venerdì 12 novembre 2010

Il troiaio italiota

Un altro episodio della telenovela più in auge in questi giorni, "Il troiaio italiota"...


Fini pronto a sfiduciare il premier. Bocchino: se il premier non si dimette, gli voteremo contro
di Barbara Fiammeri - www.ilsole24ore.com - 12 Novembre 2010

Se sarà crisi, sarà «al buio». La mediazione di Umberto Bossi è fallita. Gianfranco Fini non arretra: vuole anzitutto le dimissioni di Silvio Berlusconi.

Ma il premier da Seul respinge al mittente la proposta e lo sfida a sfiduciarlo in Parlamento. «Siamo pronti a farlo» risponde Italo Bocchino. La prova di forza potrebbe arrivare presto.

E non sarà sul ritiro della delegazione di Fli dal governo, comunque confermata per lunedì. I finiani assicurano che la Finanziaria, la legge di stabilità, sarà approvata ma se il governo porrà la fiducia – sentenzia Bocchino – «noi non la voteremo».

Tradotto: si asterranno e probabilmente motiveranno il loro non voto con parole inequivocabili. L'ipotesi di un Berlusconi bis, della cosiddetta «crisi pilotata» è già tramontata. A non volerla sono infatti entrambi i protagonisti, ovvero Fini e il Cavaliere, convinti ambedue che da questa partita possa uscire un solo sopravvissuto.

Bossi, ieri mattina, puntuale alle 11,30 si è presentato negli uffici del presidente della Camera accompagnato dai ministri Maroni e Calderoli, insomma lo stato maggiore dei Lumbard. Un incontro fin troppo annunciato e che ha infastidito non poco Berlusconi. Il Senatur ha messo sul piatto la cosiddetta «crisi pilotata», ovvero le dimissioni del premier, a cui verrebbe garantito il reincarico per la formazione di un nuovo governo.

Per rendere appetibile la proposta, la Lega avrebbe aperto, offrendo ai finiani poltrone ministeriali e (si sussurava ieri in Transatlantico) la mancata conferma nell'esecutivo degli ex colonnelli di An Ignazio La Russa e Altero Matteoli. Ma Fini ha detto «no», confermando per lunedì, subito dopo il rientro di Berlusconi da Seul, le dimissioni dal governo della componente finiana.

E per far capire che non è intenzionato ad arretrare, ha addirittura prospettato a Bossi alcuni possibili candidati a sostituire il cavaliere: Giulio Tremonti o Angelino Alfano. Come dire che il punto fondamentale, «di non ritorno» è il passaggio di testimone da parte di Berlusconi nonché l'allargamento della maggioranza di governo all'Udc.

Bossi tenta di lasciare aperto ancora uno spiraglio. Dopo aver riunito i suoi viene circondato dai cronisti ai quali dice: «Meglio una crisi pilotata che una crisi al buio, uno spazio ancora c'è». Ma poco dopo da Montecitorio Fini fa sapere che «le cose sono assi più complicate di come le racconta il leader della Lega». Anche perché tra le condizioni poste da Fini c'è l'allargamento della maggioranza all'Udc, mentre Bossi invita i centristi «ad andare al mare».

Ma a dire no al Carroccio è in primis Berlusconi. L'iniziativa della Lega non è piaciuta e le parole del Senatur insospettiscono lo stato maggiore del partito nonostante lo stesso leader della Lega abbia ribadito la sua «fedeltà a Berlusconi». Una riunione lunga, di circa tre ore al termine della quale si ribadisce (Quagliariello) che «la legislatura va avanti con questo premier e con questo governo», quanto allargamento all'Udc «dipende – dice Cicchitto – dal contesto».

Il sospetto sotterraneo è su cosa potrebbe fare Bossi una volta che la crisi fosse formalmente aperta. Una crisi non pilotata solitamente prevede un mandato esplorativo per verificare se ci sono le condizioni per dar vita a un nuovo governo. Ieri Fini ha fatto (provocatoriamente) il nome di Tremonti, di Alfano e ovviamente di Letta ma si parla anche di Maroni o di Pisanu. Gli indizi non mancano.

Il Pdl è in subbuglio. A riunione già iniziata si è presentato La Russa. Fino a quel momento al vertice stavano partecipando solo ex Fi. «Non era un caso», fa sapere un berlusconiano. Ma fuori dalla porta sono rimasti anche ex azzurri di peso come l'ex ministro dello Sviluppo economico Claudio Scajola, che non ha affatto gradito l'esclusione.

Anche perché da Scajola dipende il posto in lista di diversi deputati che, temendo di essere fatti fuori, potrebbero decidersi a dar vita a una vera e propria fronda per mantenere viva la legislatura.

