D'altronde è risaputo quanto sia insuperabile quando recita la parte della vittima.
Ma chi è causa del suo mal pianga se stesso...
Il corpo violato della Seconda Repubblica
di Pino Cabras - Megachip - 14 Dicembre 2009
«Un uomo in sofferenza psichica ha colpito un'altro uomo in sofferenza psichica che credeva di essere invincibile anche durante i bagni di folla. Tutto qui».
Fra migliaia di commenti apparsi su Facebook per parlare del corpo di Silvio Berlusconi violato a Milano mi ha stupito questo. Riesce, paradosso dei tempi, a rassicurare. Ma non sono tempi rassicuranti.
La tempesta perfetta che si addensa intorno alla Seconda Repubblica vede entrare in gioco tutti gli elementi tipici di una crisi politica italiana. È già accaduto nel 1947-48 e anche nel 1992-94, quando invece crollava la Prima Repubblica. E quindi, anche oggi, ecco la mafia, i grandi processi, i riposizionamenti politici, le trame dei settori più opachi degli apparati statali.
E poi lo sguardo degli altri paesi. E la partecipazione popolare, che cerca forma e colore mentre - e questo vale per le ultime due crisi - i partiti evaporano. Sullo sfondo incombe la Grande Crisi economica e finanziaria, che comincia a mordere sempre di più e si presenta come una variabile troppo grossa per essere prevedibile. Tutti intervengono, chi con un piano, chi per reazione.
Un pazzo però è un pazzo, e sfugge a tutti i criteri normali. Inserisce una fuga narrativa incomprensibile in mezzo a giochi più grandi e apparentemente razionali.
Pazzo un Pallante che spara a Togliatti, ad esempio.
Non parliamo dell'America che ha visto Oswald tirato in ballo per JFK, Shiran Shiran per RFK e Hinckley per Reagan, tre pazzi manovrati inseriti in dinamiche ben più misteriose, con complicità interne agli apparati di sicurezza.
Potrebbe sempre bastarci la spiegazione in apertura, per leggere pacatamente l'episodio dell'aggressione, ma siamo dentro una di quelle dinamiche del potere che richiedono attenzioni eccezionali.
Il tramonto della Seconda Repubblica è una crisi costituzionale di prim'ordine, giocata da protagonisti «del tutto» spregiudicati, in primis lo stesso Berlusconi e tutto il suo apparato, a sua volta capace di confessare impunemente terribili bufale mediatiche per fini politici, come nel caso Feltri-Boffo, ultimo episodio di una lunga serie.
È un contesto eccezionale in cui nulla sembra essere come sembra. Non dobbiamo fidarci delle ricostruzioni interessate, non dobbiamo credere ai provocatori, a coloro che vorranno creare assurdi paralleli fra le manifestazioni democratiche e la violenza, fra la critica e l'odio.
«Calma, non perdete la testa» disse Togliatti al risveglio dall'anestesia. Era la preoccupazione di uno dei co-fondatori della nostra democrazia. Si spera che nessuno le perda anche oggi. E la testa, e la democrazia.
Il contesto si sta mostrando subito pericoloso: sento i cani da guardia del PDL che vogliono attribuire la responsabilità della violenza agli avversari in blocco; ma leggo l'immaturità politica di una parte del “popolo viola” in rete che fa cascare le braccia. Converrà loro maturare in fretta.
Seconda Repubblica è un termine impreciso. Ai costituzionalisti non piace, e dal loro punto di vista hanno formalmente ragione. Però spiega tante cose. La Prima Repubblica era un sistema di partiti e al centro stava la DC, all'opposizione il PCI. Crollò durante una “tempesta perfetta”, Tangentopoli.
La Seconda Repubblica ha visto un radicale cambiamento del sistema dei partiti e al centro stava il sistema di potere di Silvio Berlusconi, con avversari sempre più deboli e alla fine finti.
Ogni pezzo di potere e di contropotere ha definito se stesso in funzione di un accomodamento con questa ingombrante presenza. Ciò che non si accomodava è stato come una polvere che via via si accumulava sotto il tappeto, pronta a sbuffare fuori prima o poi. Questa polvere compone ad esempio i fantasmi del 1992-1994.
La domanda sulle stragi, su chi le volle, chi ne beneficiò e come, non avendo avuto risposte, si ripropone con nuova forza al momento della crisi.
La polvere delle finanze pubbliche è rimasta tanta, perché le caste e le cosche non hanno voluto pagare prezzi, mai. Oggi, da Dubai ad Atene, i prezzi si pagano. Presto si pagheranno anche a Milano e Roma.
Il sistema della comunicazione ha visto rafforzare la presa di Berlusconi con la storica complicità dei gruppi dirigenti del centrosinistra.
L'autorità giudiziaria ha ereditato un enorme patrimonio di credibilità che solo in parte ha bilanciato le enormi tensioni a cui l'ha sottoposta il motore della Seconda Repubblica, tanto che anche lì si insabbiano le inchieste politiche scomode (vedi “Why Not?”), con benedizioni dal Colle e silenzi dal PD.
C'è meno democrazia, meno coscienza del bene comune. Gli interessi sono frantumati e dispersi. C'è un senso di debolezza che sembra lambire tutti i poteri un tempo definiti “forti”. È più debole perfino Cosa Nostra, l'«organizzazione terroristico-mafiosa» di cui parla Spatuzza. Ed essendo più debole reagisce e ricatta, da socio in affari che non si fa mai scaricare, a costo di spargere sangue e veleni.
Il ricatto colpisce e terrorizza il cuore della Seconda Repubblica, Silvio. E anche Silvio è più debole, ricattabile, prigioniero di promesse impossibili. Continuerà a farle, e non solo in Italia.
Nel momento in cui riposiziona alcune scelte geopolitiche passando per Mosca, trova mille soldati da spedire a Kabul per placare le irritazioni di Washington. Altri leader meno ricattabili non sono stati altrettanto compiacenti. Dove troverà i soldi? Non mi aspetto barricate da PD e Di Pietro, visti i precedenti, ma vedremo. Di certo è un momento pericoloso, per le fughe in avanti.
Il corpo di Silvio farà di tutto per proclamare la sua improfanabilità in ogni aspetto del suo regime personale. Cercherà di rompere l'assedio. In alcuni casi cedendo a ricatti, in altri ricattando i ricattabili.
Chi crede nella democrazia sarà chiamato a organizzare un alternativa politica seria, attenta a non farsi devastare dall'eterna Italia eversiva e gattopardesca, che continuerà a giocare tutte le sue carte.
"Non faccia la vittima, è uno degli artefici del clima violento"
di Carlo Bertini - La Stampa - 14 Dicembre 2009
La Bindi: «Condanno il gesto folle ma chi ha più responsabilità fa di tutto per dividere il paese»
Nel “buen retiro” della sua casa di Sinalunga, Rosy Bindi scorre i flash di agenzia sull’aggressione al premier. E’ da poco tornata dalla messa delle cinque ed ha appena finito di ragionare sulla proposta di Casini, «efficace solo se viene presentata come alternativa di governo con una proposta programmatica e sociale».
Ma di fronte alla piega improvvisa che la giornata politica sta subendo, ragiona sconsolata: «Ci mancava pure questa. Sia ben chiaro, questa intervista deve aprirsi con la solidarietà a Berlusconi e con la condanna del gesto. Resta il fatto che tra gli artefici di questo clima c’è anche Berlusconi, non può sentirsi la vittima. Questi gesti vanno sempre condannati, mai giustificati. Qualche volta però sono spiegabili. Certo, se si continua a dividere questo paese, alla fine...».
Dunque aveva visto giusto Di Pietro sul rischio di scontri in piazza per un clima di odio alimentato dal premier?
