martedì 21 dicembre 2010

Premio "Faccia come il culo": 4 vincitori ex-aequo...

Negli ultimi giorni c'è stato un avvincente testa a testa senza precedenti per aggiudicarsi l'ambito premio "Faccia come il culo".

Ma quattro concorrenti hanno dato veramente il meglio di sè per vincerlo: La Russa, Maroni, Mantovano, Gasparri.

E la giuria, tenendo conto del commovente impegno profuso, ha deciso di assegnare il premio ex-aequo a tutti e quattro...


Quando mancano le parole
di Marco Travaglio - Il Fatto Quotidiano - 18 Dicembre 2010

Molti sono rimasti colpiti da quel che è accaduto ad Annozero, al netto delle scalmane del cosiddetto ministro Ignazio La Rissa. Colpiti dal reportage di Ruotolo sugli scontri del 14 dicembre, dove migliaia di studenti solidarizzavano con i pochi violenti.

Colpiti dall’atteggiamento dei politici, che pretendevano dagli studenti un’abiura della violenza come precondizione per discutere con loro.

Colpiti dall’atteggiamento degli studenti, che non prendevano affatto le distanze, anzi rilanciavano: “Sono due anni che protestiamo pacificamente contro la legge e i tagli della Gelmini e il sottostante progetto di precarizzazione sociale, ma nessuno ci ha ascoltati, nessuno ha parlato con noi. Vi accorgete di noi solo ora che abbiamo abbandonato le buone maniere” .

In una situazione così bloccata, di incomunicabilità totale, cercavo le parole per dire qualcosa, e non mi venivano. Le ha trovate Santoro: “Se chiediamo agli studenti una risposta sulla violenza, dobbiamo prepararci ad accettare qualsiasi risposta, anche quelle che non ci piacciono e non condividiamo”.

Altrimenti, se non c’è un luogo in cui si possano esprimere anche le idee più estreme e meno condivisibili, chi le ha in gola si rassegnerà all’idea malsana di incappucciarsi e unirsi, la prossima volta, ai violenti che finora si è limitato ad applaudire o a non condannare.

Certo, sarebbe stato più consolatorio per tutti se i tre studenti ospiti di Annozero avessero accreditato la tesi delle poche mele marce, delle minoranze facinorose infiltrate (magari dai servizi deviati) fra 100mila pacifici manifestanti, pescando fra i luoghi comuni che ricorrono in questi casi: “Pochi imbecilli e delinquenti non devono infangare il buon nome degli studenti”.

Non l’hanno detto. Perché non lo pensano e perché non è così. Anzi, han fatto notare che le violenze di martedì non hanno affatto alienato simpatie e consensi al “movimento”, anzi ne hanno ingrossato vieppiù le file: “All’assemblea di martedì sera alla Sapienza c’era molta più gente delle altre volte”.

Anche questo è un fatto e chi fa informazione deve anzitutto raccontarlo per quello che è, prima di commentarlo.

In questa constatazione, La Russa ha visto addirittura un’apologia di reato e un insulto alle forze dell’ordine e ha chiesto di togliere il microfono agli studenti. Mirabile sintesi dell’atteggiamento del governo.

Che non giustifica la violenza, ma aiuta a spiegarla. C’è un luogo in cui questi giovani, che un po’ pomposamente si definiscono “un’intera generazione”, possono parlare e trovare qualcuno che li ascolti? No, non c’è.

Raggiungerli sui tetti in extremis per raccattare qualche voto è solo un’offesa, l’ultima. Lanciare appelli paternalistici a “isolare i pochi imbecilli che rovinano la protesta pacifica”, con un linguaggio da colonnelli in pensione, non funziona, non attacca. Ammonire contro il ritorno degli anni di piombo, peggio che mai.