Le defezioni verso Fli si sono per ora arrestate, anche se – dice più di qualcuno – «per accontentare i vari Massidda (il senatore pdl indeciso tra restare o andare con Fini, ndr) rischiamo di moltiplicare i malumori».


Arcore, il telefono di Perla e la soffiata dei Servizi
di Marco Lillo - www.ilfattoquotidiano.it - 11 Novembre 2010

L'interrogatorio della "pentita". L'uomo di Formigoni le disse: "Sei controllata"

Il Fatto Quotidiano ha raccontato l’incredibile storia dei 48 contatti telefonici tra Perla Genovesi e Villa San Martino, la residenza di Silvio Berlusconi, dal settembre 2003 al settembre 2007.

E poi i 500 contatti con una sim intestata a Sandro Bondi e un’altra inserita successivamente nell’apparecchio telefonico appartenuto al ministro della cultura e infine i 127 contatti telefonici con l’attuale ministro della Funzione Pubblica, Brunetta.

Nello stesso periodo questa ragazza di Parma che allora aveva un’età oscillante tra i 25 e i 29 anni e ora ne ha compiuti 32, aveva rapporti strettissimi con narcotrafficanti siciliani vicini alla famiglia mafiosa capeggiata da Matteo Messina Denaro, il numero uno della mafia.

La strana storia di Perla Genovesi è quella di una persona dalla tripla vita: narcotrafficante per amore, assistente parlamentare del senatore di Forza Italia Enrico Pianetta per lavoro, ma anche infiltrata della Polizia tra i boss.

Una storia che merita di essere raccontata con le parole dei suoi verbali con i pm di Palermo Calogero Ferrara e Marcello Viola del 27 luglio e 19 agosto del 2010. Perla Genovesi racconta anche di avere appreso di strani giri di soldi sugli appalti del San Raffaele.

Sui quali Paolo Berlusconi, fratello di Silvio, avrebbe percepito una somma definita dalla ragazza “tangente”: “Scoprii tramite altre persone, non persone buone, delinquenti, che praticamente il fratello di Berlusconi, Paolo, era quello che gestiva praticamente come si può dire tangenti, non lo so se si possono chiamare tangenti, però i furgoni camion che portavano su la merce dal meridione su, gli appalti di questi camion pagavano un pizzo”.

Nome in codice: Corallo

Pm: Quindi tra gli 11 e i 7 anni fa grossomodo, lei ha fatto da informatore della …
Genovesi: Per la narcotici sono i Carabinieri che si occupano di indagini antidroga. Il mio nome in codice era “Corallo”. Nello stesso tempo facevo anche da informatrice per la Digos di Parma, facevo riferimento più precisamente al dott. Festa.
Pm: E la Digos che indagini fa in materia di droga, scusi signora? La narcotici lo capisco, ma … la Digos si occupa d’altro come lei sa.
Genovesi: Non lo so, però con me il dott. Festa e la Digos hanno fatto alcuni arresti.
Pm: Sempre di droga, in materia di droga?
Genovesi: Sì.
Pm: Ho capito.
Genovesi: E tutto questo l’ho fatto per una … né per scopo di lucro né perché io ne facessi uso …
Pm: E perché lo faceva?
Genovesi: Perché … questa è la cosa più difficile magari da … perché ritenevo responsabili gli spacciatori della rovina della mia famiglia. Perché mio zio era morto dopo che l’avevano picchiato in carcere perché era stato in carcere per colpa della droga, per colpa del fratello che faceva spaccio …
Pm: Come si chiamava suo zio?
Genovesi: Antonio Montoro e io … ero piccola, so che quel giorno che è morto avevo giurato che da grande avrei arrestato gli spacciatori e poi me ne sono dimenticata ovviamente di questo giuramento, a 21 anni …

L’assistente di Formigoni

Genovesi: Io pensavo che se io avessi fatto anche da infiltrata, informatrice, … Berlusconi e questa gente avrebbe saputo queste cose, perché sapevo che avevano i servizi segreti che lavoravano per loro, che tra l’altro mi avevano detto che avevo il telefono sotto controllo, l’Assistente di Formigoni me l’avevo detto, e quindi avevo paura a fare l’informatrice su cose più piccole anche.
Pm: Che le aveva detto l’Assistente di Formigoni?
Genovesi: Che avevo il telefono sotto controllo.
Pm: Ma in che occasione glielo disse? Cioè vi siete incontrati un giorno e le disse “guarda, sai ci hai il telefono sotto controllo” …
Genovesi: Più o meno così mi disse. Sì, mi stava … tutti i giorni ci sentivamo, lui mi veniva dietro, però più o meno sì.
Pm: L’Assistente di Formigoni?
Genovesi: Uno degli Assistenti sì.
Pm: E come si chiama innanzitutto questo?
Genovesi: Alessandro.
Pm: Alessandro come?
Genovesi: Alessandro … adesso il cognome … non me lo ricordo, però ce l’ho scritto, anche il numero telefonico.
Pm: E lei non le disse “ma come lo sai, chi te l’ha detto?”
Genovesi: Sì, ‘uno dei servizi segreti’, mi aveva detto.
Pm: Quindi uno dei servizi gli aveva detto che lei aveva il telefono sotto controllo.
Genovesi: Sì.
Pm: Questo mentre lei lavorava col Senatore?
Genovesi: Sì.

