Le ennesime elezioni farsa, a circa un anno dal devastante terremoto del gennaio scorso e a quasi un mese dallo scoppio dell'epidemia di colera che sta continuando a mietere vittime ogni giorno, oltre 1500 finora.
Il Paese è ridotto ormai a un ammasso di macerie - materiali e umane - ma lo show elettorale must go on....
Haiti, sulla soglia delle presidenziali. I candidati
di Roberto Codazzi - Peacereporter - 25 Novembre 2010
Alle elezioni del fine settimana si presenta una galassia polverizzata di forze in gioco e molto difficilmente un candidato raggiungerà i voti necessari per essere eletto al primo turno. Quattro i papabili per il ballottaggio
Nel fine settimana Haiti si troverà di fronte alle urne. Un paese che ha sempre conosciuto momenti di tensione in occasione alle elezioni presidenziali, li affronta, ora, con oltre un milione e mezzo di cittadini che vivono in tendopoli più o meno organizzate, liste elettorali vecchie, non aggiornate con i decessi avvenuti nell'ultimo anno, persone dislocate a centinaia di chilometri dalla loro residenza e una presenza massiccia di truppe internazionali che dovrebbero favorire il normale svolgimento, ma che spesso sono causa o pretesto di disordini.
In questo scenario sono 19 i candidati alla presidenza, dopo che la commissione preposta al vaglio delle candidature ha escluso nomi eccellenti come il rapper Wyclef Jean e l'ex-ambasciatore haitiano a Washington Raymond Joseph.
I partiti presenti sono, invece, 68, molti dei quali di recentissima costituzione. In questa galassia polverizzata di forze in gioco molto difficilmente un candidato raggiungerà i voti necessari per essere eletto al primo turno. Sono quattro, però, i candidati che puntano al ballottaggio.
Jude Célestin. Avvocato di 48 anni è il candidato di punta sostenuto dal Presidente uscente Preval, fidanzato della figlia è il Diretto Generale del National Center of equipment, l'ente che ha gestito le apparecchiature, camion e scavatrici, che hanno portato via migliaia di corpi dopo il terremoto.
È anche la società che gestisce la costruzione delle strade e che si aspetta moltissimi finanziamenti per la ricostruzione di Haiti. Prima dell'epidemia di colera era dato al primo posto nei sondaggi, ora si gioca la seconda posizione con Céant.
Mirlande Manigat. 70 anni è la moglie di Leslie Manigat, già presidente di Haiti per pochi mesi nel 1988, il quale, già sostenitore del dittatore Francois Duvalier successe al figlio dopo la fine della dittatura e fu costretto all'esilio dopo pochi mesi da un golpe.
Mirlande è in testa ai sondaggi ma molto lontana dal 50 percento. Dopo l'esclusione di Wyclef Jean potrebbe aver intercettato parte del suo elettorato potenziale, soprattutto giovane.
Michel "Sweet Micky'' Martelly. Cantante hip-hop, 49 anni, ha effettuato grandi comizi molto partecipati. Ha fatto grandissimi investimenti durante la campagna elettorale. Inizialmente alleato dell'industriale Charles Henry Barker, 55 anni, si sono poi candidati entrambi e questo potrebbe minare alla base le possibilità di raggiungere il ballottaggio.
Jean Henry Céant. 54 anni, è l'unico dei 19 candidati che rivendica una continuità con l'ex presidente Aristide, deposto da un golpe nel 2004, di cui richiede il ritorno. Molto vicino ai quartieri più popolari, ha recentemente organizzato una manifestazione a Port-au-Prince che ha visto la partecipazione, secondo gli organizzatori, di 100.000 persone.
Ha l'appoggio del partito Fanmi Lavalas che non ha potuto presentarsi. È difficile misurare le sue possibilità di vittoria, molto dipenderà di come si divideranno i voti di Preval fra i vari uomini del suo governo in corsa.
Ci sono poi almeno un altro paio di nomi come Jacques Alexis, già Primo Ministro sotto Preval, e Yvon Neptune, già Primo Ministro sotto Aristide, che potrebbero sorprendere.