Questi ragazzi rivendicano una specificità e una novità che in parte sono infondate (“diversamente dagli anni ‘70, a noi non ci rappresenta nessuno”: ma anche trent’anni fa era così, anche se un ministro dell’Interno che chiede la galera per i giovani accusati di resistenza a pubblico ufficiale avendo una condanna definitiva per resistenza a pubblico ufficiale, è una novità assoluta).

Ma in parte sono reali: è vero che “questa generazione è senza speranze” dunque non ha nulla da perdere, condannata in partenza a scegliere fra precariato selvaggio e disoccupazione, fra disagio alienante ed espatrio, fra rabbia interiore e violenza esteriore.

Fermo restando che è sempre giusto farlo, condannare la violenza non basta più. Occorrono parole nuove e luoghi non comuni per comunicare, al di là della retorica e delle frasi fatte. Da oggi, con l’intervista a Barbara Spinelli e il forum aperto sul nostro sito, proviamo umilmente a cercarli insieme.


Il permesso di manifestare
di Adriano Sofri - La Repubblica - 19 Dicembre 2010

Il governo annuncia un pugno più duro con le manifestazioni politiche, a cominciare dalle prossime degli studenti e degli universitari. Il governo non si risparmia. Fa le veci del Parlamento.

Fa le veci della magistratura, si impegna all'unisono, interni e giustizia, a spiegarle che i ragazzi fermati vanno tenuti in galera. Si profonde in avvertimenti sul ritorno del Sessantotto e degli anni di piombo.

Dal'45 al Sessantotto erano passati 23 anni. Dal Sessantotto a oggi 42. I "ragazzi" di oggi, dai 41 anni in giù, sono nati dopo il Sessantotto, e dai 40 in giù dopo lo sbarco sulla luna.

Che studenti ricercatori operai vadano sui tetti al governo sembra seccante, ma fino a un certo punto. Da lì possono solo scendere, o buttandosi di sotto, e non c'è problema, o dalle scale, e basta aspettarli e rimetterli al loro posto.

Che dai tetti scendano nelle strade e le riempiano e tornino ad avere insieme obiettivi definiti e un'ispirazione generale, che ripudino una presunta riforma e non ne possano più di un'intera idea del senso della vita, questo il governo non può sopportarlo.

Il governo ha tutto il potere, e lo venera come un sacramento, il Parlamento è un incidente sempre più superfluo, giustizia e stampa (non servili) cerimonie fastidiose, le polizie - quando non manifestano a loro volta contro il governo - un privato servizio d'ordine.

La cosa è culminata - per il momento - nell'invenzione del Viminale: l'estensione del Daspo alle manifestazioni politiche - cioè alla politica. Essendo le manifestazioni politiche appunto il modo di manifestarsi della politica, la proposta vale né più né meno all'esonero di polizia di un certo numero di cittadini - "ritenuti pericolosi" - dalla politica, e dunque, per completare il giro di parole e di fatti, dalla cittadinanza. Ascoltare la trovata e sorridere - o ridere francamente - è fin troppo facile.

"Li vogliamo vedere, a decidere chi può partecipare a un corteo o a un comizio, e poi a impedirglielo". Ma il bello delle trovate reazionarie sta proprio lì: che vengano sparate nonostante la loro enormità, anzi, grazie alla loro assurdità.

Gli anziani si ricorderanno le polemiche roventi sulle leggi d'eccezione e il fermo di polizia. Ma il fermo di polizia, anche il più arbitrario per durata e modalità, pretende almeno di far seguire l'arbitrio a un reato commesso. Qui il fermo ne precede la presunzione, vagheggia una legislazione dei sospetti.

Alle manifestazioni politiche possono partecipare solo i buoni cittadini: i cattivi no. Chi sono i cattivi? Quelli che, se si permettesse loro di partecipare alle manifestazioni politiche, si comporterebbero male. Logico, magnifico. Vengo anch'io. No tu no. E perché? Perché no. Il Viminale non vuole. Per il nostro bene.

