Il segretario generale della Nato, Anders Fogh Rasmussen, ha comunque già anticipato che i Paesi membri raggiungeranno "un accordo sul futuro nucleare dell’Alleanza" e che nei documenti del vertice la Nato non indicherà l’Iran come sua principale minaccia.
Una mossa per blandire la Turchia onde avere il suo sostegno al sistema di difesa antimissilistico.
Naturalmente il testo del nuovo documento strategico è ancora riservato, ma di certo Francia e Germania la pensano diversamente sia sul nucleare che sul sistema di difesa antimissile.
In sintesi, un altro vertice per cercare di ridare un senso ad un'Alleanza militare, sconfitta in Afghanistan nella sua prima vera guerra combattuta direttamente e che si sarebbe dovuta già sciogliere contemporaneamente alla scomparsa ufficiale dell'Unione Sovietica, il 31 Dicembre 1991.
Difendersi dagli attacchi cibernetici
di Antonio Marafioti - Peacereporter - 18 Novembre 2010
Al vertice Nato di Lisbona si proporrà di parificare gli attacchi cibernetici a quelli armati. I Paesi membri sono pronti a emendare l'articolo 5 del Trattato
"Il Cyber Spazio si è trasformato in un nuovo campo di battaglia e ha acquistato un'importanza simile a quella che hanno terra, mare e aria". Alla Nato sembrano aver tenuto in alta considerazione queste parole, pronunciate a settembre da Carroll Pollett, tenente dell'esercito Usa e direttore dell'Agenzia di Sistemi dell'informazione della Difesa.
Tra i punti del nuovo concetto strategico che i Paesi membri dell'Organizzazione del Trattato Nordatlantico discuteranno, da venerdì prossimo, al ventiquattresimo summit Nato di Lisbona, ci sarà anche quello della cyber defence.
L'inserimento del tema potrebbe non essere solo una dissertazione teorica visto e considerato che sono in molti, dentro e fuori l'organizzazione intergovernativa di difesa, a chiedere che gli attacchi informatici siano parificati a quelli armati.
E gli attacchi armati contro una o più parti dell'Organizzazione, in Europa e nell'America settentrionale, vengono considerati, secondo l'articolo 5 del Trattato, un "attacco verso tutte" con la conseguenza che "se tale attacco - riporta l'articolo - dovesse verificarsi, ognuna di esse, nell'esercizio del diritto di legittima difesa individuale o collettiva riconosciuto dall'articolo 51 dello Statuto delle Nazioni Unite, assisterà la parte o le parti così attaccate, intraprendendo immediatamente [...]l'azione che giudicherà necessaria, ivi compreso l'impiego della forza armata".
Il concetto è chiaro: se attaccano qualcuno dei membri, gli altri correranno in sua, o loro, difesa. Per rafforzare il pilastro della "sicurezza collettiva", ampliandolo agli attacchi cibernetici, i Paesi membri dovranno decidere di emendare il Trattato proprio all'articolo 5.
Nonostante la sua chiarezza, la disposizione non specifica cosa debba essere considerato attacco armato, lasciando agli Stati la discrezionalità di decidere, volta per volta, quali offensive considerare tali.
Dall'anno della sua formulazione, il 1949, l'articolo 5 del Trattato del Nordatlantico, è stato invocato solo una volta: dopo gli attacchi sul World Trade Center, l'11 settembre del 2001. Quello che l'articolo 5 non prevede, perché sessantanni fa era imprevedibile, sono gli attacchi non armati e, nello specifico, quelli cibernetici.
Attualmente le minacce più concrete di un cyber attacco riguardano gli Stati Uniti che, infatti, sono in prima fila nel gruppo di Paesi che si è detto favorevole a un allargamento dell'articolo 5. A settembre il governo di Washington ha sciolto la squadra operativa della rete globali del Dipartimento della Difesa, integrandolo nel nuovo Cybercomando governativo (Cybercom).
La necessità è quella di prevenire attacchi come quello che la Russia, che non ha mai confermato, sferrò sull'Estonia il 18 maggio 2007 e che gettò nel caos uffici governativi, banche e mezzi d'informazione. Più recentemente, il 23 settembre scorso, Stuxnet, un malware (software maligno ndr), penetrò nei sistemi informatici iraniani facendo temere un attacco cibernetico da parte di qualche potenza nemica.