E alla fine, è tutto Election Time.
Le elezioni al tempo del colera tra scetticismo e timori di incidenti
di Alberto Flores d'Arcais - La Repubblica - 28 Novembre 2010
Il voto per le presidenziali nel paese martoriato dal terremoto, dall'uragano e ora dall'epidemia. Difficoltà logistiche, soprattutto per i documenti di identità, e politiche. Ma soprattutto una tensione palpabile e il rischio di violenze
"A votare? Se ci danno la carta sì". Sotto il sole cocente centinaia di persone attendono pazientemente in fila, mentre quattro poliziotti dai modi un po' bruschi regolano a fatica l'ingresso.Quasi un anno dopo il terremoto, un mese dopo l'uragano Thomas, nel pieno dell'epidemia di colera, la gente di Haiti va al voto tra scetticismo, rassegnazione e i timori di violenze che finiscano fuori controllo.
Per gli standard di questo paese, uno dei più poveri al mondo, martoriato da un 2010 di calamità che sembrano non avere mai fine, la vigilia di queste "elezioni al tempo del colera" è trascorsa fin troppo tranquillamente.
Non sono mancati piccoli episodi di violenza, venerdì sera c'? stato un morto quando una gang ha assaltato il comizio finale di un candidato, vicino ai seggi elettorali sono stati trovati pacchi di migliaia di schede abbandonate, le denunce preventive di brogli si sprecano.
Tutto lascia presagire che di democratico queste elezioni avranno ben poco, ma a chi parla di voto-farsa i portavoci di governo e Nazioni Unite rispondono risentiti che in questo contesto è già tanto che i seggi vengano aperti regolarmente.
Chi ha passato ore in fila davanti agli uffici elettorali per avere la "carta d'identità nazionale", unico documento con cui è possibile votare, alle urne ci vuole andare a ogni costo. Per molti, poveri ed emarginati, il voto è un modo per assicurarsi qualche spicciolo e qualche giorno di vita migliore.
Non è un mistero che in queste ore girino molti soldi, parti considerevoli dei budget elettorali vengono usati per comprare voti all'ingrosso, per corrompere i funzionari dei seggi, per distribuire nelle bidonville schede contraffatte, per pagare le gang pronte a scatenare disordini.
Nell'Haiti del dopo-terremoto, con le centinaia di migliaia di morti e il mezzo milione di carte d'identità andate perdute, non è poi tanto difficile votare al posto di un altro o votare due volte.
Non ci sarà subito un vincitore e ci vorranno giorni, se non settimane, per avere i risultati ufficiali, in attesa di un inevitabile ballottaggio (che si terrà a gennaio) tra i due candidati che avranno preso il maggior numero di voti.
Ci sarà subito chi proverà a dichiararsi vincitore. Tra i diciannove candidati rimasti in lizza solo in quattro sembrano avere qualche chance. Jude Celestin, il delfino dell'attuale presidente Preval, forte del sostegno, della rete di funzionari (e dei soldi) del governo.
Mirlande Manigat, la settantenne moglie di Leslie Manigat, primo presidente eletto dopo la dittatura dei Duvalier e deposto da un golpe. Charles Henry Baker, imprenditore (ed unico bianco del lotto) che vive tra Haiti e gli Stati Uniti.
Michel Martelly, cantante di kompa, tipico ritmo haitiano, meglio noto come "Sweet Mickey", l'alfiere dell'antipolitica che raccoglie grandi consensi tra i giovani, che si tira giú i pantaloni durante i concerti e il cui ultimo comizio a Les Cayes è stato attaccato da una banda armata, provocando un morto, che i funzionari delle Nazioni Unite ancora non confermano ("stiamo investigando") nonostante le decine di testimonianze e le foto del cadavere.
Mancano all'appello due candidati che avrebbero potuto fare la differenza e che il regime di Preval ha escluso grazie a poco chiari "vizi di forma".