Coca a Barcellona

Perla Genovesi sostiene di avere scoperto con chi aveva a che quando Paolo Messina, impiegato del comune di Campobello di Mazara cinquantenne le rivela il senso del loro viaggio in Spagna

Genovesi: Solo quando mi disse che il viaggio che avevamo fatto a Barcellona … il camper aveva trasportato 12 chili di cocaina …
Pm: 12?
Genovesi: E non so se il primo o il secondo viaggio 8 chili o qualcosa del genere.
Pm: Con riferimento a questa droga che lei ha visto nella valigia cosa le disse?
Genovesi: Che era quella che tornava su …
Pm: Cioè?
Genovesi: I 12 chili, erano 6 chili e mezzo …
Pm: E perché tornavano su?
Genovesi: Perché si fermavano a Roma quei 6 chili e mezzo.


Brunetta, la escort e i fondi neri
di Lirio Abbate - L'espresso - 11 Novembre 2010

Nei verbali del suo interrogatorio, Perla Genovesi parla di quando il futuro ministro «gestiva i soldi sporchi di Forza Italia». E tira in ballo anche Bondi, Fazio (Salute) e il sindaco Moratti

Sesso, politica e tangenti. Racconti incredibili che però arrivano da una testimone che ha vissuto in alcuni dei luoghi chiave del potere berlusconiano: il San Raffaele di Milano, gli uffici lombardi del Pdl, "Il Giornale" di Paolo Berlusconi.

E ha frequentato una schiera di figure chiave del governo, da Ferruccio Fazio a Sandro Bondi, da Renato Brunetta al comitato elettorale di Letizia Moratti. Tutto questo prima di diventare una trafficante di droga, in affari con personaggi in odore di mafia, pronta a infilare escort nei festini dei potenti di mezza Italia.

Così Perla Genovesi si è trasformata da collaboratrice di un senatore Pdl a collaboratore di giustizia: una pentita, che sta riempiendo verbali di rivelazioni, al vaglio delle procure di Palermo e Milano, in cui mette a nudo parlamentari e affari all'ombra del partito di maggioranza. Primo fra tutti il premier, Silvio Berlusconi.

La trentaduenne di Parma descrive con dettagli, date e circostanze la lunga frequentazione delle stanze del potere. Parole che potrebbero innescare un terremoto giudiziario, con epicentro a Milano, dove lei ha esordito contribuendo alla campagna che ha portato Letizia Moratti a Palazzo Marino.

Di Milano ricorda in particolare l'incontro avvenuto quattro anni fa in un ufficio del San Raffaele dove la attendeva Ferruccio Fazio, il futuro ministro della Sanità del governo Berlusconi.

All'epoca era primario di medicina nucleare e radioterapista all'istituto scientifico universitario fondato da don Verzè. Fazio conferma l'ncontro e precisa: "Pianetta mi aveva chiesto di vedere la Genovesi. Ho letto il curriculum e mi sembrava adatto per un lavoro di due mesi per ricerche bibliografiche e di segreteria. Tutto è stato fatto in buona fede".

La ragazza in quel periodo aveva cominciato a collaborare con il senatore di Forza Italia, Enrico Pianetta, anche lui con un passato professionale al San Raffaele: oggi ricostruisce nei verbali i finanziamenti che Pianetta avrebbe fatto avere all'istituto di don Verzè. E racconta di essere stata compensata con una consulenza da 10 mila euro: un modo per pagarla senza lavorare.

Perla sostiene che prima di quell'incarico ebbe un breve colloquio con Fazio che poi portò alla firma del contratto sul quale sono indicati studi relativi "al metabolismo regionale di glucosio in oncologia" e traduzioni in inglese. Ma a specifiche domande dei pm Ferrara e Viola, la Genovesi dice di conoscere l'inglese senza essere in grado di tradurre i testi e di non sapere alcunché di oncologia.

Nel lungo interrogatorio la ragazza spiega che nel 2006 "a decidere le candidature era pure la massoneria" - "Erano i massoni a gestire i politici" - e avrebbe trovato riscontro a queste affermazioni parlando con un suo amico massone che lavorava per Sandro Bondi.

