Ma le tensioni rimangono comunque intatte, soprattutto nei membri sunniti della coalizione dell'ex premier sciita Allawi - Iraqyia -, vincitrice di misura alle urne nel marzo scorso ma fortemente ridimensionata da questo "accordo" raggiunto la settimana scorsa.
Si conferma inoltre la sostanziale perdita d'influenza degli Usa a scapito dell'Iran, che però non può ancora spadroneggiare a suo piacere.
In sintesi: nuovo governo, vecchie facce, solite bombe...
Iraq, esecutivo di convenienza
di Christian Elia - Peacereporter - 12 Novembre 2010
Trovato l'accordo tra le anime di un Paese che resta diviso
Mentre a Seul i venti padroni della Terra litigavano sulle monete, il presidente Usa Barack Obama tirava un sospiro di sollievo. "L'accordo sulla formazione del governo iracheno è una tappa importante"..
Quello che Obama non dice, però, è che l'accordo è una tappa che non regala neanche un centimetro al cammino dell'Iraq verso la normalità. Sono passati otto mesi dalle elezioni nel Paese liberato dal regime di Saddam, ma imprigionato in un conflitto sanguinoso dal 2003.
La lista più votata è stata quella di Iyad Allawi, premier per poco meno di un anno nel 2004, che ottenne - il 7 marzo scorso - 91 seggi in Parlamento.
Una lista che aveva fatto del multiculturalismo e del laicismo il suo grido di battaglia. Un segnale forte per l'Iraq, dilaniato da conflitti confessionali tra i sunniti e gli sciiti, con la minaccia della secessione dei curdi, con le milizie integraliste a caccia di cristiani e vite umane in generale.
Solo che Allawi è rimasto un re senza corona, impossibilitato a formare un nuovo governo con la maggioranza parlamentare necessaria. Nouri al-Maliki, premier uscente, le ha tentate tutte per tenere il potere.
Prima ha provato la strada dei brogli elettorali, ma ha fatto marcia indietro quando si è reso conto che i maneggi peggiori riconducevano proprio a lui e al suo clan. Di colpo, da sciita moderato, riscopriva posizioni oltranziste e tentava di blandire l'ayatollah radicale sciita Moqtada al-Sadr, che ha combattuto in armi e ha costretto all'esilio in Iran.
Proprio Teheran usa Moqtada come quinta colonna in Iraq e Maliki, deludendo gli amici statunitensi e israeliani, stava aprendo le porte di Baghdad agli interessi iraniani. Anche questa manovra, per le enormi pressioni dell'Arabia Saudita e degli Stati Uniti, non è andata in porto.
Intanto l'Iraq restava come prigioniero del suo caos. La situazione della sicurezza, dopo gli orribili anni dal 2004 al 2007, pareva normalizzata. Negli ultimi mesi, però, proprio per il bottino politico in palio, erano tornate a parlare le armi e a saltare in aria le autobomba.
Scuola, sanità, lavori pubblici, cultura erano ferme a quell'età della pietra dove è stato incatenato uno dei paesi che ha contribuito alla storia dell'umanità.
Oggi un governo c'è: Obama parla anche di "pietra miliare". Un esecutivo che avrebbe fatto felice Massimiliano Cencelli, burocrate della Democrazia Cristiana, che elaborò il celeberrimo manuale che permetteva di assegnare a tutte le correnti del partito posti di potere in proporzione al peso politico.
Nuri al-Maliki ha così raggiunto il suo obiettivo, ricevendo l'incarico di formare il governo dal presidente della Repubblica Jalal Talabani, rieletto oggi dal Parlamento per un secondo mandato.
Talabani è la guida della comunità curda, molto più interessata ai contratti internazionali che alla politica interna, e mantiene il posto ideale per quel genere di affari.
E Allawi? La riunione fiume che ha portato alla seduta chiave in Parlamento a Baghdad è stata movimentata.
La maggioranza dei deputati di Iraqiya, il partito di Allawi, ha abbandonato l'aula per protesta contro l'accordo di divisione del potere che agli uomini di Allawi lascia la presidenza del Parlamento e, pare, il ministero degli Esteri.
Un po' poco per chi ha preso più voti di tutti, ma Allawi non ha trovato le sponde internazionali decisive per imporre la scelta più corretta.
