Eurobond e fondo salva Stati, la Germania dice ancora no
di Ivo Caizzi - Il Corriere della Sera - 7 Dicembre 2010
Proposta Tremonti-Juncker all'Eurogruppo. Rehn: interessante ma difficile
Il no della Germania a nuovi esborsi comuni ha provocato un Eurogruppo dei ministri finanziari «senza decisioni» sugli sviluppi della strategia anticrisi, da adottare qualora servissero nuovi aiuti finanziari agli Stati dopo quelli concessi alla Grecia e all'Irlanda.La cancelliera tedesca Angela Merkel ha respinto la proposta di emettere eurobond per affrontare i problemi di debito sovrano nell'Eurozona prima della riunione serale a Bruxelles, che doveva discutere anche l'aumento della dotazione di 750 miliardi di euro del meccanismo di salvataggio degli Stati, destinato a diventare un fondo stabile dal 2013.
Il presidente dell'Eurogruppo, il premier lussemburghese Jean-Claude Juncker, e il ministro dell'Economia Giulio Tremonti avevano promosso la linea a favore delle emissioni comuni firmando un articolo sul Financial Times di ieri.
Sollecitavano una Agenzia europea del debito, da varare nel Consiglio dei capi di Stato e di governo la settimana prossima a Bruxelles e che dovrebbe progressivamente emettere titoli fino al 40% del Pil dell'Ue e dei singoli Stati «contribuendo alla prevenzione di future crisi» e ribadendo «l'irreversibilità dell'euro».
Juncker, interpellato sul no tedesco agli eurobond, ha opposto un ironico «l'idea non è così stupida come sembra».
Ha aggiunto che nel 2005, quando propose il recentemente approvato Semestre europeo, nessuno ci credeva. L'obiettivo suo e di Tremonti sarebbe far discutere la proposta al prossimo Consiglio europeo, in modo da far mettere sotto pressione la cancelliera tedesca, contraria sia agli eurobond, sia all'aumento del fondo di salvataggio perché non vuole pagare per gli Stati membri meno virtuosi. La Merkel ha sostenuto che i Trattati Ue «non permettono gli eurobond».
A Berlino difendono i loro titoli di Stato bund, che consentono alla Germania di indebitarsi a bassissimo costo perché utilizzati come rifugio dagli investitori preoccupati dall'instabilità dei mercati.
Una minima apertura è arrivata dal ministro tedesco delle Finanze Wolfgang Schäuble. Consensi sarebbero stati espressi da altri ministri finanziari e si aggiungono alle pressioni dei partiti di centrosinistra dell'Europarlamento, da tempo favorevoli agli eurobond anche per lanciare piani infrastrutturali in grado di rilanciare la crescita e l'occupazione.
Il commissario Ue per gli Affari economici, il finlandese Olli Rehn, li considera «un'idea intellettualmente interessante», ma ha ricordato che una proposta simile della Commissione è stata rigettata dai governi.
La Merkel resta negativa anche sul potenziamento del meccanismo di salvataggio non vedendo «alcuna necessità di aumentare il fondo». A favore si sono espressi la Bce, il direttore del Fmi Dominique Strass Kahn, che ha partecipato all'Eurogruppo, e in parte il ministro delle Finanze belga Didier Reynder, presidente di turno dell'Ecofin.
Europa, lavoro incompiuto
di Giuliano Longo - Altrenotizie - 7 Dicembre 2010
A pochi giorni dall’approvazione del bailout per rimettere in condizioni quantomeno decenti la disastrata situazione economica irlandese, continuano a serpeggiare sospetti e dubbi sullo stato di salute dei conti dei cosiddetti paesi deboli (che già tempo fa qualche analista burlone ebbe l’idea di riunire sotto l’acronimo PIGS).
Dall’inizio della settimana, abbiamo visto come l’ottimismo a giorni alterni del Commissario Europeo agli affari economici e monetari Olli Rehn ha fatto segnare un picco negativo, con l’invito al rigore fatto all’Italia per quanto riguarda la solidità dei conti statali.
Nel mentre, si continuano ad allargare i timori sul fronte iberico, dal quale Zapatero continua quasi istericamente a sottolineare (millantare?) la solidità dell’economia del proprio paese, per concludere poi con un invito ad una politica economica più integrata da parte dell’Unione, al fine di evitare la caduta in questi pozzi neri economici e finanziari di un numero probabilmente crescente di paesi.
Se quest’ultima può sembrare la tipica ovvietà che avviene in regimi di divisione delle competenze, dove si domanda sempre l’intervento - se non l’aiuto - di un qualche ente superiore per rimediare ad errori non propri, basta andare anche un minimo a fondo nei fatti per vedere come sia proprio il deficit sia normativo che di applicazione delle norme esistenti a peggiorare le situazioni causate da shock sia interni che esterni al sistema economico comunitario.
