Giusto due esempi tra i tanti...
Finalmente bianco e di destra. Solo abbronzato
di Paolo Barnard - www.paolobarnard.info - 3 Dicembre 2009
Il 6 novembre 2008 avevo pubblicato un commento intitolato ‘Obama? Gioire con prudenza’, in cui dicevo che la tradizione Democratica USA era ben altro dalle sciocchezze scritte da Veltroni, dette da Travaglio, o dai miraggi offerti da Repubblica ai sognatori italiani. Seguiva un’aggiunta dal titolo ‘Obama? Seguite i soldi’, dove mostravo da quali fonti del Vero Potere erano venuti i fondi per la campagna elettorale del nuovo Presidente, cioè chi lo comandava.
Martedì 1 dicembre scorso, di fronte a 4.000 cadetti dell’accademia di West Point, il Presidente degli Stati Uniti, cioè quel bianco abbronzato di destra che siede alla Casa Bianca, ha finalmente lasciato cadere gli ultimi brandelli della pellicola con cui si era travestito ed è apparso in tutto il suo fulgido orrore.
Per chi ha anche solo la più vaga idea di cosa sia stato l’impero americano nel mondo – dai seicentomila trucidati delle Filippine a cavallo del XIX e XX secolo, ai due milioni in Indonesia negli anni ’60; dal Piano Condor del 1975 con le sue camere di tortura neonaziste in America Latina, fino al genocidio dei contadini di tre quarti del mondo scientificamente architettato dal Fondo Monetario Internazionale (leggi Tesoro USA) e dalla Federal Reserve americana e ancora in corso, col record di 2,7 miliardi di affamati odierni; passando per il sostegno al progetto sionista di annientamento dei palestinesi e i due milioni di morti fra Iraq e Afghanistan dal 2001 a oggi – le parole pronunciate da Obama martedì possono solo sembrare un’esperienza psichedelica. Non lo è, è realtà. Leggetele:
“Più di ogni altra nazione al mondo, gli Stati Uniti hanno assicurato la sicurezza globale per più di 60 anni, un’epoca che ha visto muri cadere, i mercati aprirsi, e miliardi di persone sollevate dalla povertà… Al contrario delle grandi potenze del passato, noi americani non abbiamo cercato di dominare il mondo. La nostra Unione fu fondata sulla resistenza all’oppressione. Noi non cerchiamo di occupare altre nazioni, non pretendiamo le risorse di altre nazioni, e non colpiamo altri popoli a causa della loro fede o etnia differente dalla nostra…”.
Aggiungo il commento di Andrew Bacevich, professore di Storia e Relazioni Internazionali alla Boston University , intervistato da Amy Goodman:
“Credo che questa descrizione che Obama ha fatto della Storia moderna americana è assai significativa, e la ragione per cui è così importante è che le sue parole potevano essere state fotocopiate da un discorso di Harry Truman, o John Kennedy, o Lyndon Johnson, o Richard Nixon, Ronald Reagan, o George W. Bush. Questa è la narrativa preferita dagli americani, noi ci vogliamo vedere così, e così giustifichiamo ciò che facciamo al mondo. E’ incredibile che questo Presidente, che si è insediato promettendo il cambiamento, abbracci quella narrativa così del tutto. Ci conferma che i cambiamenti a Washington sono marginali, e che lo status quo è fermamente al suo posto.”
Non ho molto da aggiungere, se non il fatto che Silvio Berlusconi aveva visto giusto. Riconobbe istintivamente un suo pari nel giovane Presidente americano già dal primo incontro, anzi, un suo maestro. Maestro di conflitto di interessi – Obama ha garantito con almeno 5 mila miliardi di dollari rubati ai contribuenti, e anche ai 50 milioni di americani che oggi soffrono la fame (dato Dipartimento dell’Agricultura USA 2009), gli interessi della sua premiata azienda finanziaria, la Rubin-Summers-Paulson-Geithner e Associati, che lo aveva premiato con oltre 38 milioni di dollari pochi mesi prima.
Maestro di indebitamento pubblico – con un deficit di 1.400 miliardi di dollari e con un debito pubblico record di 10.600 miliardi di dollari, di cui 1.700 in mano alla Cina, e che Obama sta ora peggiorando con una dissennata nuova avventura militare in Afghanistan al costo di 160 miliardi di dollari all’anno.
Maestro di conservatorismo – Obama ha inserito nella sua falsa riforma sanitaria pubblica (che premia con altri 70 miliardi di dollari un altro club che finanzia il Presidente) una clausola, la Stupak, che proibisce a qualsiasi assicurazione sanitaria garantita dallo Stato di fornire servizi per l’aborto, condannando milioni di donne americane all’illegalità o a indebitarsi presso le cliniche private.
Insomma, è un obbligo morale riconoscere che la notoria battuta del Cavaliere sull’abbronzato Barak coglieva un punto di grande verità: ci troviamo di fronte a un bianco, di destra e conservatore, solamente un pelo più scuro di pelle. Oggi almeno è chiaro.
Il resto della storia della "grande democrazia americana" sicuramente nel prossimo passaparola di Marco Travaglio.
Obama: un Vietnam in versione "Lite"
di Pepe Escobar - www.asiaonline.com - 2 Dicembre 2009
Traduzione di Manuela Vittorelli, membro di Tlaxcala, la rete di traduttori per la diversità linguistica.
Gli Stati Uniti si trovano nel mezzo della più grave crisi occupazionale dai tempi della Grande Depressione, e il Presidente Barack Obama sta seguendo le orme di George W. Bush dispensando trilioni di dollari a poche grandi banche. I contribuenti americani non hanno avuto nulla. E adesso si prendono la ciliegina sulla torta, con Obama che intensifica la sua guerra in Afghanistan.
Un Vietnam in versione “lite” con una provvisoria data di scadenza, luglio 2011, per l'inizio di un ritiro.
Il tanto pubblicizzato discorso tenuto da Obama martedì sera a West Point – ritoccato fino all'ultimo dal presidente in persona – era una scaltra rimasticatura del fardello dell'uomo bianco, con la sicurezza nazionale americana avvolta nel glorioso manto della “nobile lotta per la libertà”.
A un livello più pedestre è vero che la storia si ripete, ma come farsa. Con il surge [incremento truppe, N.d.T.] in versione “lite” di Obama, le truppe di occupazione USA e NATO raggiungeranno nella prima metà del 2010 il livello dell'occupazione sovietica al suo punto più alto, nella prima metà degli anni Ottanta. E tutta questa formidabile potenza di fuoco per combattere non più di 25.000 taliban afgani, solo 3000 dei quali armati di tutto punto.
Ciascun soldato del nuovo surge di Obama (parola che non ha mai pronunciato nel suo discorso, tranne quando si è riferito a un “surge di civili”) costerà un milione di dollari – benché il Pentagono insista nel dire che è solo mezzo milione.
Gli uomini veri vanno a Riyadh
Obama continua a ripetere che l'Afghanistan è una “guerra di necessità”, per via dell'11 settembre. Sbagliato. L'amministrazione Bush aveva pianificato l'attacco all'Afghanistan già prima dell'11 settembre. (Si veda Get Osama! Now! Or else ..., Asia Times Online, 30 agosto 2001.)
“Guerra di necessità” è un educato remix della vecchia “guerra al terrore” dei neocon: date la colpa ai tizi con l'asciugamano in testa e sfruttate l'ignoranza e la paura dell'opinione pubblica. Fu così che al-Qaeda fu equiparata ai taliban e che il leader iracheno Saddam Hussein venne coinvolto nell'11 settembre dalla cricca dei neoconservatori.
Al di là della sua nobile retorica Obama continua a comportarsi come Bush, non facendo distinzione tra al-Qaeda – un'organizzazione araba che pratica il jihad e il cui obiettivo è un califfato globale – e i taliban, afghani autoctoni che vogliono un emirato islamico in Afghanistan ma non avrebbero scrupoli a far affari con gli Stati Uniti, come fecero all'epoca dell'amministrazione Clinton quando gli Stati Uniti volevano a tutti i costi costruire un gasdotto trans-afghano. E inoltre Obama non può ammettere che i neo-taliban “Pak” adesso esistono a causa dell'occupazione statunitense dell'“Af”.
Mettendocela tutta per distanziare la sua nuova strategia dal trauma del Vietnam, Obama ha sottolineato che “Diversamente dal Vietnam, il popolo americano è stato malignamente attaccato dall'Afghanistan”. Sbagliato. Se la ricostruzione ufficiale dell'11 settembre regge, i dirottatori furono addestrati in Europa Occidentale e perfezionarono le loro tecniche negli Stati Uniti.
E quando sottolinea gli sforzi per “disgregare, smantellare e sconfiggere” al-Qaeda e per negarle un “rifugio sicuro”, Obama contraddice in tutto e per tutto il suo consigliere per la sicurezza nazionale, il General James Jones, il quale ha ammesso che in Afghanistan ci sono meno di 100 jihadisti di al-Qaeda.
Il mito di al-Qaeda va smascherato. Come ha potuto al-Qaeda mettere in atto l'11 settembre e tuttavia essere incapace di organizzare un solo significativo attentato in Arabia Saudita? Perché al-Qaeda è essenzialmente una brigata mal camuffata dei servizi segreti sauditi. Gli Stati Uniti vogliono vincere “la guerra al terrore”? Perché non mandare dei corpi speciali in Arabia Saudita anziché in Afghanistan e far fuori i wahhabiti, che stanno alla base di tutto?
Obama avrebbe perlomeno potuto far caso a quello che ha detto ad al-Jazeera Gulbuddin Hekmatyar, il famigerato guerrigliero afghano, ex protetto dell'Arabia Saudita, ex beniamino della CIA e attuale nemico degli Stati Uniti. “Il governo taliban in Afghanistan è caduto a causa della strategia sbagliata di al-Qaeda”, ha sottolineato Hekmatyar.
È una vivida descrizione dell'attuale completa frattura tra al-Qaeda e i taliban, entrambi “Af” e “Pak”. I taliban afghani, a cominciare dal loro leader storico, il Mullah Omar, hanno imparato dal loro grave errore, e non permettono agli arabi di al-Qaeda di avvelenare l'Afghanistan. Analogamente, l'ascesa del neo-talibanismo di qua e di là del confine non si traduce necessariamente in un “rifugio sicuro” per al-Qaeda. I jihadisti di al-Qaeda si nascondono presso pochi selezionati e prezzolati elementi tribali che i servizi segreti pakistani potrebbero localizzare all'istante, se solo lo volessero.
Obama ha anche accettato la premessa del Pentagono secondo cui l'America può ricolonizzare l'Afghanistan con la contro-insurrezione.
Secondo la dottrina del Generale David “Mi sto sempre posizionando in vista delle elezioni del 2012” Petraeus, la proporzione soldati/autoctoni dev'essere 20 o 25 su 1000 afghani. Adesso Petraeus e il Generale Stanley McChrystal ne hanno ottenuti altri 30.000. Inevitabilmente i generali – proprio come nel Vietnam, che a Obama piaccia o no – chiederanno molto di più, fino a ottenere quello che vogliono; almeno 660.000 soldati, più tutti gli extra. Al momento gli Stati Uniti hanno circa 70.000 soldati in Afghanistan.
Questo significherebbe ripristinare la coscrizione negli Stati Uniti. E sono altri trilioni che gli Stati Uniti non hanno e che dovranno prendere in prestito... dalla Cina.
E a cosa porterebbe? Negli anni Ottanta la potente armata rossa sovietica ha usato tutti gli espedienti della contro-insurrezione a sua disposizione. I sovietici hanno ucciso un milione di afghani. Hanno fatto cinque milioni di profughi. Hanno perso 15.000 soldati. Hanno praticamente mandato l'Unione Sovietica in bancarotta. Ci hanno rinunciato. E se ne sono andati.
E il nuovo grande gioco?
Ma allora perché gli Stati Uniti sono ancora in Afghanistan? Con uno sguardo in macchina, come rivolgendosi al “popolo afghano”, il presidente ha detto: “non abbiamo interesse a occupare il vostro paese”. Ma non poteva dire le cose come stanno agli spettatori americani.
Per l'America delle corporazioni l'Afghanistan non significa nulla; è il quinto paese più povero del mondo, una società tribale e decisamente non consumistica. Ma per le grandi compagnie petrolifere statunitensi e per il Pentagono l'Afghanistan ha un gran fascino.
Per il Big Oil, il sacro graal è l'accesso al gas naturale del Turkmenistan proveniente dal Mar Caspio, cioè il Pipelineistan nel cuore del nuovo grande gioco in Eurasia, evitando sia la Russia che l'Iran.
Ma non c'è modo di costruire un gasdotto enormemente strategico come il TAPI (Turkmenistan-Afghanistan-Pakistan-India) – attraverso la provincia di Helman e il Balochistan pakistano – con un Afghanistan che si trova nel caos grazie alle misere imprese dell'occupazione USA/NATO.
C'è interesse a sorvegliare/controllare un traffico di droga da 4 miliardi di dollari l'anno, direttamente e indirettamente. Fin dall'inizio dell'occupazione USA/NATO l'Afghanistan è diventato un narco-Stato de facto, producendo il 92% dell'eroina mondiale per una serie di cartelli narco-terroristici internazionali.
E c'è la dottrina del dominio ad ampio spettro del Pentagono per cui l'Afghanistan fa parte dell'impero mondiale delle basi statunitensi, che controllano da vicino competitori strategici come la Cina e la Russia.
Obama ha semplicemente ignorato che in Eurasia si sta svolgendo un nuovo grande gioco dalla posta vertiginosamente alta. E così, a causa di tutto quello che Obama non ha detto a West Point, gli americani si sorbiscono una “guerra di necessità” che sta prosciugando trilioni di dollari che potrebbero essere impiegati per ridurre la disoccupazione e aiutare davvero l'economia statunitense.
Anche noi sappiamo fare i surge
Inevitabilmente i taliban metteranno in atto a loro volta un ben coordinato contro-surge. Già adesso, senza surge e nonostante tutti i piani di contro-insurrezione di Petraeus, hanno catturato la provincia del Nuristan. E ve lo ricordate il surge estivo di Obama nella provincia di Helmand? Be', Helmand è ancora la capitale mondiale dell'oppio.
Nel suo discorso Obama ha cercato con tutti i mezzi di dare l'impressione che la guerra afghana possa essere controllata da Washington. È impossibile.
Con tutte le sue promesse di “cooperazione con il Pakistan” (menzionato 21 volte nel discorso) Obama non ha potuto in alcun modo ammettere che il suo surge versione “lite” destabilizzerà il Pakistan ancor di più. Al contrario potrebbe affidare la guerra al Pakistan.
Invece di fissare, come ha fatto Obama, il luglio 2011 come data per il possibile inizio di un ritiro, comunque subordinato alle “condizioni sul terreno”, questa vera strategia d'uscita dovrebbe fissare una tempistica per un ritiro completo. Islamabad sarebbe così libera di fare quello che non è stato possibile né ai sovietici né agli americani: sedersi con i capi tribù e negoziare attraverso una serie di jirga (concili tribali).
Obama scommette su quella che definisce “transizione delle responsabilità agli afghani”. È un miraggio. I servizi di sicurezza pakistani – che vedono ancora l'Afghanistan in termini di “profondità strategica” e di spazio di manovra nel contesto più ampio di un conflitto con l'India – non permetterà mai che ciò avvenga rigorosamente alle condizioni afghane. Non sarà corretto nei confronti degli afghani, ma così stanno le cose.
In Afghanistan praticamente tutti ritengono – giustamente – che Hamid Karzai sia il Presidente dell'occupazione. Karzai, che a malapena riesce a restare aggrappato al suo trono a Kabul, è stato imposto nel dicembre 2001 al re Zahir Shah dal proconsole di Bush Zalmay Khalilzad dopo una rovente discussione, ed è stato di recente confermato in un'elezione alla americana, palesemente truccata.
Lo stile americano non è lo stile afghano. Il collaudato stile afghano si è basato per secoli sulla loya jirga – un grande concilio tribale in cui tutti partecipano, discutono e infine raggiungono un consenso.
Dunque il finale di partita in Afghanistan non può essere molto diverso da una spartizione del potere all'interno di una coalizione, con i taliban nel ruolo di partito più forte. Perché? Basta esaminare la storia della guerriglia dall'Ottocento in poi, o ripensare al Vietnam. I guerriglieri che combattono più strenuamente contro gli stranieri l'hanno sempre vita.
E perfino con una fetta del potere ai taliban a Kabul, i potenti vicini dell'Afghanistan – il Pakistan, l'Iran, la Cina, la Russia, l'India – si assicureranno che il caos non superi i loro confini. È un affare asiatico, questo, che deve essere risolto dagli asiatici; è una buona ragione per trovare una soluzione nell'ambito della Shanghai Cooperation Organization (SCO, Organizzazione di Shanghai per la Cooperazione).
Nel frattempo, c'è la realtà. Il dominio ad ampio spettro del Pentagono ha ottenuto quello che cercava, per ora. Chiamatela vendetta dei generali. Chi vince, a parte loro? Il guerriero da salotto australiano David Kilcullen, consigliere e ghostwriter di Petraeus e McChrystal considerato un semidio dai guerrafondai di Washington.
Alcuni neocon moderati; di certo non l'ex vice presidente Dick Cheney, che ha condannato la “debolezza” di Obama. E complessivamente tutti coloro che hanno sottoscritto il concetto di “guerra lunga” del Pentagono.
Due settimane prima di andare a Oslo per accettare il Premio Nobel per la Pace, Obama vende al mondo il suo nuovo Vietnam in versione “lite” tenendo un discorso in un'accademia militare. Onore a George Orwell. È proprio vero che la guerra è pace.
Il mistero delle società di Tony Blair
da www.cobraf.com - 4 Dicembre 2009
Come mai questa mega crisi finanziaria globale ? Prendiamo il paese che in proporzione ne soffre di più al punto che si parla di un rischio per il debito sovrano della nazione e la sua valuta da due anni perde contro ogni valuta al mondo, l'Inghilterra.
Chi ha governato dal 1996 al 2007 ? Toni Blair che se leggevi i giornali era laburista, erede di una tradizione socialista e sindacale, ma più "moderno". Due anni fa appena prima che scoppiasse il bubbone grosso della crisi Blair ha lasciato il posto al suo ministro delle Finanze e ora sembra che non faccia politica e lo senti solo a eventi benefici come presidente di Fondazioni che promuovono cause ecologiche
Il Guardian ieri ha lanciato un appello ai lettori bravi in contabilità e finanza per aiutarlo a districare la rete di società finanziarie, trust e limited partnership in cui finiscono i milioni di sterline che Toni Blair guadagna con la serie di società di consulenza varia intestate al suo nome che il giorno dopo essere uscito dall'ufficio di Downing Street sono apparse istantaneamente e con le cariche presso banche che si sono materializzate per lui.
I politici italiani che incassano ancora mazzette di banconote in una busta come Del Turco sono ancora all'età della pietra rispetto a quelli anglosassoni che prendono molto di più in modo legale ed elegante e apparendo come coinvolti solo in Fondazioni culturali e non-profit all'esterno. Una volta un politico specie socialista, se non era ricco di famiglia, viveva con uno stipendio o pensione da deputato e basta, magari scrivendo sui giornali e venendo pagato per quello se era capace.
Oggi un politico inglese o americano importante si trasforma in una multinazionale, Clinton o Blair (o Schroeder anche), vengono sommersi di milioni tramite dozzine di incarichi di consulenza, fees per discorsi, pagamenti per servizi di "advisory" da parte di multinazionli di tutti i paesi del mondo e specialmente da parte di banche e istituzioni finanziarie.
Inoltre appare una rete di fondazioni no-profit a scopi sociali vari (in genere il cambiamento climatico ed energie verdi) che ricevono decine di milioni che i politici di cui sopra dirigono e che consentono di avere influenza
Ma questo denaro che arriva a Blair non viene semplicemente incassato e poi dichiarato come succede ai comuni mortali, sparisce in una serie di società con nomi e statuto legale da fantascienza
Clinton ha guadagnato da 100 a 200 milioni da quando non è più presidente e ha una rete di fondazioni, trust a suo nome impressionanti ma non come Al Gore che è partner di due fondi di investimenti che investono in energia verde dove il governo rovescia miliardi di sussidi, ma finora forse perchè la stampa inglese è più onesta non ho mai visto i dettagli come nel caso qui di Blair in cui trovi una serie di trust e partnership impenetrabili e che attraverso arrangiamenti bizzarri non pagano quasi tasse.
Sono meraviglie dell'ingegneria legale e contabile rivolta ad "ottimizzare" le tasse che il 99.9% dei contribuenti inglesi non arriva nemmeno a sognare perchè richiedono il lavoro di una dozzina di avvocati, commercialisti ed esperti ai massimi livelli.
Politici come Blair parte dell'ELITE FINANZIARIA GLOBALE, sono di casa nel mondo della finanza, delle banche e e delle multinazionli a livello personale, delle loro finanze personali, ma vengono comprati in modo elegante e legale.
La parte migliore per loro arriva dopo che non sono più ministri perchè allora vedono i milioni di sterline o di dolllari e i loro amici e protettori nella finanza, a cui hanno fatto indirettamente favori per anni, ricambiano mettendo a loro disposizione le strutture e scatole legali impenetrabili e a prova di tasse che hanno per i loro clienti miliardari e che garantiscono che il popolo bue non noti nemmeno che diventano ricchi.