Naturalmente ci sono già numerose testimonianze di irregolarità, ma molti osservatori diretti parlano anche di un'affluenza scarsa.
Secondo Than Nyein - portavoce della "Forza democratica nazionale" (Ndf) nata da una costola del partito di Aung San Suu Kyi - nelle città potrebbe aver votato solo il 60% degli elettori.
Mentre in diversi exit poll informali condotti da osservatori all'uscita dei seggi, molti hanno confessato di non aver votato per il partito Usdp, espressione della giunta militare. I generali però si sono già riservati per legge il 25% dei seggi.
E' quindi scontata la vittoria dell'Usdp così come la liberazione di Aung San Suu Kyi la settimana prossima, presumibilmente il 13. A meno di impreviste sorprese dalle urne...
Birmania, elezioni-farsa
di Luca Galassi - Peacereporter - 6 Novembre 2010
Domenica si vota: l'analisi del vice-direttore del Democratic Voice of Burma
Dopo anni di condanne da parte della comunità internazionale per abusi e violazioni dei diritti umani, si tengono in Birmania le prime elezioni parlamentari dal 1990 a questa parte. Ma gli attivisti democratici, incluso il Premio Nobel agli arresti domiciliari Aung San Suu Kyi, non sono ottimisti.
Le ultime elezioni videro il trionfo della San Suu Kyi e del suo partito, la National League for Democracy (Nld). La giunta rispose ignorando i risultati e incarcerando i membri del Nld. Il partito ha boicottato le elezioni di domenica ritenendole una farsa. Secondo la costituzione del Paese, un quarto dei seggi sono riservati ai militari.
La fragile rete di opposizione al regime birmano ha organizzato per domenica una serie di iniziative di protesta. Abbiamo chiesto cosa si prospetta in occasione di tale evento nel Paese della dittatura di Than Shwe al vice-direttore del Democratic Voice of Burma (Dvb), il maggiore organo di informazione birmano all'estero.
Si chiama Khin Maung Win, e conta nel periodo elettorale di raggiungere via satellite da Oslo, dove il Dvb è di stanza, almeno 15 milioni di birmani in patria.
Cosa ci si può attendere dalla manifestazione indetta per domenica prossima?
Si tratta di persone che sostanzialmente osteggiano le elezioni, che sono contro la giunta che le ha organizzate in modo illegittimo, e che da tempo stanno portando avanti una campagna di protesta contro il regime. Sono proteste in piccola scala pianificate dal Pac, il People Action Committee, un network di attivisti alcuni dei quali anche veterani delle proteste dell'88. Si organizzeranno per distribuire volantini e poster, tenere discorsi, gridare slogan e tentare anche marce di protesta in aree affollate.
Cosa rischiano?
Rischiano quello che rischia chiunque esprima dissenso nel nostro Paese. Lei lo sa perché ricorda i fatti della protesta dei monaci. Ecco, al governo c'è una giunta militare, e i militari si esprimono con la forza e la repressione.
Quanto si può sperare che le elezioni dischiudano la strada verso una lenta transizione democratica?
La questione è dibattuta. Qualcuno dice che le elezioni sono un passo fondamentale verso la democrazia, altri sostengono di no. Secondo me le elezioni sono uno strumento del regime per garantirsi la legittimazione. Negli ultimi anni non ci sono state grandi visite nel Paese, e non potendo commerciare con i Paesi vicini la giunta ha bisogno di una parvenza di legittimazione.
E' vero che ci sono pressioni da parte dei militari per spingere la gente a votare L'Uspl, il partito di regime?
E' sempre successo, in tutte le elezioni. In queste il governo sta convocando chi lavora nella pubblica amministrazione a votare in anticipo, di fronte ai funzionari di Stato, e questa è una minaccia. Se non si vota per l'Uspl si viene puniti. L'inganno e l'intimidazione sono due caratteristiche di questa giunta.
A sostegno della convinzione che bisogna 'dare fiducia' alla giunta, l'inviato dell'Unione Europea per la Birmania, Piero Fassino, sottolinea che la stessa giunta ha consentito a dieci partiti dell'opposizione di partecipare alle elezioni, e questa sarebbe da considerare come una - seppur timida - apertura. Lei che ne pensa?
Se non ci fosse alcuna opposizione, se non si consentisse all'opposizione di vincere qualche seggio, allora la finzione non sarebbe completa. E' uno specchietto per le allodole per dissimulare una consultazione multipartitica. Per questo hanno consentito a qualche candidato di opposizione di partecipare.
Aung San Suu Kyi verrà davvero liberata il 13 novembre come annunciato da una fonte del governo un mese fa?