«Motivi di esasperazione ce ne sono molti, legati alla crisi economica che alcuni pagano con prezzi altissimi. La sensazione più diffusa è che non sai più a chi rivolgerti, non sai più chi ti tutela. C’è perfino una rottura in parte creata ad arte del movimento sindacale. E poi c’è uno scontro politico che si porta dietro sicuramente frange estremiste o persone che perdono la testa, ma chi ha più responsabilità fa di tutto per dividere il paese. Sbagliano i contestatori, non si disturbano le piazze degli altri, è anche vero che c’è modo e modo per zittire le persone. E anche oggi il premier ha mantenuto toni duri, mancava solo la frase “e per tutto questo ora andiamo al voto”».
Il Cavaliere dice di voler continuare a governare. Allora perchè un leader prudente come Casini si spinge così avanti? Sarà perchè il voto anticipato è un esito su cui nessuno più dubita?
«Può essere un segnale del tipo “se hai intenzione di tirare la corda, sappi che...”. Certo le opposizioni sono pronte a reagire se il premier vuole elezioni per cambiare la Costituzione. Berlusconi a Milano non ha fatto altro che confermare il messaggio che siccome lui ha il consenso popolare nessuno lo può fermare».
Ma quanto potrebbe durare un esecutivo con Casini e Di Pietro?
«Questo è il punto. E poi sia ben chiaro, non è il premier che decide se si va a votare. E il Pd starà molto attento alle decisioni del Quirinale: saremo disponibili a collaborare per rendere effettivo il dettato della Costituzione che le Camere le scioglie il Capo dello Stato».
Quindi è vero, secondo lei, che in cinque minuti si trova una maggioranza in Parlamento per un governo istituzionale.
«No, non è così. Mi pare ve ne siano troppe di situazioni da definire e grazie a Dio al Quirinale c’è una persona saggia».
Ma esiste o no qualche controindicazione nel far nascere un Fronte democratico “anti-Silvio”?
«E’ un primo passo che considero indispensabile, ma non scontato, tutto da costruire e comunque non sufficiente. Il paese sta attraversando una forte crisi sociale ed economica. Quindi la soluzione della crisi democratica deve essere funzionale alla soluzione della crisi sociale. L’Alleanza per la democrazia trova il consenso se ha la forza dell’alternativa programmatica. Non si può dire ai disoccupati “vieni con noi a salvare la democrazia del paese” senza dirgli come saremo in grado di ridargli il lavoro.
Lei dà per scontato che gli elettori di Casini lo seguano se va con la sinistra e che i vostri militanti votino per Casini premier?
«Non penso agli organigrammi e mantengo due punti fermi. Il bipolarismo e il Pd come partito plurale, non come sinistra. Anche il sistema politico da troppi anni non si assesta perché deve pensare alle emergenze. Tradotto, il Pd non ha nessuna intenzione di ereditare il complesso dei “Figli di un Dio minore” della sinistra che per vincere bisogna che qualcun altro ci copra al centro».
Ma questa esigenza non si scontra con un’alleanza con l’Udc?
«No, ci alleiamo come partito di centrosinistra, non andiamo a costruire il centrosinistra con il “trattino”. Il Pd non può perdere la sua natura nel fare questa operazione. E Casini sa che in questo caso non può mantenere una politica dei “due forni”. E aggiungo che questa è un’occasione, non per rinnegare il bipolarismo, ma per costruirne uno più europeo. Dunque per il Pd è una sfida. Vorrei rassicurare Veltroni: non ho intenzione di perdere l’Ulivo per strada, per me difendere il futuro democratico del paese significa anche difendere il nostro progetto politico».
Ma di fronte alla piega improvvisa che la giornata politica sta subendo, ragiona sconsolata: «Ci mancava pure questa. Sia ben chiaro, questa intervista deve aprirsi con la solidarietà a Berlusconi e con la condanna del gesto. Resta il fatto che tra gli artefici di questo clima c’è anche Berlusconi, non può sentirsi la vittima. Questi gesti vanno sempre condannati, mai giustificati. Qualche volta però sono spiegabili. Certo, se si continua a dividere questo paese, alla fine...».
Dunque aveva visto giusto Di Pietro sul rischio di scontri in piazza per un clima di odio alimentato dal premier?
«Motivi di esasperazione ce ne sono molti, legati alla crisi economica che alcuni pagano con prezzi altissimi. La sensazione più diffusa è che non sai più a chi rivolgerti, non sai più chi ti tutela. C’è perfino una rottura in parte creata ad arte del movimento sindacale. E poi c’è uno scontro politico che si porta dietro sicuramente frange estremiste o persone che perdono la testa, ma chi ha più responsabilità fa di tutto per dividere il paese. Sbagliano i contestatori, non si disturbano le piazze degli altri, è anche vero che c’è modo e modo per zittire le persone. E anche oggi il premier ha mantenuto toni duri, mancava solo la frase “e per tutto questo ora andiamo al voto”».
Il Cavaliere dice di voler continuare a governare. Allora perchè un leader prudente come Casini si spinge così avanti? Sarà perchè il voto anticipato è un esito su cui nessuno più dubita?
«Può essere un segnale del tipo “se hai intenzione di tirare la corda, sappi che...”. Certo le opposizioni sono pronte a reagire se il premier vuole elezioni per cambiare la Costituzione. Berlusconi a Milano non ha fatto altro che confermare il messaggio che siccome lui ha il consenso popolare nessuno lo può fermare».
Ma quanto potrebbe durare un esecutivo con Casini e Di Pietro?
«Questo è il punto. E poi sia ben chiaro, non è il premier che decide se si va a votare. E il Pd starà molto attento alle decisioni del Quirinale: saremo disponibili a collaborare per rendere effettivo il dettato della Costituzione che le Camere le scioglie il Capo dello Stato».
Quindi è vero, secondo lei, che in cinque minuti si trova una maggioranza in Parlamento per un governo istituzionale.
«No, non è così. Mi pare ve ne siano troppe di situazioni da definire e grazie a Dio al Quirinale c’è una persona saggia».
Ma esiste o no qualche controindicazione nel far nascere un Fronte democratico “anti-Silvio”?
«E’ un primo passo che considero indispensabile, ma non scontato, tutto da costruire e comunque non sufficiente. Il paese sta attraversando una forte crisi sociale ed economica. Quindi la soluzione della crisi democratica deve essere funzionale alla soluzione della crisi sociale. L’Alleanza per la democrazia trova il consenso se ha la forza dell’alternativa programmatica. Non si può dire ai disoccupati “vieni con noi a salvare la democrazia del paese” senza dirgli come saremo in grado di ridargli il lavoro.
Lei dà per scontato che gli elettori di Casini lo seguano se va con la sinistra e che i vostri militanti votino per Casini premier?
«Non penso agli organigrammi e mantengo due punti fermi. Il bipolarismo e il Pd come partito plurale, non come sinistra. Anche il sistema politico da troppi anni non si assesta perché deve pensare alle emergenze. Tradotto, il Pd non ha nessuna intenzione di ereditare il complesso dei “Figli di un Dio minore” della sinistra che per vincere bisogna che qualcun altro ci copra al centro».
Ma questa esigenza non si scontra con un’alleanza con l’Udc?
«No, ci alleiamo come partito di centrosinistra, non andiamo a costruire il centrosinistra con il “trattino”. Il Pd non può perdere la sua natura nel fare questa operazione. E Casini sa che in questo caso non può mantenere una politica dei “due forni”. E aggiungo che questa è un’occasione, non per rinnegare il bipolarismo, ma per costruirne uno più europeo. Dunque per il Pd è una sfida. Vorrei rassicurare Veltroni: non ho intenzione di perdere l’Ulivo per strada, per me difendere il futuro democratico del paese significa anche difendere il nostro progetto politico».
