giovedì 16 dicembre 2010

Kosovo: traffici a go-go

Un aggiornamento sulla situazione in Kosovo, a 4 giorni dalle elezioni legislative vinte dal partito del premier Hashim Thaci. Un vero e proprio criminale a 360 gradi.


Kosovo: lo scontro USA-Russia in un’Europa imbelle
di Stefano Vernole - www.eurasia-rivista.org - 15 Dicembre 2010

Alla fine degli anni 90 il primo ministro del Kosovo Hashim Thaci era capo di un gruppo criminale in stile mafioso coinvolto in omicidi, pestaggi, traffico di organi e altri reati”: lo dice un rapporto all’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa diffuso oggi.

Un’accusa immediatamente smentita dal governo kosovaro, che ha definito il documento diffamatorio e ha minacciato querela.

Il rapporto, ancora in bozza, che giunge all’indomani della proclamazione da parte della Commissione elettorale del Kosovo della vittoria del partito di Thaci nelle prime elezioni da quando è stata proclamata l’indipendenza, accusa le potenze occidentali di complicità per aver ignorato reati che risalgono ai tardi anni 90.

Thaci e gli altri membri del “Gruppo di Drenica” (la Valle dove avvennero i maggiori scontri tra polizia serba ed UCK, reclamizzati invece dall’Occidente come “pulizia etnica del regime di Milosevic” …) sono consistentemente indicati come “attori chiave” nei rapporti di intelligence sulle organizzazioni criminali simil-mafiose kosovare.

Abbiamo scoperto che il Gruppo di Drenica aveva come capo o, per usare la terminologia delle reti di crimine organizzato, il suo boss, il celebre politico e forse la più riconosciuta personalità a livello internazionale dell’Uck, Hashim Thaci” è scritto sul rapporto europeo, che il governo del Kosovo, ovviamente, giudica senza fondamenta e diffamatorio.

“Il governo del Kosovo e il primo ministro Hashim Thaci faranno tutti i passi necessari… per respingere le ingiurie di Dick Marty, tra cui mezzi legali e politici”, dice un comunicato dell’esecutivo kosovaro (Dick Marty è il relatore speciale sugli affari legali e i diritti umani del Consiglio d’Europa, che ha elaborato il rapporto).

Ma non solo: “la Ue e’ preoccupata per le denunce di frodi elettorali in Kosovo, ma ricorda che spetta alle competenti autorità nazionali indagare e dare risposte” …

Spetta cioè alle stesse autorità nazionali che il rapporto europeo descrive come “mafiose e criminali”.

Lo ha sottolineato, infatti, la portavoce dell’Alto rappresentante della politica estera della Ue Catherine Ashton, interpellata sulle accuse di ”frodi massicce” che secondo l’opposizione

invaliderebbero parte dei risultati delle elezioni di domenica scorsa in Kosovo.

Se si tratta di una mossa implicita a guadagnare terreno nel fantomatico scontro tra Unione Europea e Stati Uniti per il controllo del Kosovo dubitiamo che funzionerà, visto il ferreo controllo militare (NATO + Camp Bondsteel) e politico (Eulex + ex UCK) che Washington esercita sulla provincia serba, ma potrebbe indirettamente favorire l’azione d’inserimento della Russia che supplisce alle carenze del Governo occidentalista di Belgrado svolgendo azione diplomatica a favore dei Serbi del Nord del Kosovo, dell’ex Vescovo Artemije e perfino della Republika Srpska.

Secondo i risultati preliminari del voto di domenica, che diverranno definitivi solo dopo l’esame dei ricorsi su presunti brogli e irregolarità, il Pdk del premier Hashim Thaci ha ottenuto il 33,5% dei voti, dieci punti in più della Lega democratica del Kosovo (Ldk) del sindaco di Pristina Isa

Mustafa, alla quale e’ andato il 23,6% dei consensi.

Nella nottata tra domenica e lunedì a Pristina ci sono anche stati scontri tra le opposte fazioni.

I casi più sospetti hanno avuto luogo nella circoscrizione dove domina incontrastato il clan del premier uscente.

Lì, a fronte di una partecipazione media al voto del 47,5%, risulta aver votato il 90% degli aventi diritto.

Al terzo posto con il 12,2%, la nuova formazione “Autodeterminazione” del giovane ultranazionalista Albin Kurti, che al primo punto del suo programma elettorale ha la creazione della “Grande Albania”.

Un’ipotesi che fa tremare le vene ai polsi alla comunità internazionale ma non a quanti, specie alla CIA, lavorano per una nuova destabilizzazione dei Balcani.

Alle sue spalle l’Alleanza per il Kosovo (10,8%) dell’ex primo ministro Ramush Haradinaj, attualmente sotto processo al Tribunale internazionale dell’Aja per i crimini di guerra nella ex Jugoslavia (processo riaperto dopo un’assoluzione che scatenò furenti polemiche).