Quello che sembra mancare, in effetti, all’Europa economica (e anche politica…ed anche sociale, ma per il momento conteniamoci), sembra essere proprio una capacità di amministrazione degna di questo nome, dove i ruoli sono ben definiti e soprattutto vengono seguite linee di pensiero e comportamentali coerenti: il sistema defìcita più che gravemente di una vera leadership istituzionalizzata e continua ad essere appesantito da un sistema normativo obsoleto, poco flessibile ed eccessivamente tarato su di un rigore che rispecchiava equilibri economici e geopolitici ormai non più realistici.
Il primo problema, visto a partire dalla recente crisi greca (in teoria anche da prima, ma limitiamoci a situazioni recenti), è quello della mancanza di consapevolezza dei leader e delle istituzioni europee riguardo semplicemente quello che sta loro attorno: un tracollo come quello greco, costruito sulla base di anni di pessima gestione interna, doveva essere previsto dagli organi sovranazionali della comunità, o almeno tamponato in tempo.
Prima di attivare i “soccorsi”, i paesi “importanti” dell’Unione, Germania in primis, sono riusciti a perdere il più tempo possibile per rendere più gravoso il riaggiustamento della situazione: il loro impegno tardivo ha poi drenato talmente tanto le loro attenzioni portandoli, tramite una sorta di ridicola quanto pesante cataratta istituzionale, a non vedere per tempo il disastro che si stava perpetrando in Irlanda da due anni a questa parte.
Tutto questo proprio mentre, durante un momento difficile che influenzava il valore della moneta unica, la “cancelliera” tedesca si dilettava nel parlare del definitivo crollo del sistema euro, favorendo il terrore nei mercati, l’instabilità generale e le risate grasse di americani, britannici e nostalgici del vecchio conio.
E questo apre il secondo punto: una grande entità politico-economico come l’Unione Europea può ancora permettersi di parlare a più voci, quando anche il meno smaliziato - per non dire il più deficiente - degli operatori sa che in un ambito delicato come quello economico internazionale anche un rumor messo lì per errore o per provocazione può innescare reazioni a catena dalle conseguenze imprevedibili?
Ovviamente no, ma continuerà a farlo. In una situazione di crisi come quella attuale - ma beninteso, anche in momenti di “bonaccia” - ci si dovrebbe muovere verbalmente con i piedi di piombo, mentre invece ci limitiamo ad un insieme di grida nel vuoto provenienti dai livelli più disparati: gli stessi funzionari comunitari cambiano idea ogni due giorni, riuscendo sempre a dire il contrario di quello che verrà fuori dalla bocca del direttivo della BCE.
Terzo ordine di problemi, quelli dell’euro: ad ormai otto anni dalla sua entrata in vigore ufficiale, la moneta unica continua a mostrare segni di cattiva salute nonostante un valore nominale elevato.
L’aspetto che vogliamo prendere in considerazione è quello della legittimazione di tale moneta: va notato come gli stessi leader europei sembrino non più convinti della forza - se non anche del bisogno dell’esistenza - dell’euro, visto il loro atteggiamento durante la recente crisi.
Infine, va riaperto il problema delle fondamenta economiche dell’Unione, quelle che poggiano sul recentemente ridiscusso Patto di Stabilità e Crescita e che fanno di questa grande entità sovranazionale un’istituzione a metà: ci sono ambiti in cui il lungo braccio comunitario è fin troppo lungo e rigido, mentre altri non sono minimamente toccati.
Inoltre, far girare gli ingranaggi della regolamentazione anche dove possibile è orribilmente macchinoso, con i soliti paesi influenti che regolano la responsività delle istituzioni solo sulla base dei propri interessi: tutto ciò senza dimenticare che gli stessi “grandi regolatori” - Francia e Germania in primis - non hanno un curriculum esattamente immacolato riguardo al rispetto delle disposizioni comunitarie.
Se dunque è ormai comprovato che dal punto di vista sociale e politico l’Europa è alquanto arenata, sta diventando chiaro anche come dal punto di vista economico, vecchio propulsore dell’integrazione europea, i problemi abbondino: il mix letale di governance casuale, mancanza di leadership e di convinzione nelle potenzialità e nei pilastri comunitari, generica incompetenza tecnica ed abuso di anglicismi e parole inventate (peggio che in questo articolo) renderà senza dubbio poco roseo il future della “Unione”.
Di certo, non sarà facile regredire (ancora) o ottenere inquietanti debacle come i peggiori detrattori - anche interni - si augurano, ma un’Unione Europea che non sa gestire i propri né sa costruire e far sviluppare le proprie stesse istituzioni non ha e non potrà avere un ruolo da attore protagonista sulla scacchiera economica del domani. E nemmeno del week-end.
Se l'euro va verso l'estinzione, che fine fa il dollaro?
Gonzalo Lira - http://gonzalolira.blogspot.com - 30 Novembre 2010
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di Micaela Marri
L’Eurozona sta per crollare – chiunque dica il contrario viene lapidato, lavora a Bruxelles, oppure non ha controllato il mercato obbligazionario europeo di recente: si sta scatenando l’inferno lì.