La grande anomalia nell'Italia del cavaliere
di Eugenio Scalfari - La Repubblica - 13 Dicembre 2009
C'è un'anomalia al vertice istituzionale dello Stato. L'abbiamo scritto varie volte ed Ezio Mauro l'ha di nuovo precisato con chiarezza subito dopo il discorso di Silvio Berlusconi all'assemblea del Partito popolare europeo a Bonn.
L'anomalia sta nel fatto che il presidente del Consiglio e capo del potere esecutivo disconosce l'autonomia del potere giudiziario; disconosce la legittimità degli organi di garanzia a cominciare dal Capo dello Stato e dalla Corte costituzionale e ritiene che il premier, votato dal popolo, detenga un potere sovraordinato rispetto a tutti gli altri.
Questa situazione - così ritiene il premier - esiste già nella Costituzione materiale, cioè nella prassi politica e nella convinzione dello spirito pubblico, ma non è stata ancora introdotta nella Costituzione scritta e ad essa si appoggiano i poteri di garanzia e la magistratura per contestare la Costituzione materiale.
Bisogna dunque modificare la nostra Carta anzi, dice il premier, bisogna cambiarla adeguandola allo spirito pubblico. Lui si farà portatore di quel cambiamento, prima o poi. Quando lo giudicherà opportuno.
A quel punto la situazione sarà pacificata, un nuovo equilibrio sarà stato raggiunto, il governo potrà lavorare in pace, i processi persecutori contro il presidente del Consiglio saranno celebrati solo quando il suo mandato sarà terminato e la sovranità della maggioranza sarà in questo modo tutelata.
L'anomalia ha notevoli dimensioni. Il fatto che Berlusconi l'abbia descritta e raccontata con parole sue in un congresso del Partito popolare europeo cui appartiene, denuncia di per sé la gravità di questa situazione, ma ancora di più questa gravità emerge dal fatto che non vi siano state contestazioni in quell'assemblea.
L'Unione europea riconosce e fa propria una carta di diritti che vale per tutti gli Stati membri. Di questa carta i principi dello Stato di diritto e dell'indipendenza dei poteri costituzionali sono parte integrante. Sicché è molto preoccupante che uno dei principali esponenti del Partito popolare europeo, a chi gli chiedeva un commento sul discorso di Berlusconi, abbia risposto: è una questione interna alla politica italiana.
Quando si tratta dei principi della costituzionalità europea non esistono questioni interne dei singoli Stati membri che possano sfuggire al vaglio degli organi dell'Unione. Credo che questo problema andrebbe formalmente sollevato dinanzi al Parlamento di Strasburgo e dinanzi al presidente del Consiglio dei ministri dell'Unione.
Per quanto riguarda il nostro "foro interno" per ora l'anomalia resta, ma verrà al pettine nei prossimi giorni sulla questione che più sta a cuore al premier, quella cioè della sua posizione giudiziaria rispetto ai tribunali della Repubblica. Lì avverrà il primo scontro.
È ormai evidente che il metodo della "moral suasion", utilmente praticato dai nostri Capi di Stato nei confronti del governo fin dai tempi di Luigi Einaudi, non vale più. Esso è stato possibile per sessant'anni fino a quando le diverse posizioni politiche si confrontavano in un quadro di valori e principi condivisi; ma questo quadro di compatibilità è ormai andato in pezzi.
Le varie istituzioni e i poteri dei quali ciascuna di esse ha la titolarità sono dunque l'uno in presenza degli altri senza più ammortizzatori di sorta. Gli angoli non sono più arrotondabili ma spigolosi. Il rischio è una prova di forza interamente istituzionale.
L'anomalia berlusconiana ci ha condotto a questo punto, a questo rischio, a questo pericolo. Molti pensavano che tutto si riducesse a problemi di galateo e di linguaggio. Non era così ed ora la dura sostanza è emersa in tutto il suo rilievo.
* * *
Abbiamo scritto più volte che l'anomalia populista è presente in modo particolare nello spirito pubblico del nostro paese. Ma non soltanto. La tentazione autoritaria è presente in molti altri luoghi. Autoritarismo e populismo spesso sono fusi insieme e costituiscono una miscela esplosiva, ma talvolta sono disgiunti.
La vocazione al cesarismo a volte è alimentata dal conservatorismo di opinioni pubbliche sensibili agli interessi di classe e alla difesa di privilegi. Oppure dall'emergere di interessi nuovi che chiedono riconoscimento e rappresentanza.
Nella storia moderna la tentazione autoritaria è stata molto presente nell'Europa continentale, talvolta con modalità aberranti oppure con caratteristiche innovative. Ma ha innescato in ogni caso processi avventurosi, forieri di guerre e di rovine materiali e morali. I principi di libertà ne sono stati devastati.
Di solito quando ci si inoltra in questo tipo di analisi si rievoca l'esperienza del fascismo italiano. Esso avviò anche alcuni processi innovativi, ottenuti tuttavia con la perdita della libertà, con l'esasperazione demagogica del nazionalismo e con un generale impoverimento della società.
Ma un altro esempio, con caratteristiche molto diverse, era già avvenuto in Europa un secolo prima e fu il bonapartismo. Andrebbe storicamente ripercorso il bonapartismo perché rappresenta una vicenda per molti aspetti eloquente di come si passa da una fase rivoluzionaria ad una fase moderata e poi ad una svolta autoritaria che aveva in grembo la fine del regime feudale, l'eguaglianza dei cittadini di fronte alla legge, pagando però queste innovazioni con milioni di morti in un quindicennio di guerre continue e con la perdita della libertà.
Il generale Bonaparte rappresentava un'anomalia rispetto al regime moderato del Direttorio, nato sulle ceneri del Terrore robespierrista. La sua vocazione autoritaria non aveva nulla di populistico ma era appoggiata da un'opinione pubblica che voleva a tutti i costi una pacificazione. Napoleone fu visto come lo strumento di questa pacificazione e fu l'appoggio di quell'opinione pubblica che gli consentì un colpo di Stato che non costò neppure una vittima.
Il 18 brumaio del 1799 suo fratello Luciano Bonaparte, presidente dell'assemblea dei Cinquecento, con l'appoggio del generale Murat, sciolse quell'assemblea con la scusa che essa era piena di giacobini e consegnò il potere a suo fratello Napoleone. Il seguito è noto.
Non abbiamo nulla di simile, non c'è un generale Bonaparte, non c'è un generale Murat, non ci sono fantasmi militareschi.
Ma c'è un'opinione pubblica spaccata in due e una classe dirigente anch'essa spaccata in due. C'è una tentazione autoritaria. C'è una maggioranza conservatrice formata da piccoli e piccolissimi imprenditori e lavoratori autonomi che sperano di ricevere tutela e riconoscimento. E c'è un'ampia clientela articolata in potenti clientele locali, legate al potere e ai benefici che il potere è in grado di dispensare.
Questa è l'anomalia. La quale ha deciso di non esser più anomalia ma di rimodellare la Costituzione. Non riformandone alcuni aspetti ma cambiandone la sostanza. Non più equilibrio tra poteri e organi di garanzia, ma un solo potere sovraordinato rispetto agli altri. L'Esecutivo che si è impadronito, con la legge elettorale definita "porcata" dai suoi autori, del potere legislativo e si accinge ora a mettere la briglia al potere giudiziario e agli organi di garanzia.
Sì, bisogna rivisitarla la storia del 18 brumaio del 1799 perché c'è un aspetto che ci può riguardare molto da vicino. Del resto, anche il discorso di Mussolini del 3 gennaio 1925 va riletto e meditato. Ci sono momenti storici nei quali l'assetto di uno Stato viene sconvolto e capovolto. Dopo nulla sarà più come prima. Nessuno si era reso conto di ciò che stava per accadere. Quando accadde era ormai troppo tardi per impedirlo.
