giovedì 2 dicembre 2010

Italia: la quiete prima della tempesta...

Una serie di articoli su ciò che sta bollendo in pentola e sarà presto servito agli italiani...

Debito, la tempesta si avvicina all’Italia

di Matteo Cavallito e Mauro Meggiolaro - Il Fatto Quotidiano - 1 Dicembre 2010

La corsa al rialzo di inizio settimana sui Btp ha evidenziato una nuova e terrificante verità: anche l’Italia è ufficialmente finita nel mirino degli speculatori. Le periferie dell’euro sono sempre più in crisi e la tempesta, sostiene oggi il Financial Times, punta decisa su Roma. L’unica certezza per il futuro sono i tagli drastici e una manovra da “lacrime e sangue”

Grecia e Irlanda sono morte, il Portogallo è in coma, la Spagna è sull’orlo del baratro e nemmeno l’Italia si sente tanto bene. L’analisi è ormai chiara e trova sempre maggiori consensi.

A lanciare l’allarme, l’ultimo, ci ha pensato il Financial Times con un editoriale che suona come una condanna: dopo aver devastato Atene e Dublino, la tempesta – ad oggi concentrata su Lisbona e Madrid – punta decisamente sull’Italia.

E poco importa che la Penisola conservi importanti elementi di forza a cominciare da un basso indebitamento privato e da una relativa solidità del sistema bancario: i mercati hanno emesso la loro sentenza. La reazione a catena è innescata e le cifre non mentono.

Lunedì l’asta italiana sui titoli di Stato si è svolta in un clima di puro panico. Le voci iniziali sulle possibili difficoltà di collocamento dei Btp hanno spinto al rialzo i premi richiesti dagli investitori.

Il differenziale tra i decennali italiani e gli omologhi tedeschi ha superato quota 200 punti base segnando così il record assoluto dall’introduzione dell’euro.

Oggi si è tornati a respirare con una discesa sotto quota 180 in linea con la tendenza al ribasso che ha interessato anche i bond di Spagna e Portogallo ma il recupero non porta con sé sufficienti garanzie.

La verità è che l’esperienza di inizio settimana è stata per qualcuno a dir poco sconvolgente. L’incubo di trovarsi di fronte a un gioco al massacro ormai fuori controllo si è materializzato in una due giorni di contrattazioni difficile da dimenticare. Il nervosismo dei trader è ormai evidente. Quello del governo e dei regolatori segue a ruota.

La vera novità, in estrema sintesi, è che anche l’Italia è ufficialmente finita nel mirino degli speculatori. Gli operatori, in altri termini, hanno ormai identificato il nostro Paese come nazione a rischio legando i destini della Penisola a doppio filo con le tragedie greche, irlandesi, portoghesi e spagnole.

Le prossime aste, insomma, potranno anche andare “tecnicamente” a buon fine senza cioè che l’offerta ecceda eccessivamente la domanda. Ma il premio chiesto per detenere le obbligazioni italiane è destinato a salire.

E siccome l’Italia non può fare a meno di ricorrere a nuove emissioni per pagare gli interessi sul suo enorme debito pubblico, è evidente che il finanziamento dello stesso finirà per costare sempre di più.

Non è difficile capire, dunque, per quale motivo la preoccupazione abbia iniziato a dilagare anche tra le fila del governo. Berlusconi, ormai, spara cifre a ripetizione ma in realtà nessuno sembra più disposto a seguirlo.

E così, mentre il premier sovrastima lo spread tra i rendimenti delle obbligazioni spagnole e i bund tedeschi (parlando di 400 punti base contro gli effettivi 311 dell’altro giorno) allo scopo di minimizzare l’allarme sul record registrato dai titoli decennali italiani, il sottosegretario Gianni Letta esprime per la prima volta “forte preoccupazione” sul rischio di una diffusione incontrollata dell’effetto contagio proveniente dall’Irlanda.

Alle rassicurazioni insomma sembra oggi subentrare un profondo senso di impotenza di fronte a forze di mercato difficili da arginare.