In Parlamento entra, con il 7,1% dei voti, anche il partito del discusso magnate Bexet Pacolli.

Aria tesa anche tra le formazioni politiche dei serbo kosovari.

La minoranza (che in base alla Costituzione avrà diritto a 10 seggi su 120 in Parlamento) nel nord del Kosovo ha seguito l’invito di Belgrado e non è andata a votare.

Quelli al sud del fiume Ibar invece lo hanno parzialmente fatto, ma ora i due principali partiti si accusano vicendevolmente di brogli.

La partecipazione al voto dei serbi ha irritato non poco Belgrado anche se il sottosegretario al Kosovo Oliver Ivanovic ha minimizzato affermando che «solo 15mila serbi su 140mila aventi diritto si sono recati alle urne».

E’ stata, infatti, solo del 47,8% l’affluenza alle elezioni politiche anticipate in Kosovo, gli aventi diritto al voto erano un milione e 600 mila, ma nel nord a maggioranza serba il boicottaggio e’ stato pressoché totale .

Alcuni seggi mobili allestiti per le elezioni legislative sono stati attaccati nel nord del Kosovo e una quarantina di serbi hanno aggredito il personale in servizio a un seggio mobile allestito a Leposavic, dove due persone sono state arrestate.

Nel villaggio vicino, sempre secondo la stessa fonte (cioè la polizia kosovara), é stato attaccato un altro seggio mobile, mentre a Strpce, enclave serba nell’est del Kosovo é stato aggredito un osservatore in servizio ad un seggio elettorale.

In quest’ultimo episodio cinque persone sono state arrestate.

Mentre sconosciuti hanno attaccato a Zubin Potok, nel nord del Kosovo, l’ufficio di una ong danese.

Secondo fonti diplomatiche, sono stati sparati 25 colpi di arma automatica, che non hanno provocato feriti, ma solo danni materiali all’edificio.

Sui muri sono state lasciate scritte di minaccia contro la forza della Nato Kfor, la missione civile Eulex e la polizia kosovara e sono stati lanciati anche volantini con le stesse minacce.

Secondo la polizia ad attaccare la ong danese sarebbero stati estremisti serbi contrari alle elezioni legislative.

A causa di questo incidente i seggi elettorali nella cittadina kosovara erano stati aperti con un paio d’ore di ritardo, alle 9,00 invece che alle 7,00.

A Prizren, città nel sud del Kosovo, sono state date alle fiamme tre auto nella nottata e si suppone che si tratti di vendette fra partiti locali.

I serbi di Gracanica, l’enclave a una quindicina di km. dalla capitale Pristina, hanno creduto invece nell’ utilità della loro partecipazione alle elezioni, ritenendo che solo così si può partecipare concretamente alla vita pubblica e al governo locale, creando al tempo stesso i presupposti per migliorare le condizioni di vita della gente comune.

Se andiamo a votare possiamo influenzare non solo il nostro governo ma anche la comunità internazionale’”, aveva affermato il sindaco di Gracanica Bojan Stojanovic, che si era detto per questo ottimista sull’ affluenza alle urne (e dimenticando forse gli assalti degli estremisti albanesi ai serbi che avevano assistito poche settimane fa, a Gracanica e a Pec, all’insediamento del Patriarca Irenej).

Il sindaco aveva criticato senza mezzi termini gli altri serbi più radicali e intransigenti del nord del Kosovo, che hanno invitato a boicottare le urne e che lui definisce significativamenteturbo-patrioti”.

La televisione pubblica kosovara RTK ha successivamente mostrato un filmato a dimostrazione dei brogli verificatisi domenica scorsa in un seggio elettorale di Drenas, nel centro del Kosovo.

Nel filmato, girato da un osservatore diVetevendosije (Autodeterminazione), si vede la stessa persona apporre su varie schede elettorali la crocetta sul simbolo del Pdk, il Partito democratico del Kosovo del premier Hashim Thaci.

Vetevendosije, ha riferito la tv, ha depositato all’ apposita commissione per i ricorsi tutto il materiale e gli elementi a dimostrazione dei brogli e delle irregolarità verificatesi a Drenas.

Shukri Suleimani, presidente della commissione per i ricorsi, ha confermato alla tv che sono stati depositati finora 171 ricorsi, la gran parte dei quali riguarda irregolarità nelle municipalità di Drenas e Skenderaj.

A denunciare irregolarità e brogli a favore del Pdk di Thaci sono stati i rappresentanti di varie forze politiche e preoccupazione per questo hanno espresso le delegazioni di osservatori sia dell’Europarlamento che della rete europea di monitoraggio “Enemo”.

