce degli avversari un senso di simpatia e pena.

La cosa che uccide il carisma non è la suggestione del sesso libertino, ma lo sbuffo della cocotte che grida alla sorella: “Che palle ‘sto vecchiooo!”. Oppure: “Quella è la volta buona che lo uccido, gliela tiro io la statuetta in faccia”.

C’è molto più rispetto per Berlusconi negli antiberlusconiani duri che lo prendono sul serio, che nelle berlusconcine infami, che si sorbivano la proiezione dei suoi discorsi alle folle in delirio, e poi lo flagellavano con il loro feroce scherno.

A pensarci bene, Berlusconi si è salvato da due scandaletti erotici, ma non può salvarsi quando il Quirinale gli dice (ci vorrebbe il parla-come-mangi di Cuore) che se ne deve andare in aula a farsi processare, e il Vaticano che non si spende per un vecchio porco.

A pensarci bene l’essenza del potere, in Italia, può sopravvivere allo sfregio del Bunga bunga, ma non alla perdita del potere. Che alla fine – malgrado i disperati tentativi – è sempre una proiezione dell’impotenza.


Fede, il traditore
di Claudio Messora - Il Fatto Quotidiano - 18 Gennaio 2011

Era sempre stato il suo più fido scudiero. Ospite fisso nelle sue residenze. Commensale di dieci, cento, mille cene allietate dalle melodie di Apicella e dai sorrisi delle odalische. Definito ancora in questi giorni come un grandissimo amico dallo stesso Berlusconi.

Parliamo di Emilio Fede, l’uomo che ha avuto in appalto un intero canale televisivo al solo scopo di incensare il suo mentore nonché fraterno compare.

L’abusivo per eccellenza, in onda grazie al conflitto di interessi sulla pelle di Francesco Di Stefano che per oltre dieci anni ha visto negata ogni possibilità di trasmettere nonostante quelle frequenze fossero ormai sue di diritto, come ribadito da tutte le sentenze della giustizia italiana e di quella europea.

Fede, il giornalista del minculpop moderno che procurava al sultano, e insieme a lui ne godeva, orde di concubine in un tripudio di carni in vendita, nel più completo disfacimento di qualsiasi valore etico e morale, indulgendo a una lascivia tale che persino le orge più scatenate di Sodoma e Gomorra al confronto sarebbero apparse come una innocua festicciola di laurea.

Nulla evidentemente è cambiato dai tempi dei romani, da quei festini goliardicamente dipinti anche nelle pagine di Asterix nei quali, al cospetto della corte dei governatori, si mangiava, ci si ubriacava, ci si accoppiava e si dava di stomaco in appositi vomitatoi, al solo fine di ricominciare daccapo ancora ed ancora, fino alla completa dissoluzione della mente (prima) e del corpo (poi). Schiavi erano tutti gli altri ieri, schiavi siamo tutti noi oggi.

In un tale disprezzo per qualsiasi forma di principio etico o di rispetto per la vita e per le proprie responsabilità nei confronti dei sudditi, lasciati in balia della carestia a coltivare illusioni e a cibarsi degli avanzi, non stupisce che, per gli officianti dei riti sabbatici celebrati alla corte dello zar, i valori così come li conosciamo noi perdano di ogni significato. Tra questi, va ridefinito il concetto di amicizia.
«Non dico che dividerei una montagna, ma andrei a piedi certamente a Bologna, per un amico in più… […] e se ti sei innamorato di lei, io rinuncio anche subito, sai, forse guadagno qualche cosa di più, un vero amico, tu.»

Così cantava Riccardo Cocciante, non senza un filo di retorica ma certamente descrivendo l’aspirazione ideale di qualsiasi rapporto che possa essere definito di amicizia. Berlusconi ha comprato di tutto nella sua vita: televisioni, sentenze, parlamentari, donne… Ma certamente l’amicizia no, quella non gli è mai riuscito di ottenerla.

A meno che per amicizia lui non abbia sempre inteso qualcosa di diverso rispetto al sentire popolare – come è del resto probabile – e cioè una forma di adesione interessata ai suoi affari che nulla ha che vedere con la sfera delle emozioni o dei sentimenti, quanto piuttosto con un rapporto di spalleggiamento reciproco, un mutuo soccorso, una associazione simbiotico-parassitaria che si rinsalda nel raggiungimento e nel mantenimento del successo, con un’attitudine predatoria nei confronti del tessuto sociale che diventa una risorsa da conquistare e successivamente sfruttare senza pietà.

Fede non è del resto nuovo a questa visione dei rapporti umani: già negli anni ‘80 organizzava cene per allocchi di lusso, in società con Flavio Briatore, per spennare sprovveduti e ingenui milionari al tavolo di gioco.

Così accade che anche il più fido alleato di Silvio Berlusconi, il Sancho Panza di Arcore, venga intercettato mentre insieme a Lele Mora tesse un piano per estorcere 400 mila euro al suo amico fraterno. Amico in berlusconese, si intende.

Mora ha bisogno di 1 milione e 200 mila euro e Fede, che conosce bene il suo Presidente e se ne è guadagnato la fiducia con anni e anni di onorato servizio, con infinite apicellate a squarciagola, con pantagrueliche magnate e roccosiffrediane palpate in compagnia, si propone come intermediario, studiando insieme a Mora la forma migliore per spillare al riccastro i soldi.

Normale solidarietà tra sanguisughe? Tutt’altro, perché senza dire nulla al compagno di sangue - sempre in berlusconese parlando – da buon giocatore d’azzardo Fede ricarica con fredda lucidità la cifra da chiedere a Berlusconi per conto di Mora, ben consapevole che la promessa di restituzione dei soldi di quest’ultimo è, per ammissione dello stesso, destinata ad essere disonorata:

Fede: «Lele, studiamo insieme… Gli dico: “Senti, ho visto Lele, non sta bene ed è preoccupato, forse credo che una mano bisognerebbe dargliela, hai fatto tanto bene a tanta gente, lui poi se lo merita più degli altri”».
Mora: «[ndr: mi raccomando, digli che] poi lui metterà in vendita due o tre cose e saprà come ritornare indietro tutto… Tanto poi campa cavallo che l’erba cresce…».
Fede: «Vuol dire che possono diventare uno e mezzo: io ne prendo quattro e tu otto, va bene?.
Mora: «Benissimo, meraviglia, meraviglia, bravo direttore, bravo».

Io, un amico così, non lo vorrei. Ma io vivo in un altro mondo, come la maggior parte di tutti voi. Fossi in Berlusconi, a questo punto mi terrei stretto Dell’Utri. Sempre che anche lui non si riveli essere il prossimo traditore a penzolare giù dall’albero…