mercoledì 30 dicembre 2009

Cosa c'è dietro la mutanda esplosiva?

La bufala natalizia della mutanda esplosiva sta puntualmente proseguendo il suo corso nella scontata sceneggiatura a cui siamo ormai "assuefatti".

Secondo il copione infatti, la Cnn - citando fonti dell'amministrazione Obama - fa sapere che le forze speciali d'intervento e l'intelligence americana, assieme ai militari yemeniti, stanno cercando di individuare degli obiettivi per mettere in atto un'azione di rappresaglia sul territorio yemenita.

Ci sarebbe quindi un accordo segreto tra Washington e Sanaa in base al quale i due governi lavoreranno insieme, mantenendo naturalmente il silenzio sul ruolo degli Stati Uniti nella fornitura di armi e informazioni di intelligence allo Yemen.

Ufficialmente infatti Washington non ha mai ammesso di aver condotto raid nel Paese, ma anche il Wall Street Journal ha più volte affrontato la questione scrivendo di ripetuti attacchi di droni statunitensi contro obiettivi situati in Yemen che avrebbero colpito i soliti "sospetti terroristi", ma soprattutto molti civili inermi.

Insomma, è ormai chiaro che gli USA saranno sempre più coinvolti in operazioni militari nello Yemen per incunearsi nella guerra indiretta in corso già da tempo tra Iran e Arabia Saudita nel Paese.

Altro che mutande esplosive....


Le false piste terroristiche e le nuove guerre
di Pino Cabras - Megachip - 30 Dicembre 2009

Sono tanti gli elementi che non quadrano, in occasione della vicenda del nigeriano che voleva far saltare l’aereo sopra l’Atlantico. Le autorità politiche e gli alti papaveri del giornalismo hanno risposte pronte. Ma noi dovremo porre le domande che loro non vogliono fare. L’attentato si è svolto nel modo che dicono? Esiste davvero una nuova minaccia di al-Qa'ida?

È sempre forte la presenza mediatica del fantasma al-Qa'ida. Alimenta così un perenne senso d’attesa per un qualche evento che richiami la grande rappresentazione dell’11/9. La spinta originaria di quel trauma si fa bastare eventi di per sé modestissimi, ma subito pompati fino all'isteria.

Un giovane nigeriano 23enne di buona famiglia, Umar Farouk Abdul Mutallab, cerca di far saltare l’aereo sulla rotta Amsterdam-Detroit grazie a un ordigno tenuto a ridosso del suo perineo. L'attentato non va e lui si ustiona. Una volta catturato, dichiara di appartenere ad al-Qa'ida e di essere stato addestrato in Yemen. Fin qui i media di tutto il mondo.

Impossibile ignorare però le dichiarazioni di due passeggeri – gli avvocati Kurt e Lori Haskell, marito e moglie – che si fanno testimoni di un racconto sbalorditivo per la testata di Detroit MLive.com. Anche la CNN e altri media a questo punto si svegliano e vanno a intervistarli.

I nostri giornali e telegiornali continuano invece a dormire il loro sonno comandato.


Kurt Haskell riferisce di aver notato Mutallab approssimarsi al cancello d’imbarco assieme un uomo non identificato. Mentre Mutallab era malvestito, l’altro, un indiano sui cinquanta, era elegante in un completo costoso. Haskell lo ha sentito distintamente mentre chiedeva agli agenti che raccoglievano le carte d’imbarco se Mutallab poteva imbarcarsi senza passaporto. «Il tizio ha detto loro: “È del Sudan e noi lo facciamo ogni volta”». Noi chi?

Gli Haskell suppongono che l’elegantone cercasse di guadagnare clemenza per il viaggiatore senza passaporto dipingendolo come un rifugiato sudanese.

A nessuno dei lettori sarà capitato di poter fare un viaggio intercontinentale senza avere il passaporto in ordine. Ricordate quando Alberto Tomba venne denunciato perché – di fronte al rifiuto di farlo partire, nonostante la fama di campione sportivo – aveva goffamente cercato di falsificare i dati del suo passaporto scaduto?

Qui, invece, un presunto sudanese sconosciuto, proveniente da un paese inserito fra i “rogue states”, gli stati-canaglia, un paese da sempre accusato di ospitare fantomatiche basi di al-Qa'ida, riesce a imbarcarsi senza documenti. La storia ha un tanfo ben più mefitico di una generica “falla nei sistemi di sicurezza”.