Post Scriptum. La vicenda Spatuzza-Graviano ha dato luogo a qualche fraintendimento che è bene chiarire. A me Spatuzza non piace affatto e i Graviano meno ancora, ma la cronaca ha le sue regole che vanno rispettate. E perciò ricordiamo: Spatuzza ha dichiarato in processo di aver saputo dell'accordo con Berlusconi e Dell'Utri da Giuseppe Graviano.
Il quale ha rifiutato di deporre e ha detto che parlerà solo quando sarà venuto il momento di parlare. Chi invece ha detto di non aver mai conosciuto Dell'Utri e tanto meno Berlusconi è il fratello Filippo Graviano, del quale Spatuzza non ha mai parlato. Questo dice la cronaca e non altro.
Buon 1988, Signor Presidente
di Carlo Bertani - http://carlobertani.blogspot.com - 13 Dicembre 2009
“Che giovano a quell'uomo ottant'anni passati senza far niente? Costui non è vissuto, ma si è attardato nella vita; né è morto tardi, ma ha impiegato molto tempo per morire.”
Lucio Anneo Seneca
Ci domandiamo, signor Presidente, con quale stato d’animo s’avvicinerà alla sua scrivania – la sera del 31 di Dicembre – per inviare il messaggio alla Nazione. Ci chiediamo cosa proverà quando fisserà l’anonimo occhio della telecamera, quando i tecnici le diranno “Quando vuole, Signor Presidente, quando vuole.”
Sarà facile fissare il minuscolo occhio, appena luminescente, di quella telecamera e siamo certi che le luci saranno così ben posizionate da non darle fastidio alcuno.
Il discorso l’avrà preparato da tempo, assistito da esperti linguisti – siamo certi – e dunque già saprà quel che dovrà dire: avrete “limato” per giorni le frasi, scelto con cura gli aggettivi, adombrato qualche passaggio per avvertire dei pericoli incombenti, inzuccherato qualche perifrasi retorica – giacché risposte vere non ce ne sono, lei ne è cosciente – e sorvolato laddove nemmeno quelle palesemente false avrebbero retto.
Dovrà fare, in ogni modo, un bell’esercizio di rimozione per affrontare la telecamera – perché lei sa in quali, terribili gorghi sia precipitato il Paese – ma tanti anni di pratica da parlamentare la rendono certamente avvezzo a questi frangenti, i quali – con il trascorrere degli anni – dal suo privilegiato punto d’osservazione si sono trasmutati non più in marosi, bensì in semplici avvisi di tempesta. Con speranza di bonaccia.
D’altro canto – lassù, sul Colle e nel Torrino – non c’è onda che possa ghermire, vento che riesca a sferzare, tempesta che possa scalfire.
Com’ebbe a dire Demetrio Volcic, in un’apologia di Michail Gorbaciov: “Sarebbe potuto rimanere al suo posto per anni, appoggiandosi alla casta militare, e regnare su un mondo di speranze oramai spente. Invece…”
Non sappiamo quali tormenti galoppino nella mente di Gorbaciov, e – a dire il vero – manco sappiamo se esistano.
Non siamo qui per dare giudizi storici sull’ultimo Presidente sovietico – sono già in tanti a farlo! – ma solo perché ci sembra proprio che i vostri destini s’incrocino – in quelle sale che furono prima dei Papi e poi dei Savoia – in modo assolutamente incoerente, se cerchiamo parallelismi improponibili, ma di fatto esistenti, tangibili, nel momento stesso nel quale lei si siederà a quella scrivania.
Entrambi – da due punti d’osservazione assai differenti – con lo stesso dilemma: un Paese che non riesce più a trovare parole e mezzi, sintonie e propositi s’interroga, cerca risposte, bandoli di matassa, vie, vicoli, budelli, catacombe, scorciatoie, ponti e voli pindarici per capire il domani che l’aspetta.
Quello che scelsero i russi lo sappiamo: a ciascun suo destino.
E noi?
Cosa potrà raccontare agli italiani, che già non sanno, cosa potrà cercare di gettare nell’oblio, che già essi – per sopravvivere – non abbiano dimenticato, cosa ancora potrà inventare ed avvolgere con carta dorata e luminescente, che i suoi sudditi già non abbiano spacchettato e gettato nella spazzatura?
Già, sudditi: la parola che sfregia, che mai si vorrebbe pronunciare. Dopo 62 anni da quella Carta Costituzionale, il disastro è compiuto: nessuno sa più perché fu scritta, nessuno comprende perché sia così calpestata.
Come potranno, i genitori di Stefano Cucchi, affidarsi con fiducia ai magistrati, che già hanno decretato la “colposità” dell’atto e non la premeditazione per la violenza cercata ed ottenuta, a costo zero, perché esplosa nei confronti di una persona debole – peraltro, innocente, in quanto non ancora condannata! – che non aveva mezzi per difendersi da chi avrebbe dovuto difenderlo?
E Rudra Bianzino, rimasto solo a 16 anni con una nonna malata, dopo che il padre è stato ucciso in due giorni di galera – anche lui prima del processo! – e la madre è morta di crepacuore? Bianzino era stato sorpreso a coltivare delle piantine di canapa indiana: se fosse stato un parlamentare, avrebbe avuto suon di pusher pronti a soddisfare le sue necessità. Tutti gli italiani lo sanno: lei no?
E che Natale trascorreranno i genitori di Gabriele Sandri, nel sapere che l’assassino del loro figlio è sì stato condannato…ma sono le solite condanne che non generano mai un giorno di galera…al punto che Spaccarotella spera, addirittura, di riuscire a tornare nella Polizia!
Certo, un simile “esperto” di balistica – non abbiamo mai creduto nella volontarietà dell’atto – merita proprio di continuare a maneggiare un’arma, sparando con una pistola di grosso calibro ad 80 metri di distanza e contando di sapere dove finisca il proiettile.
Lo domandi al primo ufficiale dei Corazzieri che incontra al Quirinale, chieda cosa si può ragionevolmente colpire a quella distanza con un’arma corta. C’è da sperare di non trovarselo mai intorno, uno come Spaccarotella, nemmeno con una cerbottana fra le mai.
Casi limite? Lei dice casi limite?
Quanti sono stati i “casi limite” dal dopoguerra ad oggi? Centinaia. Ad Atene, per un solo morto, stanno mettendo a ferro e fuoco la Grecia: ecco, dove i greci sono cittadini e gli italiani sudditi. Il sovrano assoluto ha diritto di vita e di morte sul suddito, o sbaglio?
Potremmo anche compiere un atto vile, ossia dimenticare questa gente di fronte a quelle tombe, ad osservare la fotografia di chi – mai più – rivolgerà loro la parola. Mentre gli assassini gozzovigliano: magari, proprio mentre seguiranno il suo discorso. Forse, qualcuno di loro la sfotterà pure.
Dietro a quella telecamera, però, ci sarà anche F.G. il quale – dopo aver lavorato una vita – s’è visto ridurre la pensione a 400 euro, perché deve ridare allo Stato quello che lo Stato stesso aveva chiaramente promesso nel 1999 – quando F.G. passò dalle dipendenze delle Province allo Stato – con una norma chiarissima.
Poi, nel 2005, con una “interpretazione autentica” di un articolo di legge del 1999, si rifà tutto da capo e devi renderci quei soldi: cosa vuol dire “interpretazione autentica”?!? E’ l’ultimo espediente per varare, sotto mentite spoglie, la retroattività del Diritto?
E se un futuro governo generasse una “interpretazione autentica” del referendum Monarchia/Repubblica del 1946? Come dice? Quella fu volontà popolare? Lo fu anche il referendum sul nucleare del 1987: cos’è, un’altra “interpretazione autentica”? Domani, qualcuno potrebbe interpretare “autenticamente” l’art 5: “La Repubblica è unica e indivisibile…” lei, cosa farà?