L'amicizia della narcos con il futuro ministro dei Beni Culturali era nata nel 2005 quando Bondi, dopo averla incontrata in diverse occasioni, "voleva farla lavorare a Sky". "Poi non si era arrivati a nulla", ma lei ricorda che "era nata un'amicizia e si fidava di me". Si fidava così tanto che Bondi le avrebbe chiesto consigli su chi candidare a Parma per le elezioni politiche.

Le sorprese che Perla riserva ai pm non finiscono qui: ha pure lavorato per "il Giornale" di Paolo Berlusconi. Nel periodo in cui viveva a Milano ed era in cerca di occupazione - ed aveva già un piede nello spaccio di droga - ottiene un contratto da Franco Riva, che per gli inquirenti è stato consigliere della Società europea di edizioni spa, ossia l'editrice del "Giornale".

Riva è legato al fratello del premier, e la Genovesi riceve l'offerta - poi accettata - di un incarico della durata di quattro mesi per la vendita di spot su Internet per conto dell'agenzia pubblicitaria del quotidiano.

La pentita ramifica le sue conoscenze in ogni angolo di Forza Italia e aggancia pure ex socialisti come Brunetta. E su questo futuro ministro Perla riserva ai magistrati che la interrogano nuovi particolari. "Per lui ho sempre avuto un'alta considerazione, nonostante sapessi che era quello che aveva amministrato i fondi neri di Forza Italia".

I pm si stupiscono per l'affermazione, ma la Genovesi non si scandalizza, tanto che sottolinea che si tratta di "cose che sanno tutti": "Lui amministrava i soldi e ha amministrato per un periodo i fondi del partito. E si vantava con me di avere insegnato a Berlusconi l'economia". È sempre lei a presentare la sua bella amica Nadia Macrì, 28 anni - che si prostituiva - a Brunetta per sostenerla in un momento di bisogno. "Brunetta invece di aiutarla ha approfittato della situazione".

Il ministro, secondo Nadia, avrebbe avuto con lei un rapporto sessuale pagato con 300 euro. Circostanza smentita dal ministro. La Genovesi che lo conosce dice: "Brunetta non era uno che dava soldi, faceva regali, poi da quando si è fidanzato avrà smesso anche di fare regali. Non è mai stato uno che pagava le donne, faceva dei regali costosi e non usava droga".

Ma il ministro avrebbe compensato Nadia accompagnandola pure dall'avvocato Carlo Taormina per farla assistere in una causa per l'affidamento del figlio. Circostanza che il penalista conferma.

Passano settimane e la escort arriva fin dentro il letto di Berlusconi che per due rapporti sessuali le consegna 10 mila euro. Nadia non fa mistero della sua attività ed è lei a rivelare il modo con il quale a Milano imprenditori o arabi ricevono giovani prostitute. "Lavoravo con uno che era un immobiliarista e forniva ragazze immagine a locali di Milano pagate con cento euro a sera e 500 per un'eventuale marchetta".

Ai magistrati Nadia dice che c'è anche un'agenzia di modelle, il cui proprietario è uno sloveno, "che ha tante ragazze che ufficialmente fanno le hostess, ma in realtà è una copertura per la prostituzione".

Un'altra circostanza che i pm dovranno verificare, in questo feuilleton da basso impero che non sembra avere limiti.


Ora e sempre Colpo Grosso
di Marco Belpoliti - L'espresso - 11 Novembre 2010

Vi ricordate la trasmissione porno-soft di Umberto Smaila, negli anni '80? Bene, il berlusconismo era già tutto lì. Il premier non ha fatto altro che diffonderlo e trasformarlo in regime

Al principio è stato "Colpo grosso", il primo sexy-varietà della tv italiana, come lo definisce Aldo Grasso. Lo conduceva Umberto Smaila, detto "Smaiala". Due partecipanti, un uomo e una donna, giocavano alla roulette; a ogni vincita spogliavano a turno quattro ragazze e quattro ragazzi dell'avversario, se invece perdevano, dovevano spogliarsi loro.

Pare che all'epoca, anno 1987, fossero centinaia gli aspiranti partecipanti: studentesse, casalinghe, impiegati. L'avanguardia delle veline e del "Grande fratello". Era trionfo del voyeurismo; di più: voyeurismo nel voyeurismo del piccolo schermo.

La televisione berlusconiana è stata la grande fonte dell'immaginario sessuale del Capo: gioco collettivo, orgia visiva, scherzo, risata, battuta salace, sessualità pecoreccia, e soprattutto evasione dalla vita stessa, dalla sua insopportabile quotidianità.