Allawi ha ottenuto anche la creazione di un Consiglio nazionale per la strategia politica, del quale otterrebbe la presidenza. Questo Consiglio dovrebbe prendere le decisioni strategiche più importanti, ma solo sulla carta.
In realtà gli elementi 'nuovi' sono altri. L'influenza iraniana sul suo vicino, per esempio, grazie dalla conferma di al-Maliki e all'appoggio dato da Moqtada, che piazza un suo uomo alla vicepresidenza del Parlamento.
Un calmante è stato trovato anche per i sunniti. L'accordo finale prevede anche l'abrogazione entro due anni della legge che impedisce agli ex ba'ahtisti (sunniti seguaci di Saddam Hussein) di lavorare nella pubblica amministrazione e nelle forze armate.
I curdi, poi, continueranno a giocare su più tavoli, curando gli affari propri e quelli con la Cina, gli Usa e Israele. Benvenuti a Baghdad, dove adesso c'è davvero una moderna democrazia, capace di lottizzare tutto meno che il futuro degli iracheni.
Iraq, il governo inutile
di Michele Paris - Altrenotizie - 15 Novembre 2010
A più di otto mesi di distanza dalle elezioni parlamentari, la situazione di stallo nelle trattative per la formazione del nuovo governo iracheno sembra essere finalmente giunta a termine. Il nascente gabinetto di coalizione, guidato ancora dal primo ministro uscente Nouri al-Maliki, si fonda tuttavia su un accordo di spartizione del potere lungo linee settarie ed etniche alquanto fragile.
Voluta fortemente da Washington, l’alleanza che proverà a governare l’Iraq nei prossimi mesi dovrà fronteggiare da subito numerose contraddizioni, apparse evidenti già poche ore dopo la firma dello stesso patto di governo.
Secondo le condizioni stabilite a Baghdad, l’Alleanza per lo Stato di Diritto, cioè il partito del premier Maliki, continuerà ad avere il controllo dell’esecutivo. Il leader dei curdi, Jalal Talabani, rimarrà presidente dell’Iraq, mentre alla coalizione sunnita Iraqiya sono stati garantiti due incarichi di minore importanza come la presidenza del Parlamento e di un consiglio non ancora ben definito, ma che dovrebbe vigilare sulle questioni relative all’economia e alla sicurezza nazionale.
Il raggruppamento Iraqiya, guidato da Ayad Allawi, sciita secolare, ex primo ministro e uomo della CIA, ottenne il maggior numero di seggi nel voto dello scorso 7 marzo - 91 su 325 - ma nei mesi seguenti non è stato in grado di mettere assieme una maggioranza per assicurarsi la guida di un nuovo governo.
Le rivalità interne al mondo politico e alla stessa società irachena hanno impedito anche agli altri partiti usciti vincitori dalle elezioni di raggiungere un accordo: l’Alleanza per lo Stato di Diritto con 89 seggi, l’altro blocco sciita, Alleanza Nazionale Irachena, dell’ex premier Ibrahim al-Jaafari con 70 seggi e i nazionalisti curdi con 43 seggi.
Dai risultati era emersa subito l’impossibilità per entrambe le coalizioni con il maggior numero di seggi di formare un governo senza l’appoggio sia dei curdi che dell’Alleanza Nazionale Irachena, all’interno della quale il peso maggiore è esercitato dal Movimento Sadrista di Muqtada al-Sadr, fondatore della milizia che dal 2003 ha combattuto strenuamente l’occupazione americana dell’Iraq.
Inizialmente contrari ad affidare l’incarico di governo sia a Maliki che ad Allawi, i sadristi hanno alla fine rinunciato al veto sul reincarico al premier in carica, verosimilmente dietro suggerimento di Teheran, spianando di fatto la strada all’accordo per il nuovo governo.
Il giorno successivo alla stipula del patto, le spaccature tra i vari protagonisti sono però immediatamente emerse. Giovedì scorso, a nemmeno tre ore dall’inizio della sessione parlamentare e dopo l’elezione di Osama al-Nujayfi a presidente del principale corpo rappresentativo iracheno, la maggior parte dei colleghi di quest’ultimo, facenti parte della coalizione Iraqiya, hanno abbandonato l’aula.
Le loro richieste di votare sul rilascio di detenuti sunniti e sulla cancellazione di alcune deliberazioni prese dalla cosiddetta commissione per la “de-baathificazione”, incaricata di impedire la partecipazione alla vita politica agli ex membri del partito che fu di Saddam, erano, infatti, state respinte poco prima.