Già, possiamo anche dimenticarci di F.G. e rassicurarlo: “Eh, basta la salute…”, siamo certi che ha “rassicurato” allo stesso modo Mastella e signora, in piazzetta a Capri.
Dovremmo, però, rassicurare allo stesso modo gli altri 70.000 come F.G. giacché – per ben due volte! – la Corte Costituzionale ha sancito che sì, si può “rivedere” quando si vuole una legge, anche dopo anni, e quello che s’era promesso può essere in qualsiasi momento rimangiato.
Ricorda, per caso, nullum crimen, nulla poena sine praevia lege poenali? Qui non siamo in ambito penale, però, disconoscere nel 2005 quello che fu assicurato nel 1999…che ne pensa?
E questa vicenda – poco conosciuta – ritornerà più avanti, per capire cosa c’è dietro le varie “interpretazioni autentiche”, vere “perle” del Diritto, iperboli delle procedura.
Un altro pezzo di Costituzione è caduto nel cestino: osservi bene alla sua sinistra, è lì dentro, è l’articolo 25. Già che c’era, qualcuno ci ha ficcato anche l’articolo 2 del Codice Penale.
Se cercherà di sforzarsi, di mettere meglio a fuoco l’obiettivo della telecamera, dietro all’occhio magico scoprirà che ci sono centinaia di migliaia di truffati da un certo Tanzi, il quale – fra una falsificazione e l’altra di certificati di credito statunitensi – di dilettava nel circondarsi di pregevoli opere d’arte.
Ora che le hanno scoperte, sono diventate “croste”: le vere “croste” le hanno negli occhi e nel cuore le persona che Tanzi ha truffato e che ora, per salvare un tizio di Arcore, vedranno cadere in prescrizione – o chissà in quale altra diavoleria giuridica – i loro diritti.
Osservi, presidente, osservi meglio, guardi ancora…
Là dietro, seduti nei salotti comprati a rate quando c’era ancora uno stipendio, ci sono decine, centinaia di migliaia d’italiani che hanno perduto il lavoro. Come dice? E’ la congiuntura internazionale? La truffa delle banche? La Cina? Il malocchio?
Ma, lei – e tutti quelli che l’hanno eletta all’alto scranno – non dovreste esser lì proprio per evitare che queste cose avvengano? S’accorge che – fiumi di parole a parte – stiamo precipitando? Che gli altri Paesi europei, salvo poche eccezioni, non se la passano male come noi?
Possediamo il 70% del patrimonio artistico mondiale e non lo usiamo, siamo (con la Spagna) l’unica penisola fertile del Sud d’Europa, e la nostra agricoltura langue. Dobbiamo aspettare che giunga un premio Nobel come Rubbia, per dirci che la politica energetica del governo è fallimentare? Che il mondo intero guarda oltre? Di chi la colpa? E’, come sempre, “d’Alfredo?”
Forse loro non ci saranno ad ascoltarla, non credo, perché sono giovani ed hanno di meglio da fare: almeno, come possono, come riescono a fare. Qualcuno, però, ci sarà perché è stato costretto a tornare a casa dai genitori e, suo malgrado, la osserverà distrattamente.
Sono la “generazione mille euro”: gente con diplomi, specializzazioni, lauree corte e lunghe, dottorati, ricercatori…i quali, il massimo al quale possono ambire, è che sia rinnovata loro quella schiavitù – senza più diritti, senza ferie, senza malattia, senza liquidazione, senza niente – dei mille euro. Fin quando durerà: poi, si tornerà a casa dai genitori. Finché ci saranno.
Lei, che militò in un partito il quale – almeno, così raccontavate – si piccava d’essere il difensore del lavoro, della dignità del lavoratore, cosa prova? Guardi meglio nell’obiettivo, Presidente, si sforzi. Poi, torni ad osservare il cestino: “c’è posta per te”? No, sono solo gli articoli 35, 36, 37, 38…della Costituzione, quelli relativi al lavoro, che sono finiti nella carta straccia, insieme allo Statuto dei Lavoratori.
Stia tranquillo, signor Presidente, gli italiani non saranno mai greci né francesi e né tedeschi: nessuno avrà il coraggio di ribellarsi apertamente. Gli italiani seguiranno fino in fondo il loro drammatico destino, giungendo all’abominio piuttosto che alzare la voce: sceglieranno fra puntare sul Superenalotto oppure agogneranno, brameranno di partecipare ad un talk show televisivo.
Fino a quando? Fino all’evidente disastro?
Con precisione non so quando arriveremo al disastro, però qualche idea ce l’ho.
Vede, signor Presidente, quello che lei non riesce a scorgere dall’alto del Torrino – forse c’è nebbia? è troppo lontano? – è che l’Italia ancora campa di ricchezza accumulata nei decenni “buoni”, quando c’era lavoro, si guadagnava, s’andava in pensione almeno un poco prima di morire.
L’Italia campa sulle pensioni dei genitori, su qualche rendita, sull’affitto di qualche appartamento ma non crea più nulla: non ha più idee, stimoli, certezze, speranze.
Fin quando durerà? Molti indicatori economici (il rapporto debito/PIL che “corre” verso il 120% è solo uno dei tanti) sembrano raccontare che di “fiato” n’è rimasto poco.
Per spiegarle come potrebbe finire, bisogna superare le pastoie che ci hanno condotto a spiegare gli ultimi eventi come “malcostume”, “protervia”, “indecenza”, ecc.
Berlusconi potrebbe essere accusato – tramite Dell’Utri – di concorso esterno in associazione mafiosa: reato, peraltro, non previsto dal Codice Penale, ma solo da una consuetudine giuridica attuata dalla Corte di Cassazione. Belusconi sarà mafioso?
I politici italiani di prima grandezza non sono mai “mafiosi” in prima persona: se vogliamo, Berlusconi sta a Dell’Utri come Andreotti a Salvo Lima. O, addirittura, come Mangano a Ciancimino: ci sono scale di valori per tutto, anche per la Mafia e per i politici.
Da sempre, si servono delle organizzazioni mafiose sul territorio per la raccolta dei voti: lo fecero democristiani e socialisti. Non neghi, Presidente, lo sa benissimo.
Le dichiarazioni di Spatuzza sono poca cosa – concordiamo – ma su un punto sono precise ed indubbiamente veritiere: non pochi analisti politici, all’epoca, misero l’indice, stupiti, sul repentino flusso di preferenze che s’ebbe in Sicilia negli anni ’80 – decine di migliaia di voti che migrarono inaspettatamente, dalla DC al PSI – quando la Sicilia era rossa di sangue e Milano rossa “da bere”.
Negare dunque che il rapporto esista, significa esser semplicemente ciechi.
Altra cosa è stabilire se vi furono flussi di denaro dalla Mafia a Silvio Berlusconi, per le sue attività editoriali e, in seguito, politiche: mai, Berlusconi, comunicò da dove vennero le centinaia di miliardi (dell’epoca!) necessarie per entrare nel mercato immobiliare e delle comunicazioni. Sempre, s’avvalse della facoltà di non rispondere, in più occasioni.
Cosa c’entra questo con l’oggi? Aspetti e rifletta: intanto, ricarichi la stilografica. Oppure, telefoni a Tina Anselmi per farle gli auguri: magari, potrete parlare insieme della P2.
Stranamente – e questo è innegabile – il governo Berlusconi sta colpendo la Mafia siciliana in modo pesante: mai, un governo della Repubblica ha osato tanto. Un nuovo “prefetto Mori” del Ventennio? No, a nostro avviso, la verità è ben altra.