E se, come ho sostenuto qui , il Parlamento Irlandese decidesse di non approvare il piano di austerity il prossimo 7 dicembre – ossia, se decidesse di non accettare il salvataggio della Banca Centrale Europea – allora si scatenerà l’inferno in Europa giusto in tempo per il Natale: Satana e Babbo Natale potrebbero scontrarsi sulla Rue Belliard prima della fine dell’anno.
Perciò gli “smart money” incominciano a pensare a quello che succederà dopo che ci sarà stato il picco della crisi dell’euro.
In altri termini, cosa succederà al dollaro, una volta che l’euro si sarà estinto.
Per prima cosa, dobbiamo capire come siamo arrivati a questo punto, per prevedere quello che succederà dopo.
Le Repubbliche delle Banane d’Europa
Negli anni ’70 e ’80, varie repubbliche latino americane hanno stupidamente ancorato la loro valuta al dollaro Americano.
È andato a meraviglia – all’inizio. Dapprincipio, questi “pesci piccoli” hanno tratto vantaggio dal tasso di cambio valuta fisso per indebitarsi in dollari, e per darsi alle spese alla grande.
È tutto finito in lacrime, naturalmente, quando è arrivato il conto. Il Cile, l’Argentina, il Peru, l’Uruguay, tutti, in vari periodi, hanno avuto la propria valuta ancorata al dollaro. E in ciascuna di queste situazioni, una volta che il legame valutario è diventato insostenibile, le loro economie sono crollate.
E questo è esattamente ciò che hanno fatto le economie più piccole dell’Europa. Come ho scritto ad aprile , se si pensa all’euro come semplicemente ad un legame valutario molto complesso, allora la crisi di solvibilità cui stiamo assistendo in Europa è stata inevitabile.
Proprio come le repubbliche delle banane in America Latina, i paesi PIIGS dell’Europa si sono indebitati fino al punto dell’insolvibilità.
Cosa stanno facendo gli Europei? Cercano di salvare gli arti cancrenosi al posto del paziente.
Quando le economie latino americane e i loro obbligazionisti hanno capito – con le brutte maniere – che il loro legame valutario con il dollaro era insostenibile, questi paesi hanno svalutato la loro moneta locale ed hanno iniziato a ricostruire la loro economia.
E gli obbligazionisti? Ossia, quella gente sciocca abbastanza dare prestiti ai paesi che avevano ancorato la loro valuta al dollaro? Se gli è andata bene, hanno scontato il valore di mercato delle obbligazioni. Altrimenti, se ne sono tornati a casa con un ciambellone grande e grosso – un enorme zero.
Cosa ha fatto la BCE in merito al fallimento delle economie dell’eurozona della Grecia e dell’Irlanda? Ha cercato di sostenerle con i salvataggi – ma mantenendo tali economie legate all’euro.
Cosa sono i salvataggi? Beh, sono prestiti. In altre parole, questi euro-imbecilli stanno prestando denaro a queste economie fragili per consentire loro di ripagare gli altri prestiti che hanno contratto.
Gli euro-parassiti di Bruxelles non permettono alla Grecia e all’Irlanda di essere inadempienti e una ristrutturazione: insistono al contrario sul salvarli e sull’imporre misure di austerity, senza costringere gli obbligazionisti a fare sconti sul valore di mercato delle obbligazioni.
Pertanto, mentre le economie della Grecia e dell’Irlanda continuano a deteriorare, hanno una valuta oltremodo forte per la loro economia, e sono costrette a pagare 100c sull’euro, su prestiti che non possono realisticamente ripagare.
Gli effetti sono ovvi:
Già il salvataggio della Grecia della scorsa primavera – che doveva essere ripagato nel 2014 e nel 2015 – è stato prolungato al 2017. E gli osservatori casuali della situazione irlandese si rendono conto che, con un salvataggio che costa 85 bilioni di euro al 5,8% di interesse, non c’è modo che l’Irlanda sia mai in grado di uscire dal debito. La Grecia e l’Irlanda saranno schiave del debito per sempre, persino quando il peso schiacciante dell’euro distruggerà le loro economie.
Nel frattempo i mercati obbligazionari hanno compreso che i salvataggi della Grecia e dell’Irlanda stanno solo procrastinando il problema – i burocrati a Bruxelles stanno semplicemente dando alla Grecia e all’Irlanda più prestiti per saldare vecchi debiti. Quindi i mercati obbligazionari stanno semplicemente saltando al prossimo punto di crisi a venire:
la Spagna.
Come ho sostenuto qui (trad.italiana), la Spagna rappresenta il campo di battaglia dove l’Eurozona potrà sopravvivere come una partnership molto più ristretta di stati membri, oppure dove l’Euro sarà letteralmente distrutto — possibilmente insieme all’Unione Europea.