Non più tenuto a freno dalle ideologie, dal comunismo e dal cattolicesimo, diventati residuali, come aveva capito a metà degli anni Settanta Pasolini, "Colpo grosso" è andato al potere. Si è trasferito dagli studi di Italia 7 ai palazzi della politica italiana, dai set televisivi alle ville del Capo.

Siamo così passati nel giro di pochi anni dalla pornocrazia alla mignottocrazia, di cui hanno scritto di recente Filippo Ceccarelli e Andrea Cortellessa. Se si deve immaginare cosa succede nelle varie residenze del presidente del Consiglio, cosa che scandalizza milioni di italiani, ma insieme ne eccita la curiosità, basta ritornare alla trasmissione di Smaila e portare alle estreme conseguenze ciò che là avveniva sotto gli occhi dei telespettatori arrapati.

Per descrivere l'immaginario sessuale del Capo, basta rifarsi a due luoghi virtuali e insieme reali: la televisione e la discoteca. Del resto, la favolosa residenza sarda, Villa Certosa, da quanto se ne sa da fotografie, libri, descrizioni, testimonianze, è queste due cose insieme: tv e discoteca.

Le stesse ambientazioni che le pagine dei settimanali gossip, "Chi" in testa, hanno mostrato con dovizia di dettagli nell'ultimo decennio. Apparire sotto i riflettori, per una visione voyeuristica in cui tutto è eccessivo, ridondante, kitsch. Quello che si vede, o s'immagina, attraverso gli ormai interminabili racconti delle escort, delle divette, delle minorenni, delle attricette e delle comparse, appartiene a un set cinematografico di un porno show casalingo.

Il Capo come Walt Disney e Michel Jackson, la residenza come Disneyland e Neverland: case arredate con letti rotondi, grotte con cascate d'acqua, statue, giostre, piscine, vasche per idromassaggi, luci stroboscopiche, vari set che fungono da palcoscenico, passerella, con scenografie rutilanti. Tutte attrezzature e ambientazioni da Peter Pan fallico ed ossessivo: nei loro allestimenti le ville e residence tradiscono qualcosa d'infantile.

Vengono in mente due diversi film, opposti e simmetrici: "Salò Sade" di Pier Paolo Pasolini e "Eyes Wide Shut" di Stanley Kubrick, dove il paradigma dell'occhio, è assolutamente dominante. L'orgia fascista del primo, e quella massonica del secondo, hanno come scopo il ribadire il potere assoluto sui corpi, un potere prima di tutto visivo, oltre che fisico e sessuale.

E mentre Pasolini ci conduceva verso il girone finale della Repubblica Sociale, dietro cui leggiamo la società massificata e omologatrice degli anni Settanta, la sua mutazione antropologica, la visione apparentemente amorale di Kubrick ci fa invece comprendere come la sessualità liberata delle società occidentali abbia un proprio rovescio, un luogo supremo, immaginario e reale al tempo stesso, su cui si fonda la fantasia onnipotente della sessualità priva di vincoli.

Berlusconi con le sue ambientazioni, degne di film di serie B, ci mostra entrambe le possibilità, anzi le fonde con i riti osceni, creando un lessico parossistico e volgare che travolge l'immaginario dell'intero Paese: mentre lo scandalizza, lo attrae, più o meno consapevolmente, verso quella zona buia che è in tutti noi. La zona grigia del sesso.

Villa Certosa, magione neroniana, si presenta come uno spazio dove ci aspetta da un momento all'altro di veder apparire Roger Rabbit, in una confusione di realtà e cartone animato, attori in carne e ossa e figure virtuali.

Collezioni di farfalle di paesi tropicali si alternano ai quadri kitsch di giovani artiste, nanetti ed elfi spuntano da tronchi e radici del giardino, in una confusione di alto e basso che è propria del PopCamp: un travestimento psichico, una perversione segnica, aberrazione costante del dandismo nella sua versione massificata da pornoshop.

Tutto questo senza però l'ironia, il mascheramento comico e deformante del PopCamp, un gusto che già in "Colpo grosso" virava verso una forma di transessualismo culturale incarnato da Maurizio Paradiso, il transessuale successore di Smaila alla guida del programma nel 1991.

Al di là del machismo e del maschilismo che il rito del Bunga Bunga sembra trasmettere, con la sua evidente violenza verbale, prima ancora che fisica, l'immaginario sessuale di Silvio Berlusconi comunica una forma di transessualità che è il carattere proprio della sua stessa televisione: ambiguità dei ruoli, scambio di maschile e femminile, abolizione delle differenze, in un pansessualismo che è il vero portato del paganesimo postmoderno.

In un episodio sintomatico, narrato da Berlusconi stesso, nel 1988 un tifoso del Milan, dopo la partita vinta dalla squadra, si getta sul cofano dell'auto del Presidente che esce dallo stadio e urla: "Silvio sei una bella figa!".