Almeno altri quattro anni di guerra
di Enrico Piovesana - Peacereporter - 17 Novembre 2010
Al vertice Nato di Lisbona che si apre venerdì, Obama presenterà il suo piano per l'Afghanistan: altri 48 mesi di guerra sempre più dura, dopo i quali le truppe occidentali rimarranno, senza limiti, a sostegno dell'esercito afgano
La guerra d'occupazione degli Stati Uniti e della Nato in Afghanistan durerà almeno altri quattro anni, ma la presenza militare occidentale nel paese proseguirà, senza limiti, ben oltre il 2015.
Questo è il piano che il premio Nobel per la pace, Barak Obama, presenterà venerdì al vertice dell'Alleanza atlantica di Lisbona: altri 48 mesi di guerra 'dura' alla Petraus (con un'escalation dei bombardamenti aerei e un sempre più massiccio ricorso ai raid notturni delle forze speciali), al termine dei quali dovrebbe avvenire il ritiro del grosso delle 'truppe combattenti' (da completare, talebani permettendo, entro la fine del 2014), lasciando comunque sul campo decine di migliaia di truppe Nato con il compito di assistere l'esercito afgano nella prosecuzione della guerra (il che presuppone molti altri anni di operazioni militari a sostegno delle truppe afgane).
Mark Sedwill, il rappresentante civile della Nato in Afghanistan, parlando oggi a Kabul ha già messo le mani avanti sulla scadenza dei qattro anni per il ritiro delle truppe combattenti. "Il termine della fine del 2014 non va considerato come una deadline, ma come un obiettivo: nelle aree del paese con maggiori problemi di sicurezza, il passaggio di consegne alle truppe afgane potrebbe protrarsi anche nel corso del 2015 e oltre".
Dopo aver subìto nove anni di occupazione e di guerra, al popolo afgano vengono garantiti altri anni di passione, quattro, cinque o forse più. E saranno gli anni peggiori.
Da quando, lo scorso 5 luglio, il generale David Petraues ha preso il comando delle operazioni di guerra alleate in Afghanistan, i bombardamenti aerei alleati sono diventati sempre più frequenti: 400 nel mese di luglio, 500 in agosto, addirittura 700 in settembre.
In ottobre è giunta al largo delle coste pachistane una seconda portaerei americana (la USS Lincoln) e presto dovrebbe arrivarne anche una francese (la De Gaulle): tutto questo in preparazione di un'ulteriore escalation della campagna aerea in Afghanistan.
A preoccupare gli afgani, forse anche più dell'aumento dei bombardamenti aerei, è il crescente ricorso alla tattica dei 'night raid': i famigerati blitz notturni compiuti dalle forze speciali (americane e non solo) nelle abitazioni civili 'sospette'.
Azioni brutali che terrorizzano la popolazione e che spesso si concludono con l'uccisione a sangue freddo di donne, uomini e bambini innocenti, accompagnate da violenze gratuite e umiliazioni, furti e danneggiamenti.
Una pratica sempre più diffusa da quando c'è Petraeus al comando, e di cui il presidente afgano Hamid Kazrai ha chiesto con forza la cessazione: una richiesta seccamente bocciata sia dal generalissimo Usa, che ha espresso "stupore e disappunto" per le "pericolose" parole di Karzai, sia dal segretario di Stato Usa, Hillary Clinton, che ha difeso i raid notturni come "componente chiave" della strategia militare americana.
Pianificare altri quattro anni di guerra significa mettere in conto altre decine di migliaia di civili afgani uccisi, altre centinaia di migliaia di innocenti feriti, mutilati e sfollati, e almeno altri 2.500 giovani militari occidentali caduti (stando alla media dell'ultimo anno di guerra).
Per non parlare delle decine di miliardi di euro che verranno gettati al vento in un momento di grave crisi economica: solo l'Italia spenderà almeno altri 3 miliardi di euro se deciderà di rimanere in Afghanistan fino al 2014.