Se è vero che l’Italia pagherà dazio ad ogni tappa del processo di deterioramento della crisi debitoria europea, è certo allora che la situazione è destinata a peggiorare. Grecia e Irlanda, afferma Willem Buiter, capo economista di Citigroup, sono tecnicamente insolventi e il Portogallo non sembra messo tanto meglio. Come dire che gli aiuti presenti e futuri di Europa e Fmi non sortiranno effetti adeguati.

Quanto alla Spagna, considerata la vera chiave di volta della crisi di fronte all’impossibilità di un intervento pubblico capace di sostenere le dimensioni della sua economia, c’è poco da stare allegri. La disoccupazione della nazione iberica si attesta da tempo a quota 20%, un vero e proprio macigno capace di bloccare qualsiasi prospettiva di crescita.

I pignoramenti delle case dovrebbero triplicare nel prossimo anno producendo un eccesso di offerta sul mercato e una conseguente svalutazione degli immobili e degli assets bancari. La situazione sembra senza via d’uscita e la speculazione al ribasso si sta muovendo di conseguenza.

L’Italia, affermano gli osservatori internazionali, non vive di certo una situazione paragonabile a quella dei cosiddetti “Pigs” (Portogallo, Irlanda, Grecia, Spagna) ma i timori sul suo futuro restano più che fondati.

A spaventare gli investitori c’è l’incertezza politica e la sostanziale paralisi decisionale dell’esecutivo (lo stesso fattore alla base del recente allarme sulle prospettive economiche del Belgio) e i ridotti margini di crescita.

Le banche italiane, segnalano gli analisti di Business Insider, conservano una posizione migliore rispetto alla media degli altri istituti europei ma un ulteriore riduzione della crescita economica continentale potrebbe costringerle a chiedere il sostegno della Banca Centrale Europea.

L’unica certezza, a questo punto, è che il futuro del Paese sarà contrassegnato da un devastante sforzo economico di parziale risanamento dei conti. Difficile quantificare l’ammontare delle prossime manovre ma è certo che avremo a che fare con un impegno senza precedenti.

Se la linea franco-tedesca dovesse prevalere, il nuovo Patto di stabilità imporrebbe all’Italia di ridurre drasticamente il rapporto debito/Pil tagliando qualcosa come 130 miliardi di euro in tre anni.

Un’operazione micidiale fatta di tagli alla spesa e di aumento delle tasse la cui portata potrebbe essere superiore alle previsioni iniziali. Ieri la Commissione Ue ha corretto in senso negativo le stime di riduzione del deficit (cioè degli interessi sul debito) avanzate dal governo italiano per i prossimi due anni.

Secondo la Ue nel 2012 l’Italia non riuscirà a riportare il dato entro i limiti di Maastricht sforando l’obiettivo di mezzo punto percentuale. Il che, tradotto, equivale alla necessità di una manovra aggiuntiva da almeno 7 miliardi di euro.

Il futuro, insomma, appare destinato a sancire il binomio “lacrime e sangue”. E’ l’unica possibilità per evitare il collasso. Ammesso, s’intende, che non sia troppo tardi.


La crisi finanziaria ci regalerà il governo tecnico?
di Marcello Foa - www.ilgiornale.it - 1 Dicembre 2010

E’ una tesi che ho già esposto tra le righe del post del 19 novembre, Dieci giorni fa, però, sembrava un’ipotesi quasi accademica. Ora quello scenario diventa molto probabile.

Lasciate perdere le dichiarazioni di Fini e Berlusconi, di Bossi e di Bersani. Non servono per orientarsi sull’esito della crisi.

Il vero barometro della crisi é lo spread tra Bund e Btp, ovvero la differenza di rendimento tra titoli di stato tedeschi e italani. Più sale, più c’é bufera.

E guardate cosa sta succedendo sui mercati. Era da molto tempo che gli allarmi sul debito pubblico non erano così frequenti e angoscianti. E tutto sta a indicare che non si placheranno facilmente.