Il più bel complimento della mia vita, commenta il Capo. Il desiderio di sedurre, come se fosse una donna, il proprio pubblico, gli elettori, le donne e anche gli uomini, i concorrenti e gli avversari, è la vera natura profonda di questo Walt Disney della pornografia casareccia.

Come ha visto Franco Cordelli nel romanzo, "Il Duca di Mantova", Berlusconi è lui stesso un travestito, che tuttavia non pare intenzionato a gettare la maschera, per quanto ossessionato non solo dal sesso femminile, ma anche dal proprio stesso sesso maschile.

Il signore del nostro "Eyes Wide Shut" - "occhi spalancati chiusi" - conserva nel suo rituale di potere anche tracce dei regimi politici del passato. In una delle sale della sua macchina-dei-divertimenti in Sardegna, raccontano gli ospiti, sopra ad un camino, è appeso un trittico, tre quadri che raffigurano tre ragazze nude sovrastate da una ghirlanda, un'opera simile, per dimensioni, argomento e visione, a quella che adornava la magione a Monaco di Adolf Hitler e che oggi è temporaneamente esposta al Guggenheim di New York nella mostra "Caos and Classicism", dedicata all'arte tedesca, francese e italiana tra le due guerre.

Anche noi viviamo forse un periodo simile: molto caos, e ben poco classicismo. Da "Colpo grosso" al kitsch pecoreccio di Bunga Bunga il percorso è davvero breve, anche se copre l'arco di ventitre anni della nostra vita. Troppi.


"Silvio, così ti autodistruggi"
di Enrico Arosio - L'espresso - 11 novembre 2010

Un famoso psichiatra e sessuologo esamina Berlusconi: nella sua brama erotica, dice, c'è l'ansia di un uomo scontento. E lo mette in guardia

Di Berlusconi, questa la tesi, ce ne sono due: un "Silvio della notte" che determina l'agire del "Silvio diurno". Il Silvio intero fatica a concretizzarsi: è un leader di 74 anni più solo di quanto non si creda, che ha un problema "con se stesso e col piacere", e in cui l'attività erotica ha assunto un carattere drammatico.

La tesi, severa, è di Giorgio Abraham, psichiatra e sessuologo che da anni insegna e pratica a Ginevra. Al professor Abraham, 83 anni, che ha avuto (come Berlusconi) cinque figli da due mogli, abbiamo chiesto di dare consiglio a Silvio come se fosse un fratello minore.

La prima cosa che gli direbbe?
"Silvio, sii prudente. Mi sembri uno che sta recuperando in età avanzata ciò che non ebbe da giovane. E ti devo dire che, da quel che leggo, il tuo profilo ricorda quello di un soggetto sex addicted".

Sex addiction, dipendenza da sesso?

"Il profilo è quello. Non è così raro. In tanti vanno in clinica a curarsi, anche se in genere sono più giovani. Sua moglie parla di un uomo che ha bisogno di aiuto. La Chiesa di un malato che non si controlla più, forse per salvarlo. Io non la metto sul piano morale, lo scandalo, la vergogna. Io direi: Silvio, tu hai un problema con te stesso. Hai un problema con il piacere. Guardati dentro: lo hai conosciuto o no il piacere vero, profondo, duraturo, legato alla persona?".

Come aiuterebbe un fratello in crisi?
"Gli direi: Silvio, raccontami i tuoi sogni".

Torniamo al Freud del 1900...
"No. Noi studiamo l'erotizzazione dei sogni con la scienza di oggi. E qui c'è un homo diurnus, il Silvio diurno, alle prese con la crisi di governo, Fini, Bossi, il danno all'immagine internazionale dell'Italia. E un homo nocturnus, il Silvio della notte, che solo la notte ha l'appuntamento vero con se stesso. Berlusconi è prigioniero dei suoi sogni; spesso noi eseguiamo di giorno ciò che i sogni ci hanno dettato. Ma nella sua brama erotica c'è l'ansia. C'è l'uomo scontento. A cui si somma il problema della malattia".

La questione si fa delicata.
"Mi attengo ai fatti. Oggi leggo i racconti dei festini, delle ragazze invitate in villa a gruppi. Ma io ricordo bene quando Berlusconi dichiarò che aveva avuto un tumore alla prostata. Quando disse: "Ho vinto il cancro, non solo i miei avversari". Quando annunciò, al San Raffaele: "Insieme vinceremo il cancro". E osservo che in un operato di prostata di 74 anni si possono escludere certe presunte performance sessuali. I problemi erettili sono frequenti. Anche ricorrendo all'ausilio farmacologico, restano inverosimili certi racconti tipo l'harem del sultano".