Oggi, la Sicilia non ha più governo regionale: dopo inenarrabili alchimie e vicissitudini, il Presidente Lombardo si sta arrampicando sui vetri per rimettere in piedi qualcosa che assomigli ad una giunta. Berlusconi è preoccupato per la Sicilia? Per la regione che gli fornisce pressoché totale consenso, che esprime ministri, sulla quale può contare come in nessun altro luogo d’Italia?
No, non ci sembra che a Palazzo Chigi ci si strappi le vesti e nemmeno osserviamo “corrieri” che – di lungo in largo – accorrano per riportare “pace e serenità” fra l’elettorato. Ci sembra, anzi, di cogliere quasi disinteresse: ci sentiremmo di puntare qualcosa su un profondo dissidio fra i (probabili) antichi mentori siciliani e gli attuali epigoni. Berlusconi fa comizi a Milano, non scende in Sicilia.
Nel frattempo – speriamo di non annoiarla, Presidente – il governo cerca di far quadrare i conti di Finanziarie sempre più “creative”: addirittura, si prelevano 3,1 miliardi dal TFR dei lavoratori INPS per gettarli nella fornace dei disastrati conti pubblici.
Mai s’era vista una cosa del genere, nemmeno con il grande “creativo” democristiano, Cirino Pomicino. Prendere soldi dei lavoratori per finanziare la spesa corrente?!? Alla faccia del Bicarbonato di Sodio! Replicherebbe un suo illustre conterraneo.
Quando e come saranno resi quei soldi ai lavoratori? Lo domandi a Tremonti, ma stia attento: la risposta potrebbe causarle un gran mal di testa. Sa, è un “creativo”.
Ci sono poi le quisquilie, come lo “strano ri-finanziamento” del cinque per mille, con prelievo dai proventi dello Scudo Fiscale…e per che cosa? Per destinarli al Ponte sullo Stretto. Presidente, ci faccia capire: uno strumento – il cinque per mille, appunto – creato per finanziare le associazioni assistenziali (Onlus) e la ricerca…che viene “ri-finanziato” per poi “estrarre” 470 milioni di euro e destinarli al Ponte?
Quanti, di quei soldi, torneranno indietro – sotto forma di finanziamenti per la progettazione e le “consulenze”, se non proprio tangenti – nelle tasche (a questo punto private) di chi ha “finanziato”?
Fra parentesi, questi “per mille” sembrano quisquilie, ma sono una nuova forma di tassazione, proprio un bel “mettere le mani nelle tasche degli italiani”, ma da borseggiatori. Otto e cinque per mille, fanno l’1,3 per cento dell’IRPEF: sono centinaia di euro. A capoccia.
Sul resto c’è poco da dire; mentre una plateale incompetente dichiara di varare una riforma della scuola, la scuola non esiste quasi più: otto miliardi prelevati dalla scuola, i quali finiranno per due terzi nella contabilità generale, sono una mazzata che metterebbe a terra un bue.
Tanto per chiarire, l’andazzo oramai è questo: dove non c’è più un assistente tecnico si chiude a chiave un laboratorio, quando un termosifone perde acqua lo si chiude e si sta al freddo, i ragazzi aspettano un supplente 15 giorni. Abbiamo la classe docente di gran lunga più vecchia d’Europa e mancano idee per il futuro: a meno di ritenere “futuro” il pedissequo ritorno “all’impianto Gentile” del 1923. Sai che futuro.
A fronte di queste (ed altre) emergenze, il comportamento di Silvio Berlusconi parrebbe, a prima vista, sconsiderato: rastrellamento di fondi ovunque, disinteresse per piani a medio e lungo termine, addirittura scarso interesse per l’elettorato. Prendere tempo sembra il diktat, e non solo per le questioni processuali.
Perché Berlusconi dovrebbe “prendere tempo”: in vista di che cosa?
Non sbuffi, Presidente, perché sarà lei a dover affrontare quella telecamera, non noi: rifletta, corregga. Nell’attesa, cambi un aggettivo. Oppure, scambi due confidenze con Ciampi.
Sono partite le “grandi manovre” per le elezioni regionali le quali, più che “fare i conti” con l’opposizione, definiranno nuovi equilibri all’interno della coalizione di centro-destra. Già, “coalizione”, composta però da tre anime: lo zoccolo duro dei berluscones di Forza Italia, la sparuta pattuglia ancora fedele a Fini e la Lega. Già, la Lega.
Per la Lega si prefigura uno scenario assai favorevole: non sappiamo in quante regioni riusciranno ad esprimere un presidente, ma in quasi tutte le regioni del Nord ci saranno loro nelle “stanze dei bottoni”, a gestire la politica ed il fiume di denaro che genera.
Si dà il caso che il Ministro per le Riforme (riteniamo “Costituzionali”, giacché non si tratta certo della riforma delle uova di Pasqua) – Umberto Bossi, lo ha nominato lei, ricorda? – abbia recentemente dichiarato:
“La Padania sarà libera con le buone o con le meno buone…non c'è nessuna crisi nel rapporto con Berlusconi perché se da soli si arriva prima, alleati si va molto più lontano” (14 Settembre 2009).
Strano ministro per le “riforme”: un tizio che usa come un libretto da scarabocchiare la Costituzione di uno Stato che vorrebbe distruggere! Un lupo a guardia degli agnelli? Proprio lupus in fabula, è il caso di dirlo.
La Lega Nord sa benissimo che un federalismo che potrebbe accontentare il suo elettorato – ossia portare i redditi del Nord ai livelli europei a scapito del resto d’Italia – non passerà mai in Parlamento: il referendum del 2006, per ricordare un solo esempio, non passò anche perché la Sicilia (totalmente “berlusconiana”) votò contro compatta.
Fanfaluche? Sogni ad occhi aperti di Bossi?
Rifletta, Presidente, rifletta: è stato recentemente obbligato a scendere in campo per difendere la Chiesa Cattolica, il famoso “paragone” Tettamanzi = Imam.
Anche queste sono facezie, roba da teatrino della politica? No, qui non siamo al Bagaglino.
La religione cattolica può essere osservata da più punti di vista: certamente – e questa è l’accezione che potremmo definire “più colta” – riporta meno ai simboli e più ai principi.
L’universalità del pensiero religioso conduce la Chiesa Cattolica a scendere in prima fila per difendere i diritti delle altre religioni: difendendo gli altri – ad essere riduttivi – difende se stessa. Ricorda, per caso, Papa Giovanni Paolo II quando affermò che, “piuttosto che non credere in niente, anche un altro credo…”?
Qui, ci sono significati più sfaccettati, ma un plafond comune conduce a riconoscere carità e fratellanza come valori universali. E’ l’unica accezione, nella quale viene inteso il Cattolicesimo?
Per la gran parte degli italiani – mezzi agnostici, credenti a rate, fai da te religioso, ecc – la comunanza religiosa s’esprime anch’essa con un’identificazione, molto diversa, però, rispetto a quella del Card. Tettamanzi.
Qualcuno l’ha definita una Chiesa non solo pre-conciliare, ma addirittura pre-illuminista, ossia privata delle temperanze necessarie per vivere in un contesto relativista e multietnico. E che l’Europa s’avvii – semplice demografia – a diventare ancor più multietnica, è assodato.
E’ il resuscitare una Chiesa perduta nei secoli della Riforma e della Controriforma, un credere cieco, quando le scritture erano tutte in Latino ed il volgo non sapeva nemmeno leggere!
Di quella Chiesa restano i simboli: croci, campanili, campane, effigi. Basta ed avanza.
Domandiamoci: quanti – oggi che le Scritture sono ampiamente tradotte – le leggono? Quanti, per contrappeso, identificano la loro appartenenza affidandola semplicemente a dei simboli?