L'idea del Daspo politico è così genialmente ministeriale da lasciare ammirati e senza parole. All'inizio; poi le parole vengono, altro che se vengono. Una volta che vi siate informati su che cos'è (è il Divieto di Accedere alle manifestazioni SPOrtive, scritto così) perché non applicare il Daspo anche agli accessi alle Autostrade Italiane?

Ho appena sentito dalle autorità preposte che la colpa di ieri è degli automobilisti sventati che sfidano la sorte senza attenersi alle raccomandazioni dei cartelloni stradali ("catene a bordo" eccetera: anche in treno?).

Dunque Daspo ai caselli. Manifestanti o automobilisti, basterà dotare le polizie (e le forze armate, per la sinergia) di un elenco dei facinorosi, da compulsare al momento della loro discesa in strada. Del resto, diciamocelo: elenchi così ci sono già, pubblici e privati.

Per le incombenti manifestazioni studentesche basterà disporre di un primo catalogo approssimativo: due o tre milioni di nomi e cognomi. Del resto, avvenne già. Anzi, geniale com'è, l'idea ministeriale rischia di essere troppo modesta rispetto ai precedenti classici.

Fascismo o "socialismo reale" non sapevano forse assicurare l'ordine pubblico e lo svolgimento ordinato delle libere manifestazioni, piuttosto che con la bruta repressione, con una accurata azione preventiva (di igiene, vorrei dire, ora che questa sintomatica parola - "la guerra, igiene del mondo" - è stata rimessa all'onore del mondo stesso)?

Andando più per le spicce, quei regimi non si limitavano ad applicare un Daspo antemarcia ai sospetti dissidenti per le eventuali loro manifestazioni pubbliche, ma per le proprie.

Alla vigilia delle quali gli oppositori, meticolosamente schedati senza bisogno di computer, quando non fossero già al sicuro in galera o al confino, venivano arrestati o consegnati agli arresti a domicilio. E la piazza delle manifestazioni di regime ne risultava sgombra dal rischio di incidenti: igiene, appunto, piazza pulita di rivoltosi, violenti e altri rifiuti organici.

Si applichi dunque il Daspo alle manifestazioni politiche, ma se ne escludano le manifestazioni di opposizione al governo - non occorre vietarle, basta abolirle - e lo si applichi rigorosamente a quelle del Pdl, della Lega e delle forze loro alleate e genuinamente fasciste, dai cui paraggi saranno allontanati i membri dell'Elenco Facinorosi, e concentrati per il tempo necessario alla sicurezza collettiva e all'ordinato esercizio del diritto di manifestazione - 36 ore minimo - fra Incisa Valdarno e Firenze Sud. A bordo. In catene.


Maurizietto. Il senatore questurino
di Ferdinando Menconi - www.ilribelle.com - 20 Dicembre 2010

L’ex colonnello di An auspica «un nuovo 7 aprile», ovverosia l’arresto preventivo dei fautori delle proteste di piazza. Un’ipotesi grottesca, ma anche pericolosa

Gasparri, ovvero l’arroganza ottusa. E se le esibizioni di arroganza non sono una novità per la nostra “lampada stroboscopica bidirezionale”, per definirlo come l’ha disegnato Vauro nell’ultima puntata di Annozero, quanto a ottusità, nella sua dichiarazione invocante un nuovo “7 Aprile” per i cosiddetti istigatori alla violenza di piazza, ha decisamente superato se stesso.

Questo riferimento, al giorno in cui venne decapitata Autonomia Operaia, nella primavera del 1979, è una dichiarazione irresponsabile che, in un clima già teso, getta benzina sul fuoco: il primo istigatore alla violenza da far tacere dovrebbe essere proprio Gasparri.

Se la manifestazione del 22 degenererà, se gli spettri degli anni 70, insensatamente evocati da Gasparri, prenderanno corpo, e ci scapperà qualcosa di più di qualche auto bruciata, le responsabilità saranno da addossare a lui prima che alla gente che vorrebbe far arrestare.