Domanda inevitabile: come ci è arrivato?
"La sua è la storia di un self made man di grande successo, prima negli affari, poi in politica. Ora in politica è in sofferenza. È un uomo logorato. È in ansia per l'eredità delle sue ricchezze. E allora il successo erotico passa avanti, diventa la meta numero uno. Ma sappiamo bene che, con il tempo, la sessualità diventa banale, meno stimolante. In certi casi si può fare ricorso a droghe o a forme di peversione soft. Il che comporta qualche rischio".

Diceva il Zarathustra di Nietzsche: "Ogni piacere vuole miele, vuole feccia, vuole mezzanotte ebbra". Ma qui il cercatore di piacere è un Senex che rifiuta la senescenza.

"Nella tradizione conosciamo seduttori compulsivi di varia statura, ma per Don Giovanni la preda più ambita era quella di un certo valore. Prima della conquista c'era la lotta, e solo alla fine la vittoria della penetrazione. Se Silvio fosse mio fratello gli direi: tu vai con la ragazza giovane, ma sei certo che lei desideri te? O desidera la vicinanza al potere? Non le dai l'assegno in mano, magari, ma la paghi indirettamente: è una forma lussuosa di prostituzione. Come può un uomo del tuo successo
credere a un'attrazione così fasulla?".

Gli dia un consiglio da sessuologo.
"Cerchi una donna interessante sui 45 anni. È molto più ragionevole".

Berlusconi è una personalità trasgressiva?
"L'anziano è sempre trasgressivo. Io stesso pratico ancora il karate. Non è quello.

Mi colpisce di più la contraddizione politica. Non puoi avere fissazioni erotiche, rischiare di perdere il controllo, ed essere alleato della destra cattolica sulla famiglia, la bioetica, o sul caso Eluana. E far pure le battute sui gay. C'è piena confusione tra due Silvio: il conservatore e il libertino".

Il rischio maggiore?
"Quello di autodistruggersi. Penso a Ottaviano Augusto, che restò al potere 44 anni e prima di morire fu tormentato da Tiberio e dalla questione ereditaria: a chi lasciare l'Impero? Silvio ha un problema plurimo: il futuro politico, la successione patrimoniale, e l'eredità morale".


Basso impero
di Michele Brambilla - La Stampa - 12 Novembre 2010

Non è detto, non è affatto detto che l’impero di Silvio Berlusconi sia arrivato al capolinea: l’uomo ha più di sette vite e lo ha già dimostrato tante volte.

Magari rivincerà le elezioni e non farà prigionieri. Ma in questi giorni il clima è un clima da fine impero, e quando finisce un impero si scatenano gli istinti più bassi, la ribalta è degli ex fedelissimi che tradiscono e dei nemici che infieriscono, e questa è una delle cose peggiori perché non c’è niente di più vile che infierire su chi cade.

Sono giorni già tante volte vissuti in questo Paese, i giorni del «mai stato fascista, io» e del «mai stato craxiano, io». Pare si attenda da un momento all’altro un’immancabile apocalisse, forse anche una catarsi, crescono da una parte la voglia anzi la necessità di riciclarsi e dall’altra quella del regolamento di conti. Per un po’ sarà il caos, come dopo il 25 aprile: si starà alla finestra, un po’ di qua e un po’ di là in attesa di capire come va a finire.

Un vecchio collega raccontava di quel che accadde al suo paese, in Veneto, dove l’ex podestà, diventato primo sindaco provvisorio dopo la Liberazione, stava - con un fazzoletto rosso al collo - nella piazza principale a fianco del parroco: un cittadino si presentò davanti ai due sollevando contemporaneamente entrambe le braccia, la destra per il saluto romano e la sinistra per il pugno chiuso, esclamando: «Sia lodato Gesù Cristo».

Ogni fine impero è però preceduto dal basso impero, il cui tratto distintivo è lo scadimento della corte. Successo dopo successo, il re si convince di essere invincibile e soprattutto infallibile, così da non avere bisogno di consiglieri saggi ma di chi gli dà sempre ragione.

Mussolini cominciò con Giovanni Gentile e Alfredo Rocco e finì con Achille Starace. A chi lo metteva in guardia dicendogli «Duce, Starace è un cretino», lui rispondeva: «Lo so, ma è un cretino obbediente».

Lungi da noi fare paragoni di persone e di sistemi politici - l’equiparazione tra berlusconismo e fascismo è una via di mezzo tra una barzelletta e una bestemmia storica - ma è innegabile lo sconcerto provato, anche fra tanti elettori di centrodestra, nel vedere quale sia il livello del materiale umano che pare il più vicino a Berlusconi in questi ultimi tempi.