Senza i membri della coalizione Iraqiya, la rielezioni del presidente Talabani non è stata possibile al primo voto, nel quale sono necessari i due terzi dei deputati, ma solo al secondo tentativo grazie ad una maggioranza semplice, come previsto dalla legge.
Una volta riconquistata la presidenza, Talabani ha affidato l’incarico per la formazione del nuovo gabinetto a Maliki, atteso ora da intense consultazioni che potrebbero durare anche parecchie settimane.
Oltre alle richieste dei vari neo-alleati per ottenere posizioni di potere, Maliki dovrà tener conto delle pressioni degli Stati Uniti, da dove si farà di tutto per emarginare il movimento di Muqtada al-Sadr.
Il fragile risultato raggiunto a Baghdad è peraltro il frutto delle sollecitazioni statunitensi e di quelle dell’Iran, la cui influenza sulla politica irachena è aumentata considerevolmente negli ultimi anni.
Mentre da Washington si spingeva per assegnare ad Ayad Allawi un ruolo di primo piano nel nuovo governo, da Teheran si è cercato, e ottenuto, di proiettare Maliki verso un nuovo mandato.
Come già ricordato, è stato in sostanza il via libera dei sadristi a quest’ultimo a permettere il raggiungimento di un accordo, ovviamente in cambio di concessioni non specificate da parte del primo ministro in pectore.
Nelle ultime settimane di negoziati, i principali esponenti delle coalizioni si erano recati nelle capitali dei paesi confinanti, a dimostrazione delle contrastanti influenze esterne esercitate sulla vita politica dell’Iraq.
A Iran, Siria e Turchia Maliki ha garantito l’impegno di contenere il movimento separatista curdo, mentre ai paesi a maggioranza sunnita ha ribadito la sua volontà di raggiungere un accordo con la minoranza sunnita irachena.
Lo stesso Allawi è rimasto ben poco a Baghdad negli ultimi mesi, finché pochi giorni fa sembra essere stato convinto a fare un passo indietro da una telefonata del presidente Obama in persona.
In Iraq, il vice-presidente americano Joe Biden e, tra gli altri, gli influenti senatori John McCain e Joseph Lieberman avevano poi tentato, senza successo, di convincere i nazionalisti curdi a cedere la presidenza ai sunniti della coalizione Iraqiya.
Ad Allawi rimarrà allora la guida di un consiglio le cui competenze, oltre che la denominazione ufficiale, restano ancora da stabilire. Se secondo gli americani il consiglio dovrà bilanciare i poteri del premier, Maliki ha già fatto sapere che non intende sottoporre le decisioni del proprio governo a nessuna autorità.
La sostanziale sconfitta degli USA nella promozione del nuovo esecutivo iracheno, come è stato sottolineato dagli stessi media americani, contrasta viceversa con l’importante successo strategico conseguito dal vicino Iran.
La posizione subordinata che ancora una volta avrà la minoranza sunnita nel governo Maliki minaccia comunque già da ora la sopravvivenza dell’esile maggioranza parlamentare e di scatenare così nuovi scontri nel paese.
Le tensioni che attraversano la realtà politica irachena già si sono manifestate recentemente in varie violenze settarie che hanno ucciso 58 persone in una chiesa cattolica di Baghdad, 113 in una serie di attacchi coordinati nella stessa capitale e altre 11 in seguito a esplosioni nelle città sacre agli sciiti di Najaf e Karbala.
In questo scenario, e con il recente annuncio del boom petrolifero nei giacimenti del sud del paese, da Washington si stanno moltiplicando le voci di quanti chiedono un prolungamento della permanenza dei soldati americani in Iraq oltre la scadenza del dicembre 2011, come fissato dall’accordo stipulato tra Maliki e George W. Bush due anni fa.
Il sole tramonta sull'influenza Usa in Iraq, mentre è imminente un accordo per il nuovo governo
di Patrick Cockburn - The Independent - 11 Novembre 2010
Gli Stati Uniti sono prossimi a una sconfitta politica decisiva in Iraq sulla formazione di un nuovo governo, mentre la loro influenza nel Paese cala al punto più basso dall’invasione del 2003.