Se la croce o la campana sono tutto ciò che rimane di un passato religioso, l’antico ricordo, la nostalgia per un credere almeno sincero – più sentimenti e meno chiacchiere – è ovvio che nulla deve sostituire quei simboli, pena la totale perdita d’identità. Ergo, niente minareti.
Sul fronte politico – meno che mai religioso – si tratta di un formidabile mezzo per condurre all’identificazione univoca genti che hanno smarrito il senso della fede, utilizzando quel simulacro soltanto come mezzo per sorreggere interpretazioni totalmente acritiche della realtà.
Così fu per la chiesa tedesca durante il nazismo – tollerata, ma solo se non disturbava i laicissimi nazisti – e per quella italiana, il famoso “credere, obbedire, combattere”. Cambiano i tempi, i mezzi, ma il fine…
Inanellando, uno dopo l’altro, una serie di “valori” – unico obiettivo il denaro, il Nord “dissanguato”, il “pericolo” dell’immigrato incombente, la propria cultura “saccheggiata” dal minareto, gli “sfaccendati” dipendenti pubblici, ecc – ecco pronta la velenosa pozione, l’alchimia sopraffina pronta a spingere le menti verso la direzione desiderata.
Non è nulla di nuovo: un copione già visto ed osservato in tutte le sue, possibili sfaccettature.
Siamo al 1988 dell’era jugoslava, signor Presidente: se n’è accorto? Ha sentito parlare di “ronde”? Ah, certo, associazioni di cittadini per la vigilanza, per “proteggere”…e bla, bla, bla…
Quando mai, una forza politica che vuole creare una milizia, lo urla ai quattro venti?
Come dice? Che l’attuale quadro normativo…
A questo penseranno le future “interpretazioni autentiche”: lei sa benissimo – da uomo di legge – che una volta passato un principio lentamente, ma inesorabilmente, si trasformerà in consuetudine. Vede? Tutto serve, anche quella che sembra una innocua (non per i lavoratori!) sentenza della Corte Costituzionale.
E Berlusconi?
Ma, Presidente, apra gli occhi: quando e come si decide, nelle istituzioni? Il Parlamento, salvo quando ci sono leggi inviate per l’approvazione dall’esecutivo, non ha nulla da fare, al punto che Fini lo chiuse per una settimana.
A Palazzo Chigi? Nei Consigli dei Ministri? E quando mai: tutti si lamentano – a microfono spento, ovvio – della scarsa “collegialità”.
Tutti gli accordi politici di una certa rilevanza vengono presi durante le famose “cene” ad Arcore fra Bossi e Berlusconi: poi, i “galoppini” Brunetta, Alfano, Gelmini, Sacconi…ricevono gli ordini e, a Belgr…pardon, a Roma, eseguono.
Una delle ultime esternazioni di Berlusconi è stata proprio la conferma, se ancora qualcuno aveva dei dubbi: in caso d’elezioni anticipate, andrà con la Lega “Chi se ne frega di Fini: noi e la Lega, possiamo vincere ugualmente”. Vede?
Ricorda, per caso, che Berlusconi – prima di fondare Forza Italia – soppesò per qualche tempo d’entrare direttamente nella Lega, per prenderne in un secondo tempo le redini? Poi, decise di mettersi “in proprio” ma – dal 1995, dopo lo “strappo” con Bossi – i destini dei due partiti hanno viaggiato dritti filati come due binari.
Di queste cose non si deve parlare, non si devono ricordare, perché non fa comodo.
Nel frattempo, per il volgo c’è tanto da discutere e da motteggiare: i miracolosi capelli del premier, le escort, le veline e tutto l’ambaradan del gossip, Bondi che duetta con Crozza…ma sì, lasciamoli divertire…
Va in Europa a raccontare che “ha le palle”, l’attimo dopo veste la camicia nera e così esalta gli ex nonsopiùcosasono della ex Alleanza Nazionale e quelli…giù con i saluti fascisti! Lo scambiano per Mussolini, i poveretti! Poi fa “cucù” in giro per l’Europa, le sue barzellette, le mignotte…ogni giorno bisogna inventarne una fresca, tenerli occupati…
Per quelli che si ritengono più astuti, invece – con dichiarazioni alla stampa, oppure usando i giornali “di famiglia” – ogni tanto la “sparano” grossa. Maroni comunicò urbi et orbi che esisteva il traffico d’organi destinato ai trapianti. Qualche giorno di subbuglio, una scazzottata verbale sui giornali e poi…dimenticatoio.
Nei giorni scorsi, invece, “Il Giornale” (proprietario Paolo Berlusconi) ha dichiarato che l’emissione di denaro deve essere pubblica, non a carico dei privati. Nazionalizzeranno la Banca d’Italia? Ma va là…
Quali sono, invece, le cose delle quali non parlano mai?
Mentre tutti seguivano i vari teatrini – chi in platea, chi in galleria – la Lega Nord disponeva con cura i suoi pezzi – dall’interno delle istituzioni italiane! – con calma, tessera dopo tessera: prima una legge elettorale “porcata” per cacciar fuori dal Parlamento gli “indesiderati” e, nel contempo, impedire – di fatto – la creazione di nuove aggregazioni dal basso, dal vero corpo elettorale.
Quindi l’acquisto – non troviamo altro termine per definirlo – dei vertici sindacali, per frantumare il poco che rimaneva e mettere all’indice le frange che, ancora, credevano nella dignità del lavoro.
Quindi la marginalizzazione e l’umiliazione della cultura: la scuola privata di mezzi per renderla inefficiente. E, quindi, inoffensiva. I fondi per la ricerca sempre stornati, al punto d’usare il 5 per mille per il Ponte di Messina!
Poi le leggi per marginalizzare gli immigrati, per punire in modo abnorme chi fa uso di droghe…ora la Chiesa, che deve essere “devitalizzata”, privata della sua essenza e mantenuta come vuoto involucro, uno zombie del terzo millennio.
Oggi, quel percorso è quasi compiuto: come i perfidi alieni di “Independence day”, le forze si stanno posizionando in campo, ciascuna al suo posto, pronte per l’assalto finale. Berlusconi s’opporrà? E perché dovrebbe farlo?
Il premier sa che non potrà mai consegnare alla Lega Nord un federalismo che sia una secessione mascherata – il referendum confermativo non passerebbe mai – inoltre, Berlusconi si trova impastoiato con i suoi mille problemi giudiziari: veri, falsi, presunti…non ha importanza. Di fatto, è sotto scacco.
Se Berlusconi non appoggiasse il piano secessionista della Lega, nei confronti delle istituzioni italiane avrebbe ben altro atteggiamento: non andrebbe di certo a Bonn a mostrare i muscoli e ad infangare l’Italia e le istituzioni.
Probabilmente, manderebbe in avanscoperta il solito Gianni Letta con qualche spiegazione credibile per ricomporre, cercare accordi, una fuoriuscita onorevole, accordi a termine, altro…ma – mai – getterebbe la spada nella contesa. Perché, signor Presidente, non potremmo definire in altro modo le sue ultime “esternazioni”.
Domandiamoci, allora, chi è Silvio Berlusconi?
E’ un imprenditore, il quale ha il centro dei suoi interessi proprio a Milano: certo, con la secessione potrebbe perdere ricchezza, quote di mercato, affari, ecc, ma – se non dovesse riuscire a fermare gli attacchi contro la sua persona (non c’interessa dirimere se giustificati, ingiustificati, ecc) – per lui sarebbe la fine.
Potrebbe tentare, ultima spiaggia, le elezioni anticipate ma, anche qui, non avrebbe la certezza di farcela (nel senso di poter poi controllare una maggioranza schiacciante): spostato l’asse del PD verso sinistra, potrebbero rientrare in gioco anche gli elettori della sinistra estrema con alleanze meramente elettorali. E poi, cosa farebbero gli uomini di Fini? E Casini, che sembra chiamare l’adunata?