Allora cosa succederebbe all’euro?
Ci sono due possibilità:
La prima, è che gli euro-testa-di-merda di Bruxelles cercheranno di fare in Spagna quello che hanno già fatto con così straordinaria incompetenza in Grecia e in Irlanda – sorreggere il debito sovrano con ulteriori prestiti.
I mercati obbligazionari – proprio come nel caso della Grecia e dell’Irlanda – capiscono che questo è futile, o nella migliore delle ipotesi un palliativo, e pertanto vanno alla prossima economia debole nella lista: l’Italia.
Proprio come hanno fallito la Grecia e l’Irlanda, cade la Grecia, cade l’Italia, finché i mercati obbligazionari decidono per la Francia – membro finale dell’eurozona. Le obbligazioni francesi vengono attaccate, la Germania si ritira del tutto –
- in breve, un gran caos, con l’euro moribondo abbandonato a lato della strada e tutti i paesi che ritornano alle loro valute originarie, ma con tassi d’interesse a doppi zeri, mentre il mercato obbligazionario europeo viene cancellato.
Questo è il peggiore scenario.
La seconda possibilità – la possibilità che avrebbe dovuto essere attuata nel caso della Grecia, e che credo gli eurocrati attueranno quando sarà la volta del disastro di Spagna e Italia – è di far uscire gli stati dall’eurozona.
Questa è la cosa sensata da fare. Credo anche quella più probabile: le economie deboli e insolventi – la Grecia, l’Irlanda, il Portogallo, la Spagna, l’Italia, il Belgio – vengono eliminate dall’eurozona e ritornano alle loro valute locali, con la ristrutturazione del loro debito.
Per come la vedo io, far uscire le economie più deboli è l’unico modo per curare questa cancrena valutaria che sta uccidendo l’intera eurozona. Per fermare la cancrena, la devi aspirare e amputare l’arto. Per fermare quello che sta succedendo nell’eurozona? Stessa cosa.
Se si permette alla cancrena di diffondersi – se l’EU e la BCE insistono sui salvataggi per tutte le economie dell’eurozona, mentre insistono che rimangano tutte nell’euro e ripaghino 100c sull’euro – allora l’unione monetaria europea non ha speranze, come pure l’Unione Europea stessa.
Pertanto le nazioni deboli e insolventi dovranno essere espulse dall’eurozona, per salvare le economie più forti e fiorenti.
Ci sono svariati stati nell’Unione Europea che hanno una propria valuta, diversa dall’euro – tagliare fuori le economie che sono ovviamente lese dall’euro è la cosa razionale da fare.
Ma del resto, con quegli euro fessi di Bruxelles non si sa mai.
Che ne sarà del dollaro?
Bisogna capire una cosa dell’eurozona, prima di poterne capire qualunque altra: che è grande.
Certamente, l’eurozona è più piccola della zona del dollaro – ma non di molto: il suo PIL nel 2009 è stato di €8,5 trilioni di euro ($11 trilioni di dollari), approssimativamente il 78% del PIL degli Stati Uniti.
I PIL combinati degli [stati] “PIIGS” + quello del Belgio nel 2009 sono stati di circa €2,5 trilioni di euro – perciò se venissero buttati fuori, la ridotta eurozona rimarrebbe con un [PIL] molto rispettabile di €6 trilioni di euro.
Qualunque grande mossa sull’euro avrebbe un impatto massiccio sul resto dell’economia mondiale, Stati Uniti e dollaro compresi – e non lasciatevi dire il contrario da nessuno.
Perciò – sia che si verifichi (nel peggior caso) un completo crollo dell’euro, oppure (nel miglior caso) un’espulsione ordinata delle economie deboli e insolventi dall’eurozona – i grandi vincitori saranno i metalli preziosi, i prodotti (industriali, agricoli e il petrolio), il franco svizzero, la sterlina inglese, le obbligazioni di stato britanniche, il dollaro, e i buoni del tesoro USA. In questo preciso ordine.
Gli Europei hanno una storia che li guida: sanno che in tempi difficili i metalli preziosi sono il rifugio più sicuro. Per di più, molti di loro – giustamente - non hanno fiducia nei pazzi che dirigono la Federal Reserve: credono che QE e varie ripetizioni siano pazzesche.
Quindi fuggiranno dall’euro ai metalli preziosi. Anche i prodotti aumenteranno, per approssimativamente le stesse ragioni.
Il franco svizzero e specialmente la sterlina inglese aumenteranno – di molto – con un terremoto dell’euro. Gli Svizzeri sono un tradizionale porto sicuro – ma i Britannici sotto Cameron stanno vincendo i kudos per le loro misure di austerity.
Indipendentemente dal fatto che si creda o meno che siano mezze misure, c’è la percezione in Europa che il Regno Unito sia fermamente sull’Austerity di Sua Maestà: questo rende la sterlina molto allettante per gli Europei.