Nato-Russia, prove di cooperazione
di Nicola Sessa - Peacreporter - 18 Novembre 2010
I dettagli sono ancora da definire, ma è prevedibile che il summit Nato-Russia di Lisbona segnerà un nuovo inizio nei rapporti tra Mosca e l'Alleanza Atlantica. Il 19 novembre, i 28 paesi membri saranno chiamati non solo a ridisegnare le linee strategiche della Nato - che risalgono al 1999 - ma dovranno esplorare nuovi fronti di collaborazione con l'ex nemico Russia.
Non a caso, il segretario della Nato Anders Fogh Rasmussen - per dare un'anticipazione di quello che sarà il nocciolo dei colloqui con Dimitri Medvedev - ha dichiarato che "è giunto il momento di mettere da parte la reciproca diffidenza" per lavorare insieme.
Sul tavolo delle trattative ci sarà molto di Afghanistan: le due parti perfezioneranno l'accordo per la fornitura di venti elicotteri tattici russi alle forze armate afgane e un programma di addestramento per i piloti - addestramento che, come già precisato da Mosca, avverrà su territorio russo e non su quello afgano.
Inoltre, Medvedev dovrebbe agevolare ulteriormente il transito dei rifornimenti per i 150 mila uomini della Nato dispiegati in Afghanistan sulle ferrovie russe: le novità consistono nel fatto che Mosca permetterà il passaggio, oltre che di carburanti e altri rifornimenti logistici, ai mezzi corazzati Mrap (Mine resistent ambush protected) - ma non anche di armi e munizioni - e che le ferrovie russe potranno essere utilizzate anche per il transito in uscita di materiale dall'Afghanistan - ciò in previsione del progressivo disimpegno delle truppe Nato.
Quello delle linee di rifornimento rimane uno dei nervi scoperti della macchina militare dell'Alleanza: il Northern Distribution Network (Ndn) - la direttrice Baltico-Russia-Caspio - consente un alleggerimento della rischiosissima rotta che attraversa il Khyber pass tra Pakistan e Afghanistan. Attualmente il trenta per cento dei rifornimenti seguono il percorso del Ndn consentendo anche un cospicuo risparmio economico (circa del novanta per cento) rispetto ai vettori aerei.
Rimangono, invece, tutte in piedi le perplessità russe sul sistema difensivo missilistico: l'ambasciatore presso la Nato, Dimitri Rogozin, continua a chiedere rassicurazioni affinché il sistema non sia puntato anche contro la Russia e perché "se si tratta di dare la caccia a un coniglio si fa ricorso alle munizioni per uccidere un orso?".
Una cosa è certa: sebbene la Russia si sia impegnata a prendere in considerazione il progetto della Nato, non ci sarà nessun accordo definitivo. Rogozin pretende una precisa limitazione su base geografica, ma anche strutturale, proponendo - di contro - una condivisione delle informazioni sui programmi missilistici dei paesi terzi; attività di ricognizione congiunta; condivisione di informazioni tecniche e tecnologiche.
di Giulietto Chiesa - Megachip - 18 Novembre 2010
Tra due giorni il vertice NATO di Lisbona deciderà dove dislocare le circa 200 testate nucleari tattiche attualmente sul suolo europeo, sparse tra Belgio, Italia, Germania, Olanda e Turchia.
Dislocare dove, visto che Belgio, Olanda, Germania e altri - avendo male interpretato, evidentemente, le promesse di Obama di andare verso una drastica riduzione delle armi atomiche- avevano dichiarato di non volerle più sui loro territori? Resterebbero, dunque Turchia e Italia.
Ma la Turchia di Erdoğan negli ultimi tempi è diventata un alleato assai scomodo. E non solo è poco verosimile che qualcuno le faccia una tale proposta, ma è ancor meno verosimile che Ankara l'accetterebbe.
Rimane, apparentemente, l'Italia, che sulle sue circa 80 bombe atomiche sparse nei suoi territori non ha mai detto parola, né ai tempi del centro sinistra, né ai tempi presenti della destra. E oggi, con un Berlusconi traballante, bisognoso dell'aiuto dell'abbronzato presidente, non vede l'ora di accettare. Intanto quelle armi non fanno nemmeno il solletico all'amico Putin.Il fatto è che la decisione non è passata inosservata in Europa. Un nutrito gruppo di leader politici europei dell'Europa pre- 11 settembre hanno alzato la voce protestando: perché tenerci queste bombe atomiche? E qual è il ruolo della NATO in questa fase?