Il clima e la struttura della protesta hanno ben poco a che vedere con quelli degli anni 70, non c’è alcun parallelismo possibile, almeno allo stato attuale delle cose, eppure sembra che sia un preciso interesse a ricreare climi da “strategia della tensione”.

Non bastano più le abituali armi di distrazione di massa per rincoglionire il popolo: bisogna trovare qualcosa di più forte perché i media di regime possano occultare lo scempio che Palazzo e poteri forti stanno facendo della nazione. La paura ha già funzionato una volta per reprimere la rabbia, in crescita in strati sempre più ampi della popolazione.

Perché non riprovare? Magari si ricompatta anche il consenso che le istituzioni, sempre più delegittimate, stanno inesorabilmente perdendo, così che i manovratori possano riprendere a perseguire i loro scopi, che raramente coincidono con quelli delle istituzioni che dovrebbero servire e non usare.

È chiaro che non si può attribuire a Gasparri tutta questa finezza strategica: il ritenerlo farebbe cadere nello stesso ridicolo suo e di La Russa. Quella dello Strobobidirezionale non è neppure fascismo: è solo mentalità da questurino, ma di quelli anni ’50.

La polizia di oggi non è più quella dei tempi di Pasolini: nella contestazione a La Russa ha dimostrato una profonda maturazione che sembra derivare dalla presa di coscienza di un ruolo che non è solo quello di cane da guardia del regime, qualunque esso sia.

Il poliziotto da tempo non è più reclutato fra i Lumpen e soffre gli stessi disagi del resto della società, con qualche rischio in più che giustificherebbe in lui più rabbia di quanta ne abbiano gli studenti. E chissà se un giorno riuscirà anche a fare un passo oltre.

Chi manovra e, soprattutto, pensa è altrove. Gasparri è solo una voce di ottusa arroganza, buona per platee Sanfedeiste, con capacità intellettuali e critiche che non vanno oltre il livello Rete4.

Le sue provocazioni, se raccolte, andranno comunque a contribuire a un disegno che sembra teso a pilotare un innalzamento del livello dello scontro, che non sia, però, si badi bene, reale e strutturato: l’importante è che risulti ben spendibile a livello mediatico.

Così com’è stato per la grottesca proposta di estendere i DASPO alla partecipazione alle manifestazioni, come se questo diritto fondamentale possa essere minimante accomunato alla facoltà di andare allo stadio: un insulto ai principi cardine della democrazia, che però riesce nell’intento di insinuare nelle menti deboli, che non sono poche, l’associazione “manifestanti uguali a ultrà”.

Il clima rischia di farsi pesante, ma più che per il preciso piano eversivo da stroncare sul nascere con un nuovo “7 Aprile”, i rischi vengono dalle scomposte reazioni dei politici.

Certo non tutte sono oltre i limiti del ridicolo, come quelle di Gasparri e La Russa, ma si rivelano immancabilmente tese a strumentalizzare una situazione che, per incompetenza o malafede, non vogliono comprendere e non sapranno gestire, ma che sperano di poter usare e sfruttare. Poco importa quale sarà il costo per il paese, e non ci riferiamo ai danni materiali causati dai manifestanti.

Il 22 gli studenti scenderanno nuovamente in piazza e in un clima che si vuole mantenere teso, più di quanto sia negli interessi e, probabilmente, nella volontà del movimento di protesta: c’è da sperare che nessuno raccolga le provocazioni del questurino Gasparri, né gli studenti, né le forze dell’ordine, anche se un “Black Bloc” lo si trova sempre se serve agli scopi.