Lo sconcerto ad esempio nell’aver visto i filmati - messi in rete dal settimanale «Oggi» - che documentano il trasporto delle ragazze di Lele Mora a casa Berlusconi. «Mi piacciono le donne», ha detto Berlusconi, ma ci si chiede se abbia bisogno di andare a una festa a Casoria, di frequentare Gianpaolo Tarantini e Patrizia D’Addario, di spacciare una disinvolta minorenne per la nipote del Presidente egiziano per tirarla fuori da una camera di sicurezza.

Quello che sta venendo fuori sulla corte di Berlusconi è difficilmente difendibile anche dai berlusconiani antemarcia. Lele Mora ed Emilio Fede sono indagati per favoreggiamento della prostituzione, e con loro Nicole Minetti, una ragazza di 25 anni che il presidente del Consiglio ha conosciuto come igienista dentale quando è stato ricoverato per la statuetta del Duomo tiratagli in faccia, e che poi è stata catapultata alla Regione Lombardia nel listino bloccato: eletta consigliere, cioè amministratrice dei lombardi, senza neanche passare per l’incognita del voto. Per quali meriti?

Leggiamo poi che una tale Perla Genovesi, già assistente di un senatore di Forza Italia e arrestata nel luglio scorso con l’accusa di traffico di droga, tra il 2003 e il 2007 ha avuto 48 contatti telefonici con la residenza privata di Berlusconi ad Arcore; leggiamo che sempre questa Perla ha avuto 500 contatti con una sim intestata a Sandro Bondi e che un non precisato «assistente di Formigoni» l’aveva avvisata di avere il telefono sotto controllo.

Poi c’è un’altra presunta escort (adesso si chiamano così perché il politicamente corretto ha ribattezzato perfino il meretricio) che risponde al nome di Nadia Macrì e che sostiene di avere avuto rapporti «con il presidente Berlusconi tramite Lele Mora per cui lavoravo» e anche con il ministro Brunetta, che ha smentito.

Leggiamo tutto questo e ci chiediamo: è davvero così la corte dell’ultimo Berlusconi? Ieri Fabrizio Corona ha detto che dei festini ad Arcore ci sono pure le foto. E Fabrizio Corona, di cui Lele Mora ha assicurato essere stato l’amante, è già stato condannato: eppure in questa Italia è un idolo di tante ragazze e sulle reti Mediaset è andato spesso a fare il maître à penser.

Forse tra vent’anni diremo: ma com’è stato possibile tutto questo? Alcuni tra i vecchi amici e consiglieri di Berlusconi sotto voce spiegano: «Ha voluto sostituire Gianni Letta con Daniela Santanchè e Fedele Confalonieri con Lele Mora».

Vero o falso? Ferdinando Adornato, in un intervento alla Camera, ha rimproverato a Berlusconi di aver cambiato gli «intellettuali di riferimento» passando «da Lucio Colletti» (e si potrebbero aggiungere Marcello Pera, Paolo Del Debbio, Piero Melograni, Giuliano Ferrara) a giornalisti che parlano alla pancia della destra più becera e usano la tastiera come un manganello.

Ieri con un’intervista a Luca Telese del «Fatto» anche Vittorio Feltri ha preso le distanze. Ha detto che «tanta gente di destra si è rotta le balle di tutte le veline di Berlusconi», che il caso Ruby non gli è piaciuto, che Berlusconi «non doveva andare a Casoria», che «è stanco, confuso, non ha fatto tante cose che doveva fare»; ha distinto la posizione del direttore del «Giornale» Alessandro Sallusti, che è per fare quadrato attorno al Cavaliere, dalla sua, che è per la libertà di critica.

Ha fatto capire, forse addirittura annunciato, che se ne andrà dal «Giornale» per fondare un altro quotidiano. Anche Maurizio Belpietro di «Libero», uno dei più agguerriti, nei giorni scorsi ha dedicato al premier un editoriale intitolato «È dura aiutarlo se non inizia ad aiutarsi da sé».

Segnali che l’impero è davvero al crepuscolo? Nelle aziende del Cavaliere, Mediaset e Mondadori in testa, la preoccupazione si tocca con mano.

Perché ci si chiede: come sarà il dopo? Lasceranno in pace il Berlusconi non più premier? O ci sarà la vendetta? Di sicuro, se vendetta sarà, avrà il contorno di tante tricoteuses, tra cui molti adulatori dei tempi beati. Perché questa è l’Italia.

Non c’è nulla di male nel cambiare idea, anzi. Ma va distinto chi se ne va quando il capo è ancora potente da chi se ne va quando la barca affonda. Come cantava Francesco Guccini: bisogna saper scegliere in tempo, non arrivarci per contrarietà.