Sono poi scoppiati scontri nel centro di Pristina fra sostenitori del Partito democratico del Kosovo (Pdk) del premier uscente Hashim Thaci e della Lega democratica del Kosovo (Ldk) del sindaco della capitale Isa Mustafa.

Per separare i contendenti – i sostenitori di Thaci hanno bruciato i poster elettorali dell’Ldk – e’ intervenuta in forze la polizia, che ha bloccato diverse strade del centro città.

I simpatizzanti del Pdk avevano festeggiato la vittoria con caroselli di auto a clacson spiegati, sventolio di bandiere e lo scoppio di petardi.

In serata il leader dell’Ldk Isa Mustafa aveva contestato il successo del Pdk, e i suoi sostenitori erano scesi a loro volta in strada per celebrare la vittoria.

Questa la cronaca dell’ultimo esempio di “nation building” voluto dalle “democrazie” atlantiche.

Intanto, però, povertà e corruzione continuano a condizionare in negativo lo sviluppo del Kosovo, frenando il suo cammino verso l’integrazione europea.

Secondo la Banca mondiale, “il piccolo paese balcanico e’ tra i più poveri d’Europa, con una disoccupazione al 47%, stipendi bassissimi per professori e medici, pensioni miserabili, e con la gran parte della popolazione che vive con 0,93 euro al giorno.

L’economia del Kosovo resta largamente dipendente dagli aiuti dell’Occidente e dei grandi Istituti finanziari internazionali, in primo luogo Fondo monetario internazionale (Fmi) e Banca mondiale.

La corruzione dilagante e la diffusa criminalità, unite al persistere di una marcata instabilità nel nord del paese – dove più aspra e’ la contrapposizione etnica tra la maggioranza di popolazione serba e la componente kosovara albanese – frenano gli investimenti stranieri, ritenuti determinanti per alleviare la povertà, elevare il livello di vita e accelerare l’integrazione europea del Kosovo.”

Dall’arrivo nel paese della missione europea Eulex si e’ intensificata la lotta alla corruzione, che ha investito le sfere più alte del potere.

Lo scorso ottobre il governatore della Banca centrale é stato destituito dopo il suo arresto e un periodo di detenzione con accuse di corruzione; analoghe accuse hanno riguardato il ministro delle telecomunicazioni e altri funzionari in vista del governo di Pristina.

Sei persone sono state arrestate, poche settimane fa, in relazione al traffico di organi ai danni dei serbi rapiti subito dopo la fine della guerra del 1999 (ma qualcuno fu rapito anche nel 1998, prima dello scoppio delle ostilità).

In un sondaggio effettuato dall’Istituto demografico del Kosovo (Kdi), il 73% degli intervistati ha detto di ritenere che il livello di corruzione dal 2007 é aumentato e solo l’8% pensa che esso si sia ridotto.

Partiti, parlamento e apparato giudiziario sono gli organismi ritenuti più corrotti, mentre ong, ambienti religiosi, polizia e forze armate vengono considerati i settori meno interessati dalla corruzione.

Dal sondaggio é emerso che per il 61% degli intervistati le misure anticorruzione del governo non hanno avuto alcun effetto, rispetto a un 32% che pensa invece il contrario.

Ma ciò che inquieta più di tutto è quanto potrà accadere nella prossima primavera.

Gli americani sono preoccupati per una possibile spartizione del Kosovo a causa della debolezza e dell’ indecisione dell’Europa”: è quanto e’ emerso da documenti diffusi dal sito Wikileaks e pubblicati dal quotidiano britannico “Guardian”.

Gli Usa, stando a tali documenti, temono che l’Europa possa cedere alle pressioni dei serbi per una spartizione del Kosovo, cosa questa che porterebbe a violenze interetniche con la popolazione albanese.

I serbi, in un tale scenario, assumerebbero il controllo del nord del Kosovo, a maggioranza di popolazione serba.

Secondo i documenti pubblicati dal “Guardian”, Jovan Ratkovic, consigliere internazionale del presidente serbo Boris Tadic, avrebbe prospettato un tale sviluppo degli eventi alla responsabile della politica estera della Ue Catherine Ashton, sottolineando al tempo stesso all’ambasciatore americano a Belgrado Mary Warlick che i serbi del nord Kosovo non accetteranno mai l’indipendenza del Kosovo e un governo di albanesi.