Molto più del dollaro americano: anche il dollaro salirà con il crollo dell’euro, ma non perché è così allettante – non lo è. Come ho detto, gli Europei non hanno fiducia nei pazzi dell’Eccles Building.
Ma se tutti usciranno dall’euro, inevitabilmente una parte di loro andrà al dollaro, anche se solo come protezione dalle mosse improvvise del franco e della sterlina. Lo stesso vale per i buoni del tesoro americani. I loro redditi assurdi diventeranno ancora più assurdi – ma i buoni del tesoro saranno una classe di asset di ultima risorsa per il capitale europeo che fugge dall’euro.
Quindi indipendemente da come finirà l’euro – o con un totale crollo valutario, o con un esodo degli stati membri più deboli e insolventi – il dollaro si rafforzerà in qualche modo, ma sarà niente a confronto con la sterlina inglese e il franco svizzero.
E il dollaro si indebolirà – sostanzialmente – contro i metalli preziosi o i prodotti di tutte le classi, quando crollerà l’euro.
Come molti di voi sanno, sono un teorico dell’iperinflazione . [I’m a Hyperinflation Boy] Quindi su questo argomento, un crollo dell’euro – totale o parziale – accellererà l’arrivo dell’iperinflazione del dollaro.
Il motivo per cui lo credo è che anche se il dollaro si rafforzasse contro le altre maggiori valute, cadrebbe contro i metalli preziosi e prodotti , sia industriali che agricoli, compreso il petrolio.
L’aumento del prezzo di tutti i prodotti per effetto degli Europei che usciranno dal fallimento della loro valuta, metterà pressione sul dollaro, che spingerà l’economia americana ancora di più nella direzione verso cui sta già andando.
Quindi un crollo dell’euro non è una buona notizia per il dollaro – al contrario: accellererà la caduta del dollaro stesso.
Domande ingenue per Trichet
di Alberto Montero Soler - www.rebelion.org - 2 Dicembre 2010
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di Niki
Il governatore della Banca Centrale Europea ha appena scoperto l'acqua calda: nella sua apparizione di martedì davanti alla Commissione per gli Affari Economici e Monetari del Parlamento Europeo ha dichiarato che l'Unione Monetaria è una federazione finanziaria e che per affrontare la crisi c'è bisogno di una quasi federazione anche per quanto riguarda i bilanci.
Non ha parlato però della necessità di una federazione anche per ciò a cui si riferisce la proprietà pubblica, cioè alla creazione di un’autentica Proprietà pubblica comune incaricata dell'emissione di debiti, della ridistribuzione dei redditi e dell'equiparazione delle condizioni produttive e di welfare nell'Unione Monetaria. Non in assoluto. Ciò sarebbe troppo per chi è così ancorato all'ortodossia monetarista.
La cosa sorprendente è che se Trichet avesse fatto queste dichiarazioni al Parlamento Europeo o all'assemblea dei condomini del mio palazzo, il risultato sarebbe stato lo stesso.
O forse Trichet ignora che, solo qualche giorno prima, la Commissione aveva bocciato la proposta del Parlamento Europeo di innalzare il budget comunitario fino al 6% dall'attuale 2,9% a cui si trova adesso e che pertanto l'Euro Parlamento dovrà prorogare il budget del 2010 anche all'anno entrante?
Trichet, non sa che fra i 27 stati dell'Unione Europea c'è un gruppo importante di cui a capo ci sono Regno Unito e Olanda che si nega a qualsiasi avance in materia di sovranità fiscale e di incremento del budget comunitario con depositi trasferiti dagli Stati?
Non è che io rifiuti la creazione di un budget comunitario. Al contrario, credo che sia l'unica via possibile se si vuole mantenere in piedi l'Unione Monetaria. Però esporre il tema al Parlamento Europeo proprio quando la sua proposta è stata appena seppellita dalla Commissione è come parlare della corda a casa dell'impiccato.
Prima di illustrare le soluzioni su ciò che sta succedendo, a volte Trichet dovrebbe dare l'esempio e cominciare con quelle che potrebbe apportare da casa sua, cioè la Banca Centrale Europea.
Non sarebbe male se cominciasse col convincere i membri della sua Commissione Esecutiva che il suo rifiuto di comprare l'enorme debito emesso dagli Stati membri quando, allo stesso tempo, non ha nessun tipo di problema a comprare tutti quelli delle banche europee, anche se molte di queste hanno quasi dei bond spazzatura, è un’autentica aberrazione che fomenta la speculazione contro i paesi che in questo momento presentano dei maggiori livelli di rischio.
Questo per non parlare del fatto che, con la sua politica ostinata, sta permettendo che siano le banche a risanare i propri bilanci a spese della speculazione contro gli stessi governi che si indebitarono fino al collo per riscattarle quando le cose iniziavano a peggiorare.