Quello del partito di Aristide (o lo stesso popolarissimo ex presidente se gli fosse stato permesso di rientrare dal suo esilio in Sudafrica) e il rapper haitiano-americano Wycleff Jean.
Stando ad alcuni sondaggi nelle elezioni del dopo-terremoto e del colera il partito di Aristide avrebbe vinto a mani basse e anche il rapper avrebbe avuto una valanga di voti.
L'unica cosa che stasera conterà alla chiusura dei seggi sarà la reazione della gente. Preval ha lanciato un appello per un voto pacifico, i caschi blu del Minustah, la forza dell'Onu che dovrebbe garantire il regolare svolgimento delle elezioni, si dicono fiduciosi, ma la tensione è palpabile e resta alto il rischio che nella notte tra domenica e lunedì bande paramilitari e gang di criminali comuni diano vita a una sanguinosa resa dei conti.
Le forze di pace dell'Onu hanno diviso le zone dei seggi elettorali in verde (sicuri), giallo (pochi rischi) e rosso (alta possibilità di incidenti).
Saranno presenti anche un centinaio di carabinieri guidati dal colonnello Nicola Mangialavori, qui a Port au Prince dalla primavera scorsa, molto apprezzati per il compito di polizia civile.
Emergenza Haiti: colera e caschi blu. La testimonianza
di Stella Spinelli - Peacereporter - 18 Novembre 2010
'È impressionante. Vedi la gente per strada che d'improvviso si ferma colta da dissenteria acutissima e poi cade a terra morta'. Il racconto di un inviato della Croce Rossa italiana a Port au Prince
Emerico Laccetti lavora per la Croce Rossa Italiana e da tempo si trova a Port au Prince, Haiti. Da lì, racconta a PeaceReporter il dramma del colera, che è andato ad aggiungersi alle tante tragedie che stanno devastando l'isola a un anno dal tragico terremoto che l'ha piegata.
La situazione è grave. Il colera si sta diffondendo a macchia d'olio. È un problema grosso. Nato nella periferia nord della Repubblica haitiana si è diffuso in buona parte del paese, raggiungendo Port au Prince. È impressionante.
Vedi la gente per strada che d'improvviso si ferma colta da dissenteria acutissima e poi cade a terra morta. La fortuna è che in questo periodo non piove, così l'acqua non si mette a spargere tutte queste schifezze contribuendo a diffondere ulteriormente il contagio.
La prossima settimana sapremo se il colera sarà ormai sotto controllo o in balia degli eventi. Le vittime salgono ogni giorno. A salvarsi per ora sono le zone interne e il sud. Qui la gente vive appesa a un rigagnolo d'acqua, portata da un fantomatico fiume, e con questa ci fanno tutto, la bevono, ci cucinano, ci lavano il bucato.
E il colera si moltiplica. La maggioranza delle persone poi vive accampata in tende di fortuna fatte di lenzuola e poco più. Sono distese che si perdono a vista d'occhio.
E questo certo non aiuta. Purtroppo dal terremoto di un anno fa la situazione è questa. Senza nessun rispetto per le minime norme igieniche. Non esistono nemmeno le fognature. Ce n'è una rudimentale qui a Port au Prince che però scarica tutto in mare, senza nessun tipo di filtro.
Le peggiori conseguenze si abbattono sui bambini, molti dei quali sono rimasti orfani dal terremoto, quindi senza controlli. E loro sono le principali vittime del colera perché toccano ovunque, mettono le mani in bocca, si stropicciano. Ed è la fine. Ed è anche poco facile che qui la gente si metta in mente la prevenzione.
È una cultura che non appartiene loro. E del vaccino che dire? Innazitutto, che va somministrato su pazienti sani. Quindi, pensare di sedare l'emergenza con il vaccino è inutile. L'unica cosa è cercare di limitare i danni.
Nella nostra zona, cerchiamo di disinfettare chi entra. Prendiamo seri provvedimenti per evitare che qualcuno si trasformi in untore. E a proposito dell'untore, il fatto che qui a Haiti il colera non ci sia mai stato ha scatenato una caccia all'untore individuato fra gli stranieri presenti sul posto. In particolare è stato accusato un casco blu nepalese. Sono dicerie.