I sindacati di polizia manifestano ad Arcore “Gasparri pericoloso, la piazza è un diritto”
di Lorenzo Galeazzi e Franza Baraggino - Il Fatto Quotidiano - 20 Dicembre 2010

Le sigle sindacali unite scendono in piazza per protestare contro i tagli al settore imposti dalla finanziaria. E sulle affermazioni del capogruppo Pdl attaccano: "Responsabilità sua se ci fossero nuovi scontri"

“Cosa c’entrano il Daspo e gli arresti preventivi invocati da Gasparri? Manifestare è un diritto. Poi se noi scopriamo che qualcuno si è macchiato di qualche reato lo perseguiamo, punto”. Parola dei poliziotti che stamane sono tornati ad Arcore, davanti alla villa di Silvio Berlusconi, per protestare contro i tagli del governo al loro settore.

La rabbia è tanta, e questa volta sono i poliziotti a scendere in piazza. La quasi totalità delle sigle sindacali di polizia si è riunita davanti a villa San Martino, per protestare contro la manovra finanziaria e le promesse “mai mantenute” di questo governo. “Per il prossimo triennio i nostri salari non potranno superare quelli percepiti nel 2010”.

E’ Alessandro Pisaniello del Siulp a chiarire quanto sia critica la situazione: “A fronte di una riduzione del personale da 106 a 96 mila unità, ogni poliziotto avrà più lavoro, ma una volta raggiunto il tetto del 2010 – spiega Pisaniello – straordinari, notti e missioni non verranno più remunerati”. E conclude: “Come se non bastasse, ai passaggi di qualifica non corrisponderà un equivalente adeguamento dello stipendio”.

Il contratto degli operatori di polizia per gli anni 2008 e 2009 è stato firmato lo scorso settembre, e nell’accordo era previsto anche il pagamento degli arretrati entro il mese di novembre. “Sono riusciti a non rispettare la loro stessa firma – attacca Maccari del Coisp – nonostante le parole di Maroni e l’emendamento col quale avevano promesso di difendere le nostre buste paga”.

L’emendamento, fanno notare, è durato meno di un giorno, e altrettanto in fretta è stato cancellato. “E’ l’ennesimo volta faccia di un governo che non onora gli impegni – accusa Claudio Giardullo del Silp, che assicura: “Se non si mette mano alla finanziaria con norme specifiche, la nostra operatività sarà compromessa, e non potremo più garantire la sicurezza dei cittadini”.

Ma la manifestazione è anche l’occasione giusta per provare a capire cosa pensino i rappresentanti delle forze dell’ordine delle dichiarazioni incendiarie rilasciate da numerosi esponenti di Pdl e Lega a partire da martedì 14 dicembre, giorno dei disordini a Roma.

Il sottosegretario agli Interni Alfredo Mantovano ha chiesto di estendere il Daspo, il provvedimento che tiene i tifosi violenti alla larga dagli stadi, anche ai manifestanti e Roberto Maroni, titolare del Viminale, ha giudicato la proposta così interessante da poter essere inserita nel pacchetto Sicurezza.

Ma l’esponente che ha dato più fuoco alle polveri è sicuramente Maurizio Gasparri, il capogruppo del Pdl al Senato ha infatti invocato “arresti preventivi” e retate sullo stile di ciò che accadeva negli anni Settanta.

Per fortuna dai rappresentanti delle forze dell’ordine si è sollevato un coro di “no” e un invito ad abbassare i toni per non esacerbare gli animi, sia dei manifestanti sia degli stessi poliziotti che si trovano a fronteggiarli.

“La politica si deve rendere conto che il momento è molto delicato e va gestito con calma– dice Roberto Traverso, segretario Silp Cgil Genova – e ha l’obbligo di parlare alla testa della gente, non alla pancia”.

Anche l’idea di utilizzare i metodi per controllare le tifoserie e di applicarle alla piazza lascia molto perplessi gli agenti. Valentino Tosoni, segretario del Coisp Lombardia, da una vita si occupa di ordine pubblico.

Ha iniziato a fronteggiare i manifestanti proprio in quel periodo in cui le parole di Gasparri vorrebbero farci tornare, gli anni Settanta. E solo nel 2010, fra stadi e manifestazioni politiche, ha fatto fra i 70 e gli 80 “interventi di Op”, come si dice in gergo.