I coniugi Haskell riferiscono che gli addetti indirizzano Mutallab e il suo angelo custode incravattato verso il loro superiore, in fondo alla sala. Kurt Haskell perde di vista Mutallab e lo rivede solo «dopo che si presume che abbia cercato di detonare dell’esplosivo a bordo dell’aereo» pochi minuti prima di atterrare a Detroit.

Cosa è successo nel frattempo? Non aspettatevi la risposta da Vittorio Zucconi su «Repubblica». Avrà da occuparsi dei diari che raccontano la depressione del terrorista africano.

Non potendo contare sui media italiani, dobbiamo andarcene fino a Milwakee per sapere di altri testimoni oculari, Patricia “Scotty” Keepman e sua figlia, le quali raccontano al notiziario della radio 620 WTMJ un fatto davvero singolare.

Riferiscono che davanti a loro «c'era un uomo che ha ripreso con una videocamera l'intero volo, compresa la tentata detonazione.» Perfino in quel momento concitato, l'imperturbabile cameraman «si è messo seduto e ha videoripreso tutto quanto, calmissimo», racconta Patricia.

Oltre a Mutallab, abbiamo dunque già due soggetti extra che si interessano alle sue azioni, il distinto persuasore indiano e l'impassibile stakanov del videotape. Chi sono costoro?

Sappiamo che Mutallab è passato anche per l’aeroporto di Lagos, prima di volare per Amsterdam. Sulle caratteristiche di quell’aeroporto – pure localizzato in un paese con focolai di guerra civile su base religiosa - ci arriva una sorprendente rivelazione del quotidiano britannico «Telegraph»: «L’aeroporto di Lagos ha ottenuto di recente la certificazione “all clear” da parte della US Transportation Security Administration, un’agenzia creata in seguito agli attentati dell’11 settembre per migliorare la sicurezza dei voli di linea americani». Quali altri aeroporti sono “all clear” e quali no? Su quali basi?

«Da un lato, pare che Mutallab fosse nella lista antiterrorismo ma non su quella delle persone che non potevano volare,» ricorda Magnus Ranstorp, del Centro studi svedese sulle Minacce Asimmetriche. «Tutto questo non quadra perché il Dipartimento USA per la Sicurezza Interna ha dei mezzi stringenti di data-mining. Non capisco come potesse avere un visto valido essendo ben noto alla lista antiterrorismo» dichiara Ranstorp al britannico «Independent».

Tralasciamo pure il fatto che Mutallab fosse nelle liste antiterrorismo e che persino suo padre lo segnalasse alle autorità come un soggetto pericoloso. Ci sarà sempre qualcuno che dirà che le falle nella sicurezza non derivano da scelte di apparati deviati, ma da casi di incompetenza, e che il terrorista, ancorché psicolabile, sa infilarsi negli interstizi dell’incompetenza.

Sarà, ma di certo si sono scomodati in tanti, a partire dal Nobel per la pace Barack Obama, per minacciare fuoco e fiamme e ingigantire l’episodio come espressione di una minaccia letale per gli USA, meritevole di risposte drastiche.

Il senatore trasversale-neocon Joe Lieberman – nel 2000 candidato alla vicepresidenza in tandem con Al Gore – ha dichiarato a Fox News che gli USA hanno necessità di bombardare lo Yemen senza indugio. «L’Iraq era la Guerra di ieri, l’Afghanistan è la guerra di oggi. Se non agiamo preventivamente, lo Yemen sarà la Guerra di domani».

La sua tesi secondo cui “lo Yemen è la nuova casa di al-Qa'ida” è istantaneamente diventata il mantra dei grandi media. E al mantra del mainstream anglosassone è andato a rimorchio senza eccezioni anche il mainstream italiano. Perché lo Yemen? Interessante la tesi che l’analista politico Webster Tarpley illustra a Russia Today.

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Cosa dice Tarpley? Obama ha aggiornato l’Asse del Male, in direzione dell'entità Afghanistan-Pakistan (AfPak), nonché della Somalia e dello Yemen. In Yemen c’è una guerra civile che contrappone il governo centrale filosaudita e la guerriglia sciita filoiraniana degli Houthi, da poco bombardata a più riprese dagli USA. L’obiettivo di fondo è alimentare la già forte tensione fra Iran e Arabia Saudita, per indebolire entrambi.