Si prevede che un voto oggi in Parlamento per nominarne la leadership, dopo otto mesi di stallo politico nel corso dei quali la violenza è continuata in tutto il Paese, sottolinei l’accresciuto potere dell’Iran.
La campagna degli Usa per promuovere il loro candidato favorito, Iyad Allawi, come presidente [della Repubblica NdT] sembra essere fallita in modo spettacolare. Iraqiya, il partito di Allawi, che ha vinto la maggioranza dei seggi nelle elezioni del 7 marzo, si sta disgregando, mentre diverse delle sue fazioni entrano nel governo.
Il Presidente Barack Obama, il vice-presidente Joe Biden, e il Senatore John McCain, che è a Baghdad alla testa di una delegazione del Congresso, avevano tutti fatto lobbying sui leader kurdi perché rinunciassero al posto di Presidente [della Repubblica NdT], ma senza successo. Il presidente in carica, il leader kurdo Jalal Talabani, e il Primo Ministro Nuri al-Maliki si prevede che vengano rieletti come i leader del Paese.
Mahmoud Othman, leader kurdo di spicco e parlamentare, ha detto ieri al telefono da Baghdad che c’è "una fortissima pressione americana su di noi fino a adesso per rinunciare alla presidenza", ma ha aggiunto che finora i kurdi hanno resistito.
Gli Stati Uniti hanno ancora 50.000 soldati in Iraq, ma Obama ha detto chiaramente che intende ritirarli tutti. "L’egemonia americana in Iraq è finita", dice Ghassan al-Attiyah, commentatore e politologo. "L’influenza Usa va diminuendo di giorno in giorno".
Fonti irachene dicono che la potente carica di Presidente del Parlamento probabilmente andrà a Osama al-Nujaifi, un sunnita che fa parte di Iraqiya, che, assieme al fratello, controlla la città di Mosul, nel nord.
Kamran Karadaghi, giornalista kurdo di lunga esperienza ed ex capo di gabinetto del Presidente Talabani, dice: "Mi aspetto che Talabani sia Presidente, Maliki Primo Ministro, e Nujaifi presidente del Parlamento".
Aggiunge che le pressioni americane sui kurdi perché rinunciassero alla presidenza [della Repubblica NdT] a favore dei sunniti hanno provocato profondo risentimento e sono state controproducenti; i kurdi sono da tempo stretti alleati degli Stati Uniti.
Allawi, che è stato Primo Ministro iracheno al culmine dell’occupazione americana nel 2004-05, sembra essersi spinto troppo in là. Il suo partito, Iraqiya, fortemente appoggiato da Turchia, Arabia Saudita, e Giordania, a marzo aveva vinto 91 dei 325 seggi del Parlamento iracheno. Lo Stato di Diritto, il blocco di Maliki, di seggi ne aveva vinti 89, i partiti sciiti religiosi, raggruppati nella Iraqi National Alliance, altri 70, e i kurdi 57.
Sciita laico, Allawi era stato votato in maggioranza dai sunniti, e il suo partito, Iraqiya, era sempre stato diviso. Sembra inoltre avere esagerato la capacità degli Stati Uniti e dei Paesi arabi sunniti di farlo diventare Primo Ministro o presidente [della Repubblica NdT].
Politici sunniti influenti come Nujaifi, che si ritiene controlli 20 deputati, negli ultimi giorni non avevano fatto mistero del loro desiderio di essere parte di un governo di condivisione del potere. Facendo cadere la sua precedente opposizione nei confronti di Maliki, aveva detto un po’ di tempo fa questa settimana del suo partito "ci sono segnali di un accordo".
Il presidente del Parlamento iracheno ha una posizione potente e di alto profilo, dal momento che convoca le sedute parlamentari e ne controlla in gran parte i lavori. Se Nujaifi otterrà il posto, questo potrebbe soddisfare in parte la richiesta dei sunniti di una quota nel governo.
Ex ministro dell’Industria, assieme al fratello Athil ha preso il controllo di Mosul, la terza città dell’Iraq con una popolazione di un milione 700mila abitanti, alle elezioni provinciali del 2009. Sono stati entrambi ai ferri corti con i kurdi a Mosul e dintorni, ma hanno raggiunto un’intesa con la leadership kurda.
Ieri pomeriggio erano in corso colloqui privati fra Maliki e i leader sunniti, ma il Primo Ministro sembra certo di riavere l’incarico.