Non crediamo che Aung Saan Su Kyi possa uscire liberamente dalla casa dove si trova agli arresti domiciliari da anni. Il regime fa promesse che difficilmente mantiene. Noi non possiamo più contare su queste promesse.
L'Inviato speciale Ue Piero Fassino: fiducia nella transizione
di Luca Galassi - Peacereporter - 6 Novembre 2010
L'ex segretario Ds scommette sull'apertura di spazi per un'evoluzione in senso democratico del Paese
Piero Fassino è dal 2007 l'Inviato speciale dell'Unione Europea per il Myanmar/Birmania. L'ex segretario diessino è da allora incaricato di sostenere gli sforzi per portare dei cambiamenti politici nel Paese asiatico.
Onorevole, domenica si terranno le consultazioni in Birmania. Pare essere lei, in quanto Inviato speciale della Ue, la persona più autorevole per fornire una valutazione su quelle che saranno sicuramente elezioni-farsa.
Questo non si sa, se lei parte così è inutile fare l'intervista, in quanto ha già confezionato la conclusione.
Si sa solo che si terranno le elezioni, allora. Parliamone.
Senza dubbio si tratta di elezioni che si svolgono in un clima molto precario. Il regime ha un controllo ferreo del Paese, Aung Saan Su Kyi è ancora agli arresti domiciliari e ci sono duemila prigioneri politici. Le regole della campagna elettorale non sono in linea con gli standard internazionali, e quindi non c'è dubbio che non ci si possono fare grandi illusioni sul fatto che possano produrre un cambiamento.
Tuttavia sono le prime elezioni dopo vent'anni, vi partecipano trentasette partiti, una decina dei quali guidati da esponenti dell'opposizione, alcuni anche con parecchi anni di carcere alle spalle. I partiti etnici hanno tutti deciso di partecipare perchè pensano che queste elezioni offrano più spazi soprattutto nelle assemblee parlamentari locali.
La campagna elettorale, sia pure in mezzo a mille difficoltà, sta facendo emergere una società civile più dinamica. Quello che si tratta di verificare è se queste elezioni possono costituire un primo piccolo spazio per aprire una strada di transizione democratica, sia pure lenta, complicata e difficile.
Questo è l'atteggiamento assunto da tutta la comunità internazionale. Né il governo degli Stati Uniti, né l'Unione Europea, né l'Onu hanno rifiutato le elezioni a priori. Tutti hanno sollecitato le autorità birmane a garantire che siano elezioni credibili.
Se da un lato la conseguenza delle elezioni potrebbe essere l'inizio di un processo di successione al gerarca - chiamiamolo così - Than Shwe, magari con una ridistribuzione di potere, è anche vero che a monitorare il voto non ci sono osservatori esterni, e il partito di Stato, lo Union Solidarity and Development Party si avvale di una vastissima schiera di 'motivatori' che passano per ogni città e ogni villaggio per spiegare agli elettori cosa votare...
Non c'è dubbio che in queste elezioni il partito dell'Usdp che si riferisce al regime avrà un probabile successo elettorale. Nessuno in questo momento si illude sul fatto che con le consultazioni si possa prevedere un cambiamento dello scenario politico. Il punto non è questo, ma capire se queste elezioni possono costituire l'inizio di un processo, una prima tappa per una transizione.
Si tratta di vedere cosa succederà. Ricordiamoci che siamo in Asia, e qui esistono altre esperienze di Paesi che attraverso processi graduali sono passati da un regime militare a un governo civile. Penso all'Indonesia, alla Thailandia. Si tratta di capire se ci sono le condizioni per favorire un'evoluzione di questo tipo. Questo lo sapremo solo dopo il sette novembre. Non è ancora chiaro se Aung Saan Su Kyi verrà liberata a metà novembre, questo è un elemento che peserà nel giudizio sulla situazione.
Cosa succederà poi nei prossimi cinque-sei mesi? Il Parlamento entrerà in carica a febbraio e ad aprile ci sarà il nuovo governo civile che dovrà sostituire la giunta militare. Sono tutti elementi che possono portare a una legittimazione del regime esistente - e allora il giudizio della comunità internazionale sarà severo - o all'apertura di spazi che possono essere incoraggiati nella linea di un'evoluzione politica.
Tutti i Paesi asiatici hanno questo atteggiamento, e non solo la Cina che è legata all'attuale regime, ma anche Paesi asiatici democratici, che non hanno mancato di esprimere riserve critiche nei confronti del regime birmano: penso all'Indonesia, alle Filippine, alla Thailandia, alla Malesia, a Singapore. Nessuno ha rifiutato a priori le elezioni. Tutti scommettono sul fatto che si possa aprire uno spazio. Se poi questo spazio non si aprirà se ne trarranno le conseguenze.