Dunque rischiamo di arrivare al 14 dicembre, giorno della fiducia, con l’”ansiometro” ai livelli massimi. A quel punto, gli appelli alla ragionevolezza, per ora isolati, diventeranno un coro, assordante:“Né elezioni, né governicchio. La crisi é grave, gravissima, forse fatale. Aiuto, allarme, dobbiamo salvare L’unica soluzione é un governo tecnico per la Salvezza nazionale“.

Berlusconi, a quel punto, dovrà cedere, non potendo contare su una maggioranza solida e non volendo nemmeno passare alla storia come l’affossatore del nostro Paese e, verosimilmente, dell’euro.

Così ci troveremo con Draghi o Monti o un redivivo Siniscalco o un Tremonti, che continua a ripetere di non voler tradire, ma che supplicato da tutti e, soprattutto, dal centrodestra, potrebbe ricredersi.

Poi il governo tecnico provvisorio, di tre mesi in tre mesi diventerà definitivo. Fino alla fine della Legislatura. Il tempo necessaio per logorare il Cav ed estrometterlo definitivamente.

La mia é solo un’ipotesi, sia chiaro. Ma tra i tanti scenari che vengono ipotizzati in questi giorni, mi sembra il più probabile.

E’ quel che tra l’altro stanno predicando Enrico Letta, Massimo D’Alema, Giuliano Amato, Gianfranco Fini ovvero politici ben ammanigliati in certi ambienti.

Ho trovato in agenzia questa dichiarazione proprio di Enrico Letta: «Il Paese sta peggio che nel ’93: allora chiamammo Ciampi per tirarci fuori dal pantano. Oggi è peggio: il debito sta crescendo, la disoccupazione anche. C’è bisogno di un super Ciampi che sia supportato da un ampio schieramento di forze politiche. E poi, cambiata la legge elettorale, possiamo andare al voto».

Più chiaro di così…

O sbaglio?


Quanto costerà all'Italia un attacco degli speculatori?
di Paolo Annoni - Il Sussidiario.net - 1 Dicembre 2010

Ci sono stati dei momenti in cui era molto difficile capire cosa stava succedendo sui mercati e in cui si sprecavano ipotesi e teorie; in questi giorni è invece abbastanza semplice capire cosa sta accadendo sulle borse europee. Ieri la borsa di Milano ha chiuso con un calo dell’1%, Londra dello 0,4% e Francoforte dello 0,14%.

I timori sul debito italiano stanno dominando le valutazioni degli investitori, che in questi casi di incertezza massima, prima vendono e poi cominciano a ragionare su quello che potrebbe accadere.

Il fallimento della Grecia e dell’Irlanda non sono niente in confronto ai dubbi sulla tenuta di Spagna e Italia. Negli ultimi due giorni lo spread tra rendimento dei Btp italiani e dei titoli tedeschi ha raggiunto nuovi massimi dalla nascita dell’euro.

Nel 2011 scadranno più di 200 miliardi di euro di titoli di stato italiani; è chiaro a tutti che se il rendimento dovesse salire troppo e se le aste cominciassero ad andare deserte, nessuno avrebbe la forza per salvare l’Italia e potrebbe essere la fine dell’euro.

Se a questo aggiungete che i credit default swap francesi a 5 anni sono passati in pochi giorni da 80 a 100 si capisce bene che tira una brutta aria.

La stessa domanda implicita nei fatti appena descritti contiene un’enormità palese; cominciare a nutrire dubbi reali sulla capacità dell’Italia di ripagare il proprio debito non si esaurisce in una stima dei costi del salvataggio come nel caso greco e irlandese.

L’ammontare del debito italiano è tale che ancora prima di iniziare qualsiasi calcolo si saprebbe che molte banche europee dovrebbero mettere a bilancio svalutazioni ingenti e che l’uscita dall’euro dell’Italia, a quel punto certa, determinerebbe un terremoto politico-finanziario in Europa; il sistema industriale italiano è molto più pesante e competitivo di quello degli altri Piigse una svalutazione della nuova “lira” darebbe da pensare a molti in primis ai tedeschi.