Dice Attiyah: "E’ incredibile come ha conquistato l’appoggio di tutti questi, come i kurdi, i sadristi, gli iraniani, e altri che volevano sbarazzarsi di lui dopo le elezioni".
La sua forza principale probabilmente sta nel fatto che non c’era alcun candidato evidente dal lato sciita in grado di sostituirlo. L’Iran è stato più abile degli Stati Uniti nel determinare il nuovo governo secondo il proprio gradimento.
Assieme al suo alleato, la Siria, l’Iran ha mostrato flessibilità nel far cadere la sua precedente opposizione nei confronti di Maliki, e nel convincere i seguaci dell’esponente religioso sciita nazionalista Muqtada al-Sadr, che alle elezioni irachene ha avuto un buon risultato, a fare altrettanto.
Ha così riunificato la coalizione sciita che governa l’Iraq dal 2005, assieme ai kurdi. L’unico partito sciita lasciato fuori è il Consiglio Supremo islamico iracheno, un tempo considerato una pedina dell’Iran.
Quattro lezioni dal nuovo governo iracheno
di Tony Karon - www.time.com - 12 Novembre 2010
Traduzione di Ornella Sangiovanni per www.osservatorioiraq.it
A più di otto mesi dalle elezioni nazionali, l'Iraq ha finalmente un nuovo governo — che assomiglia molto a quello vecchio. Una seduta del Parlamento, ieri sera, ha dato il posto di presidente dell'Assemblea a Osama al-Nujaifi, un arabo sunnita che fa parte della lista dell'ex Primo Ministro Iyad Allawi - Iraqiya.
E' stato il primo passo di un accordo politico che ha visto l'assemblea legislativa rieleggere come presidente [della Repubblica NdT] il leader kurdo Jalal Talabani, che poi ha scelto il premier in carica, Nuri al-Maliki, per un secondo mandato.
Maliki ha 30 giorni di tempo per mettere insieme un governo - un compito erculeo date le molteplici contrattazioni e le tensioni che l'assicurarsi la sua rielezione ha comportato.
Maliki è stato rieletto nonostante il leader dell'opposizione e favorito degli Stati Uniti Allawi e i menbri del suo blocco appoggiato dai sunniti avessero abbandonato l'aula per protesta contro il fatto che il Parlamento non aveva reintegrato quattro dei loro deputati esclusi a causa di presunti legami con il partito di Saddam Hussein.
Il gesto mette in evidenza la sfida che Maliki dovrà affrontare nel placare la sensazione di alienazione potenzialmente pericolosa della comunità sunnita.
Malgrado Allawi avesse ottenuto la maggioranza dei voti alle elezioni dello scorso marzo, Maliki non era indietro di molto, e, una volta che l'Iran ha convinto i partiti sciiti rivali a mettere insieme i loro voti in parlamento, il premier in carica era chiaramente il favorito.
Si dice che gli Stati Uniti abbiano esercitato pressioni su Allawi perché accettasse la presidenza del Parlamento e forse il ministero degli Esteri per il suo blocco, e per sé un ruolo minore a capo di un Consiglio Strategico Nazionale che deve essere ancora formato o avere definiti i suoi poteri.
Ma il fatto che Maliki — non amato non solo dai suoi nemici, ma anche fra molti dei suoi alleati – sia riuscito ad assicurarsi un secondo mandato fa ricordare che a vincere il gioco politico in Iraq sono coloro che sono più abili a gestire una matrice complessa di interessi etnici, confessionali, politici, e regionali in concorrenza fra loro.
Maliki ha ottenuto la rielezione non perché fosse l'opzione più popolare, ma perché era quella più praticabile. E dovrà mantenere questo equilibrismo per il futuro immediato. Tuttavia, il ritorno al potere di Maliki offre alcune lezioni importanti sull'Iraq e la regione in senso più ampio. Eccone quattro:
Gli Stati Uniti hanno scarsa influenza sulla politica irachena
Da quando gli Stati Uniti hanno consegnato il controllo politico dell'Iraq agli iracheni democraticamente eletti nel 2005, hanno fatto fatica a esercitare un'influenza malgrado l'enorme investimento in denaro e vite umane. Washington può salutare come una vittoria l'inclusione di Allawi con un ruolo subordinato, ma in realtà si è trattato di un'operazione di salvataggio.