Dal punto di vista economico la giunta è sostenuta da India e Cina. Quest'ultimo Paese ha investito complessivamente oltre otto miliardi di dollari in Myanmar. Ma gli investitori sono anche altri, occidentali, come la Total, la Chevron e via dicdendo. Chi sono gli italiani che investono ancora in Birmania?
Un numero molto limitato, la cui attività è stata congelata in conseguenza delle sanzioni. Non c'è un'intensificazione né di investimenti né di relazioni commerciali, al contrario. Anche su questo, tuttavia, bisogna essere realisti.
Le sanzioni hanno un valore morale e politico. Siccome l'83 percento dell'interscambio commerciale del Myanmar è con i Paesi asiatici che non adottano sanzioni, l'efficacia concreta è obiettivamente contenuta, in quanto applicata da Usa, Canada e Unione Europea, che hanno un sei-sette percento di interscambio.
Una strategia fondata solo sulle sanzioni non ha una grande capacità di incidere. Per questo Stati Uniti e Unione Europea, confermando le sanzioni, hanno cercato di stabilire un engagement con la giunta, con l'opposizione, con la società civile birmana per cercare di influire di più di quanto possano consentire le sanzioni.
Ma è possibile secondo lei aprire un reale tavolo negoziale con la giunta?
Questa è la scommessa. Lei è in grado di indicarmi una linea più efficace?
Mah, no, io pensavo che sarebbe meglio mantenere molto strette le maglie delle sanzioni...
A parte che in un'economia globalizzata è molto complicato tenerle strette, ma anche tenendole strette si influisce sul sette percento dell'interscambio del Myanmar, un dato molto contenuto.
Gli americani, che con Bush avevano una linea fondata sulle sanzioni, con l'avvento di Obama hanno sì confermato tali sanzioni, ma allo stesso tempo hanno adottato una policy review che avesse una qualche influenza maggiore.
Quando ha in programma in un viaggio in Myanmar?
Era previsto che l'Unione Europea inviasse una delegazione, avevamo definito anche le modalità, poi la mancata autorizzazione a visitare Aung San Suu Kyi ci ha costretto a rinviare il viaggio, che intendiamo fare subito dopo le elezioni, soprattutto se Aung San Suu Kyi sarà liberata.
Mentre ogni giorno sentiamo parlare di guerre che nell’immaginario collettivo vengono legittimate dal termine “pace”, in angoli sperduti del mondo ci sono dei popoli costretti a combattere esclusivamente per la loro sopravvivenza.
Uno di questi conflitti, sconosciuti o ignorati, è quello che il Popolo Karen porta avanti dal 1949 contro la giunta militare birmana per ottenere una completa autonomia e il rispetto delle proprie identità e tradizioni.
La Birmania è composta da numerosissime etnie differenti forzatamente inglobate - nel corso del diciannovesimo secolo - durante il periodo coloniale dominato dalla Gran Bretagna. Dopo tale periodo, alla fine del secondo conflitto mondiale, fu sancito un trattato che avrebbe permesso al mosaico etnico birmano la propria libertà.
Quel trattato post coloniale non venne mai osservato dal Governo di Rangoon e così, i Karen, hanno iniziato una guerra che tutt’ora è in atto. Ha contribuito a far conoscere la storia di questo splendido popolo la Comunità Solidarista Popoli - che dal 2001 porta aiuto concreto alla popolazione Karen - che organizza anche missioni cui è possibile partecipare. E così il mio viaggio è iniziato da Roma, direzione Bangkok, la capitale Thailandese.
Dopo undici ore di volo si arriva a destinazione. E desta curiosità il fatto che, nel 2010, esista un popolo capace di lottare per la propria libertà. Dopo una notte a Bangkok, la mattina seguente si parte per Mae Sot, una piccola città al confine tra Thailandia e Birmania.
La frontiera è chiusa in vista delle elezioni birmane che si terranno il 7 Novembre 2010 e così, dopo aver comprato tutto il necessario per passare diverse notti nella giungla con i guerriglieri Karen, si attraversa il confine nei modi che il contesto impone.
Dopo un paio d’ore di macchina, si lasciano i pick up e si prosegue il viaggio con dei piccoli trattori. Ecco finalmente l’arrivo in territorio Karen e, con la scorta dell’Esercito di Liberazione Karen - K.N.L.A. -, si giunge al villaggio.