Secondo Ratkovic, “Belgrado deve accettare il fatto che non potrà più governare in Kosovo, mentre Pristina da parte sua deve capire che non potrà governare anche sulla parte nord del Paese”: Insomma Wikileaks come megafono dei desiderata USA …


Il rapporto Marty sulla "Casa Gialla"

di Nicola Sessa - Peacereporter - 16 Dicembre 2010

Dopo due anni di inchiesta Dick Marty presenta al Consiglio d'Europa il rapporto sul traffico d'organi in Kosovo

In ventisette pagine, l'incaricato del Consiglio d'Europa, Dick Marty, restituisce un ritratto impietoso degli ultimi dodici anni di storia kosovara; in maniera impietosa descrive un sistema criminale che, di fatto, si trova alla base del sistema politico kosovaro; impietosamente fa i nomi, uno a uno, degli attori che recitano la farsa politico-criminale di Pristina, partendo dalla base per arrivare su, su fino al vertice, alla testa del serpente: Hashim Thaçi.

Tutto ruoterebbe intorno all'ex comandante politico dell'Uçk - l'esercito di liberazione del Kosovo - e allo zoccolo duro del suo "Gruppo di Drenica", inizialmente una squadra paramilitare impegnata nella guerra contro le forze serbe che a mano a mano si è trasformato in un sodalizio affaristico-criminale di proporzioni gigantesche.

Al Gruppo di Drenica e a Hashim Thaçi, Dick Marty fa risalire i traffici di stupefacenti, armi, prostituzione; il traffico di esseri umani e quello d'organi.

A oggi, si legge nel rapporto, mancano all'appello ancora 1869 persone. Di queste, 470 sono scomparse dopo l'arrivo delle truppe Kfor - il 12 giugno 1999 - e si tratta di 95 kosovaro albanesi e 375 non albanesi, prevalentemente serbi.

Il rapporto non risparmia gli attori internazionali presenti sul territorio dalla fine della guerra.

La scelta dell'Unmik e della Kfor - dettata dalla comunità internazionale, Stati Uniti in testa - è stata quella di raggiungere una stabilità immediata, a qualsiasi prezzo; ciò significando anche con il sacrificio dei più basilari principi di giustizia.

Siamo arrivati alla "verità processuale" troppo in fretta: le vittime sono tutte da una parte - i kosovaro albanesi; i carnefici tutti dall'altra - i serbi. A questa forma d'ingiustizia, Dick Marty ritiene che il Consiglio d'Europa non debba sottostare.

Troppe persone sono in attesa di giustizia e verità, appese a un filo di speranza o naufraghe nella disperazione. E non può aver senso che alcuni rappresentanti internazionali presenti in Kosovo possano respingere le richieste di collaborazione perché, in fondo, "il passato è passato, bisogna guardare al futuro".

Marty non nasconde la sua indignazione nel costatare che tutti i governi occidentali fossero informati delle attività di Thaçi e del gruppo Drenica. Esistono in materia, rapporti della Dea e del Fbi, dei servizi segreti tedeschi, italiani, britannici e greci. Nonostante ciò tutti resteranno impuniti: non solo Thaçi, ma anche Xhavit Haliti, Kadri Veseli, Azem Syla e Fatmjr Limaj.

Impuniti. Anche per due tipi di crimini, se possibile, più spregevoli degli altri: al gruppo Drenica, Marty attribuisce le responsabilità maggiori per la gestione dei campi di prigionia in Albania e l'estrazione e traffico di organi vitali.

I campi di prigionia individuati sono sei, tutti in Albania: Cahan, Durazzo, Kukes, Bicaj, Rripe (Burrel) e - novità importante, un sito in Fushe-Kruje dove, si ritiene, fossero praticati gli espianti.

Dopo il 12 giugno del 1999 gli uomini dell'Uçk continuarono a usare i campi di prigionia a scopo di vendetta, punizione e profitto. Diversi "affiliati" all'Uçk rivelano a Marty che nei mesi successivi alla fine della guerra hanno personalmente trasportato in Albania decine di prigionieri - per lo più serbi - rapiti in Kosovo.

Tre testimoni - separatamente - hanno fatto riferimento alla cosiddetta "Casa gialla" di Rripe. Secondo le ricostruzioni, la casa della famiglia Katuci sarebbe stata occupata dagli uomini dell'Uçk - riconducibili tutti a Thaçi - che per circa un anno dal luglio 1999 alla primavera del 2000 hanno gestito il traffico di prigionieri.

La "Casa gialla" costituiva uno snodo importante nel traffico degli organi. Era lì che si facevano le analisi del sangue e dei tessuti per verificare le compatibilità e le condizioni fisiche dei prigionieri.

Quando arrivava la richiesta di un organo, un corriere arrivava per prelevare il soggetto e trasferirlo a Fushe-Kruje. Alcuni autisti raccontano lo strazio del viaggio e i lamenti dei prigionieri rinchiusi e legati nel cassone del camion. Pare che molti fossero consapevoli del destino che li attendeva.