L'intervento dell'Iran per riunire il voto sciita ha garantito che Allawi non fosse un'opzione realistica come Primo Ministro. Gli Stati Uniti avevano continuato a premere invano per un accordo di condivisione del potere tra Allawi e Maliki.
La settimana scorsa, Washington stava spronando il blocco kurdo a rinunciare alla presidenza [della Repubblica NdT] per dare questo posto ad Allawi, ma è stata snobbata. Questo ha lasciato agli Stati Uniti solo la scelta di dover incoraggiare con insistenza Allawi ad accettare premi di consolazione.
Sono ormai tre elezioni che la democrazia irachena ha prodotto governi dominati da partiti sciiti più vicini all'Iran che agli Stati Uniti – nonostante siano tuttora indipendenti da Tehran e dipendenti dall'aiuto statunitense per quanto riguarda la sicurezza.
Tuttavia, le implicazioni regionali divennero chiare nell'estate 2006, quando alcuni senatori Usa esasperati cercarono invano di far sì che Maliki, durante una visita a Washington, condannasse la milizia libanese Hezbollah appoggiata dall'Iran, allora impegnata in una guerra intensa con Israele.
Oggi, non c'è nessuno nel governo che sia tanto ingenuo da immaginare che il governo iracheno appoggerebbe pressioni economiche, per non parlare di un qualunque attacco militare, contro l'Iran.
L'Iran ha influenza — ma non il controllo — sul governo iracheno
Allawi, un ex ba'athista e nemico accanito dell'Iran, era sempre stato inaccettabile come Primo Ministro per Tehran. E gli iraniani sono stati in grado di mettere insieme un'influenza sufficiente all'interno del sistema democratico iracheno per escluderlo.
E' improbabile che Maliki, innanzitutto un nazionalista iracheno, sia stata la prima scelta di Tehran, naturalmente, ma, date le circostanze, era la migliore opzione disponibile.
Tehran, in virtù dei suoi rapporti storici con i partiti sciiti e con la leadership kurda, può esercitare maggiore influenza di Washington a Baghdad, ma non ha il controllo. Può efficacemente mettere il veto su un esito indesiderato, ma non può imporre il suo scenario preferito.
Maliki domina bilanciando interessi in concorrenza fra loro
La base politica del Primo Ministro Maliki è relativamente limitata — come Allawi, ha ottenuto meno di un terzo dei voti, e le sue inclinazioni autoritarie hanno fatto sì che venisse considerato con vari livelli di sospetto e di ostilità da un capo all'altro del panorama politico iracheno. Ma ha il vantaggio dato dall'essere in carica, e dalla percezione che sia quello che garantisce meglio la stabilità.
Maliki ha inoltre dimostrato di essere esperto a negoziare il delicato equilibrio delle forze all'interno del suo Paese — scatenando prima le sue forze di sicurezza in cui predominano gli sciiti contro la rivolta sunnita, e poi anche contro la milizia confessionale di Muqtada al-Sadr.
Ha cooperato sia con gli Stati Uniti che con l'Iran, coltivando i suoi agganci regionali per avere la meglio nella contesa politica interna ottenendo l'aiuto dell'Iran nell'imbarcare Sadr, e anche spaccando il fronte sunnita dietro Allawi, convincendo la Siria a passare dalla sua parte appoggiandolo.
Tuttavia, le alleanze di Maliki sono basate necessariamente sulla convenienza e sull'opportunità politica: l'appoggio di Sadr può essere stato decisivo per contribuire a fargli ottenere l'incarico di Primo Ministro nel 2006, ma questo non gli ha impedito di andare in guerra contro la milizia di Sadr due anni dopo.
Come l'Iraq, anche il Medio Oriente?
I funzionari dell'Amministrazione che salutano la creazione di un governo iracheno i cui portatori di interessi vanno dai fondamentalisti islamici estremisti anti-americani ai moderati appoggiati dagli Stati Uniti potrebbero suscitare disappunto, vista la politica di Washington in altri luoghi della regione.
Dopo tutto, gli Stati Uniti rifiutano di avere a che fare con gente come Hamas nei territori palestinesi o Hezbollah in Libano, in linea con una visione della regione che la considera bloccata in un conflitto "a somma zero" fra moderati appoggiati dagli Stati Uniti ed estremisti sostenuti dall'Iran.