Militari e civili danno il benvenuto e con il sorriso iniziano subito a preparare la cena. I rumori della società moderna si trasformano in silenzi magici, il tempo e le ore vengono scandite solamente dal giorno e dalla notte.
All’arrivo del buio, dopo la cena e dopo la canzone della rivoluzione suonata e cantata da John, un giovane volontario dell’Esercito di Liberazione Karen, come da tradizione ancestrale, ci infiliamo nei nostri sacco a pelo per svegliarci appena la luce del sole risorgerà. È l’inizio di un’esperienza indimenticabile. Ci si sveglia di buon mattino e, dopo un caffé “americano”, andiamo a distribuire i giocattoli e i vestiti portati per i bambini di “Little Verona”.
Questi piccoli bimbi – tutti bellissimi, contenti del nostro arrivo e sorridenti nonostante siano visibilmente in una situazione molto difficile - si mettono in fila aspettando il loro turno per ricevere qualsiasi cosa gli verrà data.
Piccole cose hanno dell’incredibile, se pensiamo ad un bambino occidentale dell’età moderna circondato da Play Station e Ipod. Tutto sembra diverso, e anche la natura incontaminata dei territori Karen ha qualcosa di incantevole, nonostante il tempo cambi velocemente per via delle forti piogge che in questo periodo sono frequenti nel sud-est asiatico: si assaporare il fascino che questi cieli riescono a regalare. Un cielo che a volte sembra addirittura possibile sfiorare con un dito, da quanto appare vicino e limpido.
Dopo aver dato ai bambini i piccoli regali portati, ci si dirige verso la clinica mobile che la comunità solidarista ha costruito nel villaggio. Qui, Rodolfo Turano, che da anni preferisce passare le sue ferie al fianco del popolo Karen - concretizzando il motto dannunziano “io ho quel che ho donato” - insieme ad altri volontari ed infermieri, visiterà e, se necessario, opererà gli abitanti del villaggio.
Intanto, nel perimetro di “Little Verona”, l’Esercito di Liberazione Karen è vigile per possibili attacchi improvvisi da parte dei soldati della giunta militare birmana. Giovani e meno giovani sono costretti ad imbracciare il fucile per difendere le proprie famiglie da attacchi crudi, spietati e vigliacchi.
Girando nel villaggio per cercare di capire meglio lo stato in cui vive questo popolo, riesco a scambiare due parole con il Colonnello della K.N.L.A. Nerdah Mya che, in perfetto inglese, mi racconta che i Karen contano più di sette milioni di persone e che sono giunti in quelle zone circa 2700 anni fa.
Continua dicendomi che hanno tutte le caratteristiche per richiedere la propria indipendenza poiché hanno una propria cultura, una propria lingua, una propria storia e una propria terra.
Nerdah Mya ha un viso buono, pulito e sembra non essere per niente stanco di lottare. Si sente legittimato a vincere la guerra per la libertà. Proseguendo la chiacchierata, dice che se i Karen non si fossero fin qui battuti non sarebbe più possibile parlare dei Karen perché non esisterebbero più.
Mi racconta che una volta il regime birmano ha dichiarato che in futuro per poter vedere un Karen si dovrà andare in un museo. Non sarà certamente così. Mi guarda dritto negli occhi e mi dice: “mio padre - Bo Mya, leggendario eroe della resistenza Karen deceduto nel dicembre 2006 - mi ha sempre detto una cosa che non dimenticherò mai: «E’ meglio vivere un solo giorno da Uomo libero piuttosto che cento anni da schiavo».
Il giro continua e, parlando con altri soldati, c’è da rimanere veramente impressionati dalla loro perseveranza nel rispetto dei principi fondamentali come l’identità, la terra - intesa atavicamente -, gli antenati, la libertà e dalla loro netta intransigenza verso chi costantemente gli offre fiumi di denaro derivante soprattutto dal traffico di droga per scendere a patti con il Governo di Rangoon e, fattivamente, per perdere tutte le proprie specificità di popolo.
La giunta militare birmana – supportata militarmente dalla Cina, Israele, India, Russia e Singapore – gode anche della collaborazione dell’intelligence australiana che organizza a Rangoon corsi di formazione per strategie militari nel controllo e nella repressione di sommosse e fa affari con grandi multinazionali mondiali.
La Repubblica Popolare Cinese, ormai turbo capitalista, incrementa la sua economia anche grazie all’esportazione delle materie prime come gas e legname che la Birmania offre e si assicura un posto strategico nei mari del sud-est asiatico.
