Una decisione che comunque è la riprova di quanto questo presidente sia l'ennesimo fantoccio nelle mani della potente lobby dell'industria militare.
Altri 5000 soldati arriveranno poi dagli alleati della NATO, e si tratta di contributi aggiuntivi a quelli che erano già attesi per il 2010.
Intanto il governo italiano si è subito messo sull'attenti "Abbiamo avuto, in questi giorni, strette consultazioni con gli Stati Uniti sull'Afghanistan. Io stesso ne ho parlato con il presidente Obama la scorsa settimana e, quindi, condivido la strategia annunciata ieri sera: un approccio regionale, a partire dal ruolo fondamentale del Pakistan; un rafforzamento delle attività civili nel Paese, che salvaguardi i progressi già compiuti in diversi settori; uno sforzo militare supplementare adesso, per porre le premesse di un più agevole disimpegno domani. Il nostro Paese farà la sua parte perchè in gioco c'è anche la lotta al terrorismo e di conseguenza la nostra stessa sicurezza.", ha ripetuto ieri Berlusconi come un disco rotto, fermo ancora al 2001.
L'ennesimo stantio ritornello anche nelle parole di Frattini che ha indicato nel 2013 la data della possibile fine della presenza della NATO in Afghanistan, dopo la fase di disimpegno graduale che, secondo quanto annunciato da Obama, dovrebbe iniziare nel luglio 2011.
"Il rientro delle truppe si realizzerà via via che l'Afghanistan sarà in grado di garantire la sua sicurezza. E questo non potrà avvenire in un tempo lungo", ha detto Frattini con una forte dose di fantasia...
Naturalmente gli unici che hanno pronunciato parole realistiche sono stati proprio i talebani, che ieri hanno dichiarato "Aumenteremo gli attacchi".
E c'è da credergli...
Ignobel per la pace
di Enrico Piovesana - Peacereporter - 2 Dicembre 2009
"Come comandante in campo, ho deciso di inviare altri 30mila soldati in Afghanistan nel vitale interesse della nostra nazione. (...) Sono convinto che la nostra sicurezza è a rischio in Afghanistan e Pakistan. Quello è l'epicentro dell'estremismo violento praticato da Al Qaeda. E' da laggiù che noi siamo stati attaccati l'11 settembre ed da laggiù che, mentre parlo, nuovi attacchi vengono pianificati.
Questo non è un pericolo immaginario, una minaccia ipotetica: nei mesi scorsi abbiamo catturato all'interno dei nostri confini dei terroristi inviati dalla regione di confine tra Afghanistan e Pakistan per compiere atti terroristici. (...)
Gli americani sono stati vittime di attentati abominevoli provenienti dall'Afghanistan e sono tuttora il bersaglio di questi stessi estremisti che stanno complottando lungo il confine afgano. Abbandonare quell'area adesso significherebbe creare un rischio inaccettabile di nuovi attacchi contro il nostro paese e i nostri alleati".
"In Afghanistan per impedire nuovi 11 Settembre". Obama ha detto quello che avrebbe detto Bush. Il discorso pronunciato a West Point dal premio Nobel per la pace poteva essere benissimo pronunciato dal presidente guerrafondaio che lo ha preceduto. Stesse parole, stessi concetti, stessa visione politica, stessa propaganda basata su falsità.
Il presidente Barack, dopo aver già raddoppiato nel giro di un anno il numero dei soldati Usa schierati in Afghanistan (erano 32mila quando arrivò alla Casa Bianca, sono 68mila oggi), ora manda al fronte altri 30mila giovani americani, li manda a uccidere e morire.
Per cosa? Per difendere l'America dai terroristi di Al Qaeda che stanno laggiù, che da laggiù hanno colpito l'11 settembre e che laggiù stanno preparando nuovi attacchi contro l'America, come dimostrerebbe l'arresto a settembre di tre immigrati afgani che vivevano a Denver e New York, accusati di progettare un attentato alla Gran Central Station di Manhattan.
L'Afghanistan non rappresenta una minaccia per gli Usa. A parte i dubbi sulla fondatezza dei nuovi allarmi terrorismo americani (i tre afgani, che vivevano da anni negli Stati Uniti, sono stati arrestati nell'ambito di una stravagante operazione antiterrorismo dei servizi segreti britannici - Operation Pathway - che ha portato all'arresto anche di diversi studenti immigrati pachistani, poi rilasciati senza accuse), merita ricordare che l'associazione ‘Afghanistan-11 settembre', con cui sia Bush che Obama giustificano la guerra, è una falsità.
Nessuno degli attentatori dell'11 settembre era afgano (c'erano sauditi, yemeniti, giordani, egiziani, algerini, tunisini, ma non afgani.); la base operativa dove i terroristi si sono addestrati per gli attentati non era in Afghanistan ma negli Stati Uniti (dove sono stati fatti entrare con visti falsi della Cia); la responsabilità di Osama bin Laden, che si nascondeva in Afghanistan, non è mai stata dimostrata (l'Fbi, ad oggi, afferma di non avere una sola prova valida del coinvolgimento dello sceicco negli attentati in quanto i video e i messaggi di Osama non sono ritenuti credibili); dopo l'11 settembre 2001 nemmeno un afgano è stato mai coinvolto in vicende o inchieste di terrorismo internazionale; gli insorti afgani che oggi combattono le truppe d'occupazione alleate non sostengono il ‘jihad globale' di Al Qaeda: combattono solo per la liberazione del loro paese.
Il vero pericolo per l'Occidente è continuare la guerra. Continuare a giustificare la guerra d'occupazione in Afghanistan con la necessità di difendere gli Stati Uniti da nuovi attacchi terroristici è falso perché l'Afghanistan non rappresenta una minaccia per il popolo americano ne per i suoi alleati.
Al contrario, continuare l'occupazione militare dell'Afghanistan (sostenendo un regime fantoccio illegittimo e corrotto) e ordinare addirittura un'escalation militare che porterà più guerra, più violenza, più morti e più sofferenza, non farà altro che fomentare i sentimenti antiamericani e antioccidentali nel mondo islamico, accrescere la popolarità dell'estremismo jihadista e quindi, in ultima analisi, aumentare concretamente il rischio di attentati terroristici contro obiettivi statunitensi e occidentali.
La vera minaccia alla sicurezza degli Stati Uniti e dei suo alleati è rappresentata dalla guerra in Afghanistan di Obama, come prima dalla guerra in Iraq di Bush, poiché queste costituiscono la migliore cassa di risonanza della propaganda antiameircana e antioccidentale dello jihadismo terrorista.
I valori americani per giustificare una guerra che quei valori calpesta.
L'aggressione militare, l'invasione, l'occupazione, le stragi di civili, i crimini di guerra e contro l'umanità commessi contro il popolo afgano, rappresentano una flagrante violazione di quei valori occidentali che l'America sostiene di voler difendere e diffondere nel mondo: libertà, autodeterminazione, rispetto per la vita e per la dignità delle persone, rifiuto della violenza.
Nel suo discorso a West Point, Obama ha definito la guerra in Afghanistan "un test per la nostra società libera e per la leadership americana nel mondo. (...) La nostra forza risiede nei nostri valori. (...) Deve essere chiaro a ogni uomo, ogni donna, ogni bambino che vive sotto le oscure nubi della tirannia che l'America difenderà i loro diritti umani, la libertà, la giustizia, le opportunità e la dignità dei popoli. Questo è quello che siamo. Questa è la fonte morale del potere dell'America".
Agli uomini, le donne e i bambini afgani che da otto anni vivono e muoiono sotto le bombe americane non è molto chiaro. Magari glielo spiegheranno i 30mila nuovi soldati statunitensi inviati da Bush, pardon, da Obama.
Obama: soldi e soldati per Kabul
di Michele Paris - Altrenotizie - 3 Dicembre 2009
Dopo tre mesi di incertezze e ripensamenti, Barack Obama ha alla fine ceduto alle richieste dei vertici militari americani dando il via libera all’invio di 30.000 soldati da impiegare in Afghanistan entro la metà del prossimo anno. La decisione definitiva è stata annunciata in diretta televisiva dal presidente presso l’Accademia Militare di West Point di fronte ad un pubblico di 4.000 cadetti, molti dei quali destinati a morire in territorio afgano nei prossimi mesi.
Nonostante il richiamo a quell’unità che gli Stati Uniti avevano dimostrato all’indomani dell’11 settembre, il discorso dell’inquilino della Casa Bianca è sembrato estremamente contraddittorio, rivelando le profonde divisioni all’interno dell’establishment politico e tra gli stessi cittadini americani su un conflitto che appare ormai a molti senza via d’uscita.
Dopo otto anni di conflitto, oltre 900 soldati americani deceduti e più di 200 miliardi di dollari spesi, la sfida di Obama per rovesciare in Afghanistan una tendenza che ha visto il crescente controllo del paese da parte dei ribelli talebani, porta con sé non pochi rischi.
L’appoggio ad un governo profondamente corrotto e screditato come quello di Karzai, l’intensificarsi delle azioni militari che inevitabilmente produrranno migliaia di ulteriori perdite tra la popolazione civile e l’inasprimento delle tensioni nel continente asiatico in seguito alla maggiore presenza americana, difficilmente si tradurranno da qui a un paio d’anni in risultati concreti. E le conseguenze politiche del prevedibile fallimento finiranno per pesare come un macigno sulle prospettive di Obama nelle elezioni presidenziali del 2012.
La promessa di nuove truppe che dovrebbero essere integrate dai contingenti di alcuni paesi europei - Italia compresa - è stata accompagnata dall’annuncio di un impegno per una “exit strategy”, il cui inizio è stato inverosimilmente fissato per la metà del 2011.
La contemporanea espansione del coinvolgimento americano e il profilarsi di una fine della guerra, sia pure vincolata alle condizioni sul campo, riflette la necessità di Obama di districarsi tra lo scetticismo, da un lato, di una buona fetta dei parlamentari democratici e dell’opinione pubblica e il desiderio, dall’altro, dei militari e di un’opposizione repubblicana che sarà probabilmente decisiva in vista della prossima approvazione al Congresso dei fondi necessari all’escalation.
Il prolungamento dell’impegno militare americano costerà circa 30 miliardi di dollari solo nel prossimo anno e le risorse economiche per sostenerne il costo dovranno uscire da un dibattito parlamentare che si annuncia teso.
Se i repubblicani - in gran parte entusiasti per l’invio di nuove forze ma delusi dalla scadenza fissata per il disimpegno militare - saranno pronti a rimediare a defezioni tra le file della maggioranza, già si sono detti contrari ad appoggiare una tassa aggiuntiva sui redditi proposta dai democratici per continuare a finanziare la guerra.
Dopo le delusioni incassate negli ultimi mesi, lo sconforto tra la sinistra del partito di governo e l’elettorato liberal è così aumentato ulteriormente all’indomani dell’annuncio di una strategia che molto ricorda quella avviata dall’allora presidente Bush nel 2007 per invertire le sorti del conflitto in Iraq, alla quale Obama si oppose. Come il cosiddetto “surge” iracheno, dicono dalla Casa Bianca, il piano stabilito per Kabul prevede la (ri)costruzione dell’esercito afgano e delle forze di polizia locali che dovrebbero farsi carico in futuro della sicurezza interna.
A differenza di quanto avvenuto in Iraq, tuttavia, l’aiuto fornito all’Afghanistan sarà vincolato a determinati traguardi che il governo di Karzai dovrà raggiungere. Meno chiare sono però le conseguenze alle quali quest’ultimo andrà incontro in caso di mancato adempimento degli obblighi stabiliti da Washington.
Altro punto fondamentale della strategia americana sarà il Pakistan, da dove si teme un’uscita di scena troppo rapida degli Stati Uniti dall’Afghanistan, ma allo stesso tempo viene visto con timore un aumento delle forze occupanti nel paese confinante per possibili nuove ripercussioni interne.
Per quanto Obama non abbia definito in maniera esplicita la posizione degli USA nei confronti di Islamabad, pare che già ci sia l’OK della Casa Bianca ad una maggiore presenza della CIA in questo paese e per un aumento delle incursioni dei droni che hanno causato centinaia di vittime civili negli ultimi anni ed alimentato un diffusissimo sentimento anti-americano.
Con la presenza in Afghanistan di militanti di Al-Qaeda ridotta, per stessa ammissione del Consigliere per la Sicurezza Nazionale di Obama, Generale James L. Jones, a un centinaio di uomini, il pantano afgano a otto anni dall’invasione dimostra allora, e in maniera sempre più evidente, il carattere imperialista di un conflitto combattuto ormai contro la volontà della maggioranza delle popolazioni americana ed europea (per non parlare di quella afgana).
La decisione, che minaccia di avere conseguenze rovinose, oltre che per le condizioni di vita delle popolazioni locali e le sorti dei soldati impegnati, per le stesse prospettive dell’intera presidenza Obama, condurrà fatalmente ad un coinvolgimento americano della durata indefinita e dagli effetti destabilizzanti.
Un’occupazione senza alcuna fine in vista e asservita unicamente ad assicurare a Washington una posizione dominante in un’area del pianeta ricca di risorse naturali e strategicamente fondamentale per controbilanciare la crescente influenza di altre potenze come Cina, India, Russia e Iran.
Obama ordina rinforzi all'Italia
di Enrico Piovesana - Peacereporter - 26 Novembre 2009
E Berlusconi risponde 'signorsì', promettendo di mandare al fronte altre centinaia di soldati. Che pagheremo noi
Il presidente Barack Obama chiama il premier Silvio Berlusconi.
Subito dopo il capo del Pentagono Robert Gates chiama il ministro della Difesa Ignazio La Russa.
Poi la visita del segretario generale della Nato, Anders Fogh Rasmussen, che incontra entrambi con l'aggiunta del ministro degli Esteri Franco Frattini.
Un'offensiva diplomatica concentrica per sottoporre al governo italiano una di quelle proposte "che non si possono rifiutare": inviare più truppe sul fronte di guerra afgano.
La risposta non poteva che essere un immediato e incondizionato 'signorsì'.
Ma quanti?
Altri 400 soldati al fronte. Fosse per La Russa, ne manderebbe a migliaia. "Possiamo avere anche 20mila soldati all'estero, ma bisogna valutare l'estensione del periodo in cui si tengono fuori".
Il capo di Stato maggiore della Difesa, generale Vincenzo Camporini, è più realistico ed esplicito: "Le forze armate italiane hanno schierato all'estero in passato fino a 12.500 uomini e oggi siamo circa a quota 8.500: non è un problema di uomini, è un problema di soldi: la nostra aliquota di rinforzi non può superare le 500 unità".
Infatti, la cifra che circola in queste ore è 400: quei quattrocento soldati inviati come ‘rinforzi temporanei' per le elezioni afgane e che sono già tornati a casa. Rasmussen ha chiesto a La Russa di rispedirli al fronte.
Ma pare che verrà trovata una soluzione alternativa. "Diamo un po' di riposo alla gente!", ha dichiaro il generale Camporini. "Per i militari impegnati in missione all'estero è previsto un turno ogni quattro. Sarebbe ragionevole uno ogni cinque e comunque non possiamo prendere la gente, riportarla a casa e dopo una settimana rimandarla lì".
5mila uomini dagli alleati. Gli Stati Uniti e la Nato chiedono agli alleati altri 7mila uomini.
La Gran Bretagna ne ha messi sul piatto 500, la Georgia almeno 700, la Turchia 800, la Slovacchia 250, la Francia non più di 150. Se, come sembra, il nuovo ministro della Difesa tedesco Karl-Theodor zu Guttenberg è disposto a inviare al fronte altri 2.500 soldati della Wehrmacht, si arriverebbe a sfiorare quota 5mila.
Che infatti è la cifra complessiva fatta nei giorni scorsi dal premier britannico Gordon Brown - "Penso che probabilmente potremmo trovare altri 5mila soldati" - senza comprendere i 500 uomini del British Army.
Prendendo per buoni questi numeri, mancherebbero all'appello giusti giusti i 4-500 soldati che sono stati chiesti all'Italia.
Il costo della guerra. Più di questi l'Italia non se ne può permettere. Per ragioni di bilancio, come ha detto il capo di Stato maggiore della Difesa.
Il costo della partecipazione italiana alla guerra in Afghanistan, che negli anni passati era sui 300 milioni di euro l'anno, ha già superato il mezzo miliardo.
Un ulteriore aumento della spesa bellica sarebbe difficile da fare digerire, non solo al ragionier Tremonti, ma anche a un'opinione pubblica italiana sempre più contraria alla guerra.
Il fantoccio Obama
di Paul Craig Roberts - InformationClearingHouse - 1 Dicembre 2009
Traduzione di www.saigon2k.altervista.org
Non c’è voluto molto per la Lobby di Israele a mettere in ginocchio il Presidente Obama per il suo divieto di costruire nuovi insediamenti illegali Israeliani nei territori Palestinesi occupati. Obama ha scoperto che un semplice presidente Americano è impotente quando viene affrontato dalla Lobby di Israele, e che agli Stati Uniti semplicemente non viene permesso di avere una politica in Medio Oriente diversa da quella di Israele.
Obama ha anche scoperto che non può cambiare niente, sempre che ne avesse mai avuto l’intenzione.
Nell’agenda della lobby militare e della difesa c’è la guerra e uno stato di polizia interno, e un semplice presidente Americano non può farci niente.
Il Presidente Obama può ordinare che vengano chiuse le camere della tortura di Guantanamo, e che i sequestri di persona e le torture vengano fermati, ma nessuno esegue i suoi ordini.
In pratica, Obama è irrilevante.
Il Presidente Obama può promettere che porterà a casa le truppe, e la lobby militare dice, “No, invece li manderai in Afghanistan, e nel frattempo inizierai una guerra in Pakistan e costringerai l’Iran in una posizione che ci darà un pretesto per fare una guerra anche lì. Le guerre sono troppo lucrose per noi perchè tu possa fermarle”. E il piccolo presidente dirà, “Sissignore!”.
Obama può promettere l’assistenza sanitaria a 50 milioni di Americani che non ce l’hanno, ma non può sconfiggere il veto della lobby della guerra e della lobby delle assicurazioni. La lobby della guerra dice che i profitti di guerra sono più importanti dell’assistenza sanitaria e che il paese non si può permettere sia la “guerra al terrore” che la “medicina socializzata”.
La lobby delle assicurazioni dice che l’assistenza sanitaria deve venir data dalle assicurazioni sanitarie private; altrimenti non possiamo permettercela.
Le lobbies della guerra e delle assicurazioni hanno sventolato le loro agende con i contributi versati in campagna [elettorale] e molto velocemente hanno convinto il Congresso e la Casa Bianca che lo scopo reale del progetto di legge sull’assistenza sanitaria è di salvare soldi tagliando i benefici a Medicare e Medicaid, e quindi “mettere gli entitlements [Ndr. diritti acquisiti] sotto controllo”.
Entitlements è una parola usata dalla destra per denigrare le poche cose che, in un lontano passato, il governo faceva per i suoi cittadini. La Social Security e Medicare, ad esempio, vengono denigrati come “entitlements”. La destra continua senza sosta a parlare della Social Security e di Medicare come se fossero regali dati a persone incapaci che rifiutano di prendersi cura di se stesse, quando in realtà i cittadini vengono di gran lunga sovratassati con un’imposta del 15% nelle loro paghe per avere in cambio dei magri benefici.
Infatti per decenni ormai il governo federale ha finanziato le sue guerre e i budget militari con le entrate in surplus raccolte dalla tassa sul lavoro della Social Security.
Sostenere, come fa la destra, che non possiamo permetterci l’unica cosa nell’intero budget che ha in modo consistente prodotto delle entrate in eccesso sta ad indicare che lo scopo reale è di portare il cittadino medio ad uno stato di indigenza.
I veri entitlements non vengono mai menzionati. Il budget della “difesa” è un entitlement per il complesso militare e della difesa, sul quale il Presidente Eisenhower ci mise in guardia 50 anni fa. Una persona dev’essere folle per credere che gli Stati Uniti, “l’unica superpotenza del mondo”, protetta da oceani ad Est e a Ovest e da stati fantoccio a Nord e a Sud, abbia bisogno di un budget della “difesa” superiore all’intera spesa militare del resto mondo messo insieme.
Il budget militare è nient’altro che un entitlement per il complesso militare e della sicurezza. Per nascondere questo fatto, l’entitlement viene mascherato come una protezione contro i “nemici” e fatto passare attraverso il Pentagono.
Io dico, eliminiamo l’intermediario e distribuiamo semplicemente una percentuale del budget federale al complesso militare e della sicurezza. In questo modo non avremo bisogno di inventare scuse per invadere altri paesi e andare a fare la guerra con il solo scopo di dare al complesso militare e della difesa il suo entitlement. Sarebbe molto più economico dargli i soldi direttamente, e salverebbe anche un sacco di vite umane e sofferenze in patria e all’estero.
L’invasione Statunitense dell’Iraq non aveva proprio niente a che fare con gli interessi nazionali Americani. Aveva a che fare con i profitti sugli armamenti e con l’eliminazione di un ostacolo all’espansione territoriale Israeliana. Il costo della guerra, oltre i 3 trilioni di dollari, è stato di 4,000 Americani morti, oltre 30,000 feriti e mutilati, decine di migliaia di matrimoni Americani distrutti e carriere perdute, un milione di Irackeni morti, quattro milioni di Irackeni dislocati e un paese ridotto in macerie.
Tutto questo è stato fatto per i profitti del complesso militare e della sicurezza e anche affinchè la paranoide Israele, armata con 200 bombe nucleari, potesse sentirsi “sicura”.
La mia proposta renderebbe il complesso militare e della difesa ancora più ricco dato che le compagnie riceverebbero i soldi senza aver bisogno di costruire le armi. Piuttosto, tutti i soldi potrebbero venir usati per bonus multimilionari e dividendi distribuiti agli azionisti. Nessuno, in patria o all’estero, dovrebbe venir ucciso, e il contribuente sarebbe ben più felice.
Non c’è alcun interesse nazionale Americano nella guerra in Afghanistan. Come rivelato dall’ex Ambasciatore Britannico Craig Murray, lo scopo della guerra è di proteggere gli interessi della Unocal per un oleodotto che passa attraverso l’Afghanistan. Il costo della guerra è di gran lunga superiore all’investimento dell’Unocal nell’oleodotto. L’ovvia soluzione è di comprare l’Unocal e dare l’oleodotto agli Afghani come parziale risarcimento per la distruzione che abbiamo inflitto a quel paese e alla sua popolazione, e di portare le truppe a casa.
Il motivo per cui le mie ragionevoli soluzioni non verranno attuate è che le lobbies pensano che i loro entitlements non potrebbero sopravvivere se diventassero evidenti a tutti. Loro pensano che se il popolo Americano sapesse che le guerre stanno venendo combattute per arricchire le industrie degli armamenti e del petrolio, la gente fermerebbe le guerre.
In realtà, il popolo Americano non ha diritto di opinione su ciò che il “suo” governo fa. I sondaggi mostrano che metà o più della metà del popolo Americano non sostiene le guerre in Iraq e Afghanistan e non sostiene l’escalation del Presidente Obama per quanto riguarda la guerra in Afghanistan. Nonostante ciò, le occupazioni e le guerre continuano. Secondo il Generale Stanley McChrystal, le 40,000 truppe aggiuntive sono sufficienti per mettere in stallo la guerra, cioè, per farla continuare all’infinito, una situazione ideale per la lobby degli armamenti.
Il popolo vuole l’assistenza sanitaria, ma il governo non lo ascolta.
Il popolo vuole un lavoro, ma Wall Street vuole azioni più costose e costringe le aziende Americane a trasferire i posti di lavoro in paesi dove la manodopera è più economica.
Il popolo Americano non ha il controllo su niente. Non può influire su niente. E’ diventato irrilevante come Obama. E continuerà ad essere irrilevante fino a quando gruppi di interesse organizzati potranno comprare il governo USA.
L’incapacità della democrazia Americana di produrre un qualsivoglia risultato che gli elettori vogliono è un fatto dimostrato. La completa assenza di reazione del governo al popolo è il contributo che il conservatorismo ha dato alla democrazia Americana.
Qualche anno fa ci fu un tentativo di rimettere il governo nelle mani del popolo mettendo un freno alla capacità dei gruppi d’interesse organizzati di versare enormi somme di denaro nelle campagne politiche e, quindi, obbligare gli ufficiali eletti ad essere dipendenti a coloro che avevano versato i soldi. I conservatori dissero che ogni restrizione sarebbe stata una violazione del Primo Amendamento che garantisce la libertà di parola.
Gli stessi “protettori” della “libertà di parola” non ebbero alcuna obiezione però quando la Lobby di Israele fece passare il disegno di legge sull’ “hate speech”, che ha criminalizzato le critiche al trattamento genocida che Israele riserva ai Palestinesi e al costante furto della loro terra.
In meno di un anno, il Presidente Obama ha tradito tutti i suoi sostenitori e rotto tutte le sue promesse. Obama è il prigioniero dell’oligarchia degli imperanti gruppi d’interesse. A meno che venga salvato da un evento orchestrato tipo l’11 Settembre, la presidenza Obama non durerà più di un termine. In realtà, l’economia al collasso lo dannerà indipendentemente da un “attacco terrorista”.
I Repubblicani stanno preparando la Palin. La nostra prima presidentessa femmina, dopo il nostro primo presidente nero, completerà la transizione ad uno stato di polizia Americano arrestando i critici e i contestatori dell’immorale politica estera e domestica di Washington, e la Palin completerà così la distruzione della reputazione Americana all’estero.
La Russia di Putin ha già paragonato gli USA alla Germania Nazista, e il premier Cinese ha paragonato gli USA ad un debitore irresponsabile e immorale.
In modo sempre più crescente il resto del mondo vede gli USA come l’unica fonte di tutti i suoi problemi. La Germania ha perso il capo delle sue forze armate e il suo ministro della difesa, perchè gli USA convinsero o premettero, in un modo o nell’altro, il governo Tedesco a violare la propria Costituzione e mandare truppe a combattere per gli interessi della Unocal in Afghanistan.
I Tedeschi hanno fatto finta che le loro truppe non stavano davvero combattendo, ma che fossero impegnati in una “operazione di peace-keeping”. Questo ha funzionato più o meno finchè i Tedeschi hanno ordinato un’attacco aereo che ha ucciso oltre 100 donne e bambini che aspettavano in fila per un pò di carburante.
Gli Inglesi stanno indagando sul loro capo criminale, l’ex primo ministro Tony Blair, e l’inganno che mise in piedi contro il suo stesso consiglio dei ministri per fornire una scusa a Bush per la sua invasione illegale dell’Iraq.
Agli investigatori Inglesi è stata negata l’abilità di presentare accuse penali, ma la questione della guerra basata interamente su una macchinazione di bugie e inganni sta venendo ben diffusa. Riecheggierà per tutto il pianeta, e il mondo vedrà che non esiste un’indagine simile negli USA, il paese da dove ebbe origine la Guerra Falsa.
Nel frattempo, le banche d’investimento USA, che hanno distrutto la stabilità finanziaria di molti governi, incluso quello degli USA, continuano a controllare, come hanno sempre fatto fin dall’amministrazione Clinton, la politica economica e finanziaria degli USA. Il mondo ha sofferto in modo terribile per i gangsters di Wall Street, e adesso guarda all’America con un occhio critico.
Gli Stati Uniti non suscitano più il rispetto che suscitavano sotto il Presidente Ronald Reagan o il Presidente George Herbert Walker Bush. I sondaggi nel mondo mostrano che gli USA e il suo capo-fantoccio vengono visti come le due più grandi minacce per la pace. Washington e Israele superano nella lista dei più pericolosi il regime pazzoide della Nord Korea.
Il mondo sta iniziando a vedere l’America come un paese che deve andarsene via. Quando il dollaro sarà sovra-inflazionato da una Washington incapace di pagare i suoi conti, il mondo sarà motivato dall’avidità e cercherà di salvarci per salvare i suoi investimenti, oppure dirà, grazie a Dio, che liberazione.