A Fushe-Kruje, dopo un breve periodo di assestamento e cure sanitarie, i soggetti da espiantare erano portati all'esterno: un colpo di arma da fuoco alla testa e subito in sala operatoria. Secondo alcuni autorevoli chirurghi interpellati da Marty, tutte le procedure sono compatibili con la pratica degli espianti e, senz'altro il prelievo da cadavere è molto più semplice che da un paziente vivo.

La consapevolezza e la conoscenza del sistema sociale albanese (e forse anche delle generose coperture prestate dalla comunità internazionale) fanno dire a Marty che difficilmente Hashim Thaçi sarà chiamato a rispondere delle sue responsabilità e dei suoi crimini. La testa del serpente rimarrà, salda, al suo posto.


Bufera sul Kosovo: traffico d’organi, 470 scomparsi
di Giorgio Cattaneo - www.libreidee.org - 16 Dicembre 2010

Predatori di organi, espiantati dal corpo di prigionieri serbi. L’accusa coinvolge l’attuale premier kosovaro Hashim Thaci, già leader dell’Uck, ora sospettato di essere un gangster travestito da politico.

All’indomani delle prime elezioni legislative del Kosovo indipendente, divenuto area-rifugio per cartelli criminali, una bomba a orolgeria si infrange sulla già contestatissima vittoria del riconfermato Thaci, accusato dal dossier che il deputato svizzero Dick Marty presentarà al Consiglio d’Europa sul presunto traffico di organi a danno di quasi 500 prigionieri di guerra.

Nell’estate 1999, terminato il conflitto serbo-kosovaro, l’Uck avrebbe fatto sparire prigionieri in una località segreta nel nord dell’Albania espiantandone gli organi, dopo averli sottoposti a «trattamenti inumani e degradanti».

Secondo il clamoroso dossier svizzero, «organi furono rimossi da alcuni prigionieri in una clinica su territorio albanese, nei pressi di Ushe Kruje, per essere condotti all’estero per trapianti». Marty cita «numerose concrete e convergenti informazioni», che accusano l’Uck – e quindi il suo capo di allora, l’attuale premier Thaci – di aver ucciso in questo modo «alcuni serbi e alcuni kosovari albanesi».

E’ una tragica conferma alla denuncia contenuta nel libro-inchiesta “Lupi nella nebbia”, firmato da Peppe Ciulla e Vittorio Romano e pubblicato da Jacabook nella primavera 2010: «L’amministrazione Onu, che tentò di controllare l’ex provincia serba a maggioranza albanese – raccontano i due giornalisti italiani – è stata di fatto costretta a subire lo strapotere dell’Uck: giudici intimiditi e inchieste insabbiate, anche quelle sul sospetto traffico di organi».

«Il Kosovo, di cui è stata affrettata l’indipendenza – afferma lo scrittore Massimo Carlotto, esperto di strategie criminali – è ormai un “narco-Stato” nel cuore dell’Europa: nessuno lo dice, ma l’Europa è diventata la principale “lavanderia” mondiale di denaro sporco».

Nello stesso libro di Ciulla e Romano, si accenna ai “misteri” della gigantesca base militare americana: secondo fonti russe, esiste una linea diretta fra Kabul e Pristina per lo smistamento “protetto” dell’eroina afghana sotto la copertura dei convogli militari della Nato, come dimostrato da una recente inchiesta della magistratura inglese. «L’Uck che oggi governa il Kosovo è in realtà un cartello di narcotrafficanti – continua Carlotto – che agisce in sintonia con la ‘ndrangheta, la mafia calabrese».

Oltre alla droga, nell’economia criminale del Kosovo si aggiungerebbe ora anche il traffico di organi, come segnalato già nel 2008 nel libro “La caccia” da Carla Del Ponte, ex procuratore capo del Tribunale penale internazionale dell’Aja.

Un’accusa che il deputato elvetico Dick Marty, già noto per aver portato alla luce le prigioni segrete della Cia in Est Europa, si premura di circostanziare: secondo il suo rapporto al Consiglio d’Europa, l’espianto clandestino degli organi è proseguito «in alcune forme fino ad oggi», come dimostrano le indagini Eulex sulla clinica Medicus di Pristina. Un rapporto di 27 pagine, che descrive l’inquietante sorte che potrebbe essere toccata a mezzo migliaio di vittime.

Si tratterebbe infatti di almeno «470 persone», scomparse dopo l’arrivo in Kosovo delle truppe Nato, inquadrate nella missione Kfor scattata il 12 giugno 1999. Degli scomparsi, 95 erano «albanesi kosovari» e 375 «non-albanesi, principalmente serbi».