I nomi erano grossi e restano grossi anche oggi: sono Helmut Schmidt, ex cancelliere tedesco, l'ex ministro degli esteri belga, Willy Claes, l'ex ministro degli esteri britannico Des Browne, e l'ex primo ministro olandese, Ruud Lubbers.
E le stesse domande irritate sono risuonate in numerose altre capitali europee minori, un tempo prostrate di fronte a Washington. Naturalmente nel silenzio tombale di Roma.
Tutti pensano, come noi, che quelle 200 bombe atomiche non aumentano la nostra sicurezza. Tutti pensano che, anzi, sono pericolose solo per noi europei. Ma non si può certo dire che non servano a niente.
A qualcosa servono: a costringerci a tenere in casa le basi americane, cioè a tenerci legati, mani e piedi, agli Stati Uniti. I quali, precipitando - come stanno facendo (e non pochi europei cominciano ad accorgersene) - trascinano giù anche noi.
Ma una cosa gli Stati Uniti continuano a fare ad alti livelli professionali: lo spettacolo. Ieri un sito abbastanza misterioso, avaaz.org (ma molto bene organizzato. Indirizzo New York, 857 Broadway, 3-rd floor) ha lanciato un appello drammatico, dicendo cose in parte vere (come quella dell'Italia prona), in parte stravaganti (come quella della Turchia, appunto, destinataria di quelle armi).
E invitando a firmare un appello contro le bombe con la promessa che «se raggiungeremo le 25.000 firme ci daranno voce in Parlamento prima del vertice».
Qui la stranezza diventa meglio visibile. A chi daranno voce? Chi porterà quelle firme in Parlamento, visto che il link delle firme conduce in un altro posto virtuale e non alla Camera dei Deputati e al Senato della Repubblica?
E da quando in qua 25.000 firme garantiscono che verrà data voce a voci diverse da quelle del Potere? A noi risulta che il Potere non ha dato voce a ben più di 25.000 firme, in questo paese preso per i fondelli dal maggioritario e dalla legge porcata.
Insomma: una sollecitudine che puzza lontano un miglio di prestazioni da multi-level marketing, o di rivoluzioni colorate.
Restano, oltre le ingenuità e le truffe che navigano in rete, le bombe atomiche che si muoveranno sulle strade e sulle ferrovie europee alla ricerca di un nuovo parcheggio.
Fino a che l'Europa tornerà ad essere un paese sovrano e non com'è stata ed è un conglomerato a sovranità limitata.
I tagli alla difesa dei grandi Paesi europei
di Alberto Terenzi - www.clarissa.it - 17 Novembre 2010
Alla vigilia dell'importante summit della Nato che si terrà a Lisbona il 19 e 20 novembre prossimi, può essere interessante gettare uno sguardo sulla situazione delle risorse che i Paesi europei stanno destinando alla difesa: proprio nelle ultime settimane infatti si sono moltiplicate le notizie sui tagli che le maggiori potenze militari europee hanno deciso di adottare, anche in relazione con la generale crisi finanziaria mondiale.
Iniziamo dalla Gran Bretagna, in quanto essa, ai dati 2007, rappresentava il secondo maggior budget militare al mondo dopo gli Usa, con oltre 63 miliardi di dollari.Ebbene, proprio mentre approvava il proprio documento quinquennale di revisione strategica, il Regno Unito ha anche annunciato una serie di provvedimenti che possiamo definire drastici: taglio del 7,5 per cento del budget della difesa nei prossimi quattro anni, con un risparmio di 4,7 miliardi di sterline; riduzione di 5.000 uomini ciascuna per aviazione e marina, di 7.000 unità delle forze terrestri e di 25.000 civili facenti parte dell'apparato militare britannico, entro il 2014.
Particolarmente significativi i cambiamenti intervenuti nella programmazione della marina, da secoli una delle maggiori al mondo: per potersi permettere due nuove portaerei in costruzione, al costo di 5 miliardi di sterline (Queen Elizabeth e Prince of Wales), delle quali una verrà forse venduta nel 2019 e l'altra imbarcherà invece i nuovi cacciabombardieri F-35 però operativi solo dal 2020, la Royal Navy rinuncia a ben 4 grandi navi da guerra, mantenendo quindi in servizio solo 19 unità navali, tra fregate e cacciatorpediniere, rispetto alle 23 unità attuali.