Qua inizia la parte più difficile di una qualsiasi analisi, perché passare alla fase uscita dall’euro significa già discutere degli scenari futuri. Esiste infatti uno scenario numero due in cui si quantificano gli sforzi, umani e non, che l’Italia deve fare per accontentare i “mercati“ e le eventuali spoglie di guerra.

Intanto ora gli investitori esteri sanno che col rischio della fine dell’euro qualsiasi attività in Italia diventa improvvisamente più rischiosa di una identica francese e inglese. Immaginate di comprare una casa in Grecia per 100 mila euro e di ritrovarvela domani valutata in svalutatissime dracme.

Al momento si sa che l’Italia ha un debito mostruoso e una crescita bassa e che Francia e Germania premono perché vengano approvati piani di rientro e parametri stringenti su deficit e debito; ieri il presidente francese della Bce Trichet dichiarava di “essere preoccupato che il benchmark numerico del debito proposto nelle nuove regole fiscali non sia abbastanza ambizioso”.

Si sa che la Germania ha chiesto di inserire nei prospetti delle nuove emissioni di debito statale clausole che dal 2013 impongano ai privati di partecipare ai piani di salvataggio; una proposta che non tocca i debiti degli Stati virtuosi ma che aggiunge nuovi elementi di rischio per i compratori di quelli “viziosi”.

Cosa farà l’Italia di queste richieste? Come intende affrontare queste pressioni politiche del duo franco tedesco e finanziarie dei mercati? Sono domande che non hanno risposta. È escluso che improvvisamente come per magia la crescita italiana raggiunga nuovi e inaspettati record.

L’Italia vuole rimanere a tutti i costi nel club degli affidabili? Che prezzo è disposta a pagare per rimanere nell’euro e continuare a pagare tassi di interesse sul debito bassi?

La verità è che in questo momento il governo italiano è estremamente debole e che l’incertezza su quello che accadrà il 14 dicembre quando verrà posta la fiducia è quanto di meglio ci possa essere per chi specula.

Non si vuole incolpare la speculazione finanziaria anonima dei guai finanziari oggettivi che l’Italia si è procurata da sola, ma in quello che si è visto negli ultimi due giorni è impossibile non rilevare anche una componente “cattiva” e non del tutto razionale e motivata dai fondamentali della finanza.

Quando lo spread salirà forte, la speculazione picchierà duro e l’interessatissimo duo franco-tedesco si presenterà con richieste di rientro da lacrime e sangue che sanno di rimedio peggiore del male, quali saranno le contro-proposte dell’Italia? Chi, in Italia, per difendersi presenterà in sede europee le minacce credibilissime di default (non ignorabili a differenza di quelle greco-irlandesi)?

Finchè il prezzo da pagare è una patrimoniale leggera fatta dall’oggi al domani (molto meno improbabile di quanto pensiate) si può anche accettare; se fosse un aumento dell’Iva, dell’aliquota fiscale o richieste di nuove privatizzazioni o perché no moral suasion su cessioni ad hoc da parte di gruppi italiani chi ci sarà a fronteggiare una pressione per cuori forti?

I professori del libero mercato-finanziario-concorrenziale-europeo, dell’Europa in cui gli amici forti aiutano i deboli, dell’immagine dell’Italia nel mondo, per cui l’euro è una religione possono continuare a vivere nel mondo fatato dove sono tutti buoni e quando ti regalano soldi è per una grande generosità che solo i meschini non riescono a capire. La realtà è che quando il gioco si fa duro i duri cominciano a giocare.

C’era un governo forte (certamente non perfetto) che godeva di una maggioranza forte. Adesso c’è un governo debole, ricattabile e ricattato. Tra i personaggi che in questi giorni invocano nuove stagioni, a chi scrive non ne viene in mente uno che riuscirebbe a non farsi sbranare vivo dall’accoppiata Merkel-Sarkozy.

Se ci sono nuove elezioni sei mesi di inferno per l’incertezza, se non ci sono un governo con gente che ha finito ieri di insultarsi. Speriamo di essere smentiti, ma siamo pessimisti.