“Sappiamo bene che alle partite spesso e volentieri ci sono frange di tifosi che vogliono solo agitarsi e creare problemi, ma le manifestazioni di dissenso sono completamente un’altra cosa. Capita che al loro interno possano nascondersi anche dei violenti. Ma quelli sono solo dei delinquenti che non hanno niente a che vedere con chi protesta e vuole fare sentire la propria voce. Che è un diritto sancito dalla nostra Costituzione”. Insomma, anche per un vecchio lupo della piazza il Daspo e gli arresti preventivi non servono a niente.

L’opinione più diffusa fra gli agenti è che la politica stia strumentalmente scaricando sulle spalle delle forze di pubblica sicurezza una situazione incendiaria che lei stessa ha contribuito a creare. “Non vogliamo diventare l’obiettivo dei manifestanti più facinorosi solo perché alcuni politici soffiano sul fuoco”, dice Roberto Traverso, segretario Silp Cgil Genova. Continua Tosoni: “Noi prima che poliziotti siamo cittadini che vivono gli stessi disagi di chi manifesta e per giunta siamo costretti ad andare in piazza contro queste persone”.

Quello che bisogna fare ora è abbassare i toni, dicono all’unisono tutte le sigle sindacali, e l’unica “prevenzione” che spetta alla politica è risolvere i problemi: dall’occupazione per i più giovani ai rimedi per chi paga la crisi economica.

“E invece cosa fa il governo? – chiede Daniele Tissone, segretario nazionale Silp Cgil – Pensa di poter risolvere le questioni con la polizia ma in realtà svia solo il problema”. In altre parole il Palazzo pensa di poter fronteggiare l’allarme sociale con un po’ più di ordine pubblico.

Nei prossimi giorni sono previste altre manifestazioni a Roma e nella altre principali città italiane e la parola d’ordine che gira, almeno fra gli agenti, è quella di stare tranquilli. “Dobbiamo renderci conto che la violenza è sempre una cosa orribile – continua Tissone – sia per chi la subisce e anche per chi la esercita, che siano celerini o manifestanti”.

“Al Signor Gasparri, che evoca provvedimenti della ex Legge reale in vigore negli anni Settanta chiediamo che la prossima volta venga a chiedere a noi quelli che sono gli strumenti da adottare per garantire la sicurezza nelle piazze”, dice Rocco Disogra segretario nazionale del Coisp.

Ma quale sarebbe la maniera migliore di stare in piazza per le forze dell’ordine? Tissone non ha dubbi: “Il metodo Firenze. Ordine pubblico presente ma poco visibile. Si all’incontro e no allo scontro”.

Il segretario fa riferimento al novembre 2001, quando, pochi mesi dopo le drammatiche giornate del G8 di Genova, i lavori del Social forum europeo nel capoluogo toscano furono accompagnati da una manifestazione oceanica.

Allora il questore della città era Giuseppe De Donno che decise di fare tutto il contrario di ciò che le forze dell’ordine avevano fatto poco tempo prima a Genova.

E la giornata del corteo, carica di tensione (era la prima volta che il “popolo di Genova” tornava in piazza dopo i fatti del G si trasformò in un’enorme festa. Nessun incidente, nessuna vetrina rotta o auto bruciata.

Nonostante anche allora una certa politica irresponsabile soffiasse sul fuoco. Per dirla con le parole di Franco Maccari del Coisp: “Fin da ora ritengo l’onorevole Gasparri responsabile di qualunque incidente”.

A dimostrazione di posizioni ben più concilianti rispetto a quelle della maggioranza di centro destra, è stato annunciato per il pomeriggio, a Roma, un incontro proposto dal Partito Democratico tra sindacati di polizia e studenti. “Quelli pacifici – precisa Maccari – perché manifestare è un diritto e la battaglia non deve essere tra studenti e forze dell’ordine. Due cose non servono: i black bloc e i Gasparri”.