Noi come croce rossa non sappiamo niente ufficialmente, non ci sono prove o dati che avallino questa ipotesi, ma la gente è convinta. E questo ha provocato una guerriglia che nottetempo si dipana in molte zone. Tutti contro i caschi blu. Ci sono stati anche tre morti, ma va tutto ridimensionato.
Si deve tener conto che con il terremoto son venute giù anche le carceri, quindi molti delinquenti sono in giro e certo non contribuiscono a sedare gli animi. Anzi, sono in prima linea nel caos. E' tutto molto complesso. Ci sono sparatorie, roba seria. E certo la presenza dei soldati Onu non placa gli animi. In più si deve tener conto che il 28 e il 29 ci saranno le elezioni e questo incrementa la tensione.
Noi come Croce rossa siamo ben visti, ma corriamo ugualmente il rischio di poter essere assimilati nella loro mentalità agli untori.
L'isola maledetta. Il voto al tempo del colera
di Francesco Semprini - La Stampa - 26 Novembre 2010
La Repubblica deve eleggere il Presidente, ma in strada si muore. La gente punta il dito contro le Ong: "Dove sono finiti i soldi?"
Un’orchestrina creola accoglie i passeggeri in arrivo all’aeroporto Toussaint Louverture di Port-au-Prince. Ne arrivano centinaia ad ogni ora del giorno: domenica nel Paese caraibico si vota per eleggere il nuovo Presidente e gli haitiani che vivono all’estero tornano per andare alle urne nella speranza di cambiare le sorti della nazione. Assieme a loro sbarcano giornalisti, osservatori internazionali e volontari delle tante associazioni che operano sull’isola.
Quella musica a metà tra lo swing e l’etnico vuole essere di buon auspicio ed esorcizzare il destino dannato di questo popolo senza pace. Nel corso dei dieci mesi trascorsi dal terremoto, che ha causato 250 mila vittime e lasciato 1,3 milioni senza casa, gli haitiani hanno dovuto fare i conti con un’alluvione, un uragano e una ricostruzione di cui non sembra esserci traccia.
Sulle piste dello scalo non ci sono più i C130 militari o le truppe americane in assetto antisommossa, ma basta uscir fuori per capire di essere di nuovo nel cuore di tenebra caraibico.
Il tenente colonnello Nicola Mangialavori ci viene a prendere tra la folla di disperati che si accalca all’entrata dello scalo.
L’ufficiale coordina il contingente di carabinieri inviato sull’isola nell’ambito del Minustha, la missione di stabilizzazione delle Nazioni Unite. Ci fornisce un primo quadro della situazione colera. Secondo i dati ufficiali l’epidemia ha causato già 1523 morti e colpito oltre 20 mila persone.
Le stime più pessimistiche parlano di un numero potenziale di 400 mila contagi entro le prossime settimane. «Il problema principale è l’acqua», ci dice il colonnello, e non solo quella corrente perché alcuni esami hanno rivelato la presenza del batterio anche in bottiglie sigillate prodotte localmente.
Nonostante le smentite delle autorità locali, l’emergenza colera iniziata circa un mese e mezzo fa nelle zone del Nord è penetrata come un lampo nella capitale dove trova terreno fertile tra tendopoli e baraccopoli.
Una prima ricognizione di Port-au-Prince ce ne dà la conferma: sulla Rue Delmas poco sembra cambiato rispetto al dopo-sisma, le macerie sono state spostate ai margini delle strade e gli edifici diroccati sostituiti da baracche in lamiera, mentre i pochi negozi aperti sono presidiati da guardie armate.
Senza lavoro e senza casa, i giovani vagano da mattina a sera per le strade accalcandosi intorno alle immancabili bancarelle con la scritta Digicel che vendono cellulari, e ai tanti «barber-shop» improvvisati.