Chi salverà l'Italia dal "doppio gioco" di Germania e Bce?

di Mauro Bottarelli - Il Sussidiario.net - 2 Dicembre 2010

La Bce è a un bivio. Peccato che la decisione che sarà chiamata a prendere entro pochi giorni peserà sul destino e sul futuro di tutti noi. Parliamoci chiaro, nonostante Jean-Claude Trichet ieri abbia avvisato i mercati di non pensare che l’eurozona non sappia reagire al loro attacco e uscire dalla crisi, la realtà è un’altra: per evitare il contagio e un default dell’eurozona, occorre che la Bce segua l’esempio della Fed e si metta a comprare debito. Punto, non c’è altra via d’uscita.

A oggi, però, l’impostazione è quella di scaricare il Club Med e puntare su un nuovo assetto monetario: la Bce sta facendo il gioco della Bundesbank, la quale non ha intenzione di pagare sei volte il costo delle riunificazione del 1989 per salvare almeno quattro stati potenzialmente insolventi e indebitati.

Se la Bce, invece, decidesse di acquistare un terzo del controvalore dei bonds che sta comprando la Fed, la speculazione si ritroverebbe in mano una pistola scarica. Il fatto è che Berlino sta facendo il gioco proprio e dei fondi speculativi, scaricando su fondi pensioni, assicurazioni e privati investitori i costi di questa scelta.

Per William Buiter, capo economista di Citigroup, Grecia, Irlanda e Portogallo sono già insolventi e la Spagna li segue a ruota. Un salvataggio combinato, nei fatti, esaurirebbe in un attimo i fondi della facility Ue, il cui denaro realmente utilizzabile è nei fatti 250 miliardi di euro: «Una volta che la Spagna chiederà aiuto, il supporto della Bce sarà fondamentale. Essendo l’unica fonte di liquidità illimitata e l’unica istituzione che può prendere decisioni senza bisogno di approvazione politica e popolare, la Bce si ritroverà a essere l’unica speranza per stabilizzare la situazione finanziaria con azioni rapide e di ampiezza sufficiente» .

Da maggio a oggi Francoforte ha acquistato 67 miliardi di euro di bond greci, irlandesi e portoghesi, ma questo non basta, non può bastare. Ma c’è di più.

Per Peter Westaway di Nomura, «l’incremento degli spreads italiani ha avuto un grosso impatto sui mercati e porterà con sé un’ovvia decisione da parte della Bce, questa settimana, di acquistare un grosso lotto di bond italiani e spagnoli. E questa politica proseguirà finché sarà necessario».

Gli investitori, di fatto, restano cauti. Harry Sebag, capo delle operazioni di vendita a Saxo Banque, parlava ieri di «un rimbalzo tecnico delle borse. Una vasta gamma di indicatori, infatti, ci dicevano che gli indici erano sovra-venduti e alcuni investitori sono tornati in gioco cercando delle occasioni di guadagno. Noi stiamo controllando attentamente gli spread dei rendimenti obbligazionari per capire se questo rimbalzo ha gambe per restare in piedi».

Per l’analista di Commerzbank, Ulrich Leuchtmann, «i mercati sono ancora preoccupati dalla possibilità che la crisi possa diffondersi ad altre nazioni», mentre un report degli analisti di ABN-Amro sottolineava come «la Bce dovrà continuare a offrire supporto eccezionale, fino a indicazioni contrarie dai fondamentali».

Non so se vi siete accorti, ma per la prima volta, all’interno di questo articolo, è stata citata l’Italia come un potenziale paese contagiato.

L’altro ieri il differenziale di rendimento tra Btp decennali e Bund tedeschi è volato a 210 punti base (219 alla chiusura delle contrattazioni pomeridiane), nuovo livello massimo dalla nascita dell’euro, mentre quello tra titoli di Stato decennali spagnoli e bund tedeschi è salito fino a 311 punti base, altro record negativo.