Al contempo, la giunta militare, approfitta della collaborazione con Pechino per avere un chiaro supporto dentro il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. La giornata sta per finire, il Dottor Turano, con gli altri volontari, ha concluso le visite degli abitanti del villaggio e così si ritorna all’accampamento per cenare: qui il riso non manca mai e tutto viene cucinato con una fortissima salsa piccante, ed è curioso soprattutto il cuore di bambù lesso che ha un sapore simile al nostro carciofo. Mentre i piatti sono “occidentali”, in ceramica, i bicchieri sono stati fatti con i tronchi del bambù tagliati.
L’indomani è prevista una dura giornata di marcia, c’è da raggiungere un altro villaggio e così, verso le 19.00, dopo due chiacchiere a lume di candela è ora di andare a dormire. Il sole torna, la luce filtra attraverso la nostra zanzariera ed è il segnale che è ora di alzarci e prepararci per muoverci.
Una colonna di combattenti Karen è gia partita in avanscoperta per perlustrare la zona ed assicurarsi che non vi siano presenze nemiche e, una ventina di minuti dopo, partiamo anche noi. Siamo tanti, circa un centinaio di volontari dell’Esercito di Liberazione Karen ci stanno scortando; stiamo entrando nel vivo della giungla, in alcune parti il sole quasi non riesce a filtrare, mentre in altre, è fortissimo.
C’è silenzio, completo silenzio ad eccezione del rumore composto degli scarponi. Il tratto potrebbe essere minato dai militari birmani dunque bisogna fare massima attenzione a proseguire solamente dove siamo in sicurezza.
Il paesaggio continua ad essere incantevole, attraversiamo molti campi di mais – una delle poche fonti di sostentamento - che i combattenti Karen devono controllare a causa delle frequenti incursioni birmane atte ad incendiare i frutti del raccolto. Dopo aver passato un piccolo fiume, facciamo la nostra prima sosta. Qualche minuto scorre e siamo di nuovo in marcia.
La strada è lunga e bisogna percorrerne il più possibile prima che arrivi la notte. Di tanto in tanto i volontari Karen aspettano il nostro passaggio indicandoci le mine anti-uomo che sono riusciti a localizzare. Facciamo attenzione e l’adrenalina sale al massimo. Dopo un paio di soste ci fermiamo definitivamente in piena giungla per passare la notte.
C’è un piccolo spiazzo, un fiumiciattolo per poter prendere l’acqua e per poterci lavare e sembra un ottimo posto per poterci difendere. Nelle due notti precedenti avevamo dormito nella “Casa di Popoli” - una capanna fatta dai Karen per ospitare i volontari nelle varie missioni - dentro un sacco a pelo con un tetto sopra la testa. Stasera, invece, dormiremo all’aperto, su un’amaca. In pochissimo tempo viene allestito il “campo”, tutte le amache vengono montate e vengono fatte delle capanne temporanee.
Questi ragazzi Karen sono velocissimi, rimango stupito nel vederli lavorare con i loro coltelli. Il fiumiciattolo è sicuro, non ci sono mine e neanche militari birmani nelle vicinanze così possiamo farci un bagno e lavarci un po’ prima di cena. Docce e idromassaggi non sono previsti nella permanenza in giungla. Inizia a fare buio e la stanchezza si fa sentire.
Eppure da dentro l’amaca, dondolandosi e guardando i Karen viene da pensare a quanta forza interiore possano avere. Quella notte il sonno si è interrotto spesso, forse per i rumori degli spari che si sentivano in lontananza. Devo ammettere che ero invidioso.
Un’invidia, quella sana, per delle persone che riescono a trasmetterti valori fortissimi ed irrinunciabili. Al risveglio, apro gli occhi e davanti a me trovo un cobra preso nella notte pronto ad essere cucinato. Dopo la colazione vorremmo rimetterci in marcia ma purtroppo le notizie non sono buone, l’esercito birmano è a pochi chilometri da noi ed è troppo vicino al villaggio che dobbiamo raggiungere.
Il Colonnello Nerdah Mya - per non mettere in pericolo le nostre vite - decide di tornare indietro. Dopo qualche giorno, è arrivato il momento di tornare a casa e con l’auspicio che prima o poi, proprio grazie ad esempi concreti come quelli del Popolo Karen, potrà esserci, anche per il nostro Occidente, un ritorno alla visione più “tradizionale” della società, ci si imbarca sul volo per Roma.
Intanto, i Karen, continueranno la loro lotta con determinazione e la giunta militare birmana attraverso attacchi improvvisi, terrore, stupri e schiavitù proverà ancora ad annientare questo splendido popolo. Sotto il silenzio, quasi totale, dell’informazione globalizzata.