Ma il nuovo governo iracheno attraversa queste divisioni. Molti nemici dell'influenza iraniana nella regione considerano da molto tempo ingenua la convinzione degli Stati Uniti secondo cui tale influenza può semplicemente venire ignorata o sconfitta. Proprio come gli alleati dell'Iran in Iraq, Hamas e Hezbollah hanno dimostrato il sostegno di cui godono attraverso la scheda elettorale.
Ma nell'interesse della stabilità in Iraq gli Stati Uniti hanno accettato il verdetto dell'elettorato, e hanno adottato una politica di integrazione di tutti i portatori di interessi.
Negli anni a venire, Washington si troverà pressata a estendere il pragmatismo che ha dimostrato in Iraq ad altri conflitti nella regione.
Iraq: un'opera incompiuta
da www.guardian.co.uk - 12 Novembre 2010
Traduzione di Ornella Sangiovanni per www.osservatorioiraq.it
Due mesi dopo che Barack Obama aveva salutato la fine delle operazioni da combattimento statunitensi in Iraq, il conflitto di per sé è ben lungi dall'essere finito
Questa settimana George W Bush ha parlato delle decisioni che ha preso in Iraq come se fossero storia, come se la rivolta fosse stata sconfitta, e il conflitto finito, a parte alcune ultime cose da sistemare.
Totalmente sbagliato. Se i soldati americani non vengono attaccati quotidianamente, gli iracheni sicuramente sì.
Secondo Iraq Body Count, ogni giorno muoiono in media sette persone a causa di attentati suicidi e di bombe, e ci sono tre morti da sparatorie o esecuzioni. A due mesi da quando Barack Obama aveva salutato la fine delle operazioni da combattimento statunitensi in Iraq, il conflitto di per sé è ben lungi dall'essere finito.
Quello che la comunità internazionale apparentemente considera un livello accettabile di violenza in Iraq non è né casuale né sporadico. Due giorni fa, almeno quattro persone sono state uccise e decine ferite in un'ondata di attentati e di attacchi a colpi di mortaio coordinati.
La settimana scorsa, gli insorti hanno scatenato uno dei più violenti attacchi a Baghdad dall'invasione del 2003, in una raffica di autobomba e di esplosioni di ordigni collocati sul ciglio della strada che ha ucciso almeno 63 persone e ne ha ferite quasi 300. Due giorni prima, 53 fedeli erano stati massacrati in una delle principali cattedrali della capitale.
Il gruppo attualmente nell'occhio del ciclone sono i cristiani iracheni, una comunità talmente antica da sostenere di essere la popolazione originaria del Paese. In così tanti ora sono fuggiti all'estero o sono stati uccisi che ne sono rimasti solo 400.000 rispetto al milione di prima della guerra . "Al-Qaida in Iraq", liquidata come "sconfitta strategicamente", è tornata, ridotta quanto a numeri rispetto a prima, ma più determinata e letale. Razzi e colpi di mortaio hanno iniziato nuovamente a cadere sulla Green Zone di Baghdad.
Gli Stati Uniti erano talmente preoccupati che l'attuale situazione della sicurezza potesse degenerare dopo otto mesi di stallo politico, che ieri Obama è intervenuto personalmente per convincere Ayad Allawi a partecipare a un accordo di condivisione del potere con il suo rivale alla carica di Primo Ministro, Nuri al-Maliki. Iraqiya, il gruppo prevalentemente sunnita di Allawi, ieri ha ottenuto il posto di Presidente del Parlamento, mentre i kurdi hanno mantenuto la presidenza [della Repubblica NdT].
Ma la reticenza di Allawi ad accettare la posizione inventata appositamente di capo di un nuovo consiglio per le politiche strategiche è stata tale che l'accordo potrebbe disfarsi.
Dietro Maliki e Allawi ci sono Iran e Arabia Saudita, rivali regionali impegnati in una lotta di potere bizantina. Allawi non è convinto che Maliki, l'uomo che ha vinto due seggi in meno di lui alle ultime elezioni, sia pronto a condividere realmente il potere.
L'opinione pubblica sunnita recalcitrante di Anbar e Diyala starà a vedere se Allawi abbandonerà l'accordo. La loro fiducia di elettori è stata messa alla prova oltre i limiti.
Gli Stati Uniti hanno definito l'annuncio della coalizione come un grosso passo avanti, ma questa dev'essere più un'ardente speranza che un'espressione di realtà. L'Iraq è l'opera incompiuta di due presidenti americani.