A confermare le prospettive negative, ci ha pensato subito Jim O’Neill, presidente di Goldman Sachs, secondo cui «l’Italia potrebbe essere la prossima a cadere nella crisi, visto che è stata colpita per la prima volta e ha dimostrato una sensibilità all’attacco».

Per Simon Ward, capo analista della Henderson Global Investors di Londra, «i dati di outflow dal vostro mercato obbligazionario parlano chiaro, così come l’aumento dello spread e dei rendimenti. L’Italia, nei fatti, è sulla linea del fuoco. Certo, il sistema bancario è più sano di molti altri e il risparmio privato alto, ma il debito pubblico alle stelle e l’instabilità politica sono come miele per gli orsi del mercato. In condizioni normali, sarebbe preoccupante ma gestibile, in questo contesto di crisi globale non so».

Per Ambrose Evans-Pritchard, capo dell’economico al Daily Telegraph, la musica non cambia: «Se la Bce si rifiuterà di dar vita a un piano paracadute come quello posto in essere dalla Fed, l’Italia può definirsi tranquillamente un paese sull’orlo del baratro. Francoforte sta eliminando le misure di aiuto e drenando liquidità in un momento un cui la massa monetaria M3 nell’eurozona si sta già contraendo da tre mesi di fila: o si acquista debito oppure sarà il mercato a decidere. E l’Italia andrà a fare compagnia a Spagna e Portogallo».

Già, perché fallito miseramente il tentativo di calmare i mercati da parte dell’Ecofin con l’approvazione del piano di salvataggio irlandese, ieri nuove nubi nere si sono addensate su Lisbona e Madrid.

La prima, per bocca della sua stessa Banca centrale, si è sentita dire che «le banche lusitane corrono un rischio intollerabile se il governo non consoliderà le finanze pubbliche in tempi brevi» e soprattutto - dopo un presunto vertice informale a tre - ha dovuto incassare voci incessanti di pressioni della Bce perché acceda agli aiuti Ue in tempi brevi, mentre la seconda (esattamente come accaduto per l’Irlanda una settimana prima dell’ok di Dublino al salvataggio), in maniera correlata, ha scoperto che i propri istituti bancari, anche e soprattutto per l’esposizione in Portogallo, sono visti dai mercati come l’anello debole della crisi, quindi l’obiettivo sensibile, il nervo da colpire.

La crescita continua dei cosiddetti “prestiti cattivi”, la competizione per finanziarsi e la bolla immobiliare che potrebbe portare nuove perdite nei bilanci sono altrettanti motivi di tensione, anche perché entro la primavera del prossimo anno banche e governo spagnolo dovranno rastrellare sui mercati qualcosa come 50 miliardi di euro e il solo riassetto del comparto delle casse di risparmio regionali, le cosiddette cajas, è già costato a Madrid 15 miliardi di euro in linee di credito.

Per Art Cashin, direttore delle floor operations di Ubs Financial Services, «la Grecia è stato il caso Bear Stearns di questo film già visto? Direi di sì e i mercati credono che la Spagna potrebbe essere la nuova Lehman, una ripetizione a cui non vogliamo proprio assistere».

Oggi a Madrid si terrà un’asta di bond che potrebbe darci una risposta sull’appetito del mercato: in compenso, Luis Zapatero ha gettato la maschera annunciando misure di austerity che fino a ieri aveva negato, tra cui la vendita del 30% della Lotteria Nazionale e il taglio dei sussidi per i disoccupati di lungo periodo. Si chiude il recinto quando i buoi - anzi, i tori - sono già scappati.

A detta di Mohamed El-Erian, amministratore delegato di Pimco, il fondo di gestione obbligazionario più grande del mondo, «molti Stati europei avranno bisogno di essere salvati per dare risposta alle sottostanti cause dei loro problemi finanziari. Assisteremo a una distruzione a rallentatore che causerà crisi in Irlanda, poi in Portogallo, poi in Spagna, poi in Belgio e da qui in Italia: ci sveglieremo un giorno e staremo parlando di un continente completamente diverso».

Quella nuova Ue a cui la Bce sta alacremente lavorando su mandato di Bundesbank e governo tedesco.