O ha qualche senso che la Banca Centrale Europea continui a prestare il denaro a queste banche all'1,75% mentre il reddito che queste ottengono speculando, per esempio, con il debito pubblico spagnolo a 10 anni supera già il 5% o il tipo di interessi che dovranno pagare gli irlandesi per i prestiti scomodi del piano di salvataggio supererà il 6%?
Chi, se non le banche e i loro fondi di investimenti e pensioni, sono i principali beneficiari di questa politica suicida della Banca Centrale Europea? Fino a quando Trichet continuerà ad esigere riforme in altri ambiti diversi da quello monetario e non si incaricherà dei problemi che derivano dal monetario?
Basterebbe annunciare che la Banca Europea cominciasse a comprare i debiti pubblici affinché tutta la speculazione delle operazioni brevi, che sono quelle che attualmente tengono i mercati in una situazione così vibrante, si calmassero.
Perché non lo fa? Buona domanda. E perché nessuno obbliga a farlo? Domanda ancora migliore. E noi cittadini cosa contiamo in tutto ciò? La domanda principale.
Traduzione di Andrea Carancini
L’Italia ha evitato finora in gran parte la crisi del debito che ha sommerso la Grecia e l’Irlanda, nonostante abbia il tasso di crescita più debole della regione, un enorme debito pubblico e una politica notoriamente instabile.
Tutto ciò sembra all’improvviso poter cambiare pericolosamente.
I governanti italiani hanno cercato martedì di rassicurare i mercati, perché è cresciuta la preoccupazione che la terza economia in ordine di grandezza dell’eurozona si stia impantanando nella pervasiva crisi del debito della regione, con conseguenze potenziali inimmaginabili.
Imperturbabili, gli investitori hanno spinto il differenziale tra il tasso di interesse dei titoli di stato italiani e quello - che funge da punto di riferimento – dei titoli tedeschi al massimo storico, poiché sono concentrati più sulle debolezze dell’Italia che sulla sua forza.
“Ora, sembra una crisi di liquidità nel mercato dei titoli di stato, che per l’Italia – con le sue enormi necessità di finanziamento – è critica”, dice l’analista di Citibank Giada Giani.
“I mercati stanno già dando per scontato che il Portogallo avrà bisogno di un pacchetto di salvataggio, e stanno prendendo di mira la Spagna e l’Italia. Ora solo l’ECB [la Banca Centrale Europea] può essere d’aiuto, comprando i titoli di stato.
L’analista di Unicredit Marco Valli ha detto che la situazione sta peggiorando ma che non è ancora fuori controllo. Anche lui chiede un intervento massiccio dell’ECB.
“Non ci dobbiamo abbattere, il rendimento dei titoli italiani a 10 anni è ancora sotto il 4.7%, che non è un problema in termini di costi di finanziamento”, ha detto.
L’Italia ha uno dei livelli di debito pubblico assoluto più alti dell’eurozona e assicurare le sue necessità di finanziamento per i prossimi tre anni costerà un’eccedenza di 800 miliardi di euro.
I fondi di salvataggio dell’Unione Europea, uniti al sostegno del Fondo Monetario Internazionale, possono arrivare a un totale di 750 miliardi di euro per le nazioni bisognose. La sostanziosa parte di 100 miliardi è stata già data all’Irlanda.
“È molto preoccupante, perché la Spagna è quasi troppo grande per essere salvata…mentre l’Italia è troppo grande per essere salvata”, ha detto Everett Brown, stratega dei titoli europei
presso IDEAglobal.
Per mesi, economisti e dirigenti hanno sostenuto che l’Italia, con i suoi fondamentali relativamente sani, dovrebbe essere immune dagli attacchi del mercato, eppure i mercati non sembrano ascoltare.
I punti di forza
A differenza di precedenti storie di successo di crescita elevata, come l’Irlanda e la Spagna, l’Italia, con tutti i suoi problemi, non sembra affatto differente da com’era prima della recessione del 2008 e del 2009.
Grazie ad una politica fiscale prudente le sue finanze pubbliche si sono indebolite molto meno della maggior parte dei paesi dell’eurozona, non ha sofferto nessun crollo immobiliare, e nessuna delle sue banche ha avuto bisogno di essere salvata con denaro pubblico.
Con circa il 118% del prodotto interno lordo, il debito pubblico italiano è il secondo più alto dell’eurozona, dopo la disastrata Grecia, ma è aumentato molto meno di quello dei suoi vicini e gode di proiezioni future più favorevoli.
“Gli sforzi di stabilizzazione richiesti all’Italia sono minori di quelli richiesti ad altri paesi”, ha detto martedì a Reuters Pier Carlo Padoan, l’economista capo dell’Organizzazione per la Cooperazione Economica e lo Sviluppo.
Anche le famiglie italiane e le ditte private sono meno indebitate rispetto alle loro omologhe di paesi come l’Irlanda e l’Inghilterra, dove le famiglie si sono pesantemente indebitate durante gli anni del boom.