Nella zona del centro la situazione appare ancora più grave, la cattedrale si trova esattamente nelle stesse condizioni del 12 gennaio, neanche la fede ha dato la forza o il denaro necessari a ricostruire. Sulle macerie del palazzo presidenziale è stata montata una rete con i manifesti dei 19 candidati alla presidenza.
Davanti inizia la tendopoli più grande della capitale, un mare di teli che si estende verso il porto interrotto a tratti dalle macerie della Grand Rue, dove a gennaio era avvenuto il ritrovamento degli ultimi miracolati dal terremoto.
Da qui a Cité Soleil, il quartiere ghetto roccaforte delle bande, si estende l’epicentro urbano del colera. Il milione e mezzo di persone che vi ha trovato rifugio dopo il sisma sopravvive in condizioni di completo degrado. Uomini e donne, vecchi e bambini si aggirano come zombie di Romero tra le macerie a ridosso del ministero della Sanità e le grandi pozze create dall’alluvione.
Sulla Carrefour Feuilles i bisogni si fanno rigorosamente per strada, vicino a dove le donne prendono l’acqua per dar da bere ai propri figli, e dove su bracieri di fortuna si riscaldano minestre di verdure rimediate per strada: in un posto come questo il batterio del colera non può che trovare un alleato.
La situazione all’ospedale centrale è desolante: c’è il tutto esaurito anche perché solo una parte della mastodontica struttura è agibile. Dalle porte socchiuse di alcuni reparti si intravedono malati attaccati alle flebo o a bombole di ossigeno, mentre il resto dell’ospedale è completamente diroccato o occupato da senza tetto o sciacalli.
I carri funebri fanno avanti e indietro tra obitorio e camposanto mentre dai forni crematori fuoriesce fumo acre che spezza a tratti il tanfo delle bidonville circostanti. E pensare che l’ospedale era una delle strutture destinata a essere rimessa a posto per prima grazie agli aiuti internazionali.
«Aiuti, di quali aiuti stiamo parlando?», dice Robert, l’autista che ci scorta nel nostro viaggio in questo girone infernale. «Se sono arrivati questi soldi c’è chi ha pensato di intascarseli per farne l’uso che voleva». A chi si riferisce? «Alle Ong, a certe Ong, loro hanno in mano quest’isola e fanno come vogliono».
Questo genere di critica non è nuovo: il 28 novembre si vota ad Haiti, ma la fiducia nella politica e nello straniero è ai minimi. Oltre al risentimento nei confronti dell’Onu, in particolare alle truppe nepalesi considerate la causa dell’epidemia e contestate in ripetuti scontri per le strade della città, c’è una certa ostilità proprio per alcune organizzazioni non governative.
La campagna di alcuni candidati è stata incentrata nella promessa di «ridurre l’influenza di alcune Ong» che hanno dato vita a un «governo ombra» sull’isola. «A sei settimane dallo scoppio dell’epidemia mi aspettavo una risposta più efficace e reattiva dalla gran parte delle organizzazioni internazionali e delle agenzie Onu», spiega Stefano Zannini, capo missione di Medici Senza Frontiere che assieme alla cooperazione cubana ha risposto «al 90% dei casi di contagio» grazie ai 22 centri e alle quattro unità presenti in cinque su dieci dipartimenti del Paese.
Uno dei più attivi è quello di Carrefour Vincent, a Sarte, una struttura da 400-500 posti. «Da noi arrivano dai 20 ai 40 pazienti al giorno, ma presto saranno cento», spiega Virginie Cauderlier, responsabile del campo, confermando la gravità della situazione.
Le cure durano sino a cinque giorni, ma vi sono decessi dovuti a complicazioni per altre malattie. Entriamo nelle tende dei malati, ci catturano gli occhioni scuri di Antoine, cinque anni, due flebo attaccate al braccio.
Era uno dei piccoli zombi della Carrefour Feuilles, è stato raccolto da Msf quasi completamente disidratato. Sta meglio, tra due giorni verrà dimesso ma per lui non sembra esserci altra sorte che tornare nel girone infernale della tendopoli.