Tarpley segnala che gli Stati Uniti stanno riorganizzando la “legione araba” di al-Qa'ida (l'entità che ha da sempre addosso il fiato e le leve della CIA) proprio nello Yemen. È uno dei modi di svuotare il gulag caraibico di Guantanamo.

La nuova agenzia di terrorismo sintetico è “al-Qa'ida nella Penisola Araba”, alias AQAP, un'entità composta da capri espiatori, pazzoidi e fanatici che prontamente rivendicano l'operazione di Umar Farouk Abdul Mutallab.

L'obiettivo ravvicinato è molteplice: dominare gli sbocchi del Mar Rosso e del Canale di Suez, dare fiato al dollaro tuttora sull'orlo del crollo tramite il solito stimolo del rialzo del prezzo del petrolio. Da ciò il primo passo: va incrementata la tensione nella penisola Araba.

In questo quadro, secondo Tarpley, Mutallab è solo un pupazzo in mano alla comunità dell'intelligence che ha ordito una provocazione che doveva avere il massimo impatto con il minimo sforzo. Il tutto è facilitato dal “senso comune” sull'entità al-Qa'ida, che nessun redattore né alcun politico in vista osa sfidare in Occidente. Pena riaprire la questione del vero 11/9.

Se al-Qa‘ida non è un’organizzazione, allora cos’è davvero? Viene detto che è un’etichetta, una sorta di logo, una specie di franchising del terrorismo internazionale. Fa comodo a chi la utilizza, ma fa più spesso comodo a chi – in teoria – la combatte.

Al-Qa'ida per i governi che sostengono di essere in guerra con il terrorismo è un nemico conveniente da additare all’opinione pubblica, un puntuale alibi da strumentalizzare per scopi interni (leggi di emergenza sempre più restrittive, libertà individuali sempre più circoscritte). Al-Qa'ida appare così funzionale a molti governi occidentali.

Se non ci fosse, con un po’ di pelo sullo stomaco avrebbero l’interesse a inventarla ed evocarla.


L'attentato fallito di Detroit era un'operazione "False flag"
di Webster Tarpley - www.saigon2k.altervista.org - 29 Dicembre 2009

Il terrorista psicolabile Nigeriano è l’ennesima operazione della CIA per la promozione propagandistica dei loro protetti di al-Qaeda nella guerra civile in Yemen

Tarpley rivela a Russia Today che il caso di Umar Farouk Abdulmutallab non è una questione isolata, ma si tratta piuttosto di uno psicolabile protetto o di un utile idiota usato in modo sistematico dalla comunità d’intelligence USA per una provocazione natalizia progettata per facilitare l’ingerenza degli USA nella guerra civile in Yemen, luogo dove a quanto si dice Umar Farouk è stato addestrato e dove gli è stato dato l’ordigno PETN.

Ad Umar Farouk, figlio di un banchiere, venne negato l’accesso in Gran Gretagna, e venne denunciato a metà Novembre all’Ambasciata USA in Lagos, Nigeria, come probabile terrorista dal suo stesso padre.

Il suo biglietto di sola andata per Detroit è stato acquistato in contanti nel Ghana, e da lì pare sia entrato in Nigeria illegalmente. Ad Amsterdam era assistito all’entrata della Northwest Airlines da un “Indiano ben vestito” che ha spiegato che Umar Farouk era sprovvisto di passaporto.

Farouk era in possesso del PETN, la stessa sostanza usata a quanto pare dal ritardato mentale “terrorista delle scarpe”, Richard Reid, nel suo attentato fallito circa otto anni fa.

Nonostante tutto questo, il permesso d’entrata negli USA di Umar Farouk non è mai stato revocato, il suo nome non è mai stato inserito nella lista di chi non può volare, e non è mai stato perquisito per bene. Questi errori straordinari nella normale procedura mostrano che Umar Farouk faceva parte di un’operazione sponsorizzata dalla CIA, che è fruttata ora ben 4 giorni di isteria nei mass media.

Obama ha enunciato la sua nuova versione dell’Asse del Male, composta da Afghanistan-Pakistan, Somalia e Yemen. Nello Yemen è in corso una guerra civile fra il governo centrale sostenuto dai Sauditi e i ribelli Sciiti Houthi sostenuti dall’Iran, e questi ultimi son stati bombardati almeno due volte dagli USA in questo mese.