Prigionieri di guerra, dunque, ma anche kosovari accusati di tradimento e collaborazionismo, trasferiti nei campi base Uck in Albania, quando «il confine tra Kosovo e Albania aveva effettivamente cessato di esistere», scrive il quotidiano “La Stampa”, illustrando il rapporto Marty, secondo il quale la regia di questo disegno criminale è attribuita al “Gruppo di Drenica”, la fazione Uck facente allora capo all’attuale premier Thaci.

Il capo del governo kosovaro sarebbe in realtà «un boss criminale», secondo i rapporti di intelligence citati da Marty, inclusi quelli del Sismi, il servizio segreto militare italiano, allineato con gli 007 di mezza di Europa, tra cui quelli del Bnd tedesco, dell’Mi6 di Londra e del servizio greco Eyp.

Marty, continua “La Stampa”, fa nomi e cognomi dei membri del gruppo che «avrebbero dovuto essere condannati per gravi crimini», e invece «hanno consolidato la loro impuntià», riciclandosi come politici. Tra questi, spicca il chirugo Shaip Muja, nel 1999 comandante di una base medica dell’Uck in Albania e oggi «consigliere politico nell’ufficio del primo ministro, con resposabilità in materia di Sanità».

Un altro punto sensibile del rapporto è il ruolo degli «attori internazionali che scelsero di guardare con l’occhio bendato i crimini di guerra dell’Uck, offrendo invece un premio per raggiungere un certo grado di stabilità a breve termine».

Dalla Nato alleata dell’Uck, alla missione Onu-Unmik «non all’altezza di gestire le indagini», a quella dell’Ue, Eulex, subentrata nel 2008, che ha «lasciato vane le aspettative di andare oltre gli “intoccabili”, dei quali un passato più che oscuro è comunemente noto». Non è certo onorevole il ritratto della Comunità internazionale in Kosovo, dipinto dal parlamentare svizzero.

Così, il Consiglio d’Europa ora raccomanderà all’Albania – che ha sempre negato l’autorizzazione a indagare nel proprio territorio – di «collaborare senza riserve con Eulex e le autorità serbe».

Anche perché Marty, aggiunge “La Stampa”, sostiene di aver trovato «un numero di credibili e convergenti indicazioni che le componenti del traffico di organi post-conflitto descritte nel nostro rapporto siano strettamente legate al caso contemporaneo della clinica Medicus», di Pristina, che ha portato di recente a quattro arresti da parte di Eulex.

Impegnato in “prove tecniche di democrazia”, il nuovo Kosovo – alla cui indipendenza contribuì anche il governo italiano presiduto da Massimo D’Alema, che non esitò a impiegare la forza aerea nelle operazioni militari Nato contro la Serbia – sarebbe in realtà rimasto teatro di crimini indicibili, protrattisi per almeno un decennio, con il placet del suo riconfermato premier. «Illazioni calunniose, prive di fondamento», è la difesa d’ufficio del governo di Pristina dopo le prime anticipazioni del “Guardian”.

Il Kosovo annuncia azioni legali e politiche contro il dossier Marty ed esorta il Consiglio d’Europa a respingerlo, come un tentativo di screditare il premier Hashim Thaci.

A Belgrado, dove Thaci venne condannato in contumacia per terrorismo nel 1997, un portavoce dell’ufficio del procuratore per i crimini di guerra, Bruno Vekaric, ha dichiarato che il rapporto filtrato attraverso le anticipazioni è una «vittoria» per la Serbia.

Chi invece prende «molto seriamente» le accuse rivolte a Thaci è l’Unione Europea, aggiunge “La Stampa”. Per bocca della portavoce dell’Alto rappresentante Ue per la politica estera e di sicurezza Catherine Ashton, l’Ue invita Dick Marty a «presentare le prove» in suo possesso alle autorità competenti.

L’Unione è presente sul terreno con la missione Eulex che, tra i suoi compiti, ha anche quello di indagare sul crimine organizzato e cooperare con le autorità dei Paesi balcanici interessati, anch’essi impegnati a combattere le attività criminali nel quadro del dialogo con l’Ue.

«Stiamo cercando di ottenere tutte le informazioni e le prove possibili», ha detto la Ashton, lasciando capire che Bruxelles intende indagare a fondo (info: www.lastampa.it).


Kosovo alle urne, sempre più diviso
di Christian Elia - Peacereporter - 10 Dicembre 2010

I serbi sono spaccati tra boicottaggio e partecipazione, gli albanesi travolti da inchieste e arresti eccellenti

Domenica 12 dicembre 2010 si vota in Kosovo. Elezioni anticipate, dovute alla crisi politica aperta dalle dimissioni del presidente della giovane repubblica, Fatmir Sejdiu, il 27 settembre scorso.

La Corte Costituzionale di Pristina ha ritenuto incompatibili con la legge fondamentale dell'ex provincia serba le due cariche occupate da Sejdiu: quella di capo dello stato e quella di leader del suo partito, la Lega Democratica del Kosovo (Ldk).