In compenso, punterà alla costruzione di 6 cacciatorpediniere Type 45 e a sviluppare fregate meno costose e più flessibili.
Per quanto riguarda poi le proprie forze subacquee, il ministero della difesa inglese ha confermato l'introduzione dei sottomarini classe Astute ed il rinvio della sostituzione dei missili balistici nucleari Trident, lanciati da sottomarini, ma con riduzione da 48 a 40 delle testate nucleari imbarcate su ognuna delle 4 unità lanciamissili sottomarine classe Vanguard, la cui vita viene per altro prolungata fino al 2016.
Per poter poi continuare a utilizzare i cacciabombardieri Tornado (anche in Afghanistan), si è deciso di radiare gli aerei a decollo corto/verticale Harrier, utilizzati anche dalle 2 portaerei britanniche oggi in servizio, che sono seriamente colpite dalla riorganizzazione finanziaria delle forze armate inglesi: infatti l'Ark Royal sarà collocata fuori servizio in anticipo rispetto al previsto, mentre viene mantenuta la Illoustrious, ma come porta elicotteri: il che, secondo i commentatori, lascerebbe la Gran Bretagna priva di aerei in grado di decollare in mare almeno fino al 2019, difficilmente sostituibili con i 12 elicotteri Chinook in più messi in programma.
Si procederà poi al taglio del 40% nei mezzi corazzati (tagliati 100 dei 350 carri armati previsti) e del 35% dell'artiglieria pesante, oltre al rimpatrio delle truppe britanniche attualmente schierate in Germania.
La Royal Air Force chiuderà alcune basi, rinuncerà ai pattugliatori Nimrod MRA4 e ad un centinaio di velivoli da combattimento tra Harrier e Tornado.
Anche in Germania vengono adottati provvedimenti epocali: in primo luogo l'abolizione della coscrizione obbligatoria; poi la riduzione degli effettivi, annunciata dal ministro della difesa tedesco in ottobre, da 252.000 a 163.000 uomini, vale a dire meno dell'attuale organico delle forze armate italiane, che è di 185.000 unità; taglio di spesa di 9,3 dei 30 miliardi di euro circa che rappresentano il bilancio della difesa tedesco; riduzione da 3.300 a 1.600 del persone civile della difesa, diviso tra Bonn e Berlino.
L'Italia, pur senza avere chiaramente definito i suoi obiettivi, in un paese da sempre poco attento alla propria politica di difesa, sta applicando un taglio del 10 per cento annuo su di un budget di 14 miliardi di euro annui che si somma alle riduzioni già pianificate nel triennio 2009/2011.
In termini di acquisizione di nuovi equipaggiamenti, sono già stati tagliati 25 caccia Eurofighter Typhoon (altrettanti già in servizio, dovrebbero essere collocati sul mercato dell'usato) e 4 delle 10 fregate Fremm di cui era programmato l'acquisto ed è in forse anche l'acquisizione di nuovi blindati Freccia.
A subire le maggiori riduzioni sono i fondi destinati all'addestramento ed alla manutenzione, oggi assicurati ai soli mezzi ed ai reparti destinati alle operazioni in Libano e Afghanistan: basti pensare che l'intera manutenzione motoristica dei nostri velivoli militari è ormai di fatto affidata agli Usa.
Anche la Francia, il terzo budget militare dopo UK e USA, intende tagliare 3,5 miliardi di euro della propria spesa militare entro il 2013, rinunciando ad esempio ad ammodernare i caccia Mirage 2000: ma i tagli, stando a indiscrezioni riportate dalla stampa, non dovrebbero interessare i maggiori programmi di sviluppo militari del paese, quali i caccia Rafale, le fregate multiruolo Fremm, i veicoli corazzati VBCI, i sottomarini Barracuda o i 30.000 sistemi da combattimento per la fanteria Felin.
Gli Usa: scudo spaziale per tutti
di Maurizio Molinari - La Stampa - 19 Novembre 2010
La nuova strategia Nato: "Fare fronte ai nemici del XXI secolo." Ma il documento non cita l'Iran
Nuovo concetto strategico, difesa antimissile, transizione afghana e rilancio delle relazioni con Mosca sono i pilastri del summit della Nato che inizia oggi a Lisbona proponendosi di «rispondere alle sfide del XXI secolo», come riassume il segretario generale dell’Alleanza Anders Fogh Rasmussen.