Il debito aggregato delle famiglie e delle imprese in Italia è circa il 125% del prodotto interno lordo, rispetto al 210% della Spagna, al 240% del Portogallo e al 280% dell’Irlanda.
Con un basso debito ed elevati risparmi, la salute fina nziaria delle famiglie italiane vale il 200% del prodotto interno lordo, rispetto al 150% dell’Irlanda e della Spagna e a solo il 100% della Grecia.
Inoltre, solo circa il 50% del debito pubblico è detenuto da investitori stranieri, la proporzione più bassa dell’eurozona, che rende i titoli italiani meno vulnerabili agli improvvisi spostamenti di portafoglio degli investitori internazionali.
“È chiaro che in un momento di crisi le banche, le compagnie di assicurazione e i cittadini saranno più che disposti a fidarsi dell’Italia”, ha detto Luigi Speranza, di BNP Paribas.
L’Italia è anche molto meno in rosso dei suoi travagliati partner in fatto di flussi finanziari e commerciali. Il suo deficit di conto corrente è solo il 3% del prodotto interno lordo, rispetto ai deficit di circa il 10% della Spagna e del Portogallo.
Il deficit di bilancio annuale dell’Italia, a circa il 5% del prodotto interno lordo, è tra i più bassi dell’eurozona, grazie alla sua prudenza durante la recessione.
Ma tutto ciò potrebbe non bastare.
I punti deboli
I mercati sono ora decisamente concentrati sugli errori nell’eurozona e questi non hanno bisogno di essere gli stessi da un paese all’altro.
L’Italia è stata per più di un decennio una delle economie a più lenta crescita del mondo, una tendenza che si prevede continuerà nell’immediato futuro perché si è dimostrata incapace di aumentare la produttività o di varare cruciali riforme di stimolo alla crescita.
Il suo potenziale massimo, ovvero la crescita non inflazionistica, è ora valutato a solo circa l’1%. E se l’economia non cresce, il rapporto debito-prodotto interno lordo non diminuirà velocemente, se non altro.
La spesa nei consumi è cronicamente debole e gli analisti dicono che anche l’alto tasso dei risparmi delle famiglie riflette un insufficiente livello di benessere e una mancanza di fiducia nel sistema pensionistico.
Finora, i mercati hanno avuto un occhio benevolo verso questa economia stagnante, non competitiva e e gravata di debiti, con livelli di evasione fiscale secondi solo alla Grecia, esattamente come hanno ignorato finora la sua cronica instabilità politica.
Ma vi sono ora segni che stanno diventando meno indulgenti.
Il 14 Dicembre, il Primo Ministro Silvio Berlusconi affronterà in parlamento il voto di fiducia che potrebbe scatenare la caduta del suo governo conservatore a metà del suo mandato quinquennale.
Visto che anche l’opposizione di centro-sinistra è malmessa, la prospettiva di un governo forte e delle necessarie riforme economiche raramente è apparsa più debole.
Se cade il governo, i mercati guarderanno attentamente ogni segno di deviazione dalla stretta morsa imposta dal Ministro dell’Economia Giulio Tremonti.
E gli analisti dicono che il pericolo più grande per l’Italia potrebbe iniziare quando avrà finalmente luogo una ripresa stabile nell’area dell’euro.
“Non direi che l’Italia sarà colpita da un’accelerazione di vendite del mercato, ma solo quando i tassi d’interesse inizieranno a crescere”, ha detto Speranza di BNP Paribas.
“Quando la Banca Centrale inizierà ad aumentare i tassi il rendimento italiano potrebbe arrivare al 6%, spingendo i costi di pagamento del debito sempre più in alto e mettendo l’Italia nei guai”, ha detto. “Questo non succederà l’anno prossimo, ma potrebbe accadere l’anno successivo”.
Note:
[1] Traduzione di Andrea Carancini. Il testo originale è disponibile all’indirizzo: http://www.reuters.com/assets/print?aid=USTRE6AT3NA20101130
La crisi europea: informazioni e proposte
di Ida Magli - www.italianiliberi.it - 27 Novembre 2010
La gravissima situazione della crisi attuale non è soltanto monetaria. Dobbiamo convincerci, per quanto possa apparire incredibile, che la crisi monetaria è uno strumento, il più forte e il più appariscente, fra i molti che sono stati messi in atto, per raggiungere un solo scopo: eliminare dalla scena politica, economica, culturale del mondo, le Nazioni d’Europa, riducendole ad un angolo asfittico di sopravvivenza marginale.
I meccanismi, gli antefatti, i “segreti” di questa operazione si trovano ampiamente analizzati e spiegati nel mio libro “La dittatura europea”, pubblicato in questi giorni da Rizzoli (è il motivo per il quale sono stata assente in quest’ultimo periodo dal mio appuntamento con il sito degli Italiani Liberi e con la posta, ma spero che l’avrete compreso e perdonato) e al quale rinvio tutti i lettori in quanto si tratta effettivamente di un testo di assoluta denuncia e di un vero e proprio manifesto di battaglia, che ho temuto fino all’ultimo giorno che non sarebbe riuscito a vedere la luce.