Una situazione per lo meno poco ortodossa, visto che la Costituzione del Kosovo è entrata in vigore a giugno 2008 e l'incompatibilità è stata censurata solo due anni e mezzo dopo. La Corte è presieduta da un giudice statunitense, Robert Carolan, elemento che ha evitato polemiche di strumentalizzazione politica della sentenza.

L'ex presidente ha sempre sostenuto di aver congelato la presidenza del Ldk, ma alla fine si è dimesso, evitando l'impeachment, ma ha segnato forse in modo irreversibile la crisi politica del Ldk, orfana del leader Ibrahim Rugova, morto nel 2006 e per decenni uomo simbolo della lotta indipendentista degli albanesi in Kosovo. Un vantaggio per il Partito Democratico del Kosovo (Pdk) dell'ex premier Hashim Thaci.

Il 'serpente', come era chiamato ai tempi della guerriglia anti serba, non è messo meglio, impelagato com'è - assieme a molti dei suoi colonnelli - in inchieste di corruzione e abuso di potere. La crisi del Ldk, però, è un vantaggio per Thaci e i suoi, all'interno di quella che comunque dovrebbe restare una solida alleanza di governo.

Anche perché il vero grande assente è all'Aja. Riceverà un permesso per la nascita del suo terzo figlio, ma non potrà candidarsi. Si tratta di Ramush Haradinaj, leader dell'Alleanza per il Futuro del Kosovo (Aak).

Ex comandante della guerriglia alla fine degli anni Novanta, è uscito indenne da un primo processo per crimini di guerra - perdendo la carica di primo ministro all'epoca - ma è stato inquisito di nuovo. Vero outsider della contesa elettorale è Albin Kurti, eterna giovane promessa.

Al centro di un'inchiesta internazionale per manifestazioni organizzate dal suo movimento Vetevendosje, divenuto partito, sfociate in violenze e scontri con le forze internazionali si è salvato anche grazie a più di 170mila firme raccolte in pochi mesi.

Kurti si presenta con un programma di rottura: unione all'Albania del Kosovo, nazionalizzazione delle risorse strategiche, fine della tutela internazionale del Kosovo, rottura dei negoziati con la Serbia per un accordo definitivo tra Pristina e Belgrado.

Interessante studiare il suo elettorato che pare nutrito di giovani, ma il suo partito è decisamente inviso alle cancellerie occidentali, che tanto denaro hanno investito in Kosovo.

Rispetto alla comunità serba la situazione, per la prima volta, appare divisa. Almeno il sessanta per cento dei serbi ha lasciato la regione dopo il 1999, ma i circa centoventi mila che sono rimasti appaiono su posizioni lontane. Il nord del Kosovo, dove è presente più o meno la metà dei serbi, è ancora totalmente legato a Belgrado.

Hanno istituzioni parallele, non riconoscono le autorità emerse dalla dichiarazione unilaterale d'indipendenza kosovara del febbraio 2008, ricevono fondi da Belgrado. ''I serbi non risolveranno nulla guardando al Parlamento di Pristina'', ha dichiarato Milivoje Mihajlovic, portavoce dell'esecutivo serbo. ''La loro unica speranza è la diplomazia di Belgrado''.

Il governo serbo, che ha annunciato un piano di sostengo economico di 500 milioni di euro ai serbi in Kosovo per il 2010, punta al boicottaggio, nell'attesa di risolvere la controversia internazionale. Belgrado è consapevole di non poter tornare indietro, ma punta a uno status di autonomia per i serbi in Kosovo e rifiuta, intanto, ogni normalizzazione.

La comunità serba del Kosovo meridionale, però, non ne può più. Non ha, come i serbi del nord, continuità territoriale con la Serbia e non ha un territorio omogeneo come i serbi della parte settentrionale. Negli ultimi anni si è creato un movimento 'inclusivista'. Nessuno che riconosca come lecita la secessione del Kosovo, ma tanta voglia di guardare avanti.

Il simbolo di questo movimento è Rada Trajkovic, ex presidente dell'Executive Board of the Serbian National Council. Espulsa dall'organismo per essersi candidata alle elezioni, ha fondato la Lista Unitaria Serba con un programma collaborativo e integrativo. Sulla stessa linea il Partito Indipendente Liberale, di Slobodan Petrovic di Gracanica, principale centro serbo nel Kosovo centrale.

La tensione è forte, in particolare Oliver Ivanovic (leader storico dei serbi di Mitrovica e in odore di crimini di guerra) fomenta il boicottaggio, lanciando messaggi minacciosi ai serbi che vogliono partecipare. Saranno ventuno i seggi aperti nelle zone serbe. In una di queste, Leposavic, è avvenuto il primo episodio di cronaca nera della campagna elettorale.