Sono i più stretti collaboratori del presidente americano Barack Obama ad anticipare i contenuti del vertice. «Il concetto strategico, che sostituisce quello di 11 anni fa, consente di affrontare le nuove minacce - spiega Phil Gordon, assistente Segretario di Stato per l’Europa - mettendo al centro l’articolo 5 sulla difesa collettiva per individuare gli strumenti utili a proteggere le popolazioni alleate, dalla difesa missilistica a quella cibernetica».
L’idea di «difesa» viene allargata per far fronte a vettori balistici lanciati da Paesi ostili anche se «non nomineremo alcuna nazione in particolare», precisa l’ambasciatore Usa alla Nato Ivo Daalder, e ad aggressioni via Internet capaci di paralizzare interi settori della vita civile.
Il concetto strategico include «riforme organizzative» tese a creare «partnership con Paesi non Nato come il Giappone e l’Australia» sottolinea Gordon, indicando quanto già avviene sul terreno afghano.
Nel complesso, aggiunge Daalder, «la decisione sulla difesa missilistica sarà la questione-chiave» perché i leader si avviano a decidere di «difendere il territorio alleato da attacchi balistici» facendo proprio il progetto di Scudo rivisto dall’amministrazione Obama - rispetto al progetto di George W. Bush - per disinnescare i timori di Mosca.
Da qui la struttura dell’agenda del summit: se oggi i leader della Nato si riuniscono per varare il concetto strategico, domani si siedono nel Consiglio Nato-Russia con il presidente Dmitry Medvedev - alla prima partecipazione - per lanciare un «piano sulla sicurezza nel XXI secolo» destinato a diventare la sede per armonizzare le posizioni sulla difesa antimissile come a «coordinare le mosse contro terrorismo, pirateria e narcotraffico» osserva Gordon.
Trattandosi del primo Consiglio Nato-Russia dopo la guerra in Georgia nel 2008 le attese di Washington sono molto alte e, al fine di rassicurare Mosca, ieri Obama è tornato a impegnarsi per la ratifica del Trattato Start sul disarmo entro fine dicembre, nonostante l’opposizione dei repubblicani. «È imperativo arrivare alla firma» ha detto.
Riguardo all’Afghanistan è Doug Lute, braccio destro di Obama per lo scacchiere afghano-pachistano, ad anticipare: «Questo summit sarà una pietra miliare perché darà inizio al processo di transizione responsabile» ovvero al passaggio delle consegne nelle 34 province fra Nato e forze afghane, a partire dall’estate del 2011 per concludersi nel 2014. «La transizione sarà basata sulle condizioni sul terreno, a cominciare dall’addestramento delle forze afghane e non sarà dunque immediata» puntualizza Gordon.
In tale cornice verrà chiesto ai partner della coalizione - i 28 della Nato più altri 20, che si riuniranno in una sessione ad hoc - di assicurare più istruttori e più impegno civile. A indicare la strada da percorrere è la scelta del Canada di inviare 750 addestratori e 200 soldati di supporto «per rafforzare la missione di addestramento delle truppe afghane» come sottolinea Lute.
La decisione di collegare il successo della transizione all’addestramento degli afghani - in maniera analoga a quanto avvenuto in Iraq - lascia intendere che il 2014 è una data flessibile per la fine dell’intervento e le truppe potrebbero restare più a lungo.
D’altra parte Gordon e Lute concordano sul fatto che «la transizione si affianca alla volontà di un impegno di lungo termine in Afghanistan».
L’ultimo appuntamento di Lisbona sarà, nel pomeriggio di domani, il summit Usa-Ue che a dispetto della durata assai limitata - appena 2 ore - si propone di rafforzare la «cooperazione globale» affidando al Consiglio economico transatlantico il compito di «promuovere innovazioni tecnologiche» per rafforzare scambi che sommano 4 trilioni di dollari annui «al fine di far crescere l’occupazione nei nostri Paesi», conclude Liz Sherwood Randall, direttore degli Affari europei alla Casa Bianca.