Insomma, Berlusconi si troverebbe a dover affrontare delle difficili elezioni, non la “passeggiata” del 2008.
Può anche darsi che lo faccia, che sia obbligato a farlo, ma la “ferrea” alleanza con Bossi – il treno rapido verso la secessione – gli consentirebbe di salvare capra e cavoli: sottrarsi alla giustizia italiana utilizzando proprio la “leva” secessionista, preservare le sue aziende ed i suoi interessi economici, portandoli fuori d’Italia, nella futura Padania, ossia nel “Lombardo-Veneto”. Non le ricorda qualcosa, signor Presidente, quel termine?
Gli interessi del premier messi in “cassaforte” – in un diverso Stato! – ed il coronamento del sogno della Lega: come potrà notare, gli interessi di Berlusconi e della Lega Nord coincidono perfettamente. E spiegano anche il sostanziale “disinteresse” per quel che sta avvenendo in Sicilia.
Potremmo pensare che quelli presentati siano scenari di fantapolitica ma nessuno, in Jugoslavia nel 1988, riteneva credibile quel che sarebbe successo pochi anni dopo. In Bosnia, persino quando iniziarono a circolare le colonne corazzate, i più si ricredevano “Ma no, sono soltanto manovre della JNA, dell’Esercito Jugoslavo…del nostro esercito…”
L’Unione Europea potrebbe benedire la secessione, giacché ogni possibile tentativo per “salvare” la nave Italia, che sta affondando, verrebbe gradito: non si può salvare l’intero bastimento? Beh, almeno il carico…
Le grandi corporations sarebbero le prime a gioire, poiché ogni dissoluzione di stato nazionale aumenta il loro potere di ricatto, ovvero produrre senza pastoie di nessun tipo (vedi Thyssen) ed a prezzi da fame.
Quando si cita l’esempio jugoslavo, si finisce per credere che gli eventi debbano per forza svolgersi nello stesso modo: non è necessario, per una secessione, che esista il corrispettivo italiano della linea di difesa “Vukovar-Karlobag”…chissà, una “Pisa-Ancona”…no, questo è cadere in parallelismi senza senso.
Anche il modello Ceco e Slovacco potrebbe tornar utile: le forme non le conosciamo e, in tutti i casi di secessione, ogni Paese ha avuto le sue. Più o meno sanguinose, più o meno feroci.
Quel che conta, sono gli interessi convergenti verso una scelta, non i mezzi mediante i quali viene poi attuata.
Nel caso jugoslavo – siccome c’era un diffuso apparato cooperativo – fu necessario, per le corporation ed i grandi poteri internazionali, distruggere la socialità stessa di quel Paese. Il caso italiano è diverso: da noi, è su base geografica che vogliono intervenire.
La “salvezza” dell’apparato produttivo del Nord sarà l’ennesima svendita, questa volta al grande capitale tedesco e centro-europeo in genere, e le fabbriche si riempiranno un'altra volta di moderni schiavi, italiani e stranieri. Sì, forse ci sarà qualche soldo in più, ma non per molti e con la totale perdita della sovranità.
Non fu forse il vero fondatore della Lega Nord – il sen. Miglio – un grande “amico” dell’allora Bundesbank? Della Banca Centrale di uno Stato il quale, in silenzio e senza destare clamori, “girò” gli armamenti “ereditati” dalla ex Germania Est in Croazia?
Siamo al 1988 jugoslavo, Presidente, se ne renda conto: non c’è tempo da perdere! Cosa aspetta, dopo esser stato pubblicamente insultato di fronte all’assemblea dei parlamentari europei del PPE?
Per fare che? Per procedere, immediatamente, per attentato alla Costituzione – sono loro stessi ad ammetterlo, a fregiarsene! Ci sono tutti gli elementi per farlo! – poi per manifesta incapacità in campo economico. Infine, meno importante, per essere moralmente inaccettabili: non è la loro moralità in discussione, bensì la credibilità italiana che finiscono per distruggere.
“E che c’entro io?”
Come, signor Presidente, lei non c’entra nulla? Beh, ci scusi e tanti saluti: credevamo che lei fosse la suprema autorità della nazione.
L’uomo che potrebbe – art. 88 – mandare a casa questa pletora d’incompetenti, dissoluti menefreghisti che siedono in Parlamento:
art. 88. Il Presidente della Repubblica può, sentiti i loro Presidenti, sciogliere le Camere o anche una sola di esse. Non può esercitare tali facoltà negli ultimi sei mesi del suo mandato.
Mentre nella Costituzione esiste un preciso articolo (90) che spiega i termini nei quali può essere messo in stato d’accusa un Presidente della Repubblica, molti si chiederanno perché non esista una procedura d’impeachment nei confronti del Primo Ministro: perché è prevista, con lo scioglimento del Parlamento, dall’art. 88!
Se i costituenti avessero desiderato “temperare” quel potere, l’avrebbero precisato: invece, a parte la clausola degli ultimi sei mesi di mandato, nulla!
Lei potrebbe, semplicemente, chiamare i due Presidenti delle Camere – “sentirli”! Senza obbligo alcuno! – e poi dire loro, semplicemente: “Grazie, Schifani. Grazie, Fini”. E basta. Non ha altri obblighi, e nessuno potrebbe sollevare la minima obiezione!
Perché i costituenti non posero limiti, affidando – riconosciamolo – una terribile responsabilità sulle spalle del Presidente? Perché, nel caso un Capo del Governo fosse giunto a controllare la politica come un despota, ricattando la sua maggioranza in Parlamento – ieri con le squadracce, oggi con le TV – il Presidente doveva avere i mezzi per impedirlo. E, oggi, vasti settori della società italiana sono perplessi, attoniti, stupiti da tante volgarità e da una politica assente per i bisogni degli italiani.
Lei, Presidente, potrebbe mandarli a casa con un’avvertenza: se non cambiate subito la legge elettorale con una semplicissima legge proporzionale (l’abbiamo avuta per decenni: perché da quando ci hanno messo mano tutto precipita?) – e date modo a nuove formazioni politiche di soppiantare le vecchie – io l’art 88 ve lo sparo a raffica, a ripetizione. Siamo certi che si darebbero una calmata: lei, ci perderebbe qualcosa? Dobbiamo ricordarle, ancora una volta, che l’art 88 non le pone limiti in tal senso?
Ah, già…il rischio d’ingovernabilità, la “necessaria continuità”, il “salto nel buio”…ma…perché, oggi saremmo “governati”? Dobbiamo proprio morire di questa “continuità”? E quali timori possiamo avere per i salti nel buio, giacché ogni provvedimento governativo – da molti anni – non è altro che improvvisazione?
Lei, signor Presidente, non si trova in situazioni analoghe a quelle che affrontarono i suoi predecessori: l’Italia è il regno dei levantini in politica, della confusione, spesso del malgoverno. Tutti i suoi predecessori cercarono – con scarso successo, purtroppo – di rammentare i vantaggi della coesione, della positiva socialità, della fratellanza.
Oggi, invece, lei si trova di fronte ad una situazione nuova: non è più una vicenda di equilibri interni, di moralità…no, oggi, qualcuno sta scientemente lavorando – all’interno delle istituzioni! – per distruggerle e, domani, frantumare il Paese. Attenderà, silente, che qualcuno in camicia nera e fazzoletto verde venga a scacciarla?
Di là delle proprie opinioni politiche, il plafond di valori costituzionali sotto attacco non è negoziabile in nessun modo, poiché mette sotto scacco le basi della democrazia e del vivere civile: purtroppo per la sua persona, lei è l’unico in grado di fermarli. Decida, prima che sia troppo tardi: la Storia, inevitabilmente, la giudicherà.