E' stato assassinato Shefko Salkovic, consigliere comunale, della minoranza bosniaca. Da sempre ritenuto vicino a Pristina, è stato ucciso da un commando in una zona a maggioranza serba. I rappresentanti di tutti gli organi internazionali invitano alla calma, ma il Kosovo è ancora al centro di forti turbolenze.


Kosovo, vince il partito del premier. Il Pdk di Thaci oltre il 30%
da www.repubblica.it - 12 Dicembre 2010

La Lega democratica del Kosovo, stando ai dati raccolti dall'istituto Gani Bobi, avrebbe il 25% delle preferenze. Il margine d'errore dell'indagine oscilla intorno al 3%

Il partito del premier Hashim Thaci sarebbe in vantaggio nello scrutinio delle elezioni legislative di oggi in Kosovo, secondo un primo exit poll dell'istituto Gani Bobi. Stando a tale istituto il partito democratico del Kosovo (Pdk) sarebbe al 31%, mentre la Lega democratica del Kosovo (Ldk) del sindaco di Pristina Isa Mustafa avrebbe il 25% dei consensi.

Se i risultati fossero confermati, l'ex guerrigliero Thaci vedrebbe eroso il 34% delle ultime elezioni (a cui si aggiungeva il 22% dell'Ldk, non più alleato) e avrebbe bisogno del sostegno di altri partiti per arrivare a una maggioranza dei 120 seggi parlamentari. Sia il Pdk che l'Ldk sostengono l'ingresso del Kosovo nella Nato e nell'Ue e le privatizzazioni.

Il condizionale, però, è d'obbligo considerando che i dati sono frutto dell'unico exit poll disponibile, condotto da Gani Bobi, contestatissimo a caldo dai due principali partiti sfidanti di Thaci: Ldk e AAK, dell'altro ex premier Ramush Haradinaj, che si attesta al 12,5%.

"Un campione di soli 20.000 Intervistati non può essere in nessun modo rappresentativo" contesta Arben Gashi, portavoce per le elezioni della Lega democratica del Kosovo (Ldk) ex socio di governo di Thaci, prima della crisi di coalizione che ha condotto al voto anticipato odierno.

"Non può essere una tendenza seria, già in passato gli exit poll si sono rivelati inaffidabili, in base alle nostre rilevazioni sul campo l'aak ha ottenuto risultati migliori rispetto a quelli proiettati", ha sostenuto da parte sua Besnik Tahiri, portavoce di Alleanza per il futuro del Kosovo, dato quarto al 12,5% mentre il suo leader, Haradinaj, è detenuto all'Aia in attesa di processo.

I seggi sono stati chiusi con tre ore di anticipo nel nord dell'ex provincia, dove la minoranza serba ha boicottato massicciamente le urne perché considera il voto illegale. Sabato era stato attaccato l'ufficio di una Ong danese a Zubin Potok e tre auto sono state date alle fiamme a Prizren.

L'affluenza è stata del 47,8%. Lo ha reso noto la Commissione elettorale. Gli aventi diritto erano un milione e 600 mila, ma nel nord a maggioranza serba il boicottaggio è stato pressoché totale.

Alle elezioni anticipate si è arrivati dopo che a settembre la Corte Costituzionale del Kosovo aveva obbligato il presidente Fatmir Sejdiu alle dimissioni per aver violato la costituzione che vieta al capo dello Stato di ricoprire incarichi politici.

Thaci ha colto la palla al balzo per anticipare il voto in programma a primavera, eliminando così dalla contesa Ramush Haradinaj, il leader di Alleanza per il futuro del Kosovo sotto processo all'Aja almeno fino a marzo, e provocando una spaccatura nella Ldk.

Nel partito del sindaco di Pristina Isa Mustafa c'è stata infatti la scissione condotta dal figlio maggiore del defunto presidente, Uke Rugova, che ha creato la lista Kdk-Ibrahim Rugova, alleata dell'Akk di Haradinaj.

Al terzo posto, secondo Gani Bobi, figura Vetevendosjei (Autodeterminazioine), il movimento del giovane nazionalista Albin Kurti, al quale andrebbe il 16%. Seguono l'Alleanza per il futuro del Kosovo (Aak) dell'ex premier Ramush Haradinaj, che come detto ha il 12,5%, l'Alleanza per il nuovo Kosovo del miliardario Behgjet Pacolli con il 6,5%, il nuovo partito Fer (Spirito nuovo) con il 4,5%, la Lega democratica di Dardania con il 2,5%. Un ulteriore 2% è andato al resti dei partiti. La soglia minima per entrare in parlamento è al 5%

L'istituto ha dichiarato alla stampa che il margine d'errore di questi dati è più o meno del 3%.