L’obiettivo qui è di far scontrare l’Iran con l’Arabia Saudita, per indebolire sia il governo Iraniano di Achmadinejad, che è filo-Russo, e sia quelle forze Saudite che si sono stancate del loro status di protettorato USA.

Gli USA stanno ora sponsorizzando apertamente la riorganizzazione di “al Qaeda” (la legione Musulmana della CIA) nello Yemen, e ciò include il mandare combattenti direttamente da Guantanamo.

La nuova entità sintetica promossa dalla CIA è “al Qaeda nella Penisola Araba”, detta anche AQAP, un gruppo di pazzoidi USA, di utili idioti e fanatici che stanno rivendicando il fallito attentato di Umar Farouk.

Gli USA sperano di dominare ancor di più lo sbocco del Mar Rosso e del Canale di Suez, e nel frattempo alleggerire la pressione dal distrutto dollaro USA facendo alzare il prezzo del petrolio in un’atmosfera di tensione nella penisola Araba.

Il Segretario della Sicurezza Nazionale, Janet Napolitano, ora è diventata Totalitaria a sinistra, e Incompetente a destra. Invece di molestare i viaggiatori, dovrebbe dare le dimissioni o venir licenziata assieme agli altri ufficiali corrotti, balordi o complici dell’amministrazione Obama in questa provocazione “false flag”.


Terrorismo a orologeria?
di Michele Paris - Altrenotizie - 30 Dicembre 2009

Il fallito attentato al volo Northwest-Delta 253 partito da Amsterdam e diretto a Detroit il giorno di Natale ha suscitato una valanga di reazioni per le falle ad un sistema di sicurezza che ha permesso l’imbarco per gli USA di un passeggero nigeriano il cui nome era da tempo su un database di presunti terroristi.

La vicenda del 23enne Umar Farouk Abdulmutallab, a ben guardare, solleva però alcuni inquietanti interrogativi di diversa natura e suggerisce una sconcertante coincidenza con l’espansione dello sforzo miliare americano contro il terrorismo sullo scacchiere mediorientale.

Come hanno ampiamente riferito i media di tutto il mondo, l’attentatore arrestato al Metro Airport della metropoli del Michigan era finito da qualche tempo nel mirino dei servizi di sicurezza statunitensi.

Qualche mese fa, addirittura, il padre di Abdulmutallab, banchiere ed ex funzionario governativo nigeriano, aveva segnalato all’ambasciata americana di Abuja i suoi timori per le attività del figlio e il suo avvicinamento all’estremismo di matrice islamica.

Dopo gli avvertimenti, il giovane nigeriano educato in Gran Bretagna era finito su una lista nera governativa (Terrorist Identities Datamart Environment) assieme ad altre 500 mila persone sospettate di avere legami con organizzazioni terroristiche.

Essere stato aggiunto alla cosiddetta TIDE, tuttavia, non aveva comportato l’inserimento del nome di Abdulmutallab in una lista ben più ristretta di sospetti - circa 4 mila nomi - a cui viene vietato l’imbarco per gli USA, né ad una seconda - 14 mila nomi - che prevede controlli approfonditi al check-in.

Dopo aver acquistato un biglietto per Detroit, Abdulmutallab ha potuto così imbarcarsi all’aeroporto Schiphol di Amsterdam, senza alcun bagaglio. Durante il volo, l’attentatore è stato poi bloccato da alcuni passeggeri dopo aver fallito nel suo tentativo di far detonare l’esplosivo che aveva attaccato al corpo.

La spiegazione fornita dalle autorità per aver permesso ad un sospetto già schedato, e con dell’esplosivo, di prendere un aereo diretto in America risulta ben poco convincente. Una semplice svista o disattenzione appare infatti estremamente improbabile alla luce delle rigidissime direttive che negli ultimi anni hanno impedito a molti passeggeri di imbarcarsi o di entrare nel paese anche senza apparenti motivi. Le cronache raccontano di numerosi episodi di questo genere.

Nell’aprile di quest’anno, ad esempio, sembra che le autorità americane abbiano rifiutato il permesso di sorvolare il proprio spazio aereo ad un velivolo dell’Air France diretto in Messico perché a bordo vi era un giornalista “di sinistra” autore di un libro sulla CIA.

Nel 2004, nientemeno, fu il defunto senatore Ted Kennedy a finire sulla “no-fly list” del Dipartimento della Sicurezza Nazionale, quando a Washington gli fu impedito di prendere un aereo per Boston.

Per Umar Farouk Abdulmutallab, al contrario, i provvedimenti previsti non contemplavano nemmeno la revoca del visto di ingresso negli USA, che sarebbe scaduto nel giugno 2010. Solo dopo questa data, e in caso di una richiesta di rinnovo del visto, secondo quanto riferito dalle autorità, sarebbe stata disposta un’indagine più approfondita sul background del sospetto.

I movimenti di Abdulmutallab, una volta rotti i rapporti con la propria famiglia in Nigeria, contribuiscono poi ad alimentare i dubbi sulla supposta “svista” del sistema di sicurezza. Dopo un soggiorno di studio a Londra tra il 2008 e il 2009 - dove, secondo quanto dichiarato da un anonimo cugino al New York Times, sarebbe entrato in contatto con esponenti del radicalismo islamico - Abdulmutallab si sarebbe infatti recato in Yemen, il paese natale della madre.

Qui, il membro di una benestante famiglia nigeriana avrebbe intrattenuto rapporti con esponenti di Al-Qaeda, ricevendo l’addestramento necessario per portare a termine attentati terroristici in Occidente.

Proprio intorno a questo tormentato paese mediorientale - e alla Somalia - si stanno ora concentrando i resoconti della stampa, scrupolosamente impegnata a spiegare la crescente presenza di guerriglieri jihadisti che starebbero evacuando i loro rifugi non più sicuri in Pakistan e Afghanistan.

L’incidente di Detroit arriva così in un frangente quanto meno sospetto. In concomitanza cioè con varie rivelazioni giornalistiche di un impegno sempre maggiore dell’intelligence americana in Yemen, ufficialmente per colpire le basi dei militanti di Osama bin Laden, in realtà per aprire un nuovo fronte nella penetrazione di Washington in Medio Oriente.

Le dichiarazioni di molti politici americani in questi giorni e il collegamento tra le attività di Abdulmutallab e lo Yemen sembrano presagire insomma una nuova escalation militare in questo paese.

Da almeno un anno d’altra parte, svariati agenti di primo piano della CIA si sono incontrati con esponenti governativi yemeniti, mentre esperti americani delle Operazioni Speciali pare stiano da tempo addestrando le forze di sicurezza locali per condurre operazioni anti-terroristiche.

Il contributo americano in termini economici, militari e di intelligence, si sta recentemente concretizzando in una serie di offensive delle forze armate locali contro la resistenza di Al-Qaeda, da ultimo il bombardamento dello scorso 17 dicembre, che ha causato la morte di una sessantina di militanti.

L’episodio di Abdulmutallab, insomma, sembra ricalcare lo schema di altre “disattenzioni” delle autorità di sicurezza americane del recente passato e che ha il suo esempio più eclatante nei fatti che hanno preceduto l’11 settembre.

Come l’attentatore nigeriano, anche i dirottatori di Al-Qaeda alla vigilia degli attacchi alle Twin Towers erano noti ai servizi segreti americani e, nonostante tutto, anche a loro venne consentito di entrare negli Stati Uniti, prendere lezioni di volo e alla fine imbarcarsi sugli aerei che si sarebbero schiantati su New York e il Pentagono.

Come nel caso dell’11 settembre 2001, anche il fallito attentato sul volo Amsterdam-Detroit, è facile immaginare, servirà così ad alzare il livello di guardia negli USA, seminando nuove paure tra una popolazione che da tempo ormai ha cominciato a mostrare la propria contrarietà allo sforzo militare in Afghanistan.

Sulle mancanze della sicurezza nel giorno di Natale, intanto, ha già disposto un’indagine lo stesso presidente Obama, mentre il Congresso ha chiesto chiarimenti. Un coro di voci e richieste già sentite all’indomani dell’11 settembre e, come in quella circostanza, c’è da temere, nessuna reale spiegazione verrà fornita per le mancanze del sistema di sicurezza, così come nessuna responsabilità delle agenzie governative coinvolte verrà alla fine accertata.