Troverete lì, perciò, non soltanto il racconto di quanto io ho sperimentato di persona durante i lunghi anni della mia guerra contro l’unificazione europea, ma i nomi di tutti i traditori dell’Italia, da quelli dei politici a quelli dei banchieri, e infine anche la proposta per i governi dell’UE di abbandonare Maastricht prima che l’euro crolli del tutto.
Qui, però, voglio invitare i miei lettori a fare propria questa proposta con ogni mezzo che abbiano a disposizione, parlando, scrivendo, concretizzandola per l’Italia, senza aspettare le decisioni di nessun altro Stato.
Nazionalizzare la Banca d’Italia e simultaneamente creare la propria moneta (una specie di “italeuro”, se non si vuole tornare a chiamarla “lira”, ma sarebbe meglio tornare alla lira in quanto esiste tutt’ora il riferimento del rapporto di cambio, rapporto che naturalmente va calibrato sulla situazione odierna dal Ministro dell’Economia).
Riservare soltanto alla Borsa nazionale le emissioni dei Titoli di Stato e ai cittadini italiani il loro acquisto (sul modello attuato dalla Cina) così da impedire che se ne impadroniscano gli speculatori per provocarne il fallimento e che siano alla mercé delle agenzie di rating come sta avvenendo all’Irlanda, Grecia, Portogallo, ecc.
Gli Italiani certamente comprerebbero i titoli di Stato con maggior fiducia e a un interesse maggiore di quello odierno quasi inesistente, mentre è veramente vessatorio (ma non è il termine adeguato) quello che succede con i “prestiti” del Fondo europeo e mondiale per i quali è richiesto un interesse annuale superiore al 5%
Insomma, separare il destino economico dell’Italia da quello catastrofico degli Stati dell’UE, destino catastrofico che è stato voluto, programmato, perseguito e che alcune persone (non soltanto Ida Magli) ben più competenti, soprattutto a “sinistra”, avevano previsto fin dall’inizio della ventilata moneta unica.
Il Direttore di Limes, per esempio, Lucio Caracciolo, titolava pochi mesi fa la sua rivista: ; “Dove va la moneta senza Stato?”; ma la sua voce era rimasta inascoltata già da quando, prima della fabbricazione dell’euro, pubblicava il suo polemico “Euro no”.
Io, però, vado molto al di là dei supposti errori di valutazione e so con assoluta certezza, così come ho dimostrato nella “Dittatura europea”, che lo scopo era proprio questo: il fallimento, in tutti i campi, dell’Europa, anche se la maggioranza dei cittadini ovviamente non poteva neanche minimamente immaginarlo.
Quindi bisogna ritirarsi subito anche da tutti gli altri provvedimenti di Maastricht, che sono tanto disfunzionali da far supporre che siano stati inventati da persone in preda ad accessi di follia.
Le “quote”, tanto per fare un solo esempio, in base alle quali noi buttiamo il latte e la frutta che poi dobbiamo acquistare da altri, e altri Stati, per stare nelle quote, ributtano in mare quasi tutto il pesce che hanno pescato, e così via, mentre ci sono popoli che muoiono di fame.
Ristabilire i dazi e le dogane per le merci che ci portano danno, come si è sempre fatto in base alla saggezza di secoli e secoli di scambi commerciali. Che senso ha correre dietro di negozio in negozio o da magazzino in magazzino agli articoli contraffatti o pericolosi della Cina, invece che bloccarli prima che entrino?
Ritirarsi immediatamente dal trattato di Schengen, ripristinando i confini che ogni Stato sovrano deve possedere se vuole essere sovrano, e impedire così l’invasione immigratoria e i danni e le spese assurde che questa comporta.
Insomma: rientrare in se stessi, nel buon senso, nella ragionevolezza, convincendosi che nella costruzione dell’UE siamo stati governati da due gruppi di persone: i pochi che guidano il mondo e che perseguono la nostra fine elaborando le leggi apposite, e una maggioranza che ha obbedito a ordini “folli” senza accorgersi che erano folli.
Se vogliamo avere qualche piccola speranza di salvezza, dobbiamo rinsavire subito, cosa che forse aiuterà anche gli altri popoli a salvarsi.
Purtroppo non c’è nessun Partito in Italia che abbia mosso neanche un’obiezione (salvo nei primissimi tempi la Lega) ai programmi dell’unificazione europea, quindi dai politici non possiamo aspettarci che facciano nulla se non vi sono costretti.
Bisogna trovare un modo per pretendere con forza, con rumore, perlomeno la cosa più urgente: ritirarsi dall’euro. Non so chi organizzi le proteste contro la riforma dell’Università, questione di nessunissima importanza in confronto a ciò di cui stiamo parlando, però bisognerebbe riuscire a fare qualcosa del genere. Chiunque sia in grado